6
fasi della procedura di fusione, verranno anche sinteticamente esposte le principali norme che
riguardano la partecipazione dei lavoratori.
Come avremo modo di osservare il compito della decima direttiva societaria non è tanto quello di
consentire che le fusioni transfrontaliere avvengano in quanto tale possibilità è da derivare piuttosto
dai principi istitutivi del Trattato, il compito precipuo della decima direttiva è invece quello di
facilitare le operazioni cross-border, in altri termini il legislatore comunitario preso atto delle
differenze esistenti fra gli ordinamenti circa l’istituto della fusione ha provveduto instaurare
mediante la direttiva il c.d. level playing field, a oggi tutti gli stati hanno provveduto a recepire le
disposizioni della direttiva, osserveremo in particolare la trasposizione della direttiva da parte di
quattro stati (Italia, Regno Unito, Francia e Germania) confrontando fra di loro le nuove norme così
da poter apprezzare più nel concreto lo standard di regole comuni introdotto dalla direttiva.
La seconda parte dell’elaborato analizzerà, come anzi accennato, lo stesso fenomeno questa volta in
chiave fiscale partendo dall’analisi del principio di neutralità, le operazioni straordinarie non sono
di per se adatte a creare reddito, almeno dal punto di vista teorico mediante le fusioni si procede
unicamente al riallocamento delle risorse, per tanto la generazione di un plusvalore si fa solo
eventuale e tale plusvalore andrà tassato esclusivamente nel momento dell’effettivo realizzo che
non coincide strettamente con il momento in cui avviene la fusione, per queste ragioni la direttiva
90/434/CEE ha impartito il regime di neutralità che da anni conosciamo anche nel nostro
ordinamento.
Si deve anche osservare che la potenziale perdita di gettito fiscale ha non di rado spinto i diversi
competenti organi fiscali nazionali a violare i precetti dell’ultima direttiva accennata, il confine tra
ciò che è lecito compiere al fine di prevenire l’evasione fiscale da parte dei soggetti che compiono
le operazioni di ristrutturazione è tutt’altro che ben marcato e risulta in costante evoluzione, le
sentenze della Corte di Giustizia hanno nel tempo delimitato il raggio d’azione delle autorità fiscali
al fine di prevenire i possibili abusi del regime di neutralità, a tal proposito proporremo alcune delle
sentenze che maggiormente hanno contribuito a delimitare la soglia di intervento (i casi: Leur-
Bloem, Kofoed, e Mark & Spencer) da parte degli stati dell’Unione.
L’Italia sebbene con un certo ritardo ha provveduto a recepire le norme che instaurano il regime di
neutralità così come previsto dalla direttiva 90/434/CEE con il Decreto legislativo del 30 dicembre
1992, n. 544, le norme contenute nel decreto sono state poi trasportate nell’identica formula nel
testo unico al capo IV del titolo III del TUIR mediante il decreto legge n. 344 del 12 2003 istitutivo
dell’IRES.
Il principio cardine su cui si poggia il regime fiscale di neutralità è quello della non imponibilità dei
plusvalori (sia pure iscritti in bilancio) legati a quei beni che vengono ricondotti ad una stabile
organizzazione in Italia della società risultante dalla fusione, come vedremo nel dettaglio se i beni
7
che vengono trasferiti nel corso dell’operazione straordinaria mantengono il collegamento con il
nostro paese mediante una stabile organizzazione in Italia ed i beni vengono presi al medesimo
valore fiscale prima e dopo l’operazione (pur essendo iscritti in bilancio ad un valore superiore) la
tassazione non ha luogo, esiste però l’obbligo di riconciliare valori civilistici e fiscali nel quadro
RV, tale principio, in questa sede solo brevissimamente enunciato, verrà declinato per tutte quante
le casistiche che nel corso dell’elaborato verranno trattate in maniera più esauriente (operazioni in
entrata, in uscita ed estero su estero), l’esame più pratico e meno teorico che verrà condotto sulle
singole tipologie di operazioni permetterà di mettere in evidenza le lacune presenti
nell’ordinamento tributario, nonché le tendenze dottrinali legate alla risoluzione di tali vuoti
normativi, nel corso dell’analisi troverà pure spazio l’esame delle operazioni poste in essere con
società residenti in paesi estranei all’Unione europea le quali non sono destinatarie di una specifica
disciplina come lo sono invece le operazioni transfrontaliere.
In conclusione toccheremo invece le modifiche apportate dalla finanziaria 2008 che ha mutato la
disciplina dei conferimenti d’azienda introducendo fra l’altro la possibilità di affrancare i plusvalori
emergenti dalla riorganizzazione, tale possibilità di affrancamento vale per: i conferimenti, le
fusioni e le scissioni che hanno come controparti società straniere; sebbene la convenienza di
procedere all’affrancamento mediante imposta sostitutiva vada valutata sul singolo caso, anche per i
conferimenti l’esame avrà prima un carattere generale e in un secondo tempo verranno analizzate
separatamente e con maggiore dettaglio le casistiche su un piano più concreto (anche qui verranno
distinte le operazioni in entrata, quelle in uscita e quelle estero su estero) avendo cura di non
trascurare quelle fattispecie relativamente al margine come l’incorporation of branch.
Per concludere con questo elaborato si vuole offrire un quadro il più possibile completo delle
problematiche legate all’implementazione di operazioni straordinarie transfrontaliere, ma
soprattutto si vuole rappresentare la tendenza legislativa (civile e fiscale) comunitaria che è
senz’altro fautrice delle concentrazioni intra-comunitarie, così da poter dare un apporto, senz’altro
modestissimo, alla diffusione sul piano dottrinale di tali operazioni che contribuiscono in concreto
al consolidamento del mercato unico europeo quale mezzo di sviluppo economico e sociale della
Comunità.
Omar Omenetto
8
CAPITOLO PRIMO
PRINCIPI COMUNITARI RILEVANTI IN MATERIA DI FUSIONI.
I.1 Principi portanti del diritto comunitario europeo
I.1.1 Il diritto di stabilimento ed il diritto alla libera prestazione di sevizi.
È utile alla completezza della trattazione muovere da quei principi che sono stati enunciati proprio
in sede di costituzione della Comunità Economica Europea, ci riferiamo alle disposizioni del
Trattato di Roma del 25 marzo 1957 istitutivo della CEE, e delle libertà fondamentali. Quattro sono
le libertà fondamentali introdotte dal trattato: libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali; nell’ambito della libertà della circolazione delle persone, il trattato contiene
le norme relative al diritto di stabilimento (art.43-48), norme che, va rilevato, fanno da cardine per
il diritto societario europeo in quanto immediatamente applicabili e direttamente efficaci nei singoli
ordinamenti nazionali come già ampiamente sancito dalla Corte di Giustizia delle Comunità
europee; i casi più eclatanti e recenti in questo senso sono: Inspire Art
1
, Centros Ltd
2
e Daily Mail
3
;
che verranno commentati nel proseguo del capitolo.
Ad ispirare le norme concernenti questa materia è l’articolo 12: “nel campo di applicazione del
presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata
ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.
Tale principio oltre a propugnare la figura del cittadino comunitario si pone come fondamento dei
capi due e tre del Tr. CE (del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi). Una volta
visto il principio informatore scendiamo nel dettaglio del diritto di stabilimento, l’art.43 del trattato
recita testualmente: “…le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro
nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle
restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno stato
Membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, non che
alla costituzione e la gestione di imprese e, in particolare, di società ai sensi dell’articolo 48,
1
C. Giustizia CE, 30 settembre 2003, C-167/01, Kamer van koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c. Inspire Art
ltd
2
C. Giustizia CE, 9 marzo1999, causa C-212/97, Centros Ltd c. Ehrvers-og Selkabsstyrelsen
3
C. Giustizia CE, 27 settembre 1988, causa C-81/87, The Queen c. Daily mail e General Trust PLC
9
secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti
dei propri cittadini…”.
Appare nitido il richiamo dei precetti dell’art.12 Tr. CE. È vero infatti che l’articolo su riportato
decreta incompatibili tutte quelle norme regolamenti o leggi
4
che pongano ostacoli all’esercizio
dell’attività laddove gli stessi non siano imposti anche ai cittadini di tale stato; Si ribadisce e si
declina maggiormente quello che è il principio di non discriminazione contenuto appunto nell’art.12
Tr. CE.
L’articolo 48 del Tr. CE specifica poi che “ Le società costituite conformemente alla legislazione
di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o i centro di attività
principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni
del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.
Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società
cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico e privato, ad eccezione
delle società che non si prefiggono scopi di lucro”.
Ampia è qui la portata della nozione di società che manifesta il chiaro intento del legislatore di
voler ricomprendere l’intero novero di entità che svolgano attività economica rilevante.
Intimamente connesso al diritto su menzionato è il diritto alla libera prestazione di sevizi che il
Trattato enuncia agli articoli che vanno dal 49 al 55, per espresso rinvio dell’articolo 55 Tr CE alla
disciplina del diritto di stabilimento, le norme relative alla libera prestazione di sevizi trovano
applicazione anche nelle società costituite secondo la legislazione di uno stato membro ed aventi il
centro di attività principale entro il territorio della comunità. In virtù degli articoli 49 e ss. del Tr
CE, all’interno della comunità, un cittadino o un’impresa comunitaria possono eseguire un servizio
in uno Stato Membro diverso dallo Stato di Residenza a condizioni di parità con gli operatori del
primo. La libera circolazione dei servizi si ricongiunge con il diritto di stabilimento che consente ai
lavoratori autonomi e alle imprese comunitarie di stabilirsi in un altro Stato Membro ed esercitarvi
la propria attività
5
. La libertà di circolazione interessa il tema delle fusioni transfrontaliere anche
negli aspetti riguardanti il trattamento dei lavoratori dipendenti e non solo (tema che non
rappresenta il centro di questa trattazione), la Corte di giustizia ha ricoperto un ruolo importante in
materia di libertà dei servizi colmando con le sue pronunce il vuoto lasciato dal legislatore
comunitario, vuoto peraltro dovuto alla necessità di privilegiare un’attuazione progressiva delle
norme del trattato al fine di ovviare a bruschi cambiamenti del tessuto economico-sociale degli stati
membri.
4
Si fa riferimento a normative nazionali che subordinano l’esercizio del diritto di stabilimento da parte di cittadini di
altri Stati membri al possesso di determinati requisiti .
5
Cfr. Galgano e Marrella, in “Diritto del Commercio Internazionale”, Cedam, 2005, pag. 45.
10
I.1.2 Le società ed il diritto di stabilimento.
Una volta brevemente accennato al fulcro dei principi comunitari, si può restringere il campo di
attenzione all’ambito societario, analizzando l’impatto di questi principi basilari sulle imprese
comunitarie.
Negli Stati facenti parte dello Spazio economico europeo esistono a oggi diversi criteri di
collegamento per individuare la lex societatis. Da una parte vi sono Stati che adottano norme di
conflitto basate sul criterio della sede reale o sede amministrativa delle società e da un’altra parte, in
minoranza, vi sono ordinamenti che seguono il criterio del luogo di costituzione della società
prescindendo radicalmente dalla sua sede effettiva amministrativa. Nasce da qui una problematica
di stampo internazional-privatistico che vede opporsi due teorie aventi per fondamento concezioni
di sviluppo e di governo dell’economia diverse
6
, la prima la teoria della sede, tende a reprimere la
possibilità di scelta da parte delle società della disciplina ad esse più conveniente, in quanto lo stato
che accoglie la sede della società, di principio rifiuta di applicare il diritto degli ordinamenti di altri
paesi nei quali le società perfezionano la loro costituzione; le motivazioni che possono essere
addotte dagli stati che optano per questa soluzione sono diverse: l’interesse diretto dello stato a
disciplinare le società appartenenti al suo sistema economico, nonché motivazioni ispirate a
considerazioni di concorrenza interna oppure ancora questioni sindacali sottese alle realtà
societarie. Il secondo criterio di matrice anglosassone partorisce dalla legge inglese coloniale,
interessata a disciplinare direttamente le attività site nei paesi colonizzati, secondo questa legge lo
statuto delle società è soggetto alla legge del luogo ove è stata costituita, è questa una teoria più
aperta che sottoscrive una concorrenza fra le legislazioni in quanto le società verranno
tendenzialmente costituite ove il diritto è loro più congeniale per poi trasferirsi nel luogo ove invece
l’attività verrà materialmente esercitata. Dalla coesistenza di simili diversità dovuta all’assenza di
armonizzazione ne sortisce che una società nata in Inghilterra ma operante in Germania (paesi
diversi nel criterio di collegamento) sarà soggetta ad entrambi gli ordinamenti e quindi esposta a
tutti i possibili conflitti esistenti fra le due legislazioni. Il dualismo del criterio di collegamento su
menzionato riesce senz’altro da freno alla libertà di stabilimento dal legislatore comunitario
introdotta.
Un ruolo decisivo sul punto viene assunto dalle sentenze della corte di Giustizia che, in occasione
del caso Daily Mail
7
il quale verteva, in estrema sintesi, sulla possibilità di trasferire
l’amministrazione centrale della società dall’Inghilterra all’Olanda; possibilità peraltro fruibile
(secondo la legge anglosassone) solo dietro autorizzazione dell’amministrazione fiscale inglese, la
quale negava in quanto il trasferimento aveva lo scopo precipuo di sfuggire al pagamento di alcune
6
Cfr. Cassottana e Nuzzo, opera citata pp 18.
7
C. Giustizia CE, 27 settembre 1988, causa C-81/87, The Queen c. Daily mail e General Trust PLC
11
imposte, in questa sede, la Corte ha rilevato come proprio le diversità esistenti fra le singole
disposizioni legislative nazionali in merito al criterio di collegamento previsto per le società, ed alla
facoltà ed alle modalità del trasferimento della sede, legale o reale, di una società di diritto
nazionale da uno stato membro all’altro a costituire un problema non risolvibile soltanto in base alle
norme generali relative al diritto di stabilimento (art. 43-48 Tr CE): queste norme non attribuiscono
alle società medesime alcun diritto a trasferire la direzione e l’amministrazione centrale in un Paese
diverso conservando la propria personalità in quello d’origine. La soluzione al problema secondo la
prima giurisprudenza va affidata ad iniziative legislative e pattizie per altro ne all’epoca e ne oggi
esistenti. In altre parole la Corte di Giustizia ha affermato che gli articoli dal 43 al 48 del trattato
non possono essere interpretati in maniera tale da dare la possibilità alle società di muoversi dallo
stato di costituzione in altri stati membri mantenendo lo status di società ai sensi dell’ordinamento
che ha ospitato solo la costituzione
8
.
Se si tiene conto di questa problematica e della distinzione tradizionale in dottrina fra lo
stabilimento primario – che consiste per le società nella possibilità di trasferire la sede sociale in
uno Stato differente da quello di origine – e lo stabilimento secondario – che, ancora per le società,
indica la possibilità di aprire in uno Stato differente da quello si origine agenzie, succursali o
qualsiasi altra struttura volta all’esercizio non occasionale dell’attività economica – alle società,
stante il conflitto tra i criteri di collegamento, si prospetta unicamente la possibilità dello
stabilimento a titolo secondario di succursali o filiali costituite secondo la legge del paese di
destinazione. La stessa Corte di Giustizia ha però in tempi più recenti, preso una posizione più
aperta e liberale in merito alla questione, in particolare, con la sentenza Centros
9
che aveva, anche
qui in sintesi, ad oggetto il caso di una private limited company costituita in Inghilterra ma destinata
a operare di fatto tramite una succursale sul territorio danese ove la disciplina è più rigorosa (si
mirava in sostanza ad aggirare le onerose imposizioni danesi sul capitale minimo). Il criterio di
collegamento della incorporazione è stato in questo caso dalla Corte preferito; la sentenza afferma
inoltre testualmente che: <<il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una
società scelga di costituirla nello Stato membro le cui nome di diritto societario gli sembrino meno
severe e crei succursali in Stati membri… è inerente all’esercizio, nell’ambito di un mercato unico,
della libertà di stabilimento>>
10
. Il netto favore nei confronti della più innovatrice e concorrenziale
teoria dell’incorporazione è poi emerso nella sentenza che riguarda Inspire Art
11
, società di diritto
inglese (una private company limited by shares) avente succursale e amministratore unico
8
Cfr. Cassottana e Nuzzo opera citata pp 19
9
C. Giustizia CE, 9 marzo1999, causa C-212/97, Centros Ltd c. Ehrvers-og Selkabsstyrelsen
10
Per approfondimenti PERRONE, Dalla libetà di stabilimento alla competizione fra gli ordinamenti? Riflessioni sul
caso Centros, in Riv.soc.,2001, pp 1296 ss.
11
C. Giustizia CE, 30 settembre 2003, C-167/01, Kamer van koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c. Inspire Art
ltd
12
domiciliati in Olanda la quale volutamente non iscriveva nel registro competente la sua natura di
società di diritto estero come la legislazione olandese prescrive, la camera di commercio del luogo
richiedeva il completamento dell’iscrizione alla quale la società si opponeva e, sostenendo di patire
un pregiudizio una volta iscritta in quella sezione del registro, Inspire Art si appellava alla Corte
per far valere l’incompatibilità della legge nazionale alla libertà di stabilimento. Anche in questo
caso la corte si è dimostrata a favore di un approccio liberale dichiarando che non rileva il fatto che
la società svolga la sua attività principale per mezzo della succursale e quindi questa casistica
rientra in pieno nell’ambito di applicazione delle norme relative alla libertà di stabilimento anche
quando cioè la costituzione è stata perfezionata in altro stato proprio alla scopo di evitare
l’applicazione della disciplina dello stato in cui la succursale opererà, le disposizioni
dell’ordinamento olandese sono infine state giudicate in contrasto con la libertà di trasferimento.
Ma il caso più commentato e discusso relativamente a questo dibattito è il caso di SEVIC
12
, dove
appunto la società SEVIC Systems AG ( di seguito Sevic) operante nel settore elettronico, stipula
un contratto di fusione con una società lussemburghese, la SVC, che prevede lo scioglimento senza
liquidazione di SVC e il passaggio dell’intero patrimonio dalla SVC lussemburghese alla Sevic
tedesca. La Sevic chiede l’iscrizione nel competente registro tedesco, ma il giudice competente,
Amtsgericht di Neuwied, rifiuta l’iscrizione adducendo che la legge tedesca ammette le fusioni
unicamente tra società costituite in Germania (e, dunque, soltanto tra società di nazionalità tedesca).
La Sevic propone quindi opposizione davanti al Landgericht di Koblenz, con richiesta di rinvio
pregiudiziale della causa davanti alla Corte di Giustizia di Lussemburgo. L’obiezione presentata dal
Governo tedesco e degli altri Governi degli Stati Membri intervenuti in causa è che occorre una
specifica direttiva comunitaria per sopprimere il divieto di fusione tra società di Paesi Membri
diversi. La Sevic invoca invece l’applicazione degli articoli 43 e 48 del Trattato. La sentenza della
Corte è stata emessa il 13 dicembre 2005, esattamente venti giorni dopo la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea della direttiva Ce n. 2005/56. Anche questa pronuncia
ricalca le conclusioni delle sentenze prima commentate: non occorre una direttiva di
armonizzazione per permettere le fusioni tra società appartenenti a Paesi Membri diversi, bastando
le norme del Trattato Ce in materia di stabilimento (art. 43 e 48), le quali consentono ora alla Sevic
tedesca di incorporare legittimamente la società lussemburghese SVC.
Da queste sentenze si può senz’altro desumere come a livello comunitario non venga avallata la
teoria della sede e anzi, dalla preferenza della teoria dell’incorporazione, deriva la disapplicazione
delle norme nazionali, in forza della prevalenza della fonte comunitaria sulle fonti nazionali degli
Stati membri
13
. È quindi solo in tempi relativamente recenti che la libertà di stabilimento in materia
12
C. Giustizia CE, 13 dicembre 2005 , C-411/03, SEVIC Systems AG c. Governi della Germania e dei Paesi Bassi
13
Cfr. Cassottana e Nuzzo opera citata p. 20
13
societaria ha trovato riscontro, ciò va senz’altro ricondotto alla volontà comunitaria di progredire in
fatto di armonizzazione fra le leggi quale premessa indispensabile al funzionamento del mercato
interno, le ultime sentenze in particolare fautorano una competizione fra gli ordinamenti che esalti
l’efficienza del mercato per conquistare nel lungo periodo un sistema di regole finalmente
efficiente
14
.
Può giovare ad una miglior rappresentazione della questione osservare almeno a grandi linee la
statistica degli Stati che si servono dell’uno piuttosto che dell’altro criterio, fra quelli che adottano
il criterio della sede: Austria
15
, Belgio
16
, Francia
17
, Germania
18
, Grecia
19
, Lussemburgo
20
, Polonia
21
,
Portogallo
22
, Slovenia
23
e Spagna
24
; il caso dell’Italia e, forse non stupisce, sta nel mezzo poiché
l’art. 25 comma 1 della legge 218/1995 riconduce alla lex societatis del luogo ove la società è stata
costituita ma allo stesso tempo aggiunge tuttavia che le società aventi sede sul territorio italiano
sono disciplinate dalla legge italiana. Ne sortisce sul lato pratico che la società viene senz’altro
disciplinata dalle norme in vigore ove ha la sede intendendo per tale il luogo da cui provengono gli
impulsi volitivi relativi alla vita sociale. Per alcune fattispecie invece la legge italiana non esclude
la contemporanea applicazione dello statuto straniero sempre che il paese dell’incorporazione non
lo faccia venir meno. Sarà quindi possibile dar luogo a fenomeni di applicazione cumulativa di due
statuti: compatibilmente con le fattispecie in esame accadrà che la normativa italiana verrà assorbita
dalla più severa normativa straniera laddove presente o, al contrario, nel caso, sarà la normativa
italiana ad assorbire la meno severa disciplina estera. Va però sottolineato come nella prassi sia
almeno rara l’applicazione di queste disposizioni
25
. Vi sono poi come anzi detto Ordinamenti che
accolgono il criterio dell’incorporazione, fra i quali: Inghilterra
26
, Liechtenstein
27
, i Paesi Bassi
28
e
l’Ungheria
29
. È opinione diffusa soprattutto dopo l’attuale giurisprudenza comunitaria che gli
ordinamenti del primo tipo (quelli aderenti alla sitztheorie/ Real site doctrine o teoria della sede)
debbano muoversi verso un approccio che permetta ad una società nata in uno degli stati membri di
conservare la soggezione al diritto del luogo di costituzione (Gründungstheorie/ Incorporation
14
Cfr. Cassottana e Nuzzo opera citata p. 23
15
Par. 10 dalla legge sul d.i.p del 15 giugno 1978
16
Art. 110 Code de droit international privé
17
Art. L 210-3 Code de com. (2000)
18
In Recht der Internationalen Wirtschalf (RIW), 2003, p. 474
19
Art. 10 del codice civile
20
Art. 159 Loi sur les sociétés commerciales del 10 agosto 1915
21
Art. 9 par. 2 legge sul d.i.p del 12 novembre 1965
22
Art. 3 della legge sulle società commerciali del 2 settembre 1986
23
Art. 17 comma 3 della legge sul d.i.p del 1999
24
Art. 6 e 7 della legge sulle srl.
25
Cfr. Tito Ballarino e Davide Milan in “Corso di Diritto Internazionale Privato”, 2007, CEDAM, p. 129
26
DICEY MORRIS, Conflicts of laws, 13th Ed., London ,2000, p. 1101
27
Art. 232 della legge sulle persone e sulle società del 1997 (PGR)
28
v. KINDLER, Intenationales Handels- und Gesellschartsrecht, in Münchener Kommentar zum BGB, vol. 11, 4. Aufl.,
München, 2006, annot. 487
29
Art. 18 comma 2 della legge sul d.i.p del 31 maggio 1979
14
doctrine). Alcuni dei menzionati paesi come Germania
30
, Austria
31
e più lentamente la Francia
32
stanno già rispondendo in questo senso. Altri paesi ancora del primo tipo, si sono invece mossi in
controtendenza sostenendo che la giurisprudenza della Corte di Giustizia altro non è, se non una
nuova declinazione della libertà di stabilimento, diversa cioè da quella sottoscritta a Roma nel 1957
e per tanto non si può impedire in base a essa che gli ordinamenti nazionali muovano in senso
contrario alle sentenze
33
. Va infatti precisato ogni Stato membro ha piena facoltà di scelta in merito
a l’uno o all’altro criterio di collegamento, ma allo stesso tempo il legislatore comunitario offre
soluzioni di diritto comunitario che permettano agli operatori economici di fruire di tutte le libertà
contenute nel Trattato istitutivo dell’Unione
34
. Va pure precisato che non in tutte le casistiche si
può invocare il diritto di stabilimento alcuni casi che sicuramente esulano ma che non esauriscono il
novero delle antinomie che partoriscono dall’assenza di una legislazione che armonizzi la materia,
verranno nelle prossime righe brevemente accennati. Il più semplice di questi casi riguarda le
società aventi sede statutaria all’interno dell’UE e che non hanno legami alcuni con l’economia
dello stato membro a cui vogliono riferirsi dal punto di vista legislativo, in questo manca l’ipotesi
di stabilimento sia primario che secondario; non può inoltre rifarsi alla libertà di stabilimento quella
società che già al momento della costituzione perfezionata all’estero abbia la sua sede effettiva in
uno Stato che adotti la real site Doctrine; un altro caso ove addirittura l’esistenza stessa della
persona giuridica è messa in dubbio si riscontra quando: l’ordinamento ove una società ha collocato
la sua sede, faccia rinvio al diritto del paese ove è stata costituita e quest’ultimo preveda,
incompatibilmente con il primo ordinamento, il criterio della sede reale; l’ultimo dei casi ove non
esiste violazione del diritto di stabilimento che però ripetiamo non esaurisce il novero, è quello ove
l’ordinamento ospitante la sede imponga delle norme restrittive della libertà di stabilimento in
ragione non di intenti discriminatori ma bensì a fronte di meri motivi di interesse pubblico.
Come forse si può intuire dal tono degli ultimi paragrafi, si ricava sempre più dalla dottrina,
l’esigenza di un intervento comunitario volto a dare norme uniformi per tutti gli Stati membri, tanto
che nel febbraio del 2006 è stata elaborata una proposta
35
da parte di un gruppo di studiosi
appartenenti al Deutscher Rat für Internationales Privatrech (Consiglio tedesco di esperti di diritto
internazionale privato), tale proposta risulta meritevole di attenzione vuoi per la fonte che l’ha
30
V. Bundesgerichrshof, 14 marzo 2005, in Neue Juristische Wochenschrift (NJW),2005, p1648. oppure BELTRAMI, in
Riv soc ., 2005, p. 953 ss.
31
Oberster Gerichtshof, 15 luglio 1999, in Praxis des Internationalen Privat – und Verfahrensrechts (IPRax), 2000, p.
418 ss.
32
AUDIT, Droit International privé 4° edizione, Paris , 2006, n. 1119 «<< Le droit communautaire… consacre
aujourd’hui pratiquement le système de l’incorporation»>>
33
Per i riferimenti alle singole normative nazionali e in sintesi su alcuni contenuti si veda Kindler in “Aspetti essenziali
di un futuro regolamento comunitario sulla legge applicabile alle società” Rivista di diritto internazionale privato e
processuale anno 2006 pag 657 e ss
34
Cfr. CASSOTTANA e NUZZO opera citata p. 24 e ss
35
Il testo integrale della proposta si può consultare Rivista di diritto internazionale privato e processuale anno 2006 p.
876 per il commento si veda Kindler op. cit.
15
prodotta, vuoi per il contenuto della proposta di cui qui non renderemo che la sintesi del carattere
saliente e le tematiche più prossime all’oggetto di questa trattazione. Naturalmente alla base di
questa formulazione sta senz’altro l’adesione, che si ricava subito dall’articolo 2, alla teoria della
costituzione, in particolare viene scelta fra quelle appartenenti a questa teoria la variante che vede il
momento dell’iscrizione nel registro come fatto qualificante per ricavare la lex societatis di
riferimento, collegando invece tutta la vita della società antecedente a tale momento alla teoria della
sede (questa distinzione tra le società registrate e non, circa il criterio di collegamento, viene in
essere secondo i primi commenti in ragione della necessaria tutela dei terzi); è quindi una proposta
che brilla per larghezza di vedute, e la stessa sua formulazione ricalca l’esempio delle più moderne
codificazioni in ambito internazionale, l’articolo 3 infatti contiene l’elenco delle materie oggetto di
disciplina da parte della lex societatis individuata secondo l’articolo 2 (s’intende la lex societatis del
luogo ove viene perfezionata l’iscrizione al registro). Tale elenco come emerge dalla proposta
stessa, non è tassativo, è quindi adatto a ricomprendere anche le materie che emergeranno nel
futuro. Le principali materie sono: natura di giuridica della società, costituzione e scioglimento,
ammissibilità del nome o della ragione sociale, struttura organica, rappresentanza, struttura
finanziaria (capitale minimo, conferimenti etc…), acquisto e perdita della qualità di socio e
responsabilità della società
36
. Di particolare interesse per questa trattazione sono gli articoli 5 e 6
della proposta di regolamento che vertono sulle norme di conflitto per le operazioni straordinarie
aventi elementi di estraneità e precisamente: fusione transfrontaliera, scissione, trasferimento di
patrimonio transfrontaliero. L’articolo 5 della proposta integra la normativa comunitaria relativa
alle fusioni transfrontaliere contenuta nella direttiva 2005/56/CE
37
, in particolare la proposta fa
riferimento al principio dell’applicazione distributiva delle singole leggi nazionali delle società che
danno luogo alla fusione, la proposta di regolamento non tocca invece il tema dell’ammissibilità di
questo tipo di operazioni a livello di diritto materiale, tema già oggetto della stessa direttiva
2005/56/CE e di giurisprudenza comunitaria
38
. L’articolo 6 stabilisce che per analogia si applicano
alle operazioni di scissione e di trasferimento del patrimonio le norme di conflitto relative appunto
alle fusioni transfrontaliere. Creare un dibattito costruttivo di portata europea è senz’altro, infine, la
mira ultima di questa proposta che manifesta la sempre più forte esigenza di una regolamentazione
uniforme e moderna del diritto internazionale privato comunitario delle società di cui i prossimi
regolamenti “Roma I” e “Roma II” dovrebbero costituirne i passi incipienti.
36
Per i singoli aspetti si veda il testo originale e il commento già citati.
37
Direttiva 2005/56/CE del Parlamento e del Consiglio del 26 ottobre 2005 relativa alle fusioni transfrontaliere delle
società di capitali, in Gazz. Uff. Un. Eur., n. L310 del 25 novembre 2005,p.1 ss.
38
Caso Sevic Corte di Giustizia 13/12/2005 causa C-411/03
16
I.1.3 Le operazioni di ristrutturazione societaria ed il diritto di stabilimento
Le operazioni straordinarie riscuotono attualmente attenzione crescente, si rende ogni giorno più
indispensabile adeguare e riorganizzare gli assetti societari, i fattori produttivi devono infatti
assumere le dovute dimensioni al fine di guadagnare quella competitività vitale all’esistenza
all’interno di un mercato ormai dai contorni globali. Per tanto, l’attuale politica comunitaria
sull’impresa accoglie con favore le fusioni transfrontaliere tra società di capitali appartenenti a stati
membri. Si ravvisa quindi una necessità di cooperazione e raggruppamento tra le società al fine di
poter sviluppare le imprese europee e rafforzare la posizione sui mercati internazionali, pur con il
rispetto della normativa antitrust interna e comunitaria. La direttiva 2005/56/CE mira ad eliminare i
numerosi ostacoli presenti in fatto di fusioni transfrontaliere contribuendo a dare piena attuazione ai
principi di libertà di stabilimento, poiché attraverso la fusione le imprese organizzate in forma
societaria attuano il loro trasferimento all’interno della UE senza previamente sopportare le
complicazioni, i tempi lunghi e i costi connessi con la liquidazione della società e la loro
ricostituzione in un altro stato. Il trasferimento infracomunitario è un obiettivo che la fusione
permette di raggiungere nel rispetto del going concern senza interruzioni cioè nell’esercizio
dell’attività.
Questi intenti comunitari si sono fino ad oggi scontrati con le barriere frapposte dalle normative
nazionali dei vari stati membri, sono infatti non di rado presenti norme che vietano questa sorta di
operazioni, oppure, si possono incontrare ordinamenti che non prevedono espressamente le fusioni
transfrontaliere dando poi luogo in fase di interpretazione a inammissibilità o improcedibilità
dell’operazione; esiste in oltre un forte deficit di regolamentazione nonostante l’opera del
legislatore comunitario di armonizzazione mediante la direttiva 1978/855/CEE sulla fusione di
società di capitali; tali deficit riguardano in larga misura aspetti quali: trattamento dei lavoratori
dipendenti, creditori e soci di minoranza. Se si tiene conto di questo sfondo la decima direttiva
societaria (2005/56/CE) è senz’altro almeno opportuna in quanto volta a favorire la rimozione degli
impedimenti legislativi e la produzione di più complete normative nazionali
39
.
Tuttavia, come rileva il consiglio nazionale del notariato
40
già in base agli articoli 43 e 48 del
Trattato CE nelle fusioni infracomunitarie “…nessun ostacolo potrebbe derivare dal fatto che la
legge applicabile alle società coinvolte… non preveda e/o vieti la fusione di società con sede in
quello Stato con società aventi sede in altri Stati o la costituzione di una società con sede in quello
39
Cfr. Giuseppe Rescio, Studio n. 1-2007/A, “Dalla libertà di stabilimento alla libertà di concentrazione: riflessioni
sulla direttiva 2005/56/Ce in materia di fusione transfrontaliera”, Commissione Affari Europei e Internazionali 2
febbraio 2007, CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO.
40
Giuseppe Restio, op. cit., pag. …….
17
Stato per effetto della fusione in senso stretto di società aventi sede in altri Stati: in questi e in
eventuali altri casi in cui la fusione risulterebbe inefficace… tale disposizione va disapplicata”.
In conclusione le operazioni di ristrutturazione nell’ambito dello spazio economico europeo
possono dirsi chiare manifestazioni delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in quanto, la
costituzione di una nuova società per effetto di una scissione o fusione alla quale può corrispondere
la scomparsa di una delle persone giuridiche partecipanti, oppure il trasferimento della sede di una
società da uno Stato membro ad un altro, sono scelte imprenditoriali che assurgono a espressione
delle libertà su cui si poggia il trattato
41
.
41
Cfr. Stefano Carmini, “Le operazioni di gestione straordinaria in ambito internazionale”, 2007, Giuffrè, pag 34.