6
Nel primo capitolo della tesi si affronta una ricostruzione
storica che va circa dall’Unità d’Italia; viene messa in evidenza la
condizione della donna nella società di quel tempo, e soprattutto la sua
condizione nella famiglia, analizzando la normativa relativa alla
donna sposata e spostando, poi, l’attenzione alla legge del 1919
riguardante l’emancipazione femminile. Si tenta un’attenta analisi
della disciplina del codice civile italiano del 1942, specie nella parte
che regola i diritti della persona e della famiglia, tappa importante
della nostra legislazione.
Nel secondo capitolo (“Verso la parità e verso la differenza”), il
percorso storico arriva fino al 1975. Si affronta il tema dell’accesso
delle donne nelle professioni, ed i relativi limiti. Solo nel 1963, ad
esempio, si garantì alla donna l’accesso a tutte le cariche, professioni,
impieghi pubblici, compresa la magistratura; nel 1975, si sancì la
parità contributiva tra uomo e donna; nel 1992 si riconobbe la parità
tra uomo e donna per l’accesso alla cittadinanza e nel 1999 le donne
furono ammesse al servizio militare.
Particolare attenzione viene posta alla questione della parità sul
lavoro, ambito complesso e complicato. In questa sfera, infatti, i
profili della parità sono strettamente connessi a quelli della protezione
del lavoro femminile e della maternità.
Il terzo capitolo è, invece, incentrato sul “periodo delle
riforme”, che va dal 1975 ai giorni nostri. Nel 1975, infatti, viene
approvata la riforma del diritto di famiglia giungendosi finalmente
all'affermazione, quale regola dei rapporti tra coniugi, del principio di
parità. Al principio di parità vengono, inoltre, improntati i doveri
verso i figli, i relativi oneri patrimoniali e la titolarità e l'esercizio
della potestà.
7
L'evoluzione del diritto di famiglia ha risentito non poco
dell'evoluzione della società italiana che, a partire dal boom
economico degli anni Sessanta e passando per i grandi mutamenti nei
costumi giovanili avvenuti intorno al cosiddetto «Sessantotto», fino al
referendum sul divorzio del 1974, aveva chiaramente mostrato di
essersi avviata sulla via della secolarizzazione e del superamento della
concezione patriarcale della famiglia.
È un nuovo concetto di famiglia quello che si va affermando in
quegli anni. Un concetto fondato sul principio di «responsabilità». Il
legislatore si preoccupa, infatti, di dare una maggiore solidità
all'istituto familiare attraverso una maggiore responsabilizzazione
delle scelte che sono a fondamento sia della nascita che della vita
dell'istituto familiare.
Il quarto ed ultimo capitolo, analizza le azioni positive e di
mainstreaming messe in atto, o quantomeno presentate, in Italia: le
prime misure di riequilibrio della rappresentanza, con le “quote
elettorali”; le recenti riforme costituzionali; la delicata questione del
nome di famiglia e, per finire, l’accesso delle donne nelle Forze
armate, la legge 8 marzo 2000 n. 53 sulle “Disposizioni per il
sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e
alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
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CAPITOLO PRIMO
LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLA DONNA ITALIANA.
VICENDE ANTICHE E MODERNE.
1. I codici civili tra la restaurazione e l’Unità d’Italia
Nelle costituzioni degli Stati preunitari promulgate fra gli ultimi
anni del Settecento ed i primissimi dell’Ottocento, non s’era posto
specificamente il problema di una trasformazione delle strutture
interne della famiglia e, quindi, non si erano proposte sostanziali
modificazioni della condizione giuridica della donna
1
.
Le repubbliche italiane avevano a cuore l’affermazione di
principi generali ed assoluti, e sistematicamente riproponevano gli
ideali venuti dalla Francia.
A guardare nelle grandi linee le strutture familiari quali
venivano definite dai codici civili preunitari, l’attenzione si concentra
sulla condizione della donna come figlia, e poi come moglie e madre.
Soggetta alla patria potestà per un periodo più o meno
notevolmente lungo (fino a trenta o quaranta anni e secondo il codice
Albertino per tutta la vita del padre, o del nonno, anche se sposata e
madre di figli), la donna doveva ai genitori ossequio e rispetto. A fini
della preservazione di quella società, ai legislatori ed ai giuristi pareva
necessario il consenso paterno alle nozze della figlia, quasi segno
esterno ed apprezzabile di obbedienza. Una volta sposata, la donna
restava sotto l’autorità del marito. Ed anche al marito doveva ossequio
1
Cfr. M. Bellomo, La condizione giuridica della donna italiana. Vicende antiche e moderne, Eri
classe unica, 1970.
9
e rispetto. Dei suoi beni poteva fruire ben poco: perché se la legge le
dava la libertà di prendere iniziative, non le riconosceva la capacità di
realizzarle da sola. Ogni suo atto doveva essere compiuto con
l’autorizzazione del marito, a meno che non si trattasse di spese
minute e di atti di comune amministrazione.
Obbligata al rispetto ed all’obbedienza come figlia e come
moglie, la donna aveva diritto al rispetto ed all’obbedienza come
madre. Ma non aveva la capacità di essere titolare della patria potestà,
né di esercitarla; e se restava vedova, poteva solo essere tutrice dei
figli.
2. La disciplina del Codice civile italiano del 1865.
Il codice civile italiano del 1865 stabiliva che la patria potestà
spettava ai genitori, al padre come alla madre, a pari titolo, e durava
fino al raggiungimento della maggiore età o all’emancipazione del
figlio o della figlia
2
; e che il figlio e la figlia diventavano maggiorenni
al compimento dei ventuno anni
3
.
I passi in avanti erano dunque numerosi: perché non solo si
livellava a ventuno anni il limite della maggiore età, sia per l’uomo
che per la donna, ma si riconosceva anche alla donna la capacità di
essere titolare di patria potestà e di esercitarla in casi determinati. La
figlia, inoltre, veniva ammessa alla successione ereditaria del padre e
della madre nello stesso modo in cui era ammesso il figlio: poteva
essere nominata erede nel testamento materno e paterno, poteva
concorrere con i fratelli, a pari quote, alla successione ereditaria
2
Art. 220.
3
Art. 323.
10
apertasi senza un testamento. A favorire i maschi restavano comunque
alcuni strumenti legali: primo fra tutti il testamento, col quale il padre
poteva far passare il grosso del patrimonio familiare ad un figlio,
anche ad uno solo fra tanti
4
.
3. Norme relative alla condizione della donna sposata
Nella scelta del legislatore italiano del 1865, meno incisive
erano le modificazioni della condizione giuridica della donna sposata,
costretta a seguire il marito ovunque questi riteneva opportuno fissare
la sua residenza, a seguirne la condizione civile e ad assumerne il
cognome
5
. La donna non aveva la libertà di compiere da sola gli atti
giuridici più rilevanti, neppure per le cose sue, né di esercitare il
commercio senza esplicito consenso del coniuge; non poteva
testimoniare, né far parte del consiglio di famiglia
6
. Al marito spettava
il compito di deliberare sulle spese, di procurare i mezzi per soddisfare
i bisogni della famiglia e sostenere i pesi del matrimonio; alla moglie
spettava solo un dovere sussidiario di concorrere con le sue sostanze
alle spese familiari, in una certa misura
7
. Infatti, la dote appariva, alla
società italiana dell’Ottocento, come il miglior regime patrimoniale
dei rapporti fra i coniugi. La dote passava al marito, ma era
4
Ma solo la maggior parte dei beni, non tutti; a tutela degli altri figli, maschi o femmine,
soccorrevano alle disposizioni del codice civile sulla quota legittima, sottratta all’arbitraria volontà
del padre che faceva testamento. Cfr. M. Bellomo, La condizione … cit., pag. 109.
5
Art. 131.
6
Artt. 134 e 252.
7
Art. 132.
11
inalienabile a garanzia della moglie, della sua famiglia di origine, del
sostentamento della nuova famiglia
8
.
4. Incapacità della donna nel campo del diritto pubblico
Al di fuori delle mura domestiche, la volontà della donna
italiana dell’Ottocento non aveva modo di farsi valere. La donna
aveva scarsissimi contatti col mondo del lavoro e meno ancora ne
aveva col mondo della politica. In fondo, il lavoro e le opinioni del
marito potevano essere sufficienti, e non occorreva darle la capacità di
votare e di essere votata
9
. Nel timore, e nell’ignoranza, si lasciava che
l’unità della famiglia continuasse ad identificarsi con l’unità del potere
paterno e con la volontà dell’uomo, padre o marito. Si “ostentava” la
“naturale riservatezza” della donna, e, per onorarne la personalità,
l’opinione comune non era disposta a consentirle di mostrarsi nelle
pubbliche riunioni, né tanto meno di avere voce in esse
10
.
Così, se da una parte le norme del codice civile miglioravano la
condizione giuridica della donna in ordine ad una serie di atti e di
situazioni interne alla famiglia, il complesso della prima legislazione
unitaria dello Stato italiano lasciava irrisolti altri problemi e,
soprattutto, questi ultimi non ancora sentiti come problemi generali
dell’intera comunità nazionale.
8
Art. 1399 e artt. 1404 – 1405.
9
Cfr. M. Bellomo, La condizione giuridica della donna italiana. pag. 110 ss.
10
Ibidem.