INTRODUZIONE
Uno degli aspetti delle produzioni cinematografiche che più mi affascina è l’uso
degli effetti speciali, proprio per questa ragione ho scelto di approfondire l’argo-
mento. Ho focalizzato la mia attenzione, in particolare, sulla resa filmica di bat-
taglie e duelli perché, tra tutti, questo è il tema che offre al regista maggiori pos-
sibilità di realizzare sequenze spettacolari e avvincenti che richiedono l’impiego
indispensabile di trucchi ed effetti speciali.
Dopo una breve illustrazione della storia degli effetti speciali, infatti, presento
nove schede di altrettanti film (di cui due con tecniche di animazione) che con-
tengono scene di battaglia, o di duelli, realizzate sia con trucchi ed effetti tradi-
zionali, sia con effetti speciali ottenuti con le tecniche più svariate.
Ogni scheda analizza la pellicola secondo le seguenti voci: film, soggetto e sce-
neggiatura, scena, montaggio, fotografia ed illuminazione, dialoghi, scenografia
ed ambientazione, costumi, musica e sonoro, effetti speciali, stile riprese e dire-
zione attori.
Nella selezione dei film da esaminare ho deciso di privilegiare generi e stili diffe-
renti e di sceglierli in base al tipo di effetti speciali utilizzati, in modo da propor-
re quelli che per primi hanno impiegato una determinata tecnica o innovazione.
Inoltre, ho volutamente trascurato il fatto che fossero stati diretti da registi più o
meno famosi o che avessero riscosso successo di pubblico o di critica.
Per queste ragioni la mia scelta è caduta su: Napoléon (guerra); Star Wars:
il ritorno dello jedi (fantascienza); Il Signore degli anelli (animazione); Matrix
Reloaded (fantascienza); Kill Bill (pulp); Master & Commander (storico);
Il Signore degli anelli: il ritorno del re (fantasy); 300 (azione); Star Wars: The
Clone Wars (animazione).
Come detto, ciascuno di questi film è rappresentativo non solo del proprio gene-
re, ma anche di particolari tecniche ed effetti innovativi per l’epoca in cui il film
è stato girato. Ad esempio Napoléon, pur risalendo al 1933, mostra effetti mai
realizzati prima, come l’introduzione del colore o l’uso del trittico e l’utilizzo
della steady-cam, considerato allora un effetto speciale mentre oggi è un comune
movimento di macchina. Altrettanto pioniere è Matrix con l’uso del bullet time
mutuato dalla tecnica fotografica inventata da Muybridge.
Il presente studio mira ad esaminare nel dettaglio le singole tecniche impiegate
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per evidenziare come, nel tempo, l’ingegno e l’inventiva dei registi abbiano sapu-
to sfruttare le innovazioni tecnologiche che la loro epoca offriva; e come queste
abbiano influito sullo sviluppo della cinematografia.
Tutti i film esaminati, infatti, si avvalgono di effetti speciali all’avanguardia, fa
eccezione Kill Bill, in cui il regista, pur girando nel 2003, ha deliberatamente evi-
tato di utilizzare le moderne tecnologie.
Completa il lavoro un glossario degli effetti speciali, in cui ho inserito i termini
tecnici più comuni, nonché quelli presenti in questo testo, per offrire al lettore una
chiave di riferimento ordinata e facilmente comprensibile.
II
EFFETTI SPECIALI
Grazie agli effetti speciali si induce nello spettatore l’illusione ottica e/o acustica
che un determinato evento stia accadendo, o sia accaduto, realmente.
Gli effetti speciali, detti più semplicemente “trucchi”, sono un insieme di tecniche
e tecnologie utilizzate nelle produzioni televisive, teatrali e, specialmente, cine-
matografiche per simulare eventi altrimenti impossibili da rappresentare in ma-
niera tradizionale perché contrari alle leggi della natura, troppo costosi o pericolosi.
Di fatto essi sono complementi indispensabili all’immaginazione ed alla creatività
degli autori per dare forma, corpo e concretezza all’inesistente.
Gli effetti speciali possono essere “visivi” o “sonori” e possono essere generati sia
durante le riprese, sia in fase di post-produzione. Distinguiamo:
Effetti fisici (o meccanici): usati come unica risorsa fino alla fine degli anni Ot-
tanta, nei quali il soggetto o l’evento sono fisicamente costruiti o preparati per la
ripresa (mostri di lattice, miniature in scala ridotta, esplosioni, sparatorie, incendi,
ecc.). Rientrano in questa categoria anche molti degli effetti tipici dei film horror.
Effetti digitali: effetti generati da un computer che elabora le immagini aggiun-
gendo, togliendo o modificando gli elementi presenti nell’inquadratura, dallo
sfondo ai personaggi, spesso utilizzando tecniche di computer animation.
Regno della finzione per eccellenza in tutte le sue manifestazioni narrative, il ci-
nema ha sempre avuto bisogno di “trucchi” sia per ricreare elementi naturali (come
la nebbia, la neve, la pioggia, esplosioni ecc.) sia, e soprattutto, per “mettere in
scena” l’innaturale, il fantastico e l’onirico.
Tralasciando il capitolo della “truccatura” degli attori, per ottenere effetti di in-
vecchiamento/ringiovanimento o per trasformarli in “mostri”, in linea generale gli
effetti speciali tradizionali, cioè pre-elettronìci e pre-digitali, si possono suddivi-
dere in due categorie: i trucchi di scena da realizzare direttamente sul set, e gli ef-
fetti di truka da realizzare, con accorgimenti tecnici, in sede di ripresa
(esposizione multipla, apparizione, rallentamento, ecc.) oppure in sede di stampa,
per esempio stampando due pellicole sovrapposte (bipack) o di montaggio. I
primi, a loro volta, si possono suddividere in effetti ottico-prospettici di scenogra-
fia ed effetti ottico-meccanici, ottenibili con la cinepresa. La cinepresa, infatti, è
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il mezzo più semplice ed immediato per creare molteplici effetti: dall’impres-
sione di apparizione/sparizione di persone ed oggetti, alla moltiplicazione di uno
stesso soggetto.
Pioniere nell’uso di questi “trucchi” fu l’illusionista e regista francese Georges
Méliès (Parigi 1861-1938), che, per esempio, in Escamotage d’une dame chez Ro-
bert Houdin, 1896, riuscì a simulare la sparizione di una persona unendo due in-
quadrature di uno stesso ambiente: la prima mostrava la persona, mentre la seconda
riprendeva soltanto l’ambiente vuoto. Altri suoi esperimenti riguardarono la so-
vrapposizione di due o più pellicole, per simulare ad esempio lo sdoppiamento di
una persona, la cosiddetta “ripresa sosia”, in cui il medesimo attore può apparire
più volte sullo schermo. Questi rudimentali effetti erano una delle attrattive dei
primi cinematografi e furono quindi determinanti per la diffusione del cinema nei
primi decenni del Novecento.
Gli effetti speciali andarono progressivamente raffinandosi di pari passo con l’in-
troduzione di nuove tecniche di ripresa, come ad esempio la stop-motion (o “passo
uno”), che diede vita al King Kong (1933) di Merian C. Cooper. Altre tecniche ve-
devano l’uso di “miniature”, ossia riproduzioni in scala ridotta di un ambiente o di
un oggetto di grandi dimensioni.
Negli anni Settanta, si iniziò ad utilizzare i cosiddetti “animatroni” (animatronic):
complessi sistemi meccanici ed elettronici comandati a distanza ed in grado di
compiere semplici movimenti. Erano rivestiti con vari materiali (stoffa, lattice, ve-
troresina, ecc.) e quindi truccati. Furono utilizzati per gli effetti speciali di Alien
(1979), di R. Scott, e di E.T. (1982), di S. Spielberg; divennero, poi, sempre più so-
fisticati, integrando le tecniche della robotica, fino ad essere utilizzati in film come
RoboCop (1987) di P. Verhoeven e Terminator (1984) di J. Cameron.
Altri effetti elettronici da citare sono quelli realizzati con il chroma-key o blue
screen. Tra i primi esempi di applicazione di questa tecnica ricordiamo il volo in
bicicletta di E.T. e dei suoi giovani amichetti, nonché la coesistenza nella stessa im-
magine di attori e cartoon, sperimentata su larga scala in Chi ha incastrato Roger
Rabbit (1988) di R. Zemeckis.
La vera rivoluzione negli effetti speciali è venuta comunque con l’informatica,
le cui applicazioni si sono progressivamente allargate dalla semplice comple-
mentarietà alle riprese tradizionali, sino alla totale sostituzione degli effetti di
truka ed elettronici.
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Il vero salto di qualità negli effetti speciali, però, è giunto alla fine degli anni Ot-
tanta con l’avvento dalla CGI (Computer Generated Imagery), meglio nota come
computer graphics (CG), e cioè con la scoperta della possibilità di trasformare i
singoli punti di un’immagine in pixel da manipolare a piacimento (nella lumino-
sità, nel colore, nel numero, nella posizione ecc.) per poi codificare una nuova im-
magine. La CG permette sia di manipolare immagini, fisse ed in movimento
riprese con i sistemi tradizionali, sia di generare immagini non esistenti in natura
(quindi, virtuali).
Utilizzando questa nuova tecnica, nel 1993, l’Industrial Light & Magic di Ge-
orge Lucas, con il film Jurassic Park di Steven Spielberg, stupì il mondo mo-
strando dinosauri assolutamente realistici alle prese con attori in carne ed ossa.
Già qualche anno prima il pubblico aveva potuto assistere alle meraviglie del-
l’animazione digitale, operata con un procedimento detto morphing, in pellicole
come: Terminator 2 (1991) di J. Cameron, in cui consentiva le innumerevoli tra-
sformazioni del corpo “mutante” del sicario venuto dal futuro; La morte ti fa bella
(1992) di R. Zemeckis, dove attorcigliava ed allungava il collo di Meryl Streep;
o, ancora, The Mask (1994) di C. Russel con le fantastiche trasformazioni da car-
toon del viso di J. Carrey.
Grazie al computer ed ad altre tecniche avanzate, come il blue screen, si dimezzano
i costi di produzione, liberando di conseguenza la fantasia di sceneggiatori e regi-
sti. Si possono infatti realizzare enormi scenografie virtuali; epiche battaglie con
migliaia di comparse digitali, animate da appositi software (per animare le schiere
della trilogia de Il Signore degli Anelli (2003) di P. Jackson è stato sviluppato un
programma, chiamato Massive, in grado di fornire un’intelligenza artificiale ad ogni
singola figura); mostri di tutte le dimensioni sempre più realistici; duelli acrobatici
sempre più spettacolari (come nel film Matrix (1999) dei fratelli Wachowski, che in-
trodusse il cosiddetto bullet time, basato su un’interazione fra riprese cinematogra-
fiche e fotografiche sincronizzate in sequenza); nonché suggestive scene d’azione
che coinvolgono attori reali e creature digitali (esemplare il recente remake di King
Kong (2005) di P . Jackson). Tutto questo ha condotto alla fine dell’epoca dei kolos-
sal, che vedevano la partecipazione di migliaia di comparse, anche se bisogna am-
mettere che in buona parte, ancora oggi, gli effetti dipendono dall’estro di coreografi,
controfigure, truccatori, disegnatori, ecc. Non è un caso che alla realizzazione della
trilogia de Il Signore degli anelli abbiano lavorato circa mille persone.
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Gli anni Novanta hanno visto un uso sempre più massiccio dell’elettronica e del-
l’informatica nella tecnica cinematografica. Anche se il supporto finale del film,
la pellicola chimica, è rimasto lo stesso, tutto ciò che ne è a monte è stato profon-
damente rivoluzionato. Gli effetti (mostri, personaggi fantastici, scenari) sono rea-
lizzati al computer con immagini sintetiche e successivamente uniti, sempre in
workstation informatiche, alle scene reali girate in maniera tradizionale, e succes-
sivamente digitalizzate, oppure girate direttamente in digitale. Con il sistema di-
gitale le immagini non sono più impresse sulla pellicola tradizionale, ma sono
registrate direttamente su hard disk o su dischi laser, attraverso telecamere ad alta
definizione. Lo sviluppo della cinematografia digitale, quindi, ha portato in que-
sti anni a realizzare un numero sempre maggiore di film con scene virtuali. Il ter-
mine “virtuale”, legato alla storia del cinema a partire dagli anni Novanta, ha in
realtà una doppia valenza. Da un lato, infatti, indica un preciso nuovo genere ci-
nematografico, che racconta appunto universi artificiali e tridimensionali, creati
per mezzo del computer. Dall’altro ha invece un significato più squisitamente tec-
nico, collegato alle radicali trasformazioni che il cinema ha vissuto grazie alle
nuove tecnologie computerizzate e digitali. Il primo esempio di film che si occupa
della realtà virtuale risale al 1982, ovvero due anni prima che lo scrittore William
Gibson, vero e proprio guru del genere, creasse il termine “cyberspazio”. Ma Tron,
diretto da Steven Lisberger e prodotto dalla Disney, benché contenga per la prima
volta sequenze completamente realizzate in computer grafica, è allo stesso tempo
visivamente troppo innovativo e narrativamente troppo poco coraggioso (benché
il protagonista sia un moderno inventore di videogames, la storia ricicla stereotipi
della fantascienza più tradizionale) per colpire nel segno. Dopo il suo insuccesso,
passeranno dieci anni prima che il cinema provi ad affrontare nuovamente il tema.
Il nuovo tentativo, Il Tagliaerbe (1992) di Bret Leonard, ha invece la fortuna di
uscire nelle sale quando Internet inizia già ad essere un fenomeno ed usufruisce
inoltre di tecnologie più sofisticate e meno costose (il film costa appena quattor-
dici milioni di dollari, dieci dei quali spesi per gli effetti speciali). Oltre ad essere
un affascinante tema narrativo, la realtà virtuale sta radicalmente modificando le
strutture produttive. Solo grazie alle CGI (Computer Generated Images/Immagini
Generate dal Computer) ed al VRML (Virtual reality Modeling Language/Lin-
guaggio di modellazione della realtà virtuale) in Forrest Gump (1994) sono stati
realizzati gli incontri “virtuali” di Tom Hanks con John Kennedy e con John Len-
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non, mentre ne Il Corvo (1994) sono state realizzate alcune scene “resuscitando”,
mediante scannerizzazione, il protagonista Brandon Lee, deceduto durante le ri-
prese. Grandi protagonisti del nuovo cinema virtuale sono compagnie di effetti
speciali come la Industrial Light & Magic di George Lucas e la Digital Domain di
James Cameron, in grado di creare veri e propri set digitali tridimensionali, che per-
mettono di dimezzare i costi ed aumentare la grandiosità. Se la Pixar di John Las-
seter ha realizzato con soli trenta milioni di dollari Toy Story (1995), primo
lungometraggio animato tutto in digitale che ha arricchito la Disney, George Lucas
in Star Wars: Episodio 1 (1999), film che contiene tremila inquadrature in digitale
con set completamente realizzati al computer, ha presentato il primo attore vir-
tuale della storia del cinema, l’alieno Jar Jar Binks.
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