II
ottenuti dall’implementazione delle quattro libertà non venissero vanificati da
determinati comportamenti anticompetitivi delle imprese europee. Non a caso
infatti il Trattato CE prevede, agli articoli 81 ed 82, una disciplina antitrust. L’art. 81,
par. 1 vieta tutte le intese “che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che
abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza
all'interno del mercato comune” reputandole, ai sensi del par. 2, “nulle di pieno diritto”; il
par. 3 tuttavia prevede la possibilità di sfuggire al divieto qualora vengano rispettate
determinate condizioni. L’art. 82 invece vieta “nella misura in cui possa essere
pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più
imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo”,
senza prevedere alcuna possibilità d’esenzione.
Per oltre quarant’anni dette regole di concorrenza, sono state profondamente
influenzate dall’obiettivo dell’integrazione dei mercati, che ha dato loro una
caratterizzazione particolare, quasi unica nel panorama delle legislazioni antitrust.
In primo luogo, da un punto di vista sostanziale (ovvero riguardante i principi in
base ai quali la Commissione disciplina i rapporti verticali ed orizzontali fra imprese)
l’autorità di Bruxelles ha sempre applicato il divieto ex art. 81 TCE in modo
decisamente legalistico. La Commissione tendeva infatti ad equiparare ogni restrizione
alla libertà d’azione delle parti ad una restrizione della concorrenza, finendo così
quasi sempre col vietare l’accordo in questione: l’unico obiettivo era infatti quello di
tutelare la libertà d’azione delle parti e, di conseguenza, la libertà dei consumatori di
acquistare beni o servizi nello stato membro di propria scelta. Questa valutazione
mancava totalmente della benché minima analisi economica: in buona sostanza, un
accordo ritenuto restrittivo in base a questo modo di ragionare, era vietato, senza
che la Commissione si sentisse tenuta, per esempio, a considerare che esso non
avrebbe concretamente avuto alcun effetto negativo sulla concorrenza, magari
perché messo in atto da imprese prive di un rilevante potere di mercato. Nonostante
il fatto che la Corte di Giustizia le avesse spesso rammentato di valutare l’accordo
nel suo contesto economico e giuridico, la Commisione, salvo casi sporadici, non
diede mai segni di ripensamento sulla sua politica. Anzi, quando la Commissione fu
III
chiamata ad emanare dei regolamenti d’esenzione per categoria, questi furono
impregnati di formalismo, essendo costituiti da un mero elenco di clausole.
In secondo luogo, da un punto di vista procedurale (riguardante la competenza
delle autorità preposte all’enforcement delle regole comunitarie della concorrenza)
l’obiettivo del mercato unico spinse la Commissione a proporre al Consiglio dei
Ministri l’adozione di un regolamento che accentrasse il più possibile l’applicazione
degli artt. 81 ed 82 TCE nelle sue mani. Tale presa di posizione fu anche frutto di
un’analisi che la Commissione fece sulle caratteristiche della Comunità di allora:
essendo questa composta da stati membri totalmente privi di una cultura della
concorrenza, lasciare nelle mani delle Autorità nazionali l’enforcement delle regole di
concorrenza comunitarie avrebbe sicuramente portato ad una loro applicazione
poco coerente, tutto a discapito della certezza giuridica da garantire alle imprese e
della realizzazione dell’integrazione dei mercati. Così, nonostante le difficoltà che la
stesura del regolamento d’applicazione degli artt. 81 ed 82 TCE comportò, la
proposta della Commissione andò a buon fine: dopo aver ottenuto il via libera dal
parlamento di Strasburgo, il 6 febbraio 1962 il Consiglio emanò il Regolamento n.
17/62, primo regolamento d’applicazione degli articoli 81 ed 82 del trattato CE.
Questo regime, da un lato, concedeva alla Commissione il monopolio esclusivo sulla
concessione di esenzioni ai sensi dell’art. 81, par. 3, e dall’altro, istituiva un controllo
a priori, dal momento che per godere di un’esenzione dovevano essere notificati alla
Commissione. Il regime d’enforcement del reg. 17/62 era un classico regime
d’autorizzazione fondato sul controllo a priori e sul monopolio della Commissione in materia di
esenzione.
Per quasi quarant’anni queste regole di concorrenza continuarono ad essere
applicate in base a queste logiche, senza subire mutamenti di rilievo. Due fattori
tuttavia, spinsero la Commissione, alla fine degli anni novanta, a mettere in campo
un colossale processo di riforma avente l’obiettivo di modernizzare le regole di
concorrenza comunitarie sia sotto l’aspetto sostanziale che procedurale.
Un ruolo importante in questa scelta fu giocato dai problemi che il regime in vigore
stava creando. L’interpretazione così ampia del divieto faceva infatti si che tutte le
IV
imprese, timorose di un proibizione che pareva ai loro occhi scontata, presero a
notificare in massa i loro accordi alla Commissione
4
, generando di fatto una
situazione paradossale: la Commissione, da un lato, non riusciva a far fronte al
numero esagerato di notifiche di accordi spesso per nulla lesivi sul piano degli effetti
concorrenziali e, dall’altro, si trovava nella totale impossibilità di mettere in pratica
una politica pro-attiva, nei confronti di quelle intese che, proprio perché gravemente
restrittive della concorrenza, non le venivano notificate. Indaffarata su cose spesso
futili, senza risorse quando c’era da fare sul serio: poteva esser descritta così la
situazione nella quale versava la Commissione.
A spingere per una riforma tout court concorse poi il mutamento del contesto entro
il quale le regole di concorrenza dovevano essere applicate: la Comunità europea non era più
nemmeno lontana parente di quella di fine anni cinquanta, così come diversissimo
era il sistema internazionale circostante. I membri, a seguito di diversi processi di
allargamento, stavano per raggiungere quota 25, il che avrebbe sicuramente posto
ulteriori problemi ad un’enforcement accentrato delle regole di concorrenza. La cultura
della concorrenza si era ormai radicata anche all’interno degli stati membri, potendo le
autorità ed i giudici contare su una costante giurisprudenza della Corte, sulla pratica
della Commissione e su di un corposo numero di atti di soft law (comunicazioni,
pareri). Infine, l’obiettivo del mercato comune era ormai stato praticamente
raggiunto: la Commissione avrebbe così finalmente potuto e dovuto perseguire
obiettivi di efficienza, anche perché era ciò che l’incipiente globalizzazione
dell’economia richiedeva alle sue imprese.
Furono dunque questi i fattori che portarono la Commissione a una riforma
globale della sua politica di concorrenza, ad una svolta di inizio millennio del diritto
comunitario della concorrenza che in effetti ha ribaltato tutti i precedenti orientamenti.
Da un punto di vista sostanziale, la Commissione, nel disciplinare i rapporti
verticali ed orizzontali fra le imprese, ha adottato il metodo dell’analisi economica,
stando attenta a valutare i reali effetti che gli accordi possono avere sul
4
Poiché questo le avrebbe mese al riparo dalle ammende. La pratica della notifica inoltre, veniva
usata dalle imprese per bloccare i procedimenti avviati per via nazionale: sarebbe infatti bastato un
atto della Commissione che testimoniasse la sua volontà di agire ex. 81, par. 3 che le autorità
nazionali si sarebbero trovate prive di ogni potere
V
mantenimento di un regime di concorrenza efficacie. La Commissione sembra far
sua, in particolare, una convinzione: qualora messi in atto da imprese con uno scarso
potere di mercato, ben difficilmente gli accordi possono esser considerati restrittivi
della concorrenza. Questo suo mutato atteggiamento ha influito anche sulle block
exemptions di nuova generazione: nei nuovi regolamenti d’esenzione sugli accordi
verticali ed orizzontali, l’approccio formalistico, basato una check-list di clausole nere,
grigie e bianche, fa spazio ad un approccio economico, fondato sulla presunzione di
liceità nei confronti degli accordi “sotto-soglia”. In poche parole, da un regime in cui
“tutto era vietato, salvo ciò che espressamente consentito”, si è passati ad un regime nel quale
“tutto è consentito, salvo ciò che espressamente vietato”.
Da un punto di vista procedurale, la modernizzazione delle regole di concorrenza
ha portato alla sostituzione del vecchio regolamento 17/62 con il nuovissimo
regolamento 1/2003 che stabilisce un regime di eccezione legale direttamente applicabile che
permette un controllo a posteriori ed un’applicazione decentrata delle regole di concorrenza
comunitarie. Il cuore di questa riforma consiste nel fatto che anche il par. 3 dell’art.
81 TCE viene reso direttamente applicabile: così, le intese vietate dall’art. 81.1 TCE
ma rispondenti alle condizioni di cui al paragrafo 3 dello stesso articolo, sono lecite
dalla loro conclusione, senza che occorra una previa decisione d’esenzione, ed una
notifica per ottenerla. Un cambiamento di tale portata non è ovviamente privo di
conseguenze. In primo luogo, ponendo fine al meccanismo delle notifiche,
responsabilizza le imprese che dovranno autonomamente valutare se i loro accordi
siano o meno compatibili con l’art. 81 TCE. In secondo luogo, trasformando l’art.
81 in una norma unitaria che sancisce al contempo il divieto e l’eccezione volta a
temperarlo, fa si che i singoli soggetti possano invocarlo davanti ai Tribunali
nazionali o a qualsiasi Autorità nazionale competente, portando in tal modo
all’applicazione decentrata delle regole di concorrenza a divenire realtà. In terzo
luogo, liberando la Commissione dal precedente sovraccarico dovuto all’esame delle
notifiche, impone che questa sia dotata di nuovi poteri in modo da garantire
l’efficienza del nuovo controllo a posteriori.
VI
Tutto ciò che abbiamo appena descritto è l’essenza di questo lavoro, volto
alla descrizione dell’evoluzione delle regole di concorrenza comunitarie. Con questo
lavoro ho in pratica cercato di “capire il passato per poter apprezzare il presente”,
ovvero la riforma. La mia convinzione è sempre stata quella che senza un’adeguata
comprensione di ciò che è stata la politica di concorrenza in quarant’anni
d0’applicazione, mai sarei riuscito a capire la modernizzazione: di qui, una
trattazione che si sviluppa su di un piano prettamente binario, che descrive prima il
vecchio e poi il nuovo regime.
Prima di descrivere la struttura della tesi, ci terrei a fare un’importante
premessa. Col termine “regole di concorrenza comunitaria”, faccio esclusivamente
riferimento alla disciplina antitrust, ovvero alla regolamentazione delle intese e degli
abusi di posizioni dominanti, senza includere la disciplina delle concentrazioni e la
disciplina degli aiuti di stato. Questa scelta è stata dettata da ragioni di estensione di un
lavoro che, se non si fosse limitato all’antitrust, avrebbe probabilmente assunto
proporzioni bibliche. Tuttavia, in sede di conclusione, avanzeremo una opinione,
che riguarderà, questa volta si, tutta la disciplina della concorrenza comunitaria.
Fatte queste premesse, il lettore si troverà dinnanzi ad un lavoro suddiviso in
tre parti, ciascuna composta da due capitoli.
La parte prima, dal titolo “I fondamentali del diritto antitrust comunitario”, ha una
natura meramente introduttiva. Nel primo capitolo vengono messi in risalto gli
elementi di spicco della filosofia concorrenziale comunitaria, soffermandoci
sull’adozione dei principi di un economia aperta, sui diversi obiettivi che la politica
di concorrenza comunitaria può perseguire e di quanto questa può risultare diversa a
seconda dell’obiettivo che persegue. Nel secondo capitolo invece, analizzeremo gli
articoli 81 ed 82 del Trattato: il lettore troverà in questa sede un “antipasto” di
tematiche importanti per il prosieguo della trattazione, in primis un’analisi del
significato di “restrizione della concorrenza” e delle due possibili modalità
d’interpretazione di tale condizione: un’interpretazione ampia e formalistica ed un
interpretazione che adotta la “rule of reason” statunitense.
VII
La parte seconda, dal titolo “L’evoluzione delle regole di concorrenza: gli aspetti
sostanziali”, approfondisce l’evoluzione della disciplina dei rapporti verticali ed
orizzontali fra imprese, con riferimento tanto agli accordi di distribuzione quanto a
quelli di cooperazione. Nel terzo capitolo, viene presentato in dettaglio il vecchio
approccio formalistico della Commissione. In questa sede cercheremo di dimostrare
come tanto le block exemptions sugli accordi di distribuzione esclusiva e sugli accordi
di franchising, quanto quelle sugli accordi di R&S e di specializzazione presentassero
le stesse caratteristiche: una check-list di clausole vietate (nere), autorizzate (bianche) e
potenzialmente autorizzabili (grigie) che creava degli strait jacket effects sulla libertà
contrattuale delle imprese. Nel quarto capitolo viene sostanzialmente esposto in
dettaglio il nuovo approccio economico della Commissione. In questa sede cercheremo
di dimostrare che la riforma degli accordi verticali (reg. 2790/99) e la riforma degli
accordi orizzontali (regg. 2658/2000 e 2659/2000) hanno seguito le stesse logiche
riformatrici: tutti i regolamenti appena menzionato hanno abbandonato il sistema
delle liste di clausole ed adottato un metodo in base al quale, gli accordi le cui
imprese parti detengono quote di mercato sotto di una determinata soglia possono
godere della presunzione di liceità.
La terza parte infine, dal titolo “L’evoluzione delle regole di concorrenza: gli aspetti
procedurali”, approfondisce l’evoluzione della disciplina dei rapporti istituzionali fra la
Commissione e le istanze nazionali.. Nel quinto capitolo, viene presentato il
regolamento 17/62 ed il regime che questo ha messo in piedi. Dopo una breve
introduzione sul processo che ha portato all’adozione di questo regolamento,
passeremo in rassegna e sottolineeremo la centralità del ruolo della Commissione e
la marginalità delle istanze nazionali, troppo limitate dal monopolio dell’esenzione in
mano all’autorità di Bruxelles. Nel sesto capitolo infine, si analizzerà la
modernizzazione per definizione, ovvero il nuovissimo regolamento 1/2003
d’applicazione degli artt. 81 ed 82 TCE ed il nuovo regime che questo ha generato.
Dopo aver descritto il percorso che dalla dichiarazione Shaub, passando per il Libro
Bianco, ha portato all’adozione di questo regolamento approfondiremo le sue quattro
novità principali: il passaggio ad un regime d’eccezione legale, il differente ruolo
VIII
delle imprese, il decentramento amministrativo ed il nuovo ruolo della
Commissione.
In sede di conclusione invece ci lanceremo in un’ipotesi, sulla quale solo il
tempo emetterà il suo verdetto.
La bibliografia di questo lavoro si basa essenzialmente sul catalogo delle
biblioteche torinesi. Oltre alla fornitissima biblioteca del dipartimento giuridico F.
Ruffini sono state molto utili la biblioteca interdipartimentale G. Solari, la biblioteca
del dipartimento di economia S. Cognetti de Martiis, la biblioteca centrale della
facoltà di economia L. Einaudi, la biblioteca della fondazione Einaudi e la biblioteca
nazionale universitaria. A livello generale possiamo dire che le parti della tesi
dedicate alla “vecchia politica di concorrenza”, la bibliografia è costituita dai manuali
specialistici: dal Frignani-Walbroeck al Van Bael-Bellis, dal Ritter-Braun-Rawlinson
al Faull-Nikpay, dal Bellamy-Child al Mercier-Mach-Gillieron-Affolter. Per quanto
riguarda la “nuova politica di concorrenza”, l’unico testo che affronta in maniera
sistematica queste tematiche è, ad oggi, il solo Tosato-Bellodi; per il resto, le riviste
specializzate e gli articoli ivi contenuti hanno costituito la parte preponderante della
bibliografia. Internet ha avuto un ruolo fondamentale nel reperimento delle fonti. In
particolare, ho sfruttato l’accesso a due sezioni particolarmente importanti de sito
della Commissione Europea, sezione concorrenza: quella dedicata alle
“pubblicazioni” e quella dedicata ai “discorsi ed articoli”. Inoltre, parecchi siti
permettevano di scaricare i vari papers presentati alle conferenze organizzate sul tema
della riforma del diritto antitrust europeo.
Studiare l’evoluzione di regole giuridiche è estremamente difficile, trattandosi
di un esercizio che presuppone conoscenza dei dettagli ed ottima visione d’insieme.
Scrivere questa tesi è stato tuttavia estremamente stimolante ed anche se le analisi
del diritto antitrust non si prestano quasi mai a risolversi in verdetti univoci, spero di
esser riuscito a mettere in risalto almeno qualche tendenza evolutiva. Spero che il
lettore, chiunque esso sia, apprezzi il lavoro svolto.
PARTE I
I FONDAMENTALI DEL DIRITTO
ANTITRUST COMUNITARIO
Questa parte ha una natura meramente introduttiva.
Nel primo capitolo vengono messi in risalto gli elementi di spicco della
filosofia concorrenziale comunitaria, soffermandoci sull’adozione dei principi di un
economia aperta, sui diversi obiettivi che la politica di concorrenza comunitaria può
perseguire e di quanto questa può risultare diversa a seconda dell’obiettivo che
persegue.
Nel secondo capitolo invece, analizzeremo gli articoli 81 ed 82 del Trattato: il
lettore troverà in questa sede un “antipasto” di tematiche importanti per il prosieguo
della trattazione, in primis un’analisi del significato di “restrizione della
concorrenza” e delle due possibili modalità d’interpretazione di tale condizione:
un’interpretazione ampia e formalistica ed un interpretazione che adotta la “rule of
reason” statunitense
Cap. I
Elementi della filosofia concorrenziale
comunitaria
Per un’analisi generale, cfr. D. Hildebrand, The Role of Economic Analysis in the EC Competition
Rules, Kluver Law International, The Hague, 1998; V. Korah, An Introductory Guide to EC Competition
Law and Practice”, Hart Publishing, Oxford 1997, 6
th
Edition; L. Ritter, W.D. Braun, F. Rawlinson,
EC Competition Law. A Practitioner’s Guide, Kluwer Law International, The Hague 2000, 2
nd
Edition;
G. Bernini, Un secolo di filosofia antitrust. Il modello statunitense, la disciplina comunitaria e la normativa
italiana, CLUEB, Bologna, 1991; F. Denozza, Antitrust: leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori
nella CEE e negli USA, il Mulino, Bologna 1988; N. Nugent, Governo e politiche dell’Unione Europea, il
Mulino, Bologna 2001, pp. 350-357; Craig, De Burca, EU Law: Text, Cases and Materials, Oxford
University Press, Oxford 1998, 2nd Edition; C.W. Bellamy, G.D. Child, Common Market Law of
Competition, Sweet & Maxwell, London 1993; A. Frignani, M. Waelbroeck, Disciplina della concorrenza
nella CE, UTET, Torino, 1996; I. Van Bael, JF Bellis, Il Diritto della Concorrenza nella Comunità
Europea, G. Giappichelli Editore, Torino 1994
CAP I - Elementi della filosofia concorrenziale comunitaria
2
1. INTRODUZIONE
In questo capitolo ci proponiamo di descrivere i tratti caratterizzanti della
filosofia concorrenziale, mettendo soprattutto l’accento sulla pluralità di obiettivi
che la politica di concorrenza comunitaria può conseguire e quanto questa può esser
diversa a seconda dell’obiettivo che segue concretamente.
2. LA CE E LA LOGICA DELL’ECONOMIA DI MERCATO
La scelta del sistema economico che sta alla base di una società è
essenzialmente legata al modo in cui si dà risposta ai seguenti quesiti: cosa e quanto
produrre, come produrre e per chi produrre
1
. Le alternative non sono molte. Si può
rispondere “by dictate”
2
, come hanno fatto i sistemi socialisti ad economia
pianificata, semplicemente decretando d’autorità il volume, la modalità ed i
destinatari della produzione
3
. Diversamente, si può lasciare che a fornire le risposte
adeguate ai sopraccitati interrogativi sia il meccanismo di mercato:
“the free market solution … is to ration resources through price. On the supply side, firms good
at producing things that people want will flourish and have more to spend than those less
good at it. This has the advantage that the market encourages firms to produce efficiently
what people want to buy”
4
.
I sei Paesi della “piccola Europa” che il 25 Marzo 1957 si riunirono a Roma per la
firma dei trattati istitutivi della CEE e dell’Euratom erano tutti ispirati ad un sistema
1
“The core problem of economic society is to determine what commodities shall be produced and
in what quantities, how they shall be produced and for whom” in D. Hildebrand, The Role of
Economic Analysis in the EC Competition Rules, Kluver Law International, The Hague, 1998, p. 137.
2
Ivi, p. 137
3
“In socialist economies … resources have been allocated by officials and rationing”, in V. Korah,
An Introductory Guide to EC Competition Law and Practice”, Hart Publishing, Oxford 1997, 6
th
Edition,
p. 8. “… those holding power simply decree their preferred answer to each question”, ancora D.
Hildebrand, op. cit., p. 137
4
V. Korah, op. cit., p. 8
CAP I - Elementi della filosofia concorrenziale comunitaria
3
ad economia di mercato
5
e, forse per questa ragione, il futuro assetto economico
della Comunità Europea non fu mai messo in discussione. Lo stesso TCE infatti,
nella Parte Prima, definendo i Principi fondanti la Comunità, chiarisce così all’art.
4.1 (ex art. 3.a):
“Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione degli Stati membri e della Comunità comprende,
alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato, l'adozione di una politica
economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, sul
mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di
un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza”.
6
Questa valutazione, gravida di conseguenze pratiche, concretizza anche una
convinzione, quella che il metodo concorrenziale sia in assoluto il migliore al fine di
ottenere efficienza, innovazione e prezzi bassi che a loro volta portano ad
un’efficiente allocazione delle risorse e ad un innalzamento del tenore di vita
7
. Il
binomio concorrenza-efficienza è in effetti profondamente radicato nell’ottica
dell’economia di mercato in cui la concorrenza
“si presenta come strumento socialmente efficiente di allocazione: essa assicura che le
risorse disponibili siano impegnate nel modo più efficiente e, garantendo che ogni bene
pervenga a chi lo valuta di più e ne può trarre il massimo di soddisfazione individuale,
assicura altresì, la massima soddisfazione netta complessiva”
8
.
5
“The original member states of the Community, and those which joined later, have mainly market
economies, as opposed to the centrally planned economies of socialists countries”, in L. Ritter,
W.D. Braun, F. Rawlinson, EC Competition Law. A Practitioner’s Guide, Kluwer Law International,
The Hague 2000, 2
nd
Edition, p. 13. Se infatti prima della seconda Guerra mondiale le legislazioni
europee erano ispirate al controllo da parte dello stato, “il criterio post-bellico fa invece perno sulla
nozione della cosiddetta pianificazione privata dell’economia, ponendo la libera concorrenza qualer
strumento di salvaguardia degli interessi del consumatore e dello sviluppo del progresso
tecnologico. Questo mutato orientamento ideologico può definirsi, almeno entro certi limiti, una
conseguenza dell’evoluzione che ha caratterizzato il sistema economico dei principali paesi europei
nel periodo posteriore alla II guerra mondiale”, in G. Bernini, Un secolo di filosofia antitrust. Il modello
statunitense, la disciplina comunitaria e la normativa italiana, CLUEB, Bologna, 1991, p18.
6
inoltre, si notino anche gli artt. 4.2 e 105 TCE
7
D. Hildebrand, op. cit., p. 9
8
F. Denozza, Antitrust: leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori nella CEE e negli USA, il Mulino,
Bologna 1988, p 17
CAP I - Elementi della filosofia concorrenziale comunitaria
4
La CE infatti si prefigge di tutelare la concorrenza ex lege, essendo convinta che ciò
porti il sistema ad un miglior grado di efficienza. Tale convincimento è esplicitato
nel testo dell’art. 98 (ex art. 102.a)
9
TCE:
“Gli Stati membri e la Comunità agiscono nel rispetto dei principi di un'economia di
mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un'efficace allocazione delle risorse,
conformemente ai principi di cui all'articolo 4”.
3. POLITICA DI CONCORRENZA E OBIETTIVI DI POLITICA
ECONOMICA COMUNITARI
Nella CE le regole di concorrenza non sono fini a se stesse. Costituendo una
delle politiche attraverso le quali la Comunità intende raggiungere gli obbiettivi che
si è prefissata
10
, devono essere interpretate nel contesto di una ben più generale
politica economica comunitaria
11
. Ora, gli obbiettivi di politica economica della
Comunità sono esposti con chiarezza nell’art. 2 TCE
“promuovere nell'insieme della Comunità … uno sviluppo armonioso, equilibrato e
sostenibile delle attività economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un
elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione
dell'ambiente e il miglioramento di quest'ultimo, un elevato livello di occupazione e di
protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione
economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”.
9
Sempre secondo Denozza,
“L’esistenza di una legge antimonopolistica suppone un giudizio in cui il libero scambio su un
mercato concorrenziale viene valutato come il miglior mezzo di allocazione delle risorse a
disposizione della società”
ivi.
10
A detta di Neill Nugent la politica di concorrenza è infatti è uno dei quattro pilastri, assieme alle
“4 libertà”, al “riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli
stati membri..” e alla Tariffa Doganale Comune su cui poggia il raggiungimento dell’obiettivo
principe della CE, il Mercato Unico. N. Nugent, Governo e politiche dell’Unione Europea, il Mulino,
Bologna 2001, pp. 350-357
11
Precisamente, “The competition rules are to be interpreted in their legal and economic context”,
in L. Ritter, W.D. Braun, F. Rawlinson, op. cit., p. 15
CAP I - Elementi della filosofia concorrenziale comunitaria
5
Questi ambiziosi traguardi, sempre ex art. 2 TCE, devono essere raggiunti da un
lato “mediante l’instaurazione di un Mercato Comune e di un Unione Economica e
Monetaria” e dall’altro “mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di
cui agli articoli 3 e 4” fra le quali è previsto un “regime inteso a garantire che la
concorrenza non sia falsata nel mercato interno” (art. 3.g TCE).
Queste considerazioni ci portano a mettere in evidenza una prima grande
caratteristica della politica di concorrenza CE. Nel contesto comunitario, al
contrario di ciò che avviene in quello americano
12
, la concorrenza non è il fine al quale
occorre tendere ma solamente il mezzo attraverso il quale si pensa di poter raggiungere altri
obbiettivi:
“… nell’antitrust statunitense … la libertà di concorrenza era considerata, almeno nella
prospettazione originaria, quale giudizio di valore assoluto, inscindibile dal concetto di
democrazia politica che caratterizza la “American Way of Life”. Nei trattati CECA e CE,
per contro, la salvaguardia della libertà di concorrenza non può considerarsi quale principio
fine a sé stesso. Le norme in questione risultano infatti inquadrate nel contesto degli
obbiettivi generali perseguiti dai Trattati, talché l’applicazione delle stesse ha posto le basi
per l’enucleazione di una “filosofia antitrust” autenticamente comunitaria”
13
.
Si tratta insomma di uno “strumento di politica attiva” mediante il quale la
Comunità cerca d’ influenzare il quadro entro cui l’attività economica si sviluppa, al
fine di permettere il raggiungimento degli obbiettivi ex. Art. 2 TCE
14
. Questa
concezione di “concorrenza-mezzo” impregna le regole stesse di un carattere
prettamente dinamico, tale da far si che se talune imprese vengono condannate ex
art. 81.1 TCE altre possono venire esentate da quel divieto essendo loro concesse
esenzioni per categoria o individuali ai sensi dell’art. 81.3 TCE
15
; in quel momento
storico quell’intesa, che deve comunque soddisfare particolari requisiti, potrebbe
12
D. Hildebrand, op. cit, p. 11
13
G. Bernini, op. cit., p. 19
14
A. Frignani, M. Waelbroeck, Disciplina della concorrenza nella CE, UTET, Torino, 1996, P. 10
15
Si legga a riguardo un passaggio della XI Relazione sulla politica della concorrenza, al pt. 14:
“D’altra parte, la politica di concorrenza non si limita affatto agli strumenti unicamente ablativi e
sanzionatori perché consente invece di agire anche in senso positivo, esonerando dal divieto delle
intese, mediante decisioni individuali o regolamenti generali determinati accordi o certe forme di
cooperazione auspicabili fra le imprese”
ivi, p. 11, n. 34
CAP I - Elementi della filosofia concorrenziale comunitaria
6
infatti rivelarsi utile per avvicinare ulteriormente alcuni dei sopraccitati obbiettivi
comunitari
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, organo che assicura il rispetto
del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato, ha sancito e più volte
ratificato che gli articoli 2 e 3 del Trattato costituiscono proprio quel contesto entro
il quale le regole di concorrenza dettate agli artt. 81-89 TCE devono essere
interpretate; nel caso Continental Can la Corte ha rimarcato la portata della
disposizione dettata dall’art. 3.g TCE descrivendola come
“si essentielle que, sans elle, de nombreuses dispositions du traite seraient sans objet”
16
.
4. OBIETTIVI DELLA POLITICA DI CONCORRENZA CE
Cercare di elencare schematicamente tutti gli obbiettivi che persegue la
politica di concorrenza comunitaria è un compito decisamente arduo; il coesistere di
obbiettivi funzionalmente comunitari, concorrenziali e non direttamente
concorrenziali rende il tutto estremamente complicato:
“… the objectives may or may not lead to the same results in a particular case. As will be
seen below, there are number of areas in which the policy objectives can produce differing
prescriptions, necessitating a choice between them … an additional variable serves to
complicate matters further. Even when the objectives do suggest the same conclusion in a
particular instance, these policy objectives may themselves be in conflict with other aims of
the Community”
17
Ciononostante sembra possibile sostenere che alcune linee direttive della politica di
concorrenza comunitaria emergano con sufficiente chiarezza tale da permetterci di
abbozzare la seguente classificazione.
16
Caso Europemballage and Continental Can v. Commission, sentenza del 12.2.1973, causa 6/72, Raccolta
1973, p. 357, para. 24 ed in generale 22-26. Il Tribunale di Primo Grado ha parimenti stabilito che le
stesse regole di concorrenza del Trattato CECA debbano venire interpretati alla luce degli obbiettivi
fondamentali esposti negli artt. 2-5 del TCE nel caso Steel Beams - British Steel, in in L. Ritter, W.D.
Braun, F. Rawlinson, op. cit., p. 16, n. 76
17
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