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e superare il suo aspetto sovra‐nazionale deve occuparsi anch’essa,
come uno Stato nazionale, della redistribuzione delle risorse in un
modo diretto ed efficace. La realizzazione di queste politiche
permetterebbe di interessare nel concreto la vita quotidiana dei
cittadini comunitari, riuscendo in questo modo a superare quella
distanza soggettiva che i cittadini avvertono nei confronti del lontano
governo europeo a Bruxelles. Infatti, oggi la politica regionale aiuta i
cittadini a trovare lavoro e ad adeguarsi meglio ai mutamenti del
mercato dell’occupazione, soprattutto tramite la formazione. Questa
politica consente ai singoli cittadini di vivere meglio nella propria
Regione, contribuendo finanziariamente agli sforzi delle autorità
pubbliche che si dotano di nuove infrastrutture e aiutano le imprese
a essere più competitive.
Durante i primi sessant’anni di attività della Comunità europea la
sfera delle competenze politiche ed economiche, si è notevolmente
arricchita. Molto importante è la nascita nel 1988 dei Fondi
strutturali, visti come uno strumento per una politica di
redistribuzione. Alla base dell’istituzione dei Fondi strutturali ricoprì
un ruolo fondamentale, la logica centro‐periferia, che supponeva
l’insorgere di notevoli difficoltà per il Sud dell’Europa (dal Portogallo
alla Grecia) di fronte alla realizzazione del mercato unico e della
moneta unica. Questa preoccupazione era giustificata dal fatto che gli
Stati, non avevano più le tradizionali possibilità di finanziare processi
6
produttivi obsoleti, o di sostenere la domanda di prodotti, o, ancora,
di manipolare i tassi di cambio per ridare competitività a prodotti i cui
costi erano ormai fuori mercato. In quest’ottica, i Fondi strutturali
dovevano servire a rendere meno forti i problemi conseguenti
all’integrazione economica e monetaria. Con l’esperienza acquisita
nel tempo, la Comunità si è resa conto di un’efficacia diversa degli
stessi strumenti, che ne ha rovesciato l’aspettativa iniziale. Essi
hanno iniziato a rappresentare, infatti, una nuova politica economica
di sviluppo e non più una politica sociale di sostegno ai Paesi più
deboli, conseguendo l’obiettivo di una maggiore integrazione delle
loro economie nel mercato unico europeo. Oggi più che mai,
rappresentano lo strumento irrinunciabile attraverso cui l’Unione
sprona lo sviluppo di tutti i Paesi membri al fine di rafforzare la sua
competitività sui mercati mondiali. L’Unione europea è una delle aree
economiche più ricche del Mondo, ma presenta forti disparità tra i
suoi Stati membri e ancor più tra le sue circa 250 Regioni.
Quantificarle significa innanzitutto misurare e raffrontare il grado di
ricchezza di ciascuno, ossia il prodotto interno lordo (PIL). In altri
termini, il fatto di abitare in una Regione prospera o arretrata, in una
zona dinamica oppure in crisi, in città o in campagna, alla periferia
dell’Unione o in uno dei poli centrali di sviluppo, determina delle
differenze riguardo alle possibilità di successo di fronte alla sfida
della mondializzazione.
7
La ricerca tenta di fornire al lettore, una visione dell’evoluzione che
ha avuto la politica di coesione europea, di fronte alla nascita di nuovi
problemi economici, e da quelli politici scaturiti dai continui
allargamenti. Il Capitolo 1 parla del concetto di coesione economica,
iniziata nel 1957 dopo il Trattato di Roma, e delle prime perplessità e
difficoltà scaturite. Il Capitolo 2 tenta di spiegare quali sono i
strumenti principalmente utilizzati nella politica di coesione, di come
hanno subito delle riforme nel tempo, per permettere alla politica
regionale di essere sempre efficiente. La ricerca continua affrontando
nel Capitolo 3, 4 e 6 i vari periodi di programmazione (1988‐1992;
1993‐1999; 2000‐2006; 2007‐2013), illustrando gli obiettivi, le risorse
stanziate, e le problematiche correlate a causa di fenomeni europei
ed internazionali. Il Capitolo 5 è interamente centrato, su uno dei più
grandi eventi, cui la Comunità è stata sottoposta nella sua storia, cioè
l’allargamento a Dodici nuovi Paesi membri. In questo capitolo si è
cercato di mettere in risalto, come un tal evento abbia influito molto
nel cambiamento delle politiche regionali, e che prima di continuare
in un tale processo, bisogna colmare il forte gap dei nuovi membri. Il
Capitolo 7 si concentra sui risultati e sulle critiche, cui è stata oggetto
nel tempo la politica di coesione, delle forti pressioni nazionalistiche
che hanno messo a rischio una politica regionale comune. Nel
Capitolo 8, la ricerca esamina gli aspetti più importanti che hanno
interessato il nostro paese, dalla programmazione precedente 2000‐
8
2006 a quella attuale 2007‐2013. Infine, l’ultimo Capitolo 9, fa un
breve accenno alle politiche regionali che interessano la Regione
Piemonte, nella programmazione attuale 2007‐2013.
9
1) La politica di coesione
L’obiettivo di rafforzare la coesione delle economie nazionali e di
iniziare un progetto di sviluppo comune per risolvere i problemi dei
divari regionali che affliggevano la Comunità, è entrato nel dibattito
europeo sin dalla nascita della CEE con la firma del Trattato di Roma
del 1957. Col Trattato i Sei Paesi firmatari
1
stabilirono i principi
fondamentali della CEE definendo nell’art. 2 che:
“la Comunità economica europea ha il compito di
assicurare, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il
riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, lo
sviluppo economico dei Sei, una stabile crescita continua, il
miglioramento del tenore di vita, più strette relazioni tra gli Stati
partecipi
2
”.
Inizialmente la CEE si pone come obiettivo, quello di adottare misure
per realizzare in particolare la libertà degli scambi intra - area e
l’adozione di una tariffa esterna comune (TEC). Mentre per quanto
riguarda l’obiettivo di uno sviluppo coeso e armonioso della
Comunità, attraverso l’approvazione di specifiche politiche regionali e
1
Gli stati fondatori della CEE sono: Belgio, Francia, Italia, Germania Ovest, Paesi
Bassi
2
Umberto Triulzi, <Dal mercato comune alla moneta unica>, Seam, Milano [1999],
pag. 74
10
di altri mezzi redistributivi comunitari, risulta dal Trattato non essere
prioritario, infatti, non sono stati creati strumenti comunitari adatti a
fare ciò, da questo si deduce che il compito di un tale lavoro
spettasse a ogni singolo Stato nazionale. Una tale decisione deriva
dalla volontà dei governi nazionali di avere per la mani il controllo
fiscale e monetario per poter organizzare proprie politiche sociali
keynesiane.
Come accennato, nel Trattato di Roma non furono previste politiche
comunitarie di sostegno per le zone depresse, poiché le differenze su
base regionale non erano molto considerate, essendo i Sei Stati
membri della CEE piuttosto omogenei, e ritenendo che, da un lato, la
realizzazione del Mercato Comune, (che prevedeva la rimozione degli
ostacoli, la libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e
delle merci), e dall’altro l’avvicinamento progressivo delle politiche
economiche degli Stati membri avrebbero automaticamente abolito
anche le differenze regionali in seno alla Comunità. Furono previsti
interventi straordinari per le Regioni meridionali italiane,
particolarmente depresse, tramite prestiti della Banca europea degli
investimenti (BEI).
Una tale convinzione è comprensibile se si considera il periodo che
attraversava l’Europa, cioè quello della cosiddetta “età dell’oro”,
nella quale la crescita economica portava a una riduzione delle
11
disparità del reddito, e a un aumento delle risorse disponibili ai Sei
Stati membri, utili per realizzare separate politiche re‐distributive
nazionali.
Quanto queste rosee aspettative fossero irrealizzabili venne avvertito
abbastanza presto, tanto che dagli anni ‘60 si iniziarono a tenere
conferenze ed incontri in materia di economia regionale. Infatti,
contrariamente alle previsioni, ci si accorse che molte differenze
strutturali potevano essere eliminate solo attraverso interventi
adeguati e mirati, e non attraverso il libero mercato dei fattori. In
questo primo periodo della CEE, i Fondi messi a disposizione negli
Stati membri per le Regioni meno sviluppate, furono risarcimenti per
le gravi conseguenze della creazione del mercato comune, secondo il
principio del “giusto ritorno”
3
.
Nel 1969 la Commissione metteva in luce che all’interno della
Comunità esistevano forti squilibri regionali che richiedevano
interventi specifici. Nel documento “Una politica regionale per la
Comunità”
4
presentato dalla Commissione, si trovano espliciti
riferimenti a Regioni in ritardo di sviluppo, a Regioni in declino a
causa dell’evoluzione delle attività economiche prevalenti e Regioni
3
Secondo tale principio, gli aiuti finanziari agli Stati membri in favore delle Regioni
in ritardo di sviluppo, furono utilizzati per riequilibrare le economie nazionali, a
seguito degli asimmetrici effetti economici causati dalla realizzazione di un mercato
unico.
4
Una Politica regionale per la Comunità, Commissione delle Comunità europee,
Lussemburgo, [1969].
12
frontaliere colpite da disoccupazione strutturale. Le preoccupazioni
sulle differenze regionali della Comunità, crescono in conseguenza
del primo ampliamento
5
della CEE e dal rapido deteriorarsi del clima
economico internazionale all’inizio degli anni ‘70. Quindi l’attuazione
di una politica di redistribuzione comunitaria diventa assolutamente
necessaria nel prosieguo del processo di integrazione europea.
Una data fondamentale è il 1986, anno in cui è firmato l’Atto Unico
Europeo (AUE) che inserisce un nuovo “ Titolo V ” al Trattato di
Roma, nel quale si manifesta la volontà dei Dodici Paesi firmatari di
trasformare l’insieme delle relazioni tra gli Stati in un Mercato unico.
A livello europeo ci si rende conto, che l’Europa non è più quella degli
anni ‘50 quando bastava una politica comune nel settore agricolo e
nel settore del carbone e dell’acciaio per permettere una crescita
coesa, ma bisognava passare a una nuova fase segnata da una
maggiore integrazione senza la quale si avrebbe avuto come
conseguenza l’aumento degli squilibri regionali esistenti, andando ad
inceppare sicuramente con il tempo il progresso collettivo a cui si
aspirava: il benessere diffuso e la salute dell’economia globale.
Alla luce di questa presa di coscienza la Comunità inizia una nuova
fase attraverso politiche e meccanismi istituzionalizzati ad un livello
sovranazionale e quindi comunitario, con interventi di rafforzamento
5
Aderiscono alla CEE nel 1973: Danimarca, Irlanda, Regno Unito.
13
della coesione economica, di ricerca e sviluppo tecnologico, di
politiche ambientali, attraverso un superamento dei semplici
coordinamenti tra politiche nazionali. L’importanza dell’AUE non sta
tanto nei provvedimenti istituzionali o nei nuovi obiettivi inseriti in
esso, quanto piuttosto nel suo ruolo chiaramente ravvisabile di
fornire un impulso per intensificare ed estendere l’integrazione
regionale e di realizzare un efficace coordinamento e
razionalizzazione delle attività dei Fondi strutturali. Rappresenta un
cardine decisivo della maturazione del principio della coesione nella
coscienza delle istituzioni comunitarie, perché nel tentativo di
rilanciare l’azione comunitaria di integrazione, sancisce la formale
“istituzionalizzazione” del principio suddetto.
Finalmente la Comunità aveva raggiunto dopo anni di discussioni un
accordo in grado di garantire una solida base per il rilancio del
processo d’integrazione, e diventa fondamentale per la Commissione
lo sviluppo di tutta la Comunità attraverso la politica di coesione.
La necessità di uno sviluppo coeso diventa prioritario al momento
dell’ingresso nel Mercato unico, data la situazione economica molto
duale dell’Europa. Da una parte con un’area centrale molto
sviluppata che racchiude le città di Milano, Parigi, Londra, Monaco e
Amburgo, dove vi è un’alta occupazione qualificata, un’elevata
produzione di reddito, un grande tessuto imprenditoriale, un sistema
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infrastrutturale ‐ tecnologico e finanziario sviluppato ; mentre
dall’altra parte esiste un’aerea più periferica con moltissime difficoltà
di sviluppo. Di conseguenza, la creazione del Mercato Unico se non
accompagnata da interventi strutturali mirati, a un miglioramento
delle condizioni basilari per uno sviluppo economico, porterà a un
peggioramento di questa situazione, poiché il centro attirerà sempre
più verso di se i capitali, i servizi, gli investimenti a scapito della
periferia.
Un approccio diverso a questi problemi si nota comunque già nel
1985 con i Programmi integrati mediterranei (PIM), con una durata
limitata nel tempo di sette anni, destinati alle Regioni mediterranee
della Francia, dell’Italia e a tutta la Grecia, avviati per compensare
questi Paesi dall’ingresso di Spagna e Portogallo nella Comunità. Le
novità introdotte con questa tipologia d’intervento, che ha permesso
il raggiungimento di ottimi risultati erano: il finanziamento stanziato
in base programmi di sviluppo a medio lungo termine, invece che
sulla presentazione dei singoli progetti; uno stretto coordinamento
dei diversi strumenti della CEE; e infine, l’introduzione del principio
della responsabilizzazione degli operatori pubblici. I PIM si possono
considerare come i precursori della riforma dei Fondi strutturali.
Alla luce di quanto esposto si può tranquillamente affermare che, nel
1988 data della riforma dei Fondi strutturali, nasce la politica di