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CAPITOLO I
LE PRIME VICENDE STORICHE DELLA SCARCERAZIONE
PER DECORRENZA DEI TERMINI
SOMMARIO : 1. Il punto di partenza: il codice del 1865. ― 2. L’introduzione nel diritto positivo della
scarcerazione ex lege. ― 2.1. La ratio dell’istituto nel codice Finocchiaro Aprile. ― 3. Scarcerazione
automatica e ideologia autoritaria. ― 4. Il ritorno alla democrazia liberale.
1 – IL PUNTO DI PARTENZA: IL CODICE DEL 1865
Tra i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione,
assume particolare rilievo il diritto alla libertà personale in quanto è tra
quelli che più pericolosamente può esser posto in gioco durante il processo
penale.
Per secoli, la concezione connaturata agli schemi delle procedure
inquisitorie aveva configurato la detenzione preventiva dell'imputato come
misura ordinaria ai fini dello svolgimento del processo e la sua libertà
personale come eccezione
1
.
1
In proposito T. Galliani, La scarcerazione automatica per decorrenza dei termini, Napoli, 1975,
pag. 5 ss.
2
I pensatori Illuministi
2
prima e un secolo più tardi i giuristi della scuola
liberale
3
, tra i quali Carrara, Borsani e Casorati, furono coloro che
reagirono con maggior vigore nei confronti del modello esistente.
In realtà, volendo procedere attraverso un excursus storico, il sistema di
considerare la libertà dell'imputato come regola e la sua detenzione come
eccezione risaliva all'epoca romana, durante la quale la carcerazione
preventiva era ammessa solo nei confronti dei servi, mentre nei riguardi dei
cittadini, unicamente quando erano imputati di un reato contro la cosa
pubblica. In tali casi, provenendo l’accusa dal magistrato ed essendo il
delitto di particolare gravità, si riteneva eccezionalmente giustificata la
carcerazione preventiva
4
. Per il resto, sempre che non fosse stato confessato
il delitto e quindi fosse certa la colpevolezza, il cittadino romano aveva
ampie garanzie per la sua libertà. Al tempo, tutto ruotava intorno al
concetto che solo entro i limiti rigorosi della necessità processuale sarebbe
stato tollerabile un istituto di cui si riconosceva l’intrinseca ingiustizia.
Dal medioevo in poi la prospettiva iniziò a cambiare: la custodia preventiva
prese il sopravvento sulla libertà e divenne lo status ordinario da applicare
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In proposito C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, Torino, 1965, pag. 70 ss.,
sottolinea come “la privazione della libertà, essendo una pena, non può precedere la sentenza se non
quando la necessità lo richiede” e precisava che “la custodia, essendo essenzialmente penosa, deve durare
il minor tempo possibile e deve esser meno dura che si possa” .
3
Al riguardo T. Galliani, op. cit., pag. 6, evidenzia come la dottrina liberale, partendo
dall'impossibilità di equiparare l'imputato al colpevole, rifiutava qualunque presunzione di colpevolezza a
carico dell'arrestato e per questo sosteneva che la detenzione ante iudicatum dovesse applicarsi solo in
casi eccezionali.
4
Sul punto, L. Lucchini, Il carcere preventivo, Venezia, 1872, pag. 37 ss.
3
nei processi, utilizzata per sottoporre l'arrestato a tortura ed ottenere dallo
stesso quella confessione che in libertà non avrebbe mai reso
5
.
Il sistema adottato dalla legislazione romana era stato completamente
superato e sostituito da un meccanismo che vedeva gli imputati
ordinariamente detenuti durante i processi.
Non stupisce, quindi, che nel codice di procedura penale del 1865 valesse
ancora il principio per cui la detenzione dell'imputato era la regola e la sua
libertà l'eccezione.
L'influsso delle nuove idee liberali, però, si fece sentire e spinse il
legislatore ad apportare delle modifiche in tema di libertà, rispetto alle
precedenti legislazioni (come quella, ad esempio, del 1859). Da un lato
infatti, nonostante il giudice istruttore rimanesse libero di scegliere se
emettere mandato di cattura o di comparizione, in alcune ipotesi si impose
l'obbligo di emettere solo quello di comparizione (così per i reati punibili
con pena inferiore del carcere in via principale, o con la pena del carcere
non superiore a tre mesi e per i crimini punibili con la sola interdizione dai
pubblici uffici), dall'altro lato, si ebbe un ampliamento dei casi di libertà
provvisoria, concedibile anche agli imputati di crimini punibili con la
reclusione o con la relegazione e non più solo agli imputati di delitti.
Le uniche categorie di soggetti verso cui si continuò ad avere un
trattamento di sfavore erano gli oziosi, i mendicanti e i vagabondi (per essi
era obbligatorio il mandato di cattura ed esclusa la libertà provvisoria)
6
.
5
Vedi G. Bellelli – C. De Amicis, Scarcerazione per decorrenza dei termini, in Dig. pen., XIII,
Torino, 1997, pag. 12.
4
Ancora basato sul presupposto che le lunghe detenzioni erano funzionali
alle tecniche inquisitorie, il codice di rito non aveva previsto alcun termine
massimo di durata della detenzione preventiva, destinata a protrarsi a
tempo indeterminato
7
.
Una possibile scarcerazione di diritto appariva, timidamente, nell'articolo
199, il quale prevedeva la cessazione degli effetti del mandato di cattura se
la camera di consiglio non lo avesse confermato entro dieci giorni
dall'interrogatorio dell'imputato, disponendo il mantenimento in carcere,
ovvero non avesse aggiornato la decisione fissando un nuovo termine per il
controllo e chiedendo ulteriori indagini. Era inoltre previsto che,
confermata la cattura e disposta la custodia, ogni due mesi la camera di
consiglio riesaminasse i presupposti della stessa. Tuttavia tali termini, con
una serie di proroghe successive, potevano sempre rinnovarsi, così che la
detenzione dell'imputato (consentita per reati lievissimi, punibili con il
carcere superiore a tre mesi), in pratica, non aveva limiti
8
.
Questo procedimento di convalida dei provvedimenti di arresto e di cattura
dinnanzi alla camera di consiglio realizzava un primo specifico tentativo di
tutela giurisdizionale della libertà dell'imputato a fronte delle esigenze che
la volevano compressa per fini di giustizia.
I risultati non erano però soddisfacenti. La camera di consiglio (che era
l'unica garanzia per l'imputato) aveva solamente il compito di controllare
che per il reato fosse prevista la custodia e che concorressero gli indizi di
6
Al riguardo G. Borsani e L. Casorati, Codice di procedura italiano, Milano, 1876, II, pag. 462
ss.
7
Vedi G. Bellelli – C. De Amicis, op. cit., pag. 12.
8
Sul punto T. Galliani, op. cit., pag. 13 ss.
5
reità contro il soggetto, il giudice rimaneva, invece, arbitro della scelta più
importante: quella tra libertà e detenzione, ossia tra l’emetter mandato di
cattura o comparizione (e l’esperienza insegnava che raramente venivano
emessi mandati di comparizione per crimini punibili con la reclusione o la
relegazione)
9
. Il coordinamento tra gli opposti valori, che il legislatore
aveva prospettato, si risolveva nettamente a scapito della libertà e il
pericolo di lunghe carcerazioni era la realtà. Basti ricordare che nella
relazione ministeriale sul progetto del codice di procedura penale del 1905,
si ricordarono alcuni dati statistici sconcertanti: da un’inchiesta per il
triennio 1895-1897, risultò che i detenuti prosciolti raggiunsero il numero
di 68.944 e che la custodia preventiva di alcuni di essi, poi scarcerati dalla
Sezione d’accusa, si era protratta sino a due anni
10
.
Contro l'intero sistema si sollevarono aspre critiche
11
e l'esigenza più
sentita era quella di una riforma delle procedura penale in generale, con
particolare riferimento alla carcerazione preventiva. I principi tipici
dell'epoca romana e dell'ideologia illuministica dovevano tornare in auge,
così come necessario era limitare il potere di intervento dello stato sulla
libertà dell'individuo.
La direttiva che doveva seguire il legislatore era quella di “tradurre in
legge” il principio che, prima di una condanna definitiva, l'individuo non
potesse esser privato della sua libertà e che la privazione, eventualmente
9
Al riguardo G. Borsani e L. Casorati, op. cit., pag. 464.
10
Relazione ministeriale sul progetto del codice di procedura penale del 1905, parte prima, pag.
443, nota 2.
11
In proposito F. Carrara, Immoralità del carcere preventivo, in opuscoli di diritto criminale,
Lucca, 1874, IV, pag. 301, afferma che il codice del 1865 aveva fatto della custodia preventiva “il più
intollerante abuso estendendola ai più lievi e insignificanti reati con lamento universale”.
6
attuata durante il processo, fosse temporanea. L'imputato non poteva e non
doveva esser trattenuto in carcere oltre un termine ragionevole
12
.
12
In tal senso L. Lucchini, Libertà personale dell'imputato, in Lavori preparatori del codice di
procedura penale per il regno d'Italia, 1900, III, 161 e 164. L'autore sottolineava già, come l'istruttoria
non potesse durare oltre certi limiti, trascorsi i quali, l'imputato doveva aver diritto ad esser rimesso in
libertà.
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2 – L'INTRODUZIONE NEL DIRITTO POSITIVO DELLA
SCARCERAZIONE EX LEGE
Nonostante le critiche e le polemiche sollevate da tutti coloro che
continuavano a concepire la carcerazione dell'imputato come una
conseguenza giustificata dallo stato istruttorio e dai sospetti che si erano
formati sull'indiziato stesso, la prospettiva liberale continuò ad affermarsi
sino al codice del 1913.
L'orientamento di fondo era nel senso di favorire, quanto più possibile,
l'affermarsi del principio di libertà e, sul punto, la novità maggiore fu
l'introduzione del sistema della scarcerazione automatica
13
.
Per la prima volta, nel nostro sistema processuale penale si stabilì che,
durante il periodo istruttorio, la carcerazione preventiva non poteva
superare determinati limiti e l'imputato detenuto avrebbe riacquistato
13
Vedi T. Galliani, op. cit., pag. 24 ss., in cui si ricorda che, in seno alla commissione
appositamente istituita nel 1898 con il compito di “ studiare e proporre le modificazioni da introdurre nel
vigente codice di procedura penale”, la proposta di inserire la scarcerazione automatica fu oggetto di
discussioni provenienti soprattutto dai conservatori dei principi accolti nel codice del 1865. Essi
temevano che, fissando un limite alla durata della carcerazione, la difesa della società sarebbe diminuita,
perché anche imputati di delitti punibili con l'ergastolo avrebbero potuto beneficiare della rimessione in
libertà.
8
automaticamente il diritto alla libertà se non fosse intervenuta la sentenza
di rinvio a giudizio
14
.
Il codice Finocchiaro Aprile accolse il principio secondo cui la libertà
personale di un individuo non poteva esser compressa per fini di giustizia
oltre certi limiti di tempo stabiliti dalla legge in anticipo e riportò in vigore
il principio di eccezionalità della custodia preventiva.
I termini previsti dal nuovo codice, decorsi i quali cessava ope legis lo stato
di carcerazione se l'istruttoria non si fosse conclusa, erano differenziati in
base a due criteri concorrenti: quello della competenza e quello
dell'ammissibilità o meno della libertà provvisoria in relazione al reato
contestato
15
.
Le ipotesi delineate dal combinato disposto degli artt. 325 c.p.p. e 327
c.p.p. erano tre: la prima, stabilita per i reati di competenza del pretore,
prevedeva il diritto dell'imputato alla scarcerazione se, decorsi venti giorni
dall'arresto, nei casi in cui era ammessa la libertà provvisoria, o decorsi
trenta giorni nei, casi in cui non era ammessa, non fosse stato notificato
allo stesso il decreto di citazione
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; la seconda ipotesi riguardava i reati di
competenza del tribunale o della corte d'assise per i quali era prevista la
libertà provvisoria e i termini di decadenza aumentavano, rispettivamente, a
14
G. Bellelli – C. De Amicis, op. cit., pag. 12
15
Il Longhi, in Commento al codice di procedura penale, 1923, II, pag. 976, spiega che erano
stabiliti termini maggiori per i reati di competenza del tribunale e della corte di assise rispetto ai reati di
competenza del pretore, sul presupposto che i primi avrebbero comportato indagini più complicate, quindi
un' istruttoria più lenta, così come termini più ampi erano previsti per i reati in relazione ai quali non era
concedibile la libertà provvisoria data, in questo caso, la presunta maggior gravità del reato, “così che il
danno di una lunga detenzione appariva meno sensibile”.
16
Sul punto P. Tuozzi, La cessazione ' ope legis ' dello stato di carcerazione (artt. 325 a 328 del
c.p.p.), in Giust. Pen., 1915, pag. 1473 ss., nonché Brusorio, Sugli artt. 327 e 330 c.p.p., in Riv. dir. proc.
pen., 1918, pag. 7 ss.
9
cinquanta o novanta giorni da computarsi dal dì dell'arresto
17
; la terza
ipotesi, infine, si verificava per i reati di competenza del tribunale e della
corte d'assise e per i quali non era accordata la libertà provvisoria. Qui, i
termini rispettivi durante i quali l'imputato poteva esser mantenuto in
carcere si elevavano ulteriormente ed erano di cento e centottanta giorni.
Questi termini di decadenza rappresentavano la più importante garanzia
adottata sino a quel momento a favore dell'imputato e riflettevano un
diverso modo di intender la libertà rispetto alle esigenze che venivano
affermate per giustificare la detenzione. Ponendo un preciso limite ai poteri
coercitivi dello Stato, anche se in riferimento alla sola fase istruttoria, il
nuovo istituto stava a significare come la libertà personale degli accusati
non potesse essere compressa oltre certe scadenze, all'esito delle quali
prevaleva sulle finalità di giustizia (impedire la fuga del colpevole), verità
(evitare l'inquinamento delle prove) e difesa sociale ( prevenire il pericolo
di ripetizione del reato) del processo
18
.
Per non concedere troppo ai diritti dell'imputato e troppo poco agli interessi
della società, il sistema della scarcerazione automatica fu subito bilanciato
dal sistema della proroga, disciplinato dall'articolo 326 c.p.p..
Il rinnovo della custodia era consentito, esclusivamente, per i reati di
competenza del tribunale e della corte d'assise, mentre per quelli pretorili
era previsto un termine assolutamente improrogabile, considerandosi che
tali reati erano normalmente di facile accertamento rispetto ai primi, per i
17
Al proposito P. Tuozzi, op. cit., pag 1474, evidenzia che la differenza di durata tra i medesimi
termini derivava, esclusivamente, dalla gravità dei fatti e quindi dell'imputazione, per cui si prevedeva
una istruttoria più lunga.
18
Così T. Galliani, op. cit., pag. 31.