4
INTRODUZIONE
Il presente lavoro affronta il tema dell’evoluzione della marca commerciale
con l’obiettivo di compiere un’analisi quanto più possibile completa e
dettagliata delle politiche adottate dai principali player della Grande
Distribuzione Organizzata in Italia.
La scelta di quest’argomento è dovuta soprattutto al fatto che la marca
commerciale rappresenta un argomento di grande attualità e in continuo
sviluppo e riteniamo quindi che sia molto interessante e appassionante
vedere come le varie insegne adattano e migliorano la loro offerta riguardo
alla crescita del mercato distributivo e alla competizione con l’industria di
marca.
Il presente lavoro è diviso in cinque capitoli.
Nel primo capitolo è esaminato il concetto di marca commerciale sulla base
della letteratura di riferimento in modo da ricavare una definizione e le
varie tipologie di private label. Viene, inoltre, analizzato il ciclo di vita
della marca commerciale e il circuito triangolare di relazioni che l’impresa
commerciale instaura con l’offerta di prodotti a marca privata. Per finire è
analizzata la marca commerciale nel mondo, in Europa e in Italia sulla base
dei dati SymphonyIRI Infoscan (2011).
Nel secondo capitolo viene da prima descritto in maniera sintetica il
sistema distributivo e le diverse forme distributive di prodotti a marchio
commerciale. Si passa, poi, a esporre gli obiettivi che l’impresa
commerciale persegue con lo sviluppo di una politica di marca
commerciale e il posizionamento della private label nel “retail mix”, con
riferimento soprattutto alle leve dell’assortimento, del prezzo e del
merchandising. Infine, il processo decisionale che porta il distributore a
5
estendere la marca commerciale in nuove categorie e la differenziazione
dell’offerta di marca commerciale attraverso lo sviluppo di linee diverse
per differenti posizioni di prezzo.
Nel terzo capitolo si passa ad analizzare la marca commerciale nei rapporti
industria-distribuzione con riferimento: all’evoluzione dei rapporti tra
industria e distribuzione partendo dagli anni Sessanta fino agli anni
Novanta, il rapporto di co-packing, le strategie dell’industria nei confronti
del co-packing e, infine, i vantaggi e gli svantaggi del co-packing per le
imprese industriali di marca non leader e per quelle leader.
Nel quarto capitolo è analizzata la domanda di marca commerciale con
riferimento al “value for money” che si prefissa di soddisfare sia la
domanda di convenienza sia quella di qualità, per poi delineare il profilo
socio-democratico del consumatore “tipo” di marca commerciale con
riferimento alle seguenti variabili: il livello di scolarizzazione, la fascia di
reddito, le aree territoriali di residenza e la composizione del nucleo
familiare. Infine, sono analizzati i principali fattori che sono le cause
sottostanti del maggior rischio percepito dai consumatori per l’acquisto
della private label rispetto a quello delle marche industriali leader e i fattori
di successo della marca commerciale.
Nel quinto capitolo, infine, si approfondiscono le politiche di marca
commerciale adottate dai principali player della Grande Distribuzione
Organizzata in Italia con riferimento alla Coop, la Conad, il Gruppo Selex,
il Gruppo Auchan e Carrefour che sono i primi cinque retailer della Grande
Distribuzione Organizzata italiana per quota di mercato. Tale analisi sarà
compiuta in conformità a quattro parametri: ampiezza, profondità, qualità e
prezzo.
In conclusione, volevo ringraziare i miei familiari per il sostegno morale
che mi hanno offerto durante tutto il percorso universitario.
6
CAPITOLO 1
DEFINIZIONE E TIPOLOGIE DI MARCHE COMMERCIALI
1.1 DEFINIZIONE E ORIGINE DELLA MARCA COMMERCIALE
Nei confronti delle aziende commerciali, i produttori di marca hanno
sempre esercitato un pesante condizionamento, controllando i margini, i
prezzi di vendita, i volumi, l’esposizione dei propri prodotti e così via.
Conseguentemente, il rivenditore ha avvertito sempre di più la necessità di
svincolarsi da tali pressioni, in modo da determinare per conto proprio
qualsiasi decisone
1
. Una possibilità per ottenere tale risultato è
rappresentata dall’introduzione nell’assortimento di una “marca propria” o
“marca commerciale
2
”, attraverso la quale il distributore acquista una
maggiore indipendenza rispetto alle imprese industriali
3
. Nella letteratura
internazionale di marketing distributivo i tentativi di definizione di “marca
1
Pastore A. (1996), I nuovi rapporti tra industria e distribuzione. Le aree e gli strumenti per la
partnership, Cedam.
2
Nel proseguimento del lavoro saranno utilizzate come sinonimi di “marca commerciale” le espressioni:
marca privata, marca del distributore, marca propria, private label, retail brand, distributor brand e
branding distributivo. Si tratta di espressioni utilizzate in modo diffuso nella letteratura internazionale di
marketing distributivo.
3
Inoltre, poiché la fabbricazione di prodotti con marca commerciale è spesso intrapresa da aziende con
capacità produttiva in eccesso, essi sono frequentemente a buon prezzo e possono essere usati dai
rivenditori per attrarre clienti e acquisire vantaggi nella trattativa commerciale con i titolari di marca
(Cristini G., 1992, Le strategie di marca del distributore. Differenziazione dell’offerta e vantaggio
competitivo, Egea, p. 5).
7
commerciale” sono stati molteplici. In particolare una delle definizioni più
utilizzate è quella di identificare come “marca commerciale”: “prodotti di
consumo realizzati da (o per conto di) imprese commerciali, e venduti con
la denominazione oppure con un marchio della stessa impresa, all’interno
dei suoi punti vendita”
4
. Da questa definizione emergono due
caratteristiche della marca del distributore. La prima caratteristica consiste
nel fatto che si tratta di prodotti fabbricati direttamente dall’impresa
commerciale oppure, da aziende industriali
5
che operano “per conto” del
retail
6
. La seconda caratteristica è rappresentata dall’identificazione dei
prodotti con l’immagine dell’insegna, che è conseguenza diretta della
presenza esclusiva dei prodotti nei soli punti vendita dell’insegna e può
essere forte o no a seconda che la stessa insegna decida di impiegare la
propria denominazione
7
. In realtà si tratta di una definizione ampia che se
da un lato rileva le principali differenze esistenti tra la marca commerciale
e quella industriale, dall’altro rileva l’impossibilità di formulare una
descrizione unitaria delle molteplici tipologie di marca privata esistenti
8
.
“Come ha ricordato in un convegno il presidente della PLMA (Private
Label Manufactures Association), Brian Sharoff, Il concetto di private
label non è un concetto nuovo ed è addirittura più antico di quello delle
marche per le imprese industriali. Infatti, due secoli fa i dettaglianti si
resero conto subito del fatto che bisogna vendere prodotti di qualità, non
4
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea, p. 33.
5
Nella maggior parte dei casi si tratta d’imprese industriali di piccole dimensioni che pur di ottenere uno
sbocco sul mercato finale sono disposte a rinunciare alla propria identità di marca per svolgere il ruolo di
produttori per conto terzi delle imprese commerciali (Fornari E., 2007, Idem).
6
Lugli G. (2003), Branding distributivo, Egea.
7
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea.
8
Al riguardo alcuni autori identificano genericamente i prodotti di marca commerciale come “tutti i
prodotti che il distributore pone in vendita garantendo direttamente il livello di qualità” (Cristini G., 1992,
Le strategie di marca del distributore: Differenziazione dell’offerta e vantaggio competitivo, Egea, p. 21).
8
sottopeso, ma che bisognava confezionarli con il proprio nome, in modo
che avrebbero portato alla fedeltà dei clienti. Ecco perché il primo caso di
marca commerciale può essere considerato quello del nome che il
negoziante metteva sulla carta con cui confezionava materialmente lo
zucchero, il sale e gli altri prodotti. Si dice anche, e questo è
particolarmente indicativo, che lo stesso Abramo Lincoln (prima di
diventare presidente degli USA) sembrava avesse prestato il proprio nome
a una marca commerciale”
9
.
Rimanendo nel campo della storia, i primi esempi di marca commerciale
come lo intendiamo ai giorni nostri, risalgono ad alcune iniziative
pionieristiche degli anni Venti. Queste esperienze furono realizzate negli
Stati Uniti, dove già nella prima metà del Novecento si assistette all’avvio
di un processo di modernizzazione per i mercati industriali e commerciali
10
.
“In particolare nel mercato americano avvenne per certi aspetti
un’inversione per i cicli di sviluppo dei settori economici, con
un’industrializzazione del commercio precedente a quella del mondo
produttivo. Imprese come A&P, Kroger e Safeway
11
costituivano, infatti,
gruppi distributivi gestiti secondo logiche di catena, anche se i loro punti
vendita presentavano una configurazione tradizionale, con servizio
9
Carmignano G. (1993), La marca commerciale. Il ruolo della “private label” nella distribuzione
moderna, Etas, p. 15-16.
10
Pellegrini L. (2008), “I rapporti industria-distribuzione: modelli integrati e ricerca di cooperazione”, in
Economia e politica industriale, n. 3.
11
Alcune statistiche ufficiali dell’epoca riportavano che nel 1930, all’apice della sua espansione, A&P
poteva contare su una rete di 15.700 punti vendita diretti. Allo stesso modo Kroger gestiva 5.165 punti di
vendita. American Stores 2.728, Safeway 2.675 e First National 2.549. Si tratta di drogherie tradizionali
caratterizzate da un assortimento composto in prevalenza da prodotti grocery confezionati cioè prodotti di
largo consumo confezionati e prodotti per la cura della persona e della casa (Fornari E., 2007, Economia
della marca commerciale, Egea, p. 34).
9
assistito”
12
. In una situazione in cui le imprese industriali si
caratterizzavano ancora per dimensioni ridotte e per una presenza
territoriale limitata, queste catene distributive individuarono nella proposta
di una filosofia di vendita basata su grandi volumi e margini ridotti il
proprio fattore di successo
13
. L’adozione di quest’orientamento di business
fu possibile soprattutto grazie all’integrazione verticale completa della
filiera, dai punti vendita fino all’attività produttiva
14
. Le motivazioni che
spinsero le prime catene distributive americane a intraprendere la strategia
dell’autoproduzione furono molteplici. “In primo luogo la produzione in
proprio consentiva di ridurre i livelli delle scorte, garantendo l’ottenimento
di economie di coordinamento logistico che potevano essere trasferite sui
punti vendita. In secondo luogo il controllo diretto della fase produttiva
assicurava il rispetto di elevati standard qualitativi, soprattutto sui beni per i
quali l’assenza di produttori di grandi dimensioni determinava una
consistente variabilità delle forniture industriali. Infine, l’autoproduzione
rappresentava uno strumento di differenziazione dell’offerta e di
fidelizzazione per la clientela alla marca dell’insegna”
15
. L’integrazione
12
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea.
13
Fornari E. (2007), Idem.
14
A questo proposito basti pensare che un’indagine della Federal Trade Commission condotta nel 1932
evidenziasse che l’autoproduzione rappresentava circa il 12 percento del giro d’affari dei principali gruppi
distributivi e che A&P il leader dell’epoca, possedeva circa 70 stabilimenti produttivi tra panifici,
laboratori di lavorazione delle carni, latterie, torrefazioni e fabbriche di cibo in scatola. Tra i primi esempi
europei di sviluppo della marca commerciale basato sull’integrazione a monte della filiera appare
opportuno ricordare l’esperienza di Migros in Svizzera. In un periodo come quello dei primi decenni del
Novecento in cui la distanza tra produzione e distribuzione tradizionale determinava l’esistenza di costi
logistici e d’intermediazione grossista elevata, Migros individuò nell’integrazione completa della filiera
l’unica strada per l’efficienza e, quindi, per l’offerta di convenienza al consumatore. Già a metà degli anni
Trenta Migros aveva pertanto acquisito, in quest’ottica, tre stabilimenti produttivi e praticava prezzi di
vendita dimezzati rispetto a quelli dei concorrenti (Fornari E., 2007, Idem).
15
Fornari E. (2007), Idem, p. 35.
10
dell’attività produttiva rappresentava, tuttavia, anche una scelta strategica
obbligata, poiché le imprese industriali non erano intenzionate a supportare
lo sviluppo delle marche commerciali essendo impegnate a sviluppare i
propri brand
16
. Il modello della marca commerciale autoprodotta entrò in
crisi a seguito dell’affermazione progressiva della marca industriale prima
e della distribuzione a libero servizio poi. Il ciclo di vita della distribuzione
si è caratterizzato per la successione di tre fasi principali. Nella prima fase i
commercianti svolgevano, indipendentemente dalla loro dimensione,
numerose funzioni per conto del consumatore. In particolare, attraverso il
servizio di assistenza legato alla vendita “al banco”, fornivano informazioni
sulle caratteristiche e sulla provenienza dei prodotti, davano garanzie sulla
qualità degli stessi, svolgevano le attività di posizionamento e di
confezionamento di beni che assumevano l’aspetto di commodity
17
indifferenziate
18
. L’avvento della produzione di massa, però, modifica tale
situazione, favorendo la nascita delle marche industriali moderne
19
. “Le
grandi imprese industriali integrate sfruttarono la standardizzazione dei
processi per contrassegnare i propri prodotti con segni di riconoscimento
che ne testimoniasse l’invariata qualità nel tempo e nello spazio. In
16
Pellegrini L. (2008), “I rapporti industria-distribuzione: modelli integrati e ricerca di cooperazione”, in
Economia e politica industriale, n. 3.
17
E’ un termine inglese che sta a indicare un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze
qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce,
come ad esempio il petrolio o i metalli (www.marketinginformatico.it).
18
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea.
19
Sebbene i primi esempi di branding industriale risalgano al Medioevo e all’età delle Corporazioni,
quando i produttori di beni artigianali iniziarono a inserire sugli stessi un proprio segno di riconoscimento
(marchio) per garantirne la provenienza e proteggerne l’imitazione, le prime marche moderne si
svilupparono negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, quando anche in Europa la Rivoluzione Industriale
determinò il radicamento della produzione di massa (Fornari E., 2007, Economia della marca
commerciale, Egea, p. 36).
11
particolare due strumenti principali del valore della marca furono le nuove
tecnologie produttive e i moderni mezzi di comunicazione. L’innovazione
dei processi di produzione permise da un lato all’impresa industriale di
aumentare la conservabilità dei beni e la loro trasferibilità spazio-
temporale; questo porto al posizionamento e al confezionamento per i
prodotti di marca nella fase di produzione. La disponibilità dei moderni
mezzi di comunicazione, dall’altro, favorì l’instaurazione di un rapporto
diretto tra produzione e consumo, tanto che la marca si appropriò delle
funzioni d’informazione e garanzia nei confronti dei consumatori che prima
svolgevano i commercianti”
20
. Passiamo così alla seconda fase, dove la
capacità della marca di svolgere alcuni compiti storicamente adempiuti dai
punti vendita aveva, infatti, rese superflui alcuni contenuti del servizio
commerciale. Si assistette per tanto alla nascita di nuove forme distributive,
come i supermercati, che garantivano al consumatore la possibilità di
scegliere autonomamente e rapidamente i prodotti/le marche desiderate e
che consentivano di concentrare in un’unica occasione l’acquisto di
numerosi beni
21
. In questa fase le imprese industriali di marca e le catene
distributive apparivano alleate nei confronti dei rispettivi competitor
orizzontali. Da un lato i supermercati si avvalevano del ruolo segnaletico
dei prodotti a marca nazionale per evidenziare la loro economicità rispetto
ai punti vendita del commercio tradizionale ed erodere le loro quote di
mercato. Dall’altro le imprese industriali di marca sfruttavano l’estensione
territoriale delle catene di distribuzione moderna per diffondere la loro
presenza sul territorio nazionale. Questo rapporto di collaborazione fu
20
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea, p. 36.
21
Baccarani C. (2005), Imprese commerciali e sistema distributivo. Una visione economico-manageriale,
Giappichelli .
12
efficace ma si esaurì rapidamente
22
. Si arriva così alla terza fase, dove le
catene della distribuzione a libero servizio arrivarono a una copertura
capillare delle piazze cosicché alla competizione con il canale tradizionale
si sostituì la concorrenza interna al canale moderno, tra le insegne
commerciali. Di fronte a questa nuova sfida competitiva le imprese della
distribuzione moderna si accorsero, tuttavia, che quelli che fino allora
erano stati i loro punti di forza erano diventati i loro punti di debolezza
23
.
L’abbandono delle funzioni d’informazioni sui contenuti del prodotto e di
garanzia sulla sua qualità/provenienza aveva, infatti, ridotto il ruolo dei
punti vendita a quello di semplici intermediari logistici, riducendo le
opportunità di differenziazione per i contenuti del servizio commerciale
24
.
Nel frattempo la presenza dei prodotti di marca nazionale aveva provocato
una standardizzazione dell’offerta assortimentale, facendo si che la
concorrenza tra le diverse insegne finisce per essere concentrata
unicamente sulla leva del prezzo e la grande distribuzione finisce per
scoprire di avere servizi che sono l’equivalente distributivo di una
commodity. Punti vendita quasi identici, che offrono gli stessi beni (di
marca industriale) e che vedono ridursi l’unico elemento di
differenziazione, quello conferito dalla localizzazione, che nella nuova
situazione di sovrapposizione per aree di mercato non permette più rendite
22
Pellegrini L. (2008), “I rapporti industria-distribuzione: modelli integrati e ricerca di cooperazione”, in
Economia e politica industriale, n. 3.
23
Pellegrini L. (2008), Idem.
24
Alcuni autori al riguardo sostengono che a seguito dell’affermazione della marca industriale e delle
forme di distribuzione moderne il servizio commerciale abbia assunto, soprattutto nei mercati dei beni di
consumo, la connotazione di commodity, svolgendo lo stesso ruolo indifferenziato che in precedenza era
svolto dai prodotti unbranded o senza una marca (Fornari E., 2007, Economia della marca commerciale,
Egea, p. 37).
13
di posizione
25
. In questa nuova situazione i rapporti con l’industria di marca
mutano e da collaborativi diventano conflittuali. La grande distribuzione
cerca di ritrovare condizioni di redditività facendo valere il suo potere
contrattuale. I produttori più deboli sono così costretti a cedere,
sacrificando le risorse destinate agli investimenti di marketing, e finiscono
per non essere più in grado di finanziare politiche di marca. I maggiori
resistono alle richieste della distribuzione, ma, poiché questa vende i loro
prodotti con margini non remunerativi, si vedono esposti a penalizzazioni
nel trattamento dei loro prodotti nei punti vendita. In seguito la
distribuzione, stimolata dalla ricerca di una maggiore efficienza, si accorge
che le spese di marketing e di commercializzazione rappresentano una
quota dei costi molto alta per l’industria di marca e che, ove eliminati o
ridotti, almeno per i prodotti più semplici potrebbero essere venduti a
prezzi più bassi con margini più alti
26
. “Da questa scoperta nasce la marca
commerciale: il distributore si rende conto che può usare l’insegna per
trasferire la fedeltà sviluppata dai consumatori nei confronti del solo
servizio anche a un certo numero di beni, con oneri assai inferiori a quelli
che deve sopportare il produttore di marca. In questa fase iniziale le marche
commerciali tendono a essere viste come uno strumento per recuperare la
redditività e contrastare la riduzione del margine medio sul venduto dovuto
alla minore redditività dei beni di marca industriale”
27
. Successivamente,
dato il loro successo e il fatto che il distributore riesce a estenderli a beni
più complessi, il ruolo cambia da strumenti meramente tattici diventano
25
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea.
26
Pellegrini L. (2008), “I rapporti industria-distribuzione: modelli integrati e ricerca di cooperazione”, in
Economia e politica industriale, n. 3.
27
Pellegrini L. (2008), Idem.
14
parte di una strategia di differenziazione
28
. Il principale modo attraverso cui
l’impresa commerciale può raggiungere quest’obiettivo è lo sviluppo di una
politica della marca privata: è il fattore chiave nel passaggio da servizi
commerciali indifferenziati a sistemi di offerta che s’identificano in
un’insegna che svolge una funzione sempre più simile a quella che la
marca svolge per i beni delle imprese industriali
29
. La gestione in ottica
strategica della private label, infatti, consente al distributore di recuperare
il proprio ruolo originario, svolgendo le funzioni di preselezione
dell’offerta industriale, d’informazione sulle caratteristiche dei prodotti, di
garanzia sul rispetto per gli standard qualitativi di produzione
30
. Questo
determina una complessiva ridefinizione dei rapporti tra industria e
distribuzione
31
. “Le marche industriali, infatti, non rappresentano più
l’unico elemento dell’assortimento e la loro presenza nei punti vendita non
è più assicurata unicamente dalla capacità di offrire garanzie e informazioni
al consumatore, poiché anche il distributore diventa in grado di svolgere,
con i propri prodotti, tali compiti. L’introduzione delle private label
diventa una selezione delle marche industriali, con il mantenimento di una
posizione di mercato solamente da parte di quei brand in grado di offrire un
effettivo vantaggio differenziale al consumatore. Questo comporta per
l’industria la necessità di recuperare la strada dell’innovazione che ne
aveva caratterizzato la nascita e per la distribuzione la possibilità di
28
Cristini G. (2006), Marketing d’insegna e marca privata. Strategie ed implicazioni operative per
distributori e copackers, Il Sole 24 ore.
29
Pellegrini L. (2008), “I rapporti industria-distribuzione: modelli integrati e ricerca di cooperazione”, in
Economia e politica industriale, n. 3.
30
Cristini G. (2006), Marketing d’insegna e marca privata. Strategie ed implicazioni operative per
distributori e copackers, Il Sole 24 ore.
31
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea.
15
riconquistare le funzioni che svolgevano prima della diffusione delle
marche industriali”
32
.
1.2 TIPOLOGIE DI MARCHE COMMERCIALI
Il termine “marca commerciale” individua in realtà politiche notevolmente
differenti secondo come si combinano il livello del prezzo del prodotto e il
grado d’identificazione dell’impresa commerciale con la marca
33
. In
generale, più il prodotto offerto si colloca ai livelli bassi della scala prezzi,
minore sarà la convenienza del distributore a identificarsi direttamente con
l’offerta e viceversa
34
. E’ possibile individuare essenzialmente cinque
tipologie di marca commerciale:
- Marchi industriali in esclusiva;
- Generics;
- Marchi fantasia;
- Marca insegna comune per tutte le referenze;
- Marca insegna del distributore per tipo di segmento merceologico
35
.
32
Fornari E. (2007), Economia della marca commerciale, Egea, p. 41.
33
Carmignano G. (1993), La marca commerciale. Il ruolo della “private label” nella distribuzione
moderna, Etas.
34
Esistono comunque delle eccezioni. In particolare, il distributore può trovare conveniente identificarsi
con un’offerta di beni a basso prezzo quando tale offerta costituisce un servizio a favore del consumatore
(Carmignano G., 1993, Idem).
35
Cristini G. (1992), Le strategie di marca del distributore. Differenziazione dell’offerta e vantaggio
competitivo, Egea.
16
Marchi industriali in esclusiva
“Appartengono a questa categoria tutti quei prodotti a marchio industriale
che, a seguito di un accordo di fornitura, sono offerti in esclusiva a un solo
distributore. All’industria cioè rimane la proprietà del marchio, anche se
ciascun prodotto è progettato e realizzato tenendo conto delle esigenze per
il mercato del distributore”
36
. Con i marchi industriali in esclusiva, i
produttori mettono a disposizione del distributore alcuni vantaggi di una
politica di marca commerciale senza che questi ultimi debbano assumersi
gli oneri di progettazione e controllo dei beni offerti, oneri inevitabili
quando è il distributore a possedere il marchio con cui sono
commercializzati
37
. In realtà, tali marchi non possono considerarsi vere
marche commerciali perché gli articoli offerti hanno la “griffe
38
” del
produttore, però, è riscontrabile una somiglianza concettuale e di risultati
tale da farli ritenere come la tipologia iniziale e meno impegnativa della
marca commerciale
39
. Di norma il distributore usa questi prodotti come
primi prezzi
40
e i vantaggi che ne ottiene si riferiscono soprattutto alla
possibilità di contrattare delle forniture su misura senza assumere, neppure
indirettamente, l’onere di garantire il prodotto, poiché la marca non
36
Cristini G. (1992), Le strategie di marca del distributore. Differenziazione dell’offerta e vantaggio
competitivo, Egea, p. 23.
37
Carmignano G. (1993), La marca commerciale. Il ruolo della “private label” nella distribuzione
moderna, Etas.
38
E’ un termine che è usato per indicare firma, marchio o etichetta che uno stilista (nel campo della
moda) o un produttore utilizza per far conoscere al cliente i propri prodotti
(www.marketinginformatico.it).
39
Lugli G. (2003), Branding distributivo, Egea.
40
Sono prodotti con il più basso prezzo tra quelli di un dato genere presenti nell’assortimento del
distributore. Costituiscono la scelta base in termini qualitativi e assumono una funzione di comparazione
per la valutazione circa la congruità del differenziale di prezzo per prodotti che rientrano nelle altre
tipologie di marca (Idem).
17
s’identifica con il distributore
41
. Pertanto è una politica con obiettivi ancora
molto limitata, spesso incoraggiata dagli stessi produttori che si
specializzano nella produzione per conto terzi, caratterizzata da forte
flessibilità che consente ai distributori di non impegnarsi direttamente sul
versante del controllo di qualità e delle specifiche di prodotto
42
. Un
esempio italiano di marca industriale in esclusiva è “Terre d’Italia”
concessa in esclusiva a Carrefour
43
. Si tratta di una linea di prodotti tipici
regionali italiani realizzate da piccole realtà aziendali cioè vere e proprie
specialità gastronomiche preparate secondo tradizione, con ingredienti
scelti. Il marchio garantisce la qualità e la sicurezza dei prodotti, ma anche
dei processi produttivi, grazie alla rigorosa selezione attuata per individuare
i fornitori. Una ricca e golosa proposta di prodotti DOP e IGP
44
come
41
Gnecchi F. (2004), La private label nell’economia d’impresa, Giappichelli.
42
Cristini G. (1992), Le strategie di marca del distributore. Differenziazione dell’offerta e vantaggio
competitivo,
43
Carrefour è una società europea operante nella grande distribuzione organizzata a livello internazionale.
È il secondo più grande gruppo al dettaglio nel mondo in termini di reddito e vendite dopo l'americana
Wal-Mart e il primo a livello europeo; in Italia è il secondo distributore nazionale. Carrefour è presente in
30 paesi, principalmente nell'Unione Europea, Brasile e Argentina, oltre che in Nord Africa e Asia. Il
primo supermercato Carrefour fu aperto nel 1959 ad Annecy in Francia, oggi è il punto di vendita a
insegna Carrefour più piccolo al mondo. Il gruppo è stato creato da Marcel Fournier e Louis Defforey
(www.carrefour.it).
44
La sigla DOP (denominazione di Origine Protetta) estende la tutela del marchio nazionale DOC
(Denominazione di Origine Controllata) a tutto il territorio europeo e, con gli accordi internazionali
GATT, anche al resto del mondo. La sigla designa un prodotto originario di una regione e di un paese le
cui qualità e caratteristiche siano essenzialmente, o esclusivamente, dovute all'ambiente geografico
(termine che comprende i fattori naturali e quelli umani). Tutta la produzione, la trasformazione e
l'elaborazione del prodotto devono avvenire nell'area delimitata (www.assica.it).
La sigla IGP (Indicazione Geografica Protetta) introduce un nuovo livello di tutela qualitativa che tiene
conto dello sviluppo industriale del settore, dando più peso alle tecniche di produzione rispetto al vincolo
territoriale. Per questo la sigla identifica un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità,
reputazione e caratteristiche si possono ricondurre all'origine geografica, e di cui almeno una fase della
produzione, trasformazione ed elaborazione avvenga nell'area delimitata.