dello Stato pochi e isolati sono apparsi i casi di successo nell’applicazione
di tali strumenti al settore dei Beni Culturali.
Non è stato compreso fino in fondo che le nuove tecnologie, nel trasferire
dati ed informazioni, forniscono, oltre ad un nuovo mezzo di trasmissione,
anche una struttura cognitiva, un modello di apprendimento che esula
completamente da quelli precedenti legati agli strumenti tradizionali.
Ad essere sottovalutate, comunque, non sono state le tecnologie, ma i loro
potenziali sviluppi e, soprattutto, il tipo di cambiamento strutturale che
esse hanno comportato: prima che queste possano essere applicate
efficacemente all’intero settore dei Beni Culturali, ed in particolare alle
istituzioni museali, occorre necessariamente che esistano quelle che in
questa sede vengono chiamate le condizioni al contorno e cioè deve
sussistere, nelle persone che operano all’interno del settore museale
svolgendo varie attività, un’elaborazione concettuale a monte che
permetta di interpretare il cambiamento, rendendolo proprio, ed
eliminare, così, gli inevitabili comportamenti inerziali che frenano lo
sviluppo e la diffusione di qualsiasi innovazione.
Nel Capitolo II si è cercato di spiegare le cause delle difficoltà incontrate
durante i progetti culturali realizzati negli anni ’80, proprio in questi
termini.
Nello stesso capitolo viene spiegato l’effettivo potere delle applicazioni
tecnologiche al settore dei beni artistici.
Queste, infatti, sono a base visiva e, in un settore come quello dei Beni
Artistici, nel quale gli oggetti trattati sono di natura principalmente visiva,
ciò è particolarmente rilevante.
Ciò, infatti, permette di sfruttare il metodo d’apprendimento più naturale
per l’uomo che, contrariamente al metodo simbolico-ricostruttivo, è anche
quello più inconscio e quindi più potente: il metodo senso-motorio.
Le nuove tecnologie a base visiva e interattiva, permettono, infatti,
un’enorme estensione del modo di conoscere senso-motorio, ed è proprio
da questo che deriva la loro efficacia.
Anche l’istituzione che in questa sede è stata scelta come unità d’analisi, e
cioè il museo, dopo aver attentamente individuato quelle che sono le
caratteristiche della trasformazione sopra accennate, non deve lasciarsi
andare spontaneamente, facendosi trascinare da questa, ma al contrario
deve giocare d’anticipo e cavalcare, per quanto possibile alla guida,
anziché al rimorchio, del cambiamento.
Il museo è stato scelto come unità d’analisi naturale di tale settore in quanto
esso è un’istituzione di mediazione culturale che fornisce, a partire da una
serie di testimonianze materiali (le opere d’arte) esperienze al pubblico
tramite l’erogazione di un servizio complesso, incentrato sull’esposizione
dei beni culturali, e sul valore cognitivo di tali beni.
Inoltre il museo possiede tre caratteristiche che motivano ancor più questa
scelta, esso, infatti:
a) è caratterizzato da un’intrinseca escludibilità all’accesso (non tutti,
per ovvi motivi di spazio, possono visitare un determinato museo)
b) ha delle caratteristiche che lo fanno diventare il rappresentante
ideale delle istituzioni culturali
c) è un’organizzazione.
Si è cercato, quindi, di evidenziare come l’introduzione organica delle
tecnologie nelle istituzioni museali metta in luce le potenzialità di
fruizione differenziata ed efficace di un esteso patrimonio culturale.
La loro proiezione sulla rete, i musei on-line, divengono, infatti, i
protagonisti di questo nuovo modello di fruizione dei Beni Culturali.
Nel Capitolo III è stato svolto un benchmarking relativamente ai siti di
alcuni musei reali (sia in Italia che all’estero), che si sono contraddistinti
per motivi particolari: o perché hanno saputo sviluppare ed approfondire
molto bene alcune sezioni del web site, come il Louvre, o perché sono
riusciti a creare dei database particolarmente ricchi come l’Hermitage di
San Pietroburgo.
Questi sono stati valutati prendendo come riferimento la dimensione
informativa (i contenuti offerti dal sito) e la dimensione partecipativa (il livello
d’interazione tra l’istituzione ed i suoi interlocutori).
Nella valutazione e nel posizionamento di questi sono state considerate
anche altre variabili degne di rilievo per un sito museale, e cioè: la grafica
(che è quel fattore che rende accattivante un sito, che stimola la curiosità
dell’utente e che lo porta a visitarlo prima ancora di conoscerne i
contenuti) e la mappa ipertestuale (che è correlata alla complessità della sua
struttura e alle modalità di navigazione).
Quindi dopo aver determinato i motivi per i quali il processo di utilizzo
delle nuove tecnologie è così rilevante per l’istituzione museale e quali
obiettivi nell’ambito dell’apprendimento può aiutare a conseguire, si è
trattato sul come gestire la profonda rivoluzione organizzativa nel modo di
concepire il lavoro di tutti coloro che devono amministrare questo tipo
d’istituzione, nel rapporto tra competenze interne e fruitori esterni che
esso comporta.
Se l’utilizzazione delle tecnologie diventa un elemento essenziale e
fondamentale di comunicazione per gli utenti fruitori, ciò implica una
riorganizzazione a livello aziendale delle funzioni, una modifica delle procedure
di gestione e una riorganizzazione dei processi.
L’impiego sistematico delle nuove tecnologie di rete nella struttura dei
musei (ma anche di biblioteche ed archivi) va gestito in modo
consapevole, innanzi tutto con la formazione del personale interno e
l’accrescimento delle sue competenze, in modo da renderlo capace di
dialogare con i tecnici, contro ogni atteggiamento passivo, anche se
involontario, verso la tecnologia.
Per analizzare proprio questo tipo di situazione, chi scrive ha partecipato
ad un progetto di sviluppo di un nuovo web site, svolto all’interno di un
periodo di stage presso una delle istituzioni museali più emblematiche di
Venezia: la Collezione Peggy Guggenheim.
Nel Capitolo IV è stato descritto il progetto nella sua fase di sviluppo dei
contenuti e delle metodologie d’interazione, punto decisivo per un
auspicabile cambiamento nel rapporto con l’utenza.
Molte sono state le variabili del museo da tenere presenti durante il
progetto:
a) un’identità storica molto forte (la collezione di Peggy Guggenheim fa
parte della storia del collezionismo del XX secolo)
b) l’elevata qualità della collezione permanente
c) l’essere collocata lungo il Canal Grande a Venezia, un luogo che ne
aumenta ancor di più il prestigio
d) il legame indissolubile con la personalità carismatica di Peggy
Guggenheim
e) il far parte di una rete internazionale, di una catena di sedi prestigiose,
distribuite tra vecchio e nuovo continente, ma tutte raggruppate sotto
la stessa amministrazione e direzione generale e sotto il marchio
Guggenheim (nome che sta acquisendo sempre più notorietà): tutto ciò
le ha conferito professionalità e un punto di vista internazionale
nell’affrontare le problematiche gestionali
f) la percezione del museo come un tutt’uno: Peggy Guggenheim –
Venezia - Arte Moderna - Identità con la famiglia Guggenheim, ecc.
Tutte queste variabili formano quello che è stato chiamato il contesto
storico e culturale del museo, dal quale non è possibile prescindere per
un’efficace progettazione di un web site, che, come quello descritto nel
caso pratico, non deve essere solo in grado di fornire nuovi contenuti, ma
anche una nuova metodologia d’approccio al bene artistico.
CAPITOLO I
1. LA FORMA MUSEO
1.1. Cenni storici
L’idea di formare raccolte private d'oggetti, asportati dai luoghi cui erano
stati in origine destinati, si forma già nel tardo ellenismo, e, nello stesso
periodo, si avverte, per la prima volta, l’esigenza di una cultura non più di
carattere privatistico: ciò avviene nel III secolo a.C. quando viene fatto
costruire da Tolomeo I ad Alessandria d’Egitto un edificio dedicato alle
Muse (perciò chiamato Mouseion) destinato a contenere una serie d'opere
d’arte e una biblioteca. In quest'edificio, inoltre, si svolgevano le riunioni
dei filosofi e degli studiosi del tempo.
Il museo, quindi, nasce originariamente come uno spazio fisico, un luogo
d’incontro, dove gli intellettuali, attraverso il dibattito e il confronto
reciproco, contribuivano allo sviluppo del sapere e della conoscenza.
Proprio perché luogo di riflessione intellettuale nel quale abbandonarsi, il
museo ha una connotazione fortemente individuale (che poi tornerà alla
ribalta nella tradizione quattrocentesca).
Lo spazio, popolato d'oggetti e opere, testimonianze di antiche civiltà,
intriso di tali presenze, diviene l’ambiente più adatto in cui l’erudito,
attraverso successivi stimoli e ricerche, può ampliare la conoscenza.
Si è, comunque, già ben oltre rispetto all’utilizzo votivo dei manufatti delle
popolazioni preistoriche e, in tempi posteriori, delle civiltà egiziana e
babilonese. Successivamente anche la cultura ecclesiastica riproporrà, per
le opere presenti nelle chiese, il significato, univoco, di veicolo e
testimonianza dei valori primari della fede.
La chiesa da tempo è stata identificata come nucleo d’origine del museo
moderno, sia per la sua accentuata funzione pubblica, sia perché al suo
interno esiste un vero e proprio allestimento capace di “gerarchizzare”
nello spazio gli oggetti, se pur in una logica di credenza (Lugli 1992).
Il museo rimanda simbolicamente al passato tramite le opere in esso
racchiuse e, proprio per questo motivo, è in grado di stimolare, in chi si
trovi a contemplarle, la riflessione creativa e lo sviluppo della conoscenza.
Il principio che un’opera d’arte non è destinata al godimento di pochi
individui, ma di un’intera popolazione, si afferma a Roma a partire dal II
secolo a.C. e ciò è leggibile nel fatto che le opere d’arte greca affluite a
Roma dopo la conquista di Siracusa e di Corinto non vanno ad ornare
solamente templi e santuari come offerte alla divinità, ma anche portici ed
altri edifici pubblici.
In quest’epoca il collezionismo privato a Roma è già notevolmente
sviluppato, anche se spesso come semplice ostentazione di ricchezza
anziché indice di un gusto raffinato, più facilmente espressione di mania
competitiva fra ricchi romani che di amore per l’arte.
Rarissimi sono fra i romani i veri intenditori capaci di apprezzare l’opera
di un grande artista e di distinguerla da una copia (usate, nella stragrande
maggioranza dei casi, indifferentemente per ornare abitazioni e
monumenti). In ciò la differenza fondamentale fra il collezionismo antico e
quello moderno.
In epoca medioevale, invece, il collezionismo nasconde molto spesso un
interesse politico legato al potere religioso o imperiale, mentre solo in
alcuni casi, come negli esempi dei grandi monasteri, assume un significato
di conservazione. Per lo più si ha collezionismo come ricerca sfrenata della
reliquia che livella gli strati sociali e li accomuna nei pellegrinaggi.
Con il passare del tempo il museo, se da una parte inizia a perdere la sua
dimensione individuale, dall’altra conserva una forte soggettività, in
quanto specchio fedele della personalità del proprietario.
La differenza fondamentale tra collezioni e musei sta proprio nel fatto che
le prime, in quanto espressione della volontà del collezionista
rispondevano semplicemente ai gusti personali di quest’ultimo senza
dover rispettare alcun vincolo di organicità e di conservazione, elemento
centrale, invece, nei musei.
Gli intellettuali che prima custodivano gelosamente le loro collezioni
all’interno delle loro dimore mettono a disposizione degli altri studiosi le
loro raccolte.
Fenomeno inverso è invece il mecenatismo e il sorgere di grandi collezioni
private di origine familiare (tra le più significative le raccolte
enciclopediche realizzate dai sovrani in epoca rinascimentale, come quelle
istituite presso le corti di Francesco I di Francia e di Carlo V e Filippo II di
Spagna) rappresentative, non di cultura, bensì di prestigio e ricchezza.
Le collezioni venivano, talvolta, se ciò era richiesto, mostrate come atto di
benevolenza o liberalità.
Nell’Europa del Nord, e molto meno in Italia, tipiche del periodo
rinascimentale sono le Schatz e Wunderkammern, nelle quali vengono
stipati oggetti di ogni genere, dalle curiosità di storia naturale alle opere di
arte antica o comunque di interesse archeologico.
Questo è comunque un passaggio importante. Anche se di carattere
elitario, la presenza del pubblico provoca un mutamento nella dimensione
museale: da individuale e privata a una dimensione collettiva e pubblica.
Nel Seicento e Settecento si accentua sempre di più il processo già
verificatosi nel secolo precedente, specie per merito della borghesia colta
che ormai raccoglie opere non per passione collezionistica o per motivi
principalmente di ordine pratico, ma per interesse culturale.
Si accentua il processo di pubblicizzazione delle raccolte a vantaggio della
diffusione della cultura. Scuole e Accademie non fanno altro che
amplificare tale produzione culturale per uso didattico.
Roma è all’avanguardia del fenomeno: il Museo Capitolino ha una
seconda fondazione nel 1734 ad opera di Clemente XII. Il Campidoglio con
il suo custode, i cataloghi e le guide a stampa è un vero museo pubblico
aperto a chiunque (dilettanti, curiosi, studenti) volesse visitarlo.
Accanto alle raccolte pubbliche vi sono numerose collezioni private. Se ne
può avere un’idea dalle guide del tempo ma soprattutto dalla preziosa e
non meno rara “ Nota delli Musei, Librerie, Gallerie et Ornamenti di Statue e
Pitture, ne’ Palazzi, nelle Case e ne’ Giardini di Roma”, compilata da
Giampietro Bellori e pubblicata nel 1665, che ne elenca oltre 150 (comprese
le raccolte librarie).
Si inizia in questo periodo la costruzione di ambienti per accogliere le
collezioni: una per tutte la sontuosa galleria eretta per ospitare la raccolta
del card. Girolamo Colonna, una delle più importanti di Roma (circa 1400
dipinti).
Nel 1700 esiste anche una tendenza opposta. Mentre alcune raccolte
vengono sistemate, altre si disperdono. Artisti e antiquari italiani e
stranieri, fanno scavi, commercializzano e restaurano opere d’arte.
Nonostante il divieto di esportazione, impartito dalle leggi, molte opere
lasciano Roma.
In questo periodo si formano alcune delle più prestigiose collezioni inglesi
di antichità: la Lansdowne e la Townley ; Roma diventa il centro del mercato
mondiale di opere d’arte antica.
Da sottolineare a Milano la raccolta di Carlo Trivulzio specialmente
indirizzata in relazione con gli interessi storici del proprietario, e il Museo
Settala messo insieme da Manfredo Settala sul tipo delle Wunderkammern e
descritto in un catalogo stampato nel 1674.
A Venezia esisteva già il Museo Archeologico quando questo viene
arricchito notevolmente dai lasciti di Federico Contarini, Pietro Morosini,
Domenico Pasqualigo (1746), Giuseppe Tommaso Farsetti (1792),
Girolamo Zulian (1796). Nella seconda metà del ‘700 un primo gruppo di
pitture viene riunito presso l’Accademia di Belle Arti istituita nel 1756; ma
le famiglie dogali già da tempo raccolgono nei loro palazzi le opere dei
grandi artisti veneti del Rinascimento.
Nel 1796 nasce la Pinacoteca di Bologna quando l’Accademia Clementina
si preoccupa di raccogliere dipinti dispersi in chiese e conventi soppressi.
Il ‘700 termina con le conquiste napoleoniche che provocano
l’allontanamento da Roma e dall’Italia di molte opere d’arte che vanno a
costituire il gigantesco Musée Napoléon. Numerosi nostri capolavori
lasciano le loro sedi storiche e, dopo uno spettacolare trionfo raggiungono
a Parigi il museo che, sfruttando la valenza simbolica delle collezioni,
comunica, alla maniera degli antichi, sia la grandeur della nazione che la
sovranità del popolo (destinatario e proprietario delle collezioni contenute
fra le mura del museo).
Nel 1793 un decreto trasforma le collezioni reali del Louvre nel Musée
Central des Arts che, nel 1804 diventerà Musée Napoléon (a quel tempo era la
struttura più grande e importante del mondo).
La motivazione sottesa alla creazione di tale imponente collezione assume
un carattere eminentemente politico più che culturale in senso stretto. C’è
alla base un concetto di appropriazione della collezione artistica
(un’appropriazione che avviene di diritto grazie alle vittorie del
conquistatore), che diviene patrimonio storico artistico da tutelare in
quanto collettivo.
Il museo, in questo caso non è luogo in cui si raccolgono solo le opere, ma
anche gli ideali rivoluzionari di libertà, democrazia e universalità. Questo
patrimonio culturale è reso accessibile a tutti, permettendo l’ingresso al
museo ai cittadini di qualsiasi classe sociale.
Il Musée Napoléon dura pochi anni e le opere tornano, per la maggior parte
nelle loro sedi originarie. Ma la Rivoluzione Francese, e i contenuti
illuministici dell’epoca napoleonica portano straordinari benefici anche
all’assetto delle raccolte italiane, i risultati dei quali saranno
maggiormente visibili nei primi decenni del XIX secolo quando si
consolidano le maggiori raccolte pubbliche italiane (Brugnoli 1990).
Il museo assume, quindi , un nuovo significato: non è più pubblico solo
perché accessibile, ma perché “aperto per la pubblica utilità” (Lugli 1992),
incorporando ed essendo portatore di un contenuto sociale di stampo
illuministico.
Si può intravedere in tutto ciò una dimensione progettuale del museo,
anche se ancora ad uno stadio larvale, che lo induce a divenire portatore
di una cultura (non solo relativa all’epoca e ai soggetti che l’avevano
composto) legata strettamente alle opere in esso presenti (Pietrangeli
1990).
I musei nell’Ottocento sono, anche, una risposta all’industrializzazione che
distanzia l’arte dalla vita e la sistema nelle istituzioni apposite.