6
imprenditori e professionisti, che caratterizzano la realtà economica del nostro Paese (
1
). Il
Fisco, infatti, incontra notevoli difficoltà proprio nell’accertamento dei redditi prodotti da tali
categorie di soggetti.
Un’analisi obiettiva delle evoluzioni che hanno caratterizzato questi ultimi anni
evidenzia come il sistema tributario stia cambiando sensibilmente. Non soltanto, infatti,
comincia a cambiare il quadro di riferimento dei singoli tributi, ma - soprattutto all’interno
dei tributi tradizionali - si innestano regole nuove in ordine alla commisurazione della
prestazione tributaria. In particolare nella disciplina del reddito di impresa e di lavoro
autonomo il metodo analitico di determinazione della base imponibile lascia il campo alla
nuova metodologia improntata sugli studi di settore. Al posto del reddito “effettivo” subentra
il reddito “normale”, determinato cioè attraverso una stima della redditività media ed
ordinaria.
Sollecitato da queste considerazioni, in questo lavoro si ripercorrono le diverse fasi che
hanno segnato l’evoluzione dei metodi di valutazione del reddito imponibile delle imprese ai
fini dell’imposizione diretta diversi da quello analitico-contabile e si indaga, in particolar
modo, il “fenomeno” studi di settore che, negli ultimi anni, ha assunto un’importanza sempre
crescente.
La presente trattazione ha, dunque, l’obiettivo di sviscerare i contenuti principali della
materia, privilegiandone gli aspetti economici e tributari.
Nel primo capitolo si analizzano le ragioni dell’inadeguatezza ed i presupposti per
l’evoluzione del rapporto tra Fisco e impresa, con riferimento ai metodi di indagine fiscale sia
per le piccole che per le grandi imprese. Si esaminano i principali meccanismi evasivi delle
1
Come vedremo nel corso di questo lavoro, le piccole e medie imprese, con volume d’affari inferiore ai 10
miliardi di vecchie lire, costituiscono circa il 99 per cento dell’intero sistema economico italiano mentre le
imprese considerate “grandi”, ossia quelle con volume d’affari superiore, sono all’incirca 30.000.
7
imprese, in relazione alla dimensione, e le strategie per contrastarli nonché le cause
dell’evasione fiscale in Italia. Si analizzano, inoltre, le differenze tra l’accertamento
extracontabile e quello contabile per concludere con una descrizione delle caratteristiche del
“vecchio” Fisco, della sua inefficienza e dei vincoli alla semplificazione del sistema fiscale.
Il secondo capitolo è dedicato all’esame dell’evoluzione dei metodi di accertamento
extracontabili prima e dopo la riforma degli anni ’70. Si evidenzia, a tal proposito, che già
alla fine dell’ottocento la più acuta dottrina poneva il problema dei metodi da adottare nelle
procedure di accertamento, ritenendo che il successo di un’imposta dipenda anche dalla bontà
dei sistemi seguiti per la determinazione della materia imponibile e come fra questi trovi un
posto non di secondo piano il sistema “indiziario”.
L’esistenza di criteri alternativi di accertamento è stata consacrata per la prima volta
dalla giurisprudenza con riguardo alla determinazione del reddito dei cosiddetti soggetti
tassabili in base al bilancio, per i quali fu sancita la necessità di accertamento analitico sulla
base delle scritture contabili. Questo accadeva nel quadro delle prime espressioni di
legislazione post-unitaria che prevedevano accertamenti indiziari, induttivi, per medie o
classi, nei confronti di tutti i soggetti. La distinzione che venne così a delinearsi tra metodo
induttivo e metodo analitico e la conseguente problematica dei “presupposti” dei singoli
metodi, ha caratterizzato da allora la legislazione in materia di accertamento, permanendo
anche con la riforma tributaria del 1971/73.
Si evidenziano i motivi che hanno spinto il legislatore fiscale a considerare i metodi
induttivi come ipotesi marginali o sanzionatorie, in un nuovo quadro di esaltazione e
valorizzazione del metodo analitico su basi documentali e contabili.
La riforma tributaria degli anni settanta, estendendo gli obblighi contabili a tutti i
redditi derivanti dall'esercizio di imprese commerciali e dall’esercizio di arti e professioni, e
corrispondentemente prevedendo la metodologia analitica di accertamento come “regola
8
base”, puntava a sottoporre anche le categorie del lavoro autonomo e della piccola impresa
alla tassazione del reddito effettivo. L'aspirazione di creare un rapporto di collaborazione tra
Fisco e contribuenti, sulla base del quale i soggetti dichiarano analiticamente i redditi
conseguiti (si “autotassano” in sostanza), e all’Amministrazione spetta il compito di
controllare approfonditamente un numero limitato di contribuenti, si è però infranta sin dagli
anni immediatamente successivi alla riforma.
Il terzo capitolo propone una sintetica analisi dei motivi che hanno determinato il
“fallimento” della riforma degli anni settanta partendo dalla crisi del sistema basato
sull’accertamento analitico-contabile fino a esaminare i vari metodi induttivi di accertamento
messi a punto nel periodo post-riforma. Da un lato, dunque, le categorie della piccola impresa
“accusavano” l’impostazione della riforma, attenta alla grande impresa e al lavoro dipendente
ma non al mondo del lavoro autonomo, dall'altro, l'assenza di una specifica e precisa politica
fiscale contribuiva a diffondere l'opinione comune circa l'elevato tasso di evasione fiscale di
tali categorie. In questo contesto (per certi aspetti ancora attuale) si è passati nel corso degli
anni ottanta e per parte degli anni novanta attraverso due opposte fasi: la prima, nella logica
dei principi ispiratori della riforma tributaria, ha portato a strumenti di controllo “selettivo”,
all’inasprimento delle sanzioni penali per reati tributari (
2
), all’introduzione di ulteriori
obblighi strumentali posti a carico dei contribuenti (bolla di accompagnamento, ricevute e
scontrini fiscali); la seconda, caratterizzata da modelli di tassazione e di accertamento fondati
sul concetto del reddito normale.
A seguito della “crisi” di questa nuova impostazione si vagliano le prime parziali
inversioni di tendenza, unitamente alle disposizioni che fino ad oggi, con la svolta decisiva
degli “studi di settore”, hanno inserito nella normativa, in modo sempre più marcato, la
9
possibilità di modificare il reddito d’impresa risultante dalle scritture contabili con
presunzioni di ricavi o di redditi, minimi imponibili, forfetizzazioni, ecc..
Si inseriscono in questo contesto quei provvedimenti che hanno portato, nel corso degli
ultimi due decenni, al progressivo abbandono del metodo analitico di accertamento,
prevedendo prima un regime forfetario di determinazione del reddito delle imprese e dei
professionisti (“Visentini-ter”), poi l'utilizzo di “parametri economici” in sede di
accertamento induttivo (dai coefficienti di congruità ai coefficienti presuntivi di reddito fino
ai “parametri” del cosiddetto “ricavometro”), e perfino all'introduzione di uno “zoccolo
duro”, al di sotto del quale il reddito dichiarato dal contribuente non poteva comunque
scendere (il cosiddetto contributo diretto lavorativo o minimum tax).
Il quarto capitolo pone l’attenzione sugli sviluppi recenti della fiscalità delle piccole e
medie imprese che si caratterizzano per il ritorno, sia pure in forma più aggiornata, degli studi
di settore, istituto (
3
) di diffusa applicazione prima della riforma tributaria degli anni settanta
e soppresso in seguito all’introduzione della stessa. Si analizzano gli articoli 62 bis e 62
sexies della Legge n. 427/2993 e si ripercorrono le tappe che hanno caratterizzato
l’elaborazione e l’affermazione degli studi di settore come strumento innovativo di
accertamento dei redditi. Si vagliano le cause di esclusione e di inapplicabilità di tale
strumento e si fa un raffronto con i metodi analoghi utilizzati in altri Paesi.
Il quinto ed ultimo capitolo è dedicato all’analisi dell’applicazione concreta degli studi
di settore e alla loro possibile evoluzione. Si esaminano, a tal fine, i concetti di congruità
reddituale e di coerenza economica, gli effetti dell’adeguamento spontaneo del contribuente e
il rapporto tra le varie metodologie operative di controllo e gli studi. Si espongono, altresì, le
2
A tal proposito si veda il testo della Legge 516/82, denominata “manette agli evasori”, oggi sostituita dalla
Legge 74/2000 che ne ha limitato e rivisto la portata.
3
Studi di settore degli ispettorati compartimentali delle imposte dirette.
10
relazioni tra gli studi di settore e il condono fiscale e si analizza il ruolo degli Osservatori
provinciali, rimarcando la necessità che essi entrino presto in funzione in tutta Italia. Si
esamina, inoltre, la fase di “evoluzione” che ha riguardato recentemente alcuni studi di
settore e la procedura di raccolta dei dati per l’aggiornamento degli altri studi. Per
concludere, si forniscono alcuni dati sui risultati conseguiti mediante l’applicazione di questo
strumento nella fase di accertamento.
11
- CAPITOLO PRIMO -
IL RAPPORTO TRA FISCO E IMPRESA:
LE RAGIONI DELL’INADEGUATEZZA
ED I PRESUPPOSTI PER IL CAMBIAMENTO
1.1 Cenni sul rapporto tra la normativa fiscale e le caratteristiche giuridiche ed
economiche dell’impresa
La forma giuridica condiziona l’attività aziendale dal punto di vista organizzativo,
economico, finanziario e fiscale. Molte decisioni sono assunte in modo diverso a seconda
della forma scelta dal soggetto giuridico; è evidente, infatti, che in una impresa
individuale sarà l’imprenditore stesso a prendere le decisioni aziendali, mentre in una
società di capitali le decisioni saranno prese da organi collettivi. In base alla forma
giuridica, quindi, si sostengono più o meno costi legati alla complessità burocratica
dell’azienda (
1
), si corrono maggiori o minori rischi (
2
), si reperiscono con maggiore o
minore difficoltà nuovi capitali.
La scelta della forma giuridica è un problema che non si presenta solo all’atto della
costituzione dell’impresa, ma che permane lungo tutto il ciclo vitale dell’azienda. Può,
infatti, accadere che le esigenze gestionali connesse a problemi fiscali, finanziari, di
produzione, di commercializzazione o di mercato spingano a modificare la forma
originaria. Può accadere che l’imprenditore individuale decida di effettuare l’apporto
1
Le dimensioni aziendali e la forma giuridica influenzano notevolmente la struttura organizzativa. In una
ditta individuale la burocrazia è trascurabile e di conseguenza lo sono anche i costi per la sua gestione, mentre
in una grande impresa con una grande burocrazia interna i costi sono molto elevati in termini assoluti.
2
Il rischio che l’imprenditore assume nella gestione di una impresa individuale è sicuramente maggiore
rispetto a quello assunto in una impresa che abbia la forma di società di persone o di capitali in quanto nel
primo caso è l’imprenditore stesso ad essere responsabile degli impegni assunti dalla sua impresa e delle
eventuali inadempienze.
12
della propria azienda in una società costituenda o già esistente. Analogamente, in caso di
azienda collettiva, i soci possono deliberare una trasformazione, cioè il passaggio da una
forma societaria ad un’altra. Le ragioni possono risiedere nel desiderio di limitare i rischi,
di reperire nuovi mezzi necessari all’espansione aziendale, di associare persone in grado
di dare utili apporti in termini di iniziative o di conoscenze, nell’opportunità di effettuare
una distribuzione delle funzioni aziendali tra vari organi, nelle considerazioni sull’onere
dei diversi regimi tributari applicabili, ecc…
Come è noto in base alla forma giuridica si distinguono aziende individuali (in
senso stretto e familiari) e collettive (di persone, di capitali, cooperative).
L’azienda individuale fa capo ad un soggetto coincidente con una persona fisica ed
è priva di autonomia giuridica. Poiché le dimensioni dell’impresa sono condizionate dai
mezzi finanziari a disposizione della persona dell’imprenditore o che lo stesso intende
impegnare nella attività commerciale, è raro che una azienda individuale assuma grandi
dimensioni (
3
). Tale forma giuridica si adatta infatti ad imprese con un giro d’affari non
particolarmente elevato. La persona fisica titolare della azienda assume tutti i diritti e tutti
gli obblighi derivanti dalle operazioni compiute, assumendosi, di conseguenza,
illimitatamente, i rischi della gestione (
4
).
L’imprenditore di una azienda individuale spesso si avvale, nella conduzione degli
affari, della collaborazione di componenti della sua famiglia.
Si tratta di una collaborazione che trova regolamentazione in norme legislative.
L’impresa familiare rimane, in quei casi, una azienda individuale; essa assume rilevanza
solo all’interno della famiglia e non nei confronti dei terzi, per cui l’imprenditore resta
l’unico responsabile e, in caso di dissesto, l’unico passibile di fallimento. Non si ha
impresa familiare se tra i componenti la famiglia è stata istituita una società, una
3
Nanula G., “La verifica fiscale: evoluzione, problemi e prospettive”, in Rivista della Guardia di Finanza, n.
1, 1996.
4
Airoldi, Brunetti, Coda, Economia Aziendale, Milano, 1996.
13
associazione in partecipazione o un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Nel corso del tempo, le aziende individuali sono state affiancate dalle aziende
collettive; ciò in quanto, in diversi settori, la produzione, che in precedenza veniva svolta
con modesti mezzi dei singoli individui, ha richiesto sempre in misura maggiore
l’impiego di fattori costosi che possono essere acquisiti soltanto con la cooperazione di
più soggetti. Ed infatti le aziende collettive si basano su un largo concorso di capitali e di
energie e, per tale motivo, hanno maggiori possibilità di affrontare con mezzi adeguati
anche le attività economiche più complesse (
5
).
Sono costituite come aziende collettive sia le grandi imprese, sia molte imprese di
piccola e media dimensione.
Per questo motivo il nostro ordinamento giuridico prevede diversi tipi di società, da
quelle basate sulla fiducia e sulla collaborazione di pochi soci legati da reciproci rapporti
di fiducia personale a quelle più complesse costituite da molti soci e per le quali risulta
facilitata la raccolta di ingenti capitali. La scelta del tipo di società è lasciata alla volontà
dei soci che, ai fini della decisione, tengono conto del genere di attività da esercitare,
delle dimensioni che l’azienda dovrà assumere, del regime fiscale, dell’entità dei rischi
che verranno affrontati e di ogni altra circostanza che potrà influire sulla gestione
dell’impresa. La distinzione sui diversi tipi di società si basa soprattutto sul diverso grado
di responsabilità dei soci nei confronti delle obbligazioni sociali, cioè dei debiti
dell’impresa.
Se la responsabilità è illimitata, dopo l’esaurimento dei mezzi propri della società, i
soci devono fare fronte agli eventuali residui debiti sociali con il loro patrimonio
personale; inoltre, ogni socio risponde per intero dei debiti sociali (responsabilità
solidale), salva rivalsa sugli altri soci.
Se la responsabilità è limitata, ogni socio è tenuto solo a versare le quote di capitale
5
La Rosa S., “Scienza, politica del diritto e dato normativo nella disciplina dell’accertamento dei redditi”, in
Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle. Finanze, 1981, I, p. 558 ss.
14
sottoscritte; i creditori della società non possono perciò rivalersi in caso di insolvenza
della società sul patrimonio personale dei singoli soci.
Le società cha hanno per oggetto una attività commerciale (mercantile, industriale,
di servizi, bancaria, assicurativa) devono costituirsi secondo le forme previste dal codice
civile; leggi speciali, in relazione alla attività esercitata, possono restringere la scelta a
forme particolari; per esempio l’attività bancaria o assicurativa può essere svolta solo da
società per azioni o da società cooperative.
Fatta questa premessa sulla natura giuridica delle imprese, senza peraltro
addentrarci nello specifico visto che l’argomento non è oggetto di questa tesi, vediamo
ora di esaminare le relazioni tra le metodologie di controllo fiscale ed i diversi regimi
contabili.
Si può osservare che la forma giuridica delle imprese ha uno scarso impatto sui
controlli sostanziali (
6
). Ad esempio, il fatto che una impresa commerciale avente ad
oggetto il commercio di calzature, a parità di volume d’affari, sia costituita sotto forma di
società di persone oppure di capitali ha poco rilievo (
7
).
In sostanza, avendo riguardo alla forma giuridica dell’impresa, per la
determinazione del reddito fiscale, la normativa di riferimento prevede un criterio
soggettivo, in base al quale i redditi delle società di capitali, degli enti commerciali e
quelli delle società a nome collettivo e delle società in accomandita semplice, da qualsiasi
fonte provengano, si considerano redditi di impresa e sono determinati unitariamente in
base alle norme del reddito di impresa (
8
).
Per le imprese individuali, le società di persone e gli enti non commerciali esercenti
l’attività di impresa con ricavi nell’anno precedente superiori a 309.874,14 euro (600
milioni di vecchie lire) per i servizi, e a 516.456,90 euro (1 miliardo di vecchie lire) per le
6
Lupi R., Diritto Tributario, Giuffrè Editore, Milano, 1999.
7
Capolupo S., Manuale dell’accertamento delle imposte, Roma, 1998.
8
A partire dall’esercizio 1997 anche le attività agricole svolte da S.n.c. e S.a.s. si considerano produttive di
reddito d’impresa. Per le società di capitale tale norma era già operativa dal 1990.
15
altre attività, e in ogni caso per i soggetti IRPEG, il reddito di impresa è determinato con
il “regime ordinario” previsto dagli articoli dal 51 al 77 del T.U.I.R.; ciò significa che il
risultato contabile del conto economico dell’esercizio viene rettificato secondo le norme
fiscali (
9
). In base al regime delle imprese minori, che si applica ai soggetti che nell’anno
precedente hanno registrato ricavi non superiori a 309.874,14 euro (600 milioni di
vecchie lire) per i servizi, e a 516.456,90 euro (1 miliardo di vecchie lire) per le altre
attività, è stabilito un criterio di determinazione del reddito su basa analitica (
10
), che
prevede la sottrazione dai ricavi, calcolati per competenza economica, dell’ammontare
dei costi realmente sostenuti e ammessi dalla normativa fiscale per tale regime (ad
esempio non sono considerati componenti negativi di reddito gli accantonamenti per
rischi su crediti, cambi e altri) (
11
). Dall’1.1.1997 per le imprese individuali con un
volume d’affari non superiore rispettivamente a 20 e 50 milioni operano i nuovi regimi
“forfetario supersemplificato”. Il sistema catastale si applica invece alle imprese
individuali, familiari e alle società semplici che svolgono attività agricola.
Dalla premessa fatta si evince una considerazione importante intorno alla quale
verterà gran parte di questo lavoro e cioè che i metodi di controllo fiscale devono essere
adeguati alla forma giuridica dell’impresa e, di conseguenza, alla sua dimensione (
12
). Per
le imprese grandi si cercherà di determinare il reddito effettivo in base alla contabilità,
mentre per le imprese piccole e medie si svilupperanno metodi tendenti a individuare il
reddito normale sulla base di parametri contabili ed extracontabili (
13
). Lo schema aiuta a
sintetizzare quanto appena detto:
Figura 1
9
Micheli G. A., Corso di diritto tributario, I ediz., Torino, 1970.
10
Nuzzo E., “Procedure di accertamento dei redditi determinati in base alle scritture contabili”, in Rassegna
Tributaria, 1986, I, p. 187 e ss.
11
Magistro L., “L’accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva”, in Panorama tributario e professionale,
supplemento della rivista Il Finanziere, n. 1, 1997.
12
Pedone A., “Crisi della tassazione del reddito”, in Il fisco, n. 8, 1999.