2
Introduzione
Il seguente lavoro si propone di analizzare l’evoluzione dell’industria alimentare
italiana in riferimento al contesto industriale italiano nonché all’evoluzione dei
sistemi economici a livello internazionale e mondiale.
Un’attenzione particolare è dedicata all’evoluzione dei consumi alimentari e al
corrispondente progressivo adeguamento delle strategie di corporate branding
messe in atto dalle principali imprese del settore.
Il risultato complessivo consente di delineare un percorso graduale di
evoluzione del settore, tenendo conto delle specificità del tessuto industriale
italiano. Questo percorso è segnato da varie tappe: dal prodotto artigianale alla
produzione in serie, per poi ricercare costantemente un compromesso tra
innovazione e tradizione che porterà a sperimentare soluzioni sempre nuove e
sempre più adattive rispetto ai variegati gusti dei consumatori.
3
CAPITOLO I
L’economia alimentare nell’economia italiana
tra secondo dopoguerra e miracolo economico
1.1. Il dopoguerra e la ricostruzione industriale
All’indomani della Seconda Guerra mondiale, il territorio italiano si trovò lacerato sia dal punto di vista
economico che sociale a causa dei danni derivati dalla politica economica di tipo autarchico vigente nel
periodo fascista e del crollo delle istituzioni politiche.
Negli anni del conflitto la popolazione era vincolata al rispetto di un regime di razionamento alimentare.
Molti ricorrevano al mercato clandestino per acquistare beni di prima necessità: in modo abituale le famiglie
agiate ed in modo saltuario quelle con redditi medio-bassi. I prodotti venduti erano quelli più rari a
trovarsi sulla piazza ufficiale – riso, pasta, zucchero, caffè, carne, salumi, olio e formaggi
1
. Nel 1942 circa
il 40% dei nuclei familiari non agricoli soffriva letteralmente la fame. Il 45% delle famiglie aveva un vitto
scarso e il 13% un’alimentazione insufficiente. Soltanto il 3% aveva un’alimentazione sufficiente o
addirittura abbondante. La maggior carenza nutrizionale riguardava, nell’ordine, carboidrati, grassi e
proteine
2
. Da un’indagine del 1944 sul livello nutrizionale degli italiani nelle regioni liberate, appare
nettamente migliore la situazione delle famiglie agricole rispetto a quelle urbane
3
. A livello regionale la
situazione risultava differente: all’evoluzione dei bilanci urbani del Nord faceva riscontro la stasi della
capacità di spesa delle famiglie del sud continentale ed insulare. Tale differenza era dovuta non soltanto
a diseguaglianze socio-economiche ma anche al tradizionalismo degli stili di consumo rurale prevalenti nella
popolazione meridionale
4
.
Nonostante il crollo del PIL nazionale, passato da 125 miliardi nel 1938 a 70 miliardi nel 1945, le
condizioni dell’industria e degli impianti non furono seriamente compromesse dal conflitto mondiale,
pur essendoci delle diseguaglianze tra le varie aree del Paese: il nord, ed in particolare le regioni del
triangolo industriale Milano-Torino-Genova, fu colpito in modo marginale rispetto all’industria meridionale.
Nel complesso, si stimavano danni materiali di guerra agli impianti industriali pari a circa l'8% del capitale
investito nell'industria
5
. Le più colpite furono le industrie siderurgiche e metallurgiche, petrolifere, elettriche
ed i cantieri navali. Le distruzioni materiali furono relativamente modeste rispetto allo sconvolgimento
organizzativo dei mercati, che possiamo identificare come conseguenza del conflitto mondiale. Il
1
P. Luzzatto-Fegiz, Alimentazione e prezzi in tempo di guerra (1942-1943), Trieste, 1948, p. 152.
2
Ibidem, p. 13-15.
3
G. Alberti, L’economia domestica italiana da Giolitti a De Gasperi (1900/1960), 50 & PIU’ Editore, Roma, 1992, p. 131.
4
Ibidem, p. 144.
5
V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), il Mulino, 1999, p. 409.
Tutti gli autori concordano nell’affermare che le distruzioni causate all’apparato industriale italiano furono più o meno limitate.
4
principale problema per l’apparato industriale nazionale fu l’ipertrofia bellica, ovvero il
sovradimensionamento, sia in termini di capacità produttiva che in termini di numero di addetti, dei
settori direttamente coinvolti nella corsa al riarmo. Le aziende più in difficoltà furono quelle che si resero
maggiormente dipendenti rispetto al committente pubblico. Tra queste, l’industria meccanica fu
sicuramente la più interessata. Un esempio di questa situazione è l’Alfa Romeo, che concentrò circa l’80%
del proprio fatturato sulle produzioni aeronautiche. All’indomani del conflitto mondiale, l’azienda si
ritrovò a dover ritornare alla produzione di automobili e a doverla addirittura espandere per saturare la
propria capacità produttiva. Oltre a questo, un secondo problema fondamentale per tutte le imprese di
medie e grandi dimensioni fu l’eccedenza di manodopera. L’overstuffing interessò tutti i settori produttivi,
ma anche qui ad essere colpita fu in particolar modo l’industria meccanica; la cantieristica soffriva di un
eccesso di manodopera del 40%, la siderurgica ed il comparto chimico di oltre il 50%.
Gli Stati Uniti ebbero un ruolo fondamentale nel sostegno della ricostruzione e dell’industrializzazione
degli Stati europei. A partire dal 1943 e per tutta la durata del conflitto, l’Italia usufruì degli aiuti garantiti
dal piano di emergenza UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) per le
importazioni di beni di prima necessità. Poi, il 5 giugno 1947, il segretario di Stato americano George
Marshall annunciò che gli Stati Uniti avrebbero varato un piano per sostenere l’Europa nel difficile
processo di ricostruzione industriale. La partecipazione dell’Italia a questo piano comportava l’obbligo di
coordinare le politiche economiche a livello mondiale e di programmare gli investimenti con piani di
sviluppo pluriennali sulla base di un accordo con il governo statunitense. Dei 425 milioni di dollari, donati
attraverso l'UNRRA, 109 milioni furono destinati all'assistenza e ripresa delle industrie
6
. L’Italia ottenne
un gran numero di beni a titolo gratuito, in seguito alle richieste formulate rispetto ai piani di sviluppo. La
vendita di tali beni sul mercato nazionale consentiva la formazione di “fondi di contropartita” il cui utilizzo
veniva concordato tra i rappresentanti di Stato americani ed il governo nazionale. Il risparmio di valuta
che si otteneva grazie a queste importazioni gratuite andava quindi a costituire un surplus per lo Stato:
poteva servire o per un allargamento delle importazioni stesse o per le formazioni di riserve
7
.
Gli aiuti americani fornirono un surplus medio sul reddito nazionale lordo italiano del 2,4% tra il 1946
ed il 1952. Gli aiuti americani comportavano, comunque, l’onere di specifiche garanzie sul piano politico,
prima fra tutte il distanziamento rispetto al blocco sovietico e la limitazione dell’opposizione comunista.
Il piano di sviluppo italiano fu redatto dal Centro studi e piani tecnico-economici dell’IRI e presentato
nell’estate del 1948
8
. L’obiettivo principale era essenzialmente il potenziamento degli investimenti
produttivi in infrastrutture e beni capitale, concentrati soprattutto nel settore metalmeccanico ed energetico
(60%), mentre dedicava all’agricoltura solo il 29% dei fondi disponibili. Il ruolo strategico degli aiuti
6
U. Natoli e R. Tremelloni, "Industria" - II Appendice, Enciclopedia Treccani, 1949. Cfr:
http://www.treccani.it/enciclopedia/industria_res-0fa6a6f9-87e6-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/.
7
V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), cit., p. 416.
I governi italiani preferirono sempre la seconda alternativa, per evitare una carenza di riserve presso la Banca d’Italia.
8
All’epoca, il Centro studi dell’Iri era gestito da Pasquale Saraceno. Cfr. P. Saraceno, Elementi per un piano quadriennale di sviluppo
dell’economia italiana, Roma, 1948, cit. in V. Zamagni, Dalla periferia al centro.
5
americani andava oltre il loro valore quantitativo: il 90% dei fondi di contropartita fu utilizzato
strategicamente per un massiccio rinnovo degli impianti con tecnologia prevalentemente americana
9
.
Alla fine del processo di ricostruzione, negli anni Cinquanta l’Italia si trovò dunque già inestricabilmente
legata al processo di integrazione europea sotto la leadership americana. Il lungo processo di negoziazione
a livello internazionale aveva già coinvolto gli Stati europei a partire dalla fine degli anni Quaranta, nel
tentativo di costituire una comunità politica ed economica di Stati autonomi, anche se la cooperazione
europea era iniziata con la lotta alle dittature, documentata dalla famosa Carta Atlantica del 1941, con la
quale le principali potenze si ponevano come obiettivo la “distruzione definitiva della tirannide nazista”.
Il primo meeting internazionale del dopoguerra ebbe luogo nel luglio del 1944 a Bretton Woods. Secondo
il sistema aureo internazionale definito nel corso di questo meeting internazionale, il dollaro era l’unica valuta
convertibile in oro, con cambio fissato a 35 dollari per oncia. Il dollaro venne quindi prescelto valuta di
riferimento per gli scambi internazionali, mentre alle altre valute erano consentite solo oscillazioni
limitate: si trattava di un regime di cambi fissi a parità centrale.
10
In Italia il tasso d’inflazione si era moltiplicato di oltre cinquanta volte dal 1938 al 1951, pertanto furono
necessari molti sforzi per riuscire ad ancorare la lira al dollaro americano, fissando un cambio di 625 lire
11
.
L’abilità politica di De Gasperi si mostrò nella capacità di “reggere il timone” in un frangente così difficile
per l’Italia. In particolare, egli seppe capire, al di là delle forti contrapposizioni tra le forze politiche, che
esisteva un denominatore comune: la necessità di cambiamento
12
. L’adesione al sistema monetario
internazionale era infatti indispensabile per allineare l’economia italiana a quella delle potenze occidentali
più avanzate. Gli accordi deliberati in tale occasione entrarono in vigore l’anno successivo ed ebbero
come risultato anche la creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Internazionale per la
ricostruzione e lo sviluppo. Entrambi tali istituti furono creati per finanziare la ricostruzione, il primo per
concedere prestiti monetari a breve termine ed assicurare la stabilità dei cambi, il secondo per finanziare
a lungo termine la ricostruzione dei Paesi in difficoltà.
La costruzione di una comunità internazionale di Stati a livello europeo iniziò con il processo di
integrazione industriale. Il primo mercato unificato in Europa nacque con la costituzione della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), istituita nel 1951 con il Trattato di Parigi. Con essa fu
costituito un mercato unico per l’industria pesante, data la rilevanza strategica che quel settore industriale
ricopriva.
9
V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), cit., p. 423.
10
Il Sistema di Bretton Woods e la sua fine. (20 settembre 2012). Tratto da Borsa Italiana:
http://www.borsaitaliana.it/notizie/speciali/fondo-monetario-internazionale/storie-funzioni/fmi-fine-sistema-di-bretton
woods/fmi-fine-sistema-di-bretton-woods.htm
11
V. Castronovo, L’Italia del miracolo economico. Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 4-5.
12
Ibidem, p. 13.
6
1.2. L’industrializzazione italiana
L’Italia è diventata un paese industriale solo dopo la II Guerra mondiale, nonostante un piccolo
miglioramento registrato negli anni fra le due guerre. Tuttavia esistevano tre regioni avanzate e
industrializzate già nel 1911 – Piemonte, Lombardia e Liguria – che andarono a costituire il polo industriale
durante il periodo del boom economico. Ma queste non furono le uniche regioni a svilupparsi dal punto
di vista industriale. A partire dagli anni Cinquanta, si avviò una fase di grande crescita per l’economia
italiana, che passò alla storia come il periodo del “miracolo economico”: inizialmente si ebbe un periodo di
super-crescita, con un aumento del reddito intorno al 6% annuo, fino al 1963.
In particolare il quinquennio tra il 1958 ed il 1962 rappresentò un punto di svolta fondamentale. Il PIL,
che nel triennio precedente aumentò in media del 7,5%, continuò a crescere ad un tasso annuo del 6,5%
e giunse a sfiorare l’8% nel 1961. L’industria, le esportazioni e gli investimenti crebbero ad un tasso annuo
tra il 9 e l’11%, conducendo sempre più il Paese verso una caratterizzazione spiccatamente industriale e
aprendo sempre più la strada agli scambi internazionali.
Fu così che, come scrisse l’Economist, “l’Italia scalciante ed urlante venne trascinata, in pieno XX secolo,
dal suo assetto contadino a un assetto industriale”
13
. Infatti in tutta la penisola italiana nel corso degli anni
Cinquanta e Sessanta si arrivò ad un consistente ridimensionamento del settore agricolo, che dal 23% del
PIL nazionale si ridusse al 5%. Inoltre, grazie alla realizzazione di sistemi di trasporto e reti di
comunicazione avanzati, si ridussero le diseconomie legate agli scambi commerciali a lunga distanza.
L’avvento dell’elettronica consentì invece di introdurre molte innovazioni nei cicli di produzione.
Aumentò la polivalenza e la versatilità dei macchinari, che potevano ora essere programmati per diversi
tipi di produzione. La diffusione di beni di consumo di massa consenti di standardizzare i processi e di
realizzare notevoli economie di scala. La nuova struttura dei mercati incentivò anche la produzione nelle
piccole imprese, che si diffusero in aree geografiche ben definite dando vita ai distretti industriali, ognuno
dei quali si specializzò su determinate lavorazioni.
Con la manovra monetaria nota come “linea Einaudi”
14
, formulata dal celebre economista, nel 1947 si
ebbe un aumento del tasso di cambio della lira rispetto al dollaro che comportò una forte battuta d’arresto
della ripresa produttiva, nonché una compressione del livello dei consumi e dei salari. Con questo
provvedimento di riduzione dell’inflazione vennero gettate le basi per il crescente sviluppo economico
dei decenni a seguire. Ciò implicava una compressione dei consumi pro-capite che tuttavia fu minore di
quanto previsto: nonostante tutto i consumi aumentarono a seguito delle maggiori importazioni e della
maggiore produzione di beni non alimentari.
13
V. Castronovo, L’Italia del miracolo economico, cit., p. 27.
14
V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), cit., p. 414.