INTRODUZIONE
Nel nostro paese il gioco del calcio, fin dai suoi primi anni di vita, ha
sempre raccolto attorno a sé una vera e propria selva di appassionati, tifosi,
simpatizzanti e ammiratori. Pur essendo per natura un'attività votata al
divertimento, il calcio si è ben presto tramutato in qualcosa di più, capace di
investire e condizionare le più svariate sfere della realtà sociale, dalla politica
all'economia, dal costume alla lingua. Ed è proprio sulla questione linguistica che
il lavoro che mi accingo a svolgere vuole porre l'accento. Nelle prossime pagine
sarà mio obiettivo indagare le peculiarità tipiche di un linguaggio come quello del
calcio che in maniera significativa è entrato a far parte della nostra lingua comune.
Per fare questo mi servirò, dal punto di vista teorico, di alcuni lavori condotti da
noti linguisti che hanno trattato l'argomento, per poi dedicarmi in un secondo
momento all'analisi approfondita dei testi di un giornalista poliedrico che ha
iniziato la propria carriera occupandosi di sport ed in particolare di calcio: Giorgio
Lago. Passerò in rassegna alcuni momenti salienti relativi ai mondiali di calcio del
1970 in Messico e del 1982 in Spagna attraverso i racconti apparsi sulle pagine de
«il Gazzettino» e firmati dall'inviato che poi sarebbe diventato il direttore della
testata. Una scelta di questo tipo nasce dalla volontà di scoprire i meccanismi
grazie ai quali alcune espressioni esemplari del linguaggio calcistico sono
divenute normali nel nostro parlare quotidiano. Tutto ciò è stato reso possibile
innanzitutto dal grande spazio che il calcio e gli altri sport hanno da sempre
trovato sui più importanti mezzi comunicazione, primi fra tutti i giornali. A partire
da questo presupposto, si vogliono quindi indagare i tratti più caratteristici dello
stile di scrittura sportiva di un maestro del giornalismo quale può essere a buon
diritto considerato Giorgio Lago. In occasione di ben cinque Mondiali di Calcio,
questo giornalista ha svolto le funzioni di inviato speciale per «il Gazzettino»,
seguendo sul posto tutte le vicissitudini occorse alla Nazionale italiana. Nella
sezione dedicata allo sport del giornale del “Nordest” (termine che proprio
3
Giorgio Lago ha per primo interpretato come un'unica parola), venivano proposti
quotidianamente tutti gli aggiornamenti relativi alla competizione in corso.
Articoli di commento, cronache delle partite, resoconti dai ritiri delle squadre,
interviste e pagelle, ma anche riflessioni socio-culturali, politiche ed economiche.
Un insieme eterogeneo di argomenti sul quale Giorgio Lago ha potuto
sperimentare e rafforzare il proprio personalissimo stile. La decisione di prendere
in esame gli articoli riguardanti le edizioni dei Mondiali del 1970 e del 1982 ha
due motivazioni specifiche: la prima va trovata nell'intento di svolgere un'analisi
diacronica dei testi di Lago, che a distanza di 12 anni, se non stravolti nella
sostanza, quantomeno appaiono il frutto di una elaborazione formale più ricercata
e sicura, condotta sulle solide basi dell'esperienza. La seconda è dovuta invece a
una banale considerazione: gli splendidi successi conseguiti dall'Italia in queste
due rassegne (secondo posto a Messico '70, insperata vittoria a Spagna '82) hanno
fatto sì che lo spazio riservato da «il Gazzettino» agli avvenimenti fosse cospicuo.
La grandezza del risultato ottenuto dalla Nazionale inoltre ha reso possibile che
comparissero articoli nei quali il tono complessivo del racconto rispecchiasse un
sentimento collettivo condiviso da gran parte dei lettori-tifosi. Proprio grazie alla
partecipazione emotiva delle masse il calcio è diventato un mondo conosciuto a
tutta la popolazione e il linguaggio usato per raccontarlo un patrimonio culturale
di cui è difficile fare a meno. Giorgio Lago con le sue pagine di appassionata
professione ce ne ha dato una suggestiva interpretazione.
4
CAPITOLO 1: Breve storia dell'evoluzione del giornalismo
sportivo
Ogni tanto parlando di sport, siano i Mondiali di calcio,
le Olimpiadi o le grandi corse ciclistiche capita di usare termini
che suscitano emozioni forti, talvolta esagerate. Lievitano le
parole, si esaltano momenti epici e grandiosi, si drammatizzano
sconfitte e insuccessi. Termini come “disfatta” e “disastro” o
“straordinario” e “incredibile”, sono ormai entrati di diritto nel
lessico sportivo. Lo stesso vale per tecnicismi come “sprint”,
“pressing”, “contropiede”, accessibili a chiunque, anche se non
praticante o amante dello sport. Questa da sempre è stata una
prerogativa dei giornalisti sportivi, il cui lavoro è quello di
emozionare la massa di lettori utilizzando un bagaglio di
modelli tecnico-linguistici che influenza il parlato comune
fungendo da trampolino per una sempre più larga diffusione di
espressioni e modi di dire rinnovati. I giornalisti sportivi hanno
conquistato un pubblico sempre più ampio grazie ad un codice
semplice ma di buon livello, capace di soddisfare la funzione
evasiva che questo tipo d’informazione svolge oggi.
1
In queste righe Cosimo Curradi fornisce una definizione soddisfacente
della funzione sociale del giornalista sportivo: colui che si occupa di sport deve
saper trasmettere ai suoi lettori le emozioni suscitate da un determinato evento. È
questo l'obiettivo finale di quanti, per diletto o professione, scrivono di sport. Ma
per arrivare ad un tipo di giornalismo che privilegiasse l'aspetto emotivo suscitato
nei lettori, si è passati attraverso una fase iniziale durante la quale l'attenzione
veniva focalizzata principalmente sul resoconto di gara e sulla dettagliata
descrizione di regolamenti e particolarità di ogni sport.
La pratica del giornalismo sportivo nasce nela seconda metà
dell'Ottocento. Al tempo non esistevano ancora dei quotidiani interamente
dedicati allo sport, ma cominciavano ad apparire nei più importanti giornali
nazionali i primi resoconti di manifestazioni sportive. Le discipline più seguite
erano, su tutte, il ciclismo (per moltissimi anni lo sport più popolare in Italia,
prima dell'avvento definitivo del calcio nel secondo dopoguerra) e la ginnastica,
ossia le discipline che vantavano il maggior numero di praticanti. Con la nascita,
sul finire del secolo, dei primi giornali sportivi (il più importante, «la Gazzetta
dello Sport», nacque nel 1896, ma divenne quotidiano solo dal 1919)
5
1 Cosimo Curradi, Aspetti del linguaggio del giornalismo sportivo, pag. 24-25, Notiziario
tecnico F.I.G.C. n. 6/2006
cominciarono ad avere spazio i racconti di sport considerati minori ma che ben
presto si sarebbero affermati nel tessuto sociale. In questa fase pionieristica del
giornalismo sportivo il linguaggio che veniva usato per la narrazione degli eventi
era perlopiù semplice ed asciutto, privo di qualsiasi enfatizzazione retorica. Gli
articoli altro non erano che dei resoconti dettagliati di quanto avvenuto. Nei primi
tempi inoltre c'era spazio anche per la spiegazione delle regole dei diversi sport, in
modo tale da consentire al lettore di farsi un'idea più precisa su ciò di cui si stava
parlando, essendo la pratica sportiva non ancora diffusa ed entrata a far parte della
cultura collettiva. Prima cioè che le discipline sportive ed il calcio in modo
particolare diventassero dei veri e propri fenomeni sociali, condivisi da una larga
fetta di popolazione, il giornalismo sportivo si riduceva ad un esercizio
cronachistico di annotazione di dati e risultati. Ma con la diffusione massiccia
dello sport nel contesto sociale andò consolidandosi una tradizione secondo cui
non era più sufficiente rendere conto semplicemente dei risultati di una gara, ma
s'impose la necessità di costruire su di essa una storia che potesse risultare gradita
a chi leggeva.
Non è un caso che per le più grandi manifestazioni sportive (Mondiali di
calcio, Olimpiadi, ma anche Giro d'Italia e Tour de France) i giornali mandavano
come inviati le più importanti penne della redazione, sapendo di poter puntare sui
migliori scrittori di cui si disponeva. E' con questo cambio di filosofia,
riscontrabile attorno al secondo e terzo decennio del Novecento (non a caso per la
cultura fascista, l'attività sportiva rivestiva un ruolo di grande importanza) che si
comincia ad intravedere un giornalismo sportivo più vicino nelle idee a quello di
oggi. Come si legge nelle parole di Alberto Papuzzi,
Il carattere fondamentale del giornalismo sportivo è la
retorica dell'avvenimento, che prevale sull'informazione (…)
non parliamo di retorica nel senso di artificio (…), usiamo il
termine nel suo significato filosofico: l'arte di persuadere
mediante strumenti linguistici(...). Quando leggiamo sui
giornali che un calciatore segna un gol, un ciclista vince una
tappa, un atleta conquista una medaglia, una squadra conosce
una bruciante sconfitta, tali fatti costituiscono il punto di
partenza di una rielaborazione, per dare vita a un prodotto che
trasforma i dati di cronaca nei simboli e negli stilemi della
koiné sportiva. Il giornalista gode di una straordinaria libertà di
invenzione, perché i fatti sui cui lavora sono ciò che significano
6
nell'immaginario collettivo degli sportivi.
2
Dunque il radicarsi dello sport tra i vari strati sociali ha fatto sì che si
modificassero le strutture di base del giornalismo sportivo. Con l'aumento degli
appassionati e la crescita costante delle pubblicazioni sportive diventa prassi un
tipo di giornalismo che vuole essere anche lettura piacevole ed emozionale.
Esempi illustri di questa nuova ambizione del giornalista sportivo furono Orio
Vergani (che come inviato del “Corriere della Sera” raccontava le tappe del Giro
d'Italia e del Tour de France abbondando soprattutto in deliziosi indugi sul
paesaggio e sui luoghi attraversati dalla carovana) e Bruno Roghi, il quale seppe
inserire gli stessi moduli culturali del Vergani nei resoconti calcistici.
Nel secondo dopoguerra si verificò in Italia un vero e proprio boom di
giornali e riviste dedicati allo sport. Alla fine degli anni '40 erano addirittura
quattro i quotidiani sportivi: “La Gazzetta dello Sport” (Milano),
“Tuttosport” (Torino), “Stadio” (Bologna) e “Corriere dello Sport” (Roma).
Inoltre uscivano, ogni settimana, due rotocalchi: “Sport illustrato” e “Calcio e
ciclismo illustrati”. In breve tempo i quotidiani che trattavano di sport divennero i
primi per numero di lettori in Italia e questo dato fa capire quanto fosse
determinante per il giornalista sportivo sapersi avvicinare ai gusti del pubblico,
proponendo via via cronache sempre più votate alla enfatizzazione e alla
spettacolarizzazione degli eventi.
Ad acentuare magiormente questa tendenza fu la nascita dela
televisione, che permise agli appassionati di sport di seguire in presa diretta i più
importanti avvenimenti, a partire dai Mondiali di calcio del 1958 in Svezia e dai
Giochi Olimpici di Roma del 1960. Le conseguenze portate dall'avvento della
televisione furono decisive per un cambiamento radicale nel modo di intendere il
giornalismo sportivo della carta stampata. Se fino a questo punto il carattere
predominante delle testate era quello di dare notizia degli accadimenti sportivi al
pubblico degli appassionati, ora chi compra il giornale la mattina dopo un
determinato evento è già a conoscenza del risultato conseguito, perché grazie alla
televisione ha potuto assistere allo svolgersi della competizione. Il lettore del
7
2 Alberto Papuzzi, Professione giornalista, pag. 139, Manuali Donzelli, Roma, 2010
giornale allora non acquista più il quotidiano con l'intento di informarsi sui dati
oggettivi della gara svoltasi il giorno prima, quanto piuttosto per approfondire in
maniera viscerale tutti i motivi che hanno prodotto un certo esito sportivo.
A partire da questa esigenza allora, il giornalismo sportivo ha saputo
ancora una volta trasformarsi ed adeguarsi ai tempi storici. È negli anni sessanta
che nascono i primi articoli di commento, a volte veri e propri fiumi di parole con
l'obiettivo di offrire al lettore un momento di svago all'insegna di una narrazione
che rielabora il già noto per trasportarlo in una dimensione altra nella quale a
prevalere è il punto di vista soggettivo del giornalista e non più il risultato
oggettivo dell'evento sportivo. Il puro dato di cronaca da questo momento in
avanti diventa un elemento marginale rispetto al complesso di notizie che il
giornale sportivo è in grado di fornire. Essendo scontato che il lettore sia a
conoscenza di ciò che è avvenuto nel corso dell'evento sportivo, lo scopo del
giornalista si sposta dalla mera descrizione all'analisi della gara.
È con queste premesse che cominciano a trovare maggiore spazio nei
quotidiani sportivi gli spunti di riflessione del giornalista (articoli di commento) e
le interviste ai protagonisti o agli esperti che danno il loro parere in merito.
Particolare fortuna inoltre ha avuto la pratica delle pagelle: il giorno dopo una
competizione il giornalista emette le sue sentenze, accompagnando al voto
numerico una breve disamina delle prestazioni di un giocatore, proprio come se i
protagonisti di un avvenimento sportivo altro non fossero che degli scolari che
affrontano un esame e vengono sottoposti al giudizio cinico del professore. Tra gli
anni '70 e '80, specie in occasione delle grandi manifestazioni internazionali quali
Mondiali di Calcio e Olimpiadi, cominciarono ad apparire inoltre con sempre
maggiore frequenza dei pezzi giornalistici, generalmente detti di colore o di
costume, che fino ad allora erano sempre stati prerogativa della “letteratura
ciclistica”, essendo il ciclismo uno sport che ben si prestava alla narrazione
folcloristica e di curiosità.
Tutte queste nuove tipologie di articoli sportivi hanno fatto sì che, a
seconda delle occasioni, lo stile e il linguaggio giornalistico assumessero
determinate caratteristiche che cercherò di evidenziare nei capitoli successivi,
prendendo spunto dall'analisi di alcuni testi di un illustre interprete della
8
categoria: Giorgio Lago, per quasi vent'anni inviato sportivo de «il Gazzettino», di
cui nel 1984 divenne il direttore. Prima però di concentrare gli sforzi sull'opera di
questo giornalista, proverò a delineare quali siano gli aspetti peculiari del
giornalismo sportivo e in particolare calcistico, tali da far ritenere a pieno diritto la
lingua dello sport un linguaggio settoriale tra i più conosciuti e padroneggiati in
Italia.
9
CAPITOLO 2: Lingua del calcio e sue peculiarità
2.1. Lingue speciali, linguaggi settoriali, sottocodici linguistici e gerghi.
Nella vita quotidiana tutti veniamo costantemente in contatto con degli
ambiti e dei settori della vita sociale caratterizzati da un proprio linguaggio; così
pure molti di noi hanno più o meno una conoscenza intuitiva di ciò che si intende
per linguaggio speciale, ma, per maggiore chiarezza e precisione, è doveroso e
utile dedicare una breve parte della trattazione a questo concetto, cercando di
definirlo e assimilarlo.
Una prima difficoltà riguarda il disordine terminologico; i vari linguisti
italiani che si sono occupati dell'argomento hanno spesso utilizzato termini
diversi, talvolta senza fornire una definizione esplicita dell'oggetto in questione; si
trovano così tutta una serie di varianti: lingue speciali (a partire, almeno, da
Giacomo Devoto, 1939; ma a volte è usata anche l'espressione linguaggi speciali,
soprattutto nelle sottospecificazioni linguaggio scientifico, linguaggio sportivo,
linguaggio giornalistico ecc.); linguaggio tecnico (ad esempio Parisi, 1962),
sottocodice (Dardano, 1973, e Berruto, 1974), linguaggio settoriale (Beccaria,
1973), tecnoletto (Wandruzka/Paccagnella, 1974), microlingua (Balboni, 1982)
3
.
Una critica nei confronti di questa mancanza di precisione viene effettuata
da Michele Cortelazzo:
A questa differenziazione terminologica non si
accompagna sempre una chiara differenziazione definitoria,
anche perché, con poche eccezioni, mancano, negli studi sulle
varietà della lingua di cui stiamo trattando, definizioni esplicite
delle categorie usate; più spesso si ricorre ad esplicazioni per
enumerazione o si fa implicito riferimento ad un'idea intuitiva
di lingua speciale, che viene poi corroborata empiricamente
dalle descrizioni e dalle analisi contenute negli studi stessi.
4
Alberto Sobrero, mette bene in evidenza i limiti che comporta l'uso di una
certa dizione piuttosto che un'altra:
10
3 Vedi M. A. Cortelazzo, “Italienisch: Fachsprachen/Lingue speciali”, in G. Holtus, M.
Metzeltin, Ch. Schmitt (a cura di), Lexicon der Romanistischen Linguistik, vol. IV (Italienisch,
Korsisch, Sardisch), pag. 246, Niemeyer, Tübingen, 1988.
4 Cfr. nota 3
Non è facile decidere quale denominazione adottare,
perché ognuna di queste espressioni ha qualche
controindicazione: linguaggi settoriali è piuttosto vago; lingue/
linguaggi specialistici si riferisce elettivamente all'uso di queste
varietà da parte di specialisti che si rivolgono ad altri specialisti
– un linguista che parla ad altri linguisti, un fisico ad altri fisici
–, e dunque esclude altre circostanze d'uso – un professore di
linguistica che parla a studenti universitari, un fisico che tiene
una conferenza stampa –; microlingue implica limitazioni o
semplificazioni rispetto alla lingua comune, che non si
riscontrano nella realtà; ecc.
5
Nel 1973, Gian Luigi Beccaria aveva curato una raccolta di saggi dal titolo
“I linguaggi settoriali in Italia”
6
. Gli articoli dei vari autori sono tratti da una
serie di conversazioni radiofoniche, il che giustifica in parte il carattere non
rigorosamente sistematico della trattazione. Come presentazione della raccolta,
Beccaria antepone un proprio intervento, intitolato “Linguaggi settoriali e lingua
comune”, nel quale cerca di esaminare i rapporti che i linguaggi settoriali
intrattengono con la lingua comune; probabilmente il limite maggiore del saggio è
proprio quello di non dare una esplicita definizione né di linguaggio settoriale, né
di linguaggio speciale, usandoli anzi indistintamente per designare lo stesso
concetto. Ad ogni modo però, l'intervento del Beccaria serve a delineare almeno
due criteri fondamentali che permettono di contrapporre i linguaggi speciali/
settoriali alla lingua comune: il primo, più propriamente linguistico, consiste in
una differenziazione lessicale, in quanto questi linguaggi posseggono una
terminologia peculiare, di contro al lessico della lingua standard, più generico e
pratico; il secondo riguarda invece il numero di parlanti: mentre l'italiano
standard è una lingua comune alla maggioranza della popolazione, i linguaggi
speciali/settoriali sono prevalentemente utilizzati solo da alcuni gruppi di addetti
ai lavori. Tuttavia queste caratteristiche, sebbene ci permettano di isolare dalla
lingua comune l'insieme costituito da lingue speciali e linguaggi settoriali (e
gerghi), non bastano per operare una distinzione interna tra questi differenti
codici.
Quando, però, Beccaria descrive il linguaggio politico, troviamo nel testo
11
5 A.A. Sobrero, “Lingue Speciali”, in A.A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano
contemporaneo. La variazione e gli usi, pag. 238, Manuali Laterza, Roma-Bari, 1993.
6 G.L. Beccaria (a cura di), I linguaggi settoriali in Italia, Bompiani, Milano, 1973