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INTRODUZIONE
Il movimento della Qualità Totale, nato nella seconda metà del XX
secolo, quale il più moderno approccio alla qualità organizzativa e
gestionale, nonché frutto di una costante evoluzione dei sistemi
qualitativi che si sono succeduti sino alla sua formazione, costituisce
oggi il metodo organizzativo che più si adatta ai ritmi ed alle esigenze
del mercato attuale.
Come per gli studi sull‟evoluzione della specie di Darwin,
l‟evoluzione subita dalle aziende viene imposta dall‟ambiente che la
circonda. Se, in un dato periodo storico, una certa teoria organizzativa
risulta la più adatta a sopravvivere nell‟ambiente, essa sarà ritenuta di
qualità superiore rispetto alle altre. A questo punto, ogni azienda che
non vuole soccombere dovrà evolversi, stare al passo con la
tecnologia ed adeguarsi alla neonata teoria dominante - che è, essa
stessa, tecnologia. L‟intera evoluzione del concetto di Qualità
aziendale e della struttura delle aziende viene, dunque, tracciata dal
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susseguirsi delle teorie aziendali che hanno dominato nel loro periodo
storico. Queste teorie, a propria volta, sono la derivazione delle varie
realtà aziendali e delle relative prospettive di miglioramento, che sono
influenzate, essenzialmente, dall‟esperienza maturata e dal
progressivo livello tecnologico costituito.
Fino al 1900, gli effetti della rivoluzione industriale non avevano
ancora invaso i sistemi produttivi, che erano prettamente di tipo
artigianale. Tali sistemi comportavano costi di produzione esorbitanti
e, di conseguenza, limitativi erano i prezzi. In quanto, la produzione
artigianale non conosceva i vantaggi che avrebbero apportato i primi
macchinari industriali ed il lavoro era essenzialmente manuale,
organizzato e svolto secondo la propria esperienza personale.
Successivamente, il sopravvento delle teorie classiche segnò
l‟inizio dell‟era industriale. I metodi di fabbricazione vennero studiati
e, con il supporto della scienza, ideati per ottenere il massimo
rendimento. Tali metodi si fondavano sull‟esigenza di razionalizzare il
sistema organizzativo in modo da poter ridurre gli stratosferici costi di
ogni singolo prodotto, che comportava la produzione artigianale. La
razionalizzazione dei metodi produttivi non poteva che prevedere
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l‟adozione dei macchinari industriali e la specializzazione del lavoro.
Si venne cosi rarefacendosi il mestiere dell‟artigiano, che operava in
tutte le fasi del ciclo produttivo, per fare largo ai lavori specializzati,
ciascuno, in una o poche fasi della produzione e, spesso,
comportavano che il lavorare operasse in una precisa postazione lungo
la cosiddetta “catena di montaggio”, su cui scorrevano gli elementi in
input che, nello passare attraverso le varie postazioni di lavoro, si
trasformavano in output per la vendita o per altri processi.
L‟acquisto dei macchinari necessari per l‟adozione del neonato
sistema di produzione era indubbio che necessitasse di grossi
investimenti, per il cui smaltimento era richiesta una produzione
imponente, tale da minimizzare l‟incidenza dei costi fissi su ogni
prodotto finale. Per ottenere una produzione di tale portata doveva
necessariamente sacrificarsi la personalizzazione dei prodotti che,
invece, era massima nella produzione artigianale: si trattava di
sacrificare la personalizzazione del prodotto per renderlo accessibile a
tutti.
Nasce cosi la produzione di massa, caratterizzata dalla pressoché
totale standardizzazione delle mansioni che, a fronte degl‟indiscussi
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miglioramenti nella produttività (rispetto al lavoro artigianale),
tenevano poco in considerazione le esigenze emotive del lavoratore.
Le teorie classiche, infatti, concepivano quest‟ultimo quasi come
un‟appendice delle macchine presso le quali lavorava.
A cavallo tra il 1920 ed il 1930, la scuola delle Relazioni Umane,
capitanata da Elton George Mayo, tracciò un‟inversione di rotta per il
concetto di Qualità nell‟organizzazione e nella gestione del personale.
Fino ad allora, infatti, gli strumenti di Qualità per organizzare e gestire
i dipendenti (come appena si è detto) erano strumenti finalizzati a
massimizzare la resa della forza lavoro disponibile in azienda,
totalmente insensibili agli effetti che questi causavano sul lavoratore,
in quanto essere umano. Questo, proprio perché ai tempi non esisteva
il concetto di Risorsa Umana: le teorie classiche, in particolar modo
quelle Tayloriste, erano fondate su di una errata concezione
dell‟uomo, in quanto ignoravano l‟importanza (e, forse, persino la
presenza) del cosiddetto “fattore umano”. Fattore che rappresenta il
lato irrazionale ed emotivo dell‟uomo e che si è, col tempo, dimostrato
essere un componente indelebile di ogni lavoratore.
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Gli studi fatti dalla scuola delle R. U. evidenziano gli effetti nocivi che
i sistemi classici causano alla psiche dei dipendenti, con le inevitabili
ripercussioni sulla qualità del lavoro svolto. Benché riconoscessero
l‟indubbio miglioramento (in termini di produttività) portato dal
metodo classico rispetto al precedente sistema artigianale, il Mayo e i
suoi seguaci ritenevano che una più corretta considerazione delle
esigenze dei lavoratori avrebbe eliminato il sentimento di frustrazione
degli operai, migliorato il loro rendimento, anche per via del
contenimento dell‟esorbitante turnover. Ed, infine, si sarebbe sedato il
crescente malcontento a livello sia sociale che politico, che
inevitabilmente si riversava sulle aziende orientate verso le teorie
classiche.
Tra gli anni ‟50 e „60, sia per la trasformazione culturale che,
soprattutto, per via dell‟aumento della competizione sul mercato,
frutto anche del progresso tecnologico che rese sempre meno
necessari i grossi investimenti in capitale fisso, adeguarsi alle teoria
mayoiste era diventato ormai indispensabile. Venne in quegli anni
consolidandosi l‟idea che: a fare Qualità non fossero i dirigenti bensì i
lavoratori. Ed è proprio su questa scia che presero forma i due
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movimenti della Qualità Totale: il Company Wide Quality Control
(CWQC) - per il Giappone - ed il Total Quality Control (TQC), ideato
da Feigenbaum e, successivamente coniato da Deming in Total
Quality Management (TQM) – per l‟occidente.
I sistemi della Qualità Totale rappresentano lo step evolutivo
successivo della qualità, per come era vista dal Mayo, nella gestione
ed organizzazione aziendale e fanno leva proprio sul quel fattore che
all‟inizio del secolo veniva visto, dal pensiero classico, quale
l‟ostruzione principale sia per l‟organizzazione che, di conseguenza,
per lo stesso progresso economico: il fattore umano.
I sostenitori del Total Quality, infatti, non solo riconoscevano e
rispettavano lo spirito sociale ed i bisogni psicologici dei lavoratori in
quanto (come sosteneva il Mayo) questi fossero inseparabili dalla loro
parte razionale e tentare di combatterli ignorandoli sarebbe stato
controproducente, ma anche tale fattore un vero e proprio valore
aggiunto per l‟azienda: un potenziale che sarebbe grave non sfruttare.
L‟approccio adottato dal Total Quality e, in particolar modo, dal
CWQC, è un approccio decisamente innovativo: il lavoratore non
veniva visto solo come forza lavoro (ed in questo, sicuramente, meno
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produttivo e meno razionale di una macchina a controllo numerico
computerizzato), ma egli veniva soprattutto apprezzato proprio per ciò
che lo distingueva dal computer, cioè per la sua parte irrazionale. In
quanto, è proprio in essa che risiede la creatività, che è la chiave del
miglioramento continuo; chiave di cui nessun “cervello” elettronico,
per quanto evoluto, a mio avviso, può disporre.
Il seguente testo osserva l‟evoluzione che i sistemi di qualità nella
gestione della risorse umane hanno subito dall‟era preindustriale a
quella attuale. Esso si articola di tre capitoli, i quali raccontano, in
ordine cronologico, le tre principali tappe evolutive, di cui si è
accennato sino ad ora: il capitolo 1 parla della scuola classica e dei sui
fondamentali esponenti (F. W. Taylor, H. Fayol e M. Webber), il
secondo capitolo racconta della scuola delle RU di E. Mayo e dei suoi
seguaci mentre il terzo capitolo descrive i tratti generali del
movimento della Qualità Totale in relazione all‟organizzazione e
gestione delle Risorse Umane.
Infine, nei concetti conclusivi vengono messi in luce i principali
fattori che hanno influito sull‟evoluzione dei sistemi di qualità
nell‟organizzazione e nella gestione delle RU, nel corso del XX
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secolo, e che hanno fatto si che il lavoratore, al giorno d‟oggi, venga
considerato come la risorsa più preziosa per qualsiasi organizzazione.
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Capitolo 1:
La scuola classica
La scuola classica nasce nella prima meta del XX secolo in Francia,
Inghilterra e negli Stati Uniti, con l‟intento di ottimizzare la
produttività dei dipendenti attraverso la loro specializzazione in
mansioni che prevedono pochissime operazioni semplici e ripetute
continuamente nel tempo. I tre esponenti principali della scuola
classica sono: Frederick Winslow Taylor, Henry Fayol e Max
Webber, dei quali si discuterà nei paragrafi successivi.
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Par 1.1: LA DIVISIONE DEL LAVORO SECONDO SMITH
Una teoria simile a alle posteriori, portate avanti dalla scuola classica,
fu quella che, attraverso il celebre esempio della fabbrica di spilli,
avanzò Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni” nel 1776.
Servendosi di tale esemplificazione, il filosofo scozzese
preannunciava quello che sarebbe stato il passaggio dalla produzione
artigianale verso quella di tipo industriale, passaggio peraltro imposto
dalla rivoluzione industriale inglese.
L‟esempio constava nel mettere a confronto la produzione di una
piccola impresa artigianale con quella di un stabilimento altrettanto
piccolo che, però, adotta un metodo di produzione di tipo industriale,
per vedere quella tra le due fosse in grado di produrre al costo unitario
più basso un determinato prodotto (nello specifico, una scatola di
spilli). Il risultato fu che l‟organizzazione “industriale” permetteva di
produrre ad un costo unitario molto più ridotto rispetto alla azienda
artigiana.
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La causa di questa forte differenza di costo unitario e, quindi, di
minimo prezzo praticabile era da imputarsi, riteneva Smith, al metodo
di produzione utilizzato dalle due diverse organizzazioni.
Nell‟impresa artigiana ogni dipendente cura l‟intero ciclo di
produzione dello spillo, dall‟ingresso in fabbrica sino alla sua
realizzazione, per poi ricominciare adoperandosi per la fabbricazione
dello spillo successivo, e cosi via.
Nell‟industria, invece, il lavoratore cura solo una specifica fase del
ciclo produttivo per poi “passare il testimone” al dipendente preposto
alla fase successiva, il quale apporterà ulteriori modifiche al
semilavorato in ingresso e l‟output che otterrà sarà l‟input per il
dipendente della fase successiva, e cosi via, sino all‟ottenimento del
prodotto finale pronto per la vendita.
Smith riteneva che il metodo di produzione industriale conosciuto
come “catena di montaggio”, in quanto limitante ciascuna mansione a
poche operazioni da ripetersi continuamente nel tempo, permeva una
maggiore specializzazione dei dipendenti e, quindi, una maggiore
produttività di questi ultimi.
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In riferimento alla suddetta azienda industriale, ne “La ricchezza delle
nazioni”, libro primo, l‟autore citava testuale: <<ho visto una piccola
manifattura di questo tipo dov‟erano impiegati soltanto dieci uomini..
Ma, sebbene fossero molto poveri e solo mediocremente dotati delle
macchine necessarie, erano in grado, quando ci si mettevano, di
fabbricare.. più di quarantottomila spilli al giorno. Si può dunque
considerare che ogni persona, facendo la decima parte di
quarantottomila spilli, fabbricasse quattromilaottocento spilli al
giorno. Se, invece, avessero lavorato tutti in modo separato e
indipendente.. non avrebbero certamente potuto fabbricare neanche
venti spilli al giorno per ciascuno, forse neanche un solo spillo al
giorno.. neanche la quattromilaottocentesima parte di quello che sono
attualmente in grado di fare, grazie ad una adeguata divisione e
combinazione delle diverse operazioni.>> e prosegue dicendo: <<La
divisione del lavoro, comunque, nella misura in cui può essere
introdotta, determina in ogni mestiere un aumento proporzionale delle
capacità produttive del lavoro>>.