4
Introduzione – 1. L’oggetto di studio e le linee evolutive del discorso
L’oggetto di studio di questo lavoro riguarda l’analisi comparata del processo di integrazione
europea, con un interesse particolare rivolto alla posizione dei gruppi parlamentari nel
dibattito politico-parlamentare al Parlamento Europeo (PE), alla Camera dei Deputati e
all’Assemblee Nationale nel periodo 1989-1994. A questa non può non aggiungersi un’attenta
valutazione delle posizioni degli stati nazionali all’interno delle negoziazioni, ed uno spunto
importante su questo versante potrà emergere analizzando queste strategie anche dall’interno,
almeno per quanto riguarda Italia e Francia in particolare.
La scelta del periodo di riferimento è direttamente legata alle idee portanti della tesi, di cui si
cerca conferma nei testi e nei documenti utilizzati per la stesura; specificamente, subito dopo
le agitazioni e le spinte alla democratizzazione avviatesi tra la fine del 1988 e l’inizio del
1989 nell’Europa dell’Est – in Polonia ed Ungheria in particolare
1
– il progetto europeo
cambia fisionomia e piuttosto rapidamente si crea un consenso diffuso tra i leader europei
sulla necessità di “fare l’Europa”, accelerare il processo di integrazione dei dodici con
l’obiettivo di abbandonare l’Europa “commerciale” ed avanzare verso un effettivo
coordinamento delle politiche comunitarie esteso all’ambito economico, finanziario, politico.
Questi processi sono fortemente influenzati e quasi resi “necessari” – o percepiti come tali
dalle principali potenze europee - dallo “scricchiolamento” del regime della Germania
Orientale, la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Queste fasi storiche, repentine e dalla portata devastante – al punto da trasformare equilibri
politici emersi dal secondo conflitto mondiale – rafforzano alcuni aspetti della
globalizzazione economica e finanziaria avviati tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni
’80, e pongono le basi per il tanto atteso rafforzamento delle istituzioni comunitarie
2
. La
prospettiva della riunificazione tedesca, infatti, fornisce un grosso impulso alla costruzione
europea, considerando che il ritorno ad una “grande Germania”
3
, motore economico
dell’Europa con circa ottanta milioni di abitanti, “preoccupa ed è talora palesemente
osteggiata, ma alla quale ci si rassegna, purchØ l’integrazione europea garantisca dai
<<rischi>> di una Germania tornata troppo potente”
4
.
Tenendo in considerazione questi fattori, si capisce come la fine degli anni ’80 rappresenti un
1
Cfr. Giuseppe Mammarella, Storia d’Europa dal 1945 ad oggi, Laterza, Bari 2003, pp. 542-544.
2
Cfr. Sandro Rogari, L’età della globalizzazione. Storia del mondo nell’età contemporanea, Utet 2008, pp. 567-
568.
3
Come ci sarà modo di capire piø avanti, il timore dello strapotere tedesco è molto piø diffuso in Francia (seppur
solo tra alcune forze politiche) e al Parlamento Europeo piuttosto che in Italia, anche per ovvie ragioni legate al
ruolo secondario giocato nello scacchiere politico europeo.
4
Sandro Rogari, op. cit., p. 567.
5
periodo di svolta non solo a livello globale per la fine del mondo bipolare, ma anche a livello
europeo, laddove la sfida principale sarà quella di dare all’Europa un ruolo da attore forte e
coerente nell’ambito internazionale. Uno degli obiettivi di questo lavoro, perciò, è l’analisi dei
suddetti processi acceleratisi in seno alla nascente Unione Europea, cercando di presentare gli
sviluppi interni a livello italo-francese ed al Parlamento Europeo in un periodo storico molto
intenso per la costruzione europea, che parte dal semestre di presidenza francese delle
cosiddette Comunità Europee (luglio-dicembre 1989) e dalla situazione tedesca ed europea
all’indomani della caduta del muro di Berlino, passa attraverso due anni di negoziazioni sulla
nuova “architettura europea” emersa dal summit del Consiglio Europeo di Strasburgo dell’8-9
dicembre 1989, e culmina con il Consiglio Europeo di Maastricht nel dicembre 1991. Come
avremo modo di vedere, l’accordo raggiunto a Maastricht segna un punto di arrivo ma anche
l’inizio di un periodo di riflessione sull’Europa e sul suo destino, laddove il processo di
ratifica sarà molto lento e caratterizzato da diversi ostacoli
5
. Dopo aver analizzato questi
quattro anni di storia europea, che ne hanno profondamente cambiato il senso e gli obiettivi
futuri, l’ultima parte del lavoro è dedicata ad una piccola riflessione sugli scenari creati dal
Trattato di Maastricht (detto anche “trattato istitutivo dell’Unione Europea”, TUE) ed
un’Europa avviata inevitabilmente all’allargamento su piø fronti.
Soffermarsi troppo sulla rilevanza dell’argomento studiato può forse rilevarsi inutile,
considerando il ruolo attualmente giocato dall’Unione Europea e gli innumerevoli ambiti della
vita politica, sociale,economica e giuridica sui quali agisce
6
, tra cui la politica agricola
comune (PAC), le politiche di coesione ed i fondi strutturali atti a ridurre le forti disparità
economiche e di sviluppo tra le regioni europee, il commercio estero, la politica estera e di
sicurezza comune … etc.
Piø specificamente, può rilevarsi interessante dar vita ad uno studio che, senza mettere in
secondo piano le logiche inter-nazionali (ovvero relative agli interessi per cui spingono i
singoli stati nelle negoziazioni europee), si soffermi maggiormente sulle logiche interne al
dibattito italo-francese ed europeo. Si tratta, perciò, di mettere in luce ciò che c’era dietro e
prima dei dibattiti europei e degli incontri “a porte chiuse” nei summit tra capi di stato del
Consiglio Europeo.
Al centro dell’analisi che seguirà ci sono le policies sostenute dai partiti nazionali e quelli
europei sulle politiche europee ed il dibattito sulla costruzione europea, con l’obiettivo di
vedere se e quanto contano i gruppi parlamentari europei (che rapporto c’è, ad esempio, tra le
5
Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, Storia e politica dell’Unione europea, Laterza, Bari 2003, pp. 253-258.
6
Cfr. William I. Hitchcock, Il continente diviso. Storia dell’Europa dal 1945 ad oggi, Carocci, Roma 2003, pp.
566-569.
6
richieste del PE e quanto sancisce il Consiglio Europeo, che all’epoca aveva un ruolo
dominante?) e le differenti visioni della politica europea nei dibattiti alla Camera dei Deputati
e all’Assemblee Nationale francese
7
. Un’altra ipotesi di fondo si riferisce alle possibili
differenze tra le politiche proposte nei dibattiti nazionali e quelli al Parlamento Europeo: i
deputati dell’Udf e del Rpr, per esempio, agiscono coerentemente rispetto ai loro colleghi - in
maggioranza - rispettivamente liberali-centristi e conservatori? A livello italiano, invece,
dovremmo attendere una maggiore uniformità oppure i rappresentanti italiani al PE tendono
“ad abbassare il tiro”, considerando realisticamente le aspettative (generalmente molto meno
europeiste, perlomeno nelle dichiarazioni) degli altri stati membri
8
? Inoltre, sempre in
riferimento al rapporto tra logiche inter-statali e visione politica improntata sulla Comunità,
cosa emerge dai dibattiti? E’ sempre la logica nazionale a prevalere, specialmente nei gruppi
espressione di partiti al governo, oppure non si esita a criticare il proprio paese pur di mettere
in luce i possibili esiti positivi sullo sviluppo dell’integrazione europea? Questo ultima
domanda potrebbe funzionare come una sorta di indicatore della concezione del ruolo dei
parlamentari europei, ovvero se tendono a vedersi come rappresentanti nazionali, dato che la
loro legittimità resta a livello nazionale, oppure se avevano già sviluppato una concezione piø
orientata al loro impegno europeo. La risposta a questa domanda dovrebbe originarsi dall’
“incrocio” tra l’analisi dei dibattiti, laddove si può misurare in parte l’intensità delle priorità
dei parlamentari, e degli studi
9
condotti sugli europarlamentari tramite inchiesta campionaria
sulla percezione del loro ruolo e dei “fuochi di interesse”.
Un ulteriore quesito, di portata piø generale, riguarda i risultati raggiunti dal Trattato di
Maastricht e la valutazione postuma delle conseguenze al momento della sua entrata in
vigore, considerando che diverse aree regolate dal trattato erano già previste da lungo tempo,
come l’ambito economico-finanziario e la realizzazione del mercato unico interno. In base
alla letteratura e ai documenti consultati, il compromesso raggiunto rappresenta una risposta
corrispondente alle attese dei soggetti in gioco? Chi lo vede come un successo o una sconfitta,
e perchè? E perchè subito dopo l’approvazione del trattato si sviluppa una sorta di “crisi
europea”? Ha ragione Di Quirico a sottolineare come dopo anni di attese e di trattative molto
7
Italia e Francia rappresentano sicuramente due casi interessanti considerando il sistema multi-partitico che
entrambe avevano a fine anni ’80, laddove trovavano spazio d’espressione anche forze “anti-sistema” o
innovative, come il PCI, l’MSI e soprattutto dal 1992 la Lega Nord in Italia; il PCF, il Front National, i Verdi e
Generazione ecologia in Francia.
8
Sono molto frequenti nei dibattiti parlamentari italiani sulle questioni europee, infatti, i riferimenti da parte dei
partiti di governo (DC - PSI - PSDI - PRI – PLI) ad una sorta di “primato dell’europeismo” italiano,
contrapposto alle ambizioni molto piø modeste ed essenzialmente “intergovernative” piø diffuse tra vari paesi
dei Dodici (specialmente, ma non esclusivamente, in Inghilterra e Danimarca).
9
Cfr. a riguardo L. Bardi, Il Parlamento della Comunità Europea, Il Mulino, Bologna 1989.
7
dure sia emersa la volontà di “fare l’Euro ma non l’Europa”
10
?
Il materiale utilizzato per cercare di rispondere a queste domande è composto da studi che
rivedono il periodo di riferimento, quindi i grandi cambiamenti su scala globale relativi alla
caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, e gli atti parlamentari
con i testi dei dibattiti parlamentari tenutisi al Parlamento Europeo (forniti in lingua inglese),
alla Camera dei Deputati e all’Assemblee Nationale (rispettivamente in italiano e francese
così come negli interventi degli oratori). Altri documenti importanti per lo studio dei processi
politici nella Comunità sono le pubblicazioni emerse dalle riunioni dei dodici capi di stato al
Consiglio Europeo, precisamente da quello di chiusura del semestre di presidenza spagnola
del 1989 (Madrid, 26-27 giugno 1989) fino alla fine del 1993-inizio 1994. Questi documenti
forniscono un quadro delle posizioni comuni emerse dalle negoziazioni e permettono di
scandire il ritmo dei progressi ottenuti di semestre in semestre, oltre che di valutare il ruolo,
piø o meno propulsivo, delle varie presidenze di turno della Comunità. Inoltre, gli atti si
inseriscono in un quadro composto dai “reports” pubblicati dai Comitati della Comunità
attinenti alle questioni studiate, specialmente il Comitato affari istituzionali, il Comitato
Affari politici ed il “Comitato temporaneo per considerare l’impatto del processo di
unificazione tedesca sulla Comunità europea”.
Per quanto riguarda il filone interpretativo, un valido supporto è rappresentato dalla macro-
lettura del periodo di riferimento fornita da Sandro Rogari in “L’età della globalizzazione.
Storia del mondo nell’età contemporanea” e di Giuseppe Mammarella con “Storia d’Europa
dal 1945 ad oggi”, oltre a “Il continente diviso. Storia dell’Europa dal 1945 ad oggi” di
William I. Hitchcock
11
, che offre una lettura dello sviluppo dell’Unione Europea attraverso la
“lente statunitense”. Inoltre, sul processo di integrazione europea, si rivelerà molto
interessante e produttiva la comparazione dei testi già citati, le “fonti primarie” ovvero i
dibattiti ed i documenti dell’Unione Europea ed altri volumi piø specifici sull’integrazione
europea che riperorrono le tappe che hanno portato a Maastricht, assumendo sia prospettive di
ampio raggio che state-centered. I principali lavori consultati in questo ambito sono “Storia e
politica dell’unione europea” di Mammarella e Cacace, “L’Europa difficile”
12
di Bino Olivi,
“The Road to Maastricht: Negotiating Economic and Monetary Union” di Dyson e
Featherstone
13
, “The Choice for Europe. Social Purpose and State Power from Messina to
10
Cfr. Roberto Di Quirico, L’Euro ma non l’Europa, Il Mulino, Bologna 2007.
11
Cfr. William I. Hitchcock, op. cit.
12
Bini Olivi, L'Europa difficile, Il Mulino, Bologna 2000.
13
K. Dyson – K. Featherstone, The Road to Maastricht : Negotiating Economic and Monetary Union, Oxford
University press, New York 1999.
8
Maastricht” di Moravcsik
14
, “L’Euro ma non l’Europa”
15
(Di Quirico) ed un testo con focus
specifico sul ruolo di Francia e Germania: “France and Germany at Maastricht. Politics and
Negotiations to Create the European Union” di Colette Mazzucelli
16
. Infine, per quanto
concerne i gruppi parlamentari europei ed i referendum tenutisi sull’integrazione europea, dei
riferimenti importanti sono i lavori di Bardi (“Il Parlamento della Comunità Europea”), Bardi
e Ignazi (“Il Parlamento Europeo”
17
) e Simon Hug, “Voices of Europe. Citizens,
Referendums, and European Integration”
18
.
2. La congiuntura internazionale degli anni ’80 ed il quadro politico nella (e) Comunità:
cenni storici da Fontainebleu - Milano (1984-1985) all’estate 1989
Nel decennio che va dalla fine degli anni ’70 e che culmina con la caduta del muro di Berlino,
l’Europa e gli scenari a livello politico ed economico su scala mondiale subiscono dei
profondi cambiamenti. Dopo oltre trent’anni di stabilità, che avevano essenzialmente portato a
rafforzare il modello di governance keynesiano e un equilibrio geopolitico bipolare emerso
dalla seconda guerra mondiale, gli anni ’80 segnano un punto di rottura. Se fino ad allora, lo
sviluppo di modelli di welfare diffusi e quasi onnicomprensivi aveva garantito un
rafforzamento delle istituzioni politiche dovuto al controllo delle spese – che passavano
principalmente dalla mano pubblica – e al perseguimento di “politiche redistributive e di
riallocazione delle risorse, oltre che di strumenti di governo programmato dello sviluppo”
19
,
questo decennio è caratterizzato da una “virata verso destra” del modello politico-economico
dominante. Il successo dei conservatori in Inghilterra e negli Stati Uniti, aprono la via al
decennio di Reagan e della signora Thatcher, che modificano drasticamente gli equilibri
macro-politici dell’epoca sostenendo politiche liberiste e votate alla deregulation dei mercati,
oltre che ad una forte riduzione del peso dello stato nell’economia, seguita da un netto
abbassamento della pressione fiscale. Questo processo si estese agli altri paesi industrializzati,
laddove le politiche socialiste tradizionali entrarono in crisi, rimettendo in gioco in diversi
14
Andrew Moravcsik, The Choice for Europe. Social Purpose and State Power from Messina to Maastricht,
Routledge, London 2003.
15
Roberto Di Quirico, op. cit.
16
Colette Mazzucelli, France and Germany at Maastricht. Politics and Negotiations to Create the European
Union, Garland Publishing, New York and London 1997.
17
L. Bardi – P. Ignazi, . Il Parlamento europeo, Il Mulino, Bologna 1999.
18
Simon Hug, Voices of Europe. Citizens, Referendums, and European Integration”, Rowman & Littlefield
Publishers, New York 2002.
19
Sandro Rogari, op. cit., p. 586.
9
contesti la stessa visione socialista del rapporto tra politica economica statale e forze del
mercato. Si trattava di una sorta di “conversione forzata”, laddove il passaggio ad un’Europa
con <<meno Stato e piø mercato>> era essenzialmente una risposta necessaria per
fronteggiare la crisi economica e il declino di un mercato destinato ad innovarsi per via dei
ritmi incessanti della globalizzazione economica e finanziaria.
20
.
Il nuovo “paradigma economico”, perciò, portava con sØ anche importanti conseguenze dal
punto di vista politico: se fino ad allora il modello keynesiano aveva chiaramente favorito i
governi socialisti, lo scenario economico-finanziario degli anni ’80 mette inevitabilmente in
crisi i partiti di governo di centro-sinistra, laddove la destra ed i partiti conservatori
ritornavano al potere in diversi stati-chiave. Un altro fattore decisivo che colpiva la sinistra
tradizionale veniva dalle conseguenze della globalizzazione del mondo del lavoro: i processi
di rinnovamento del mondo del lavoro favorivano – specialmente nell’Occidente
industrializzato – il settore terziario e la delocalizzazione delle produzioni di massa verso quei
paesi che avevano liberalizzato dal punto di vista economico e che garantivano costi di
manodopera nettamente inferiori. Di conseguenza, si verificava uno svuotamento
dell’elettorato tradizionale della sinistra, la classe operaia, e tutto ciò favoriva l’emersione di
nuove “classi sociali”, l’aumento di una nuova classe media piø variegata (composta da
colletti bianchi, ricercatori e tanti altri lavoratori impegnati in una società “liquida”
21
,
polifunzionale) e molto meno esposta alla cultura ed ai valori di riferimento della generazione
precedente
22
.
Per quanto riguarda la distribuzione del consenso al Parlamento europeo, i cambiamenti
avviatisi negli anni ’80 sembrano aver dato i loro frutti dopo un decennio: se fino alle elezioni
del 1994 i socialisti si confermavano primo gruppo – seppur con uno scarto costantemente in
ribasso rispetto ai cristiano-democratici – le elezioni del 1999 segnano il sorpasso, e
l’ingresso dei nuovi 12 paesi sembra aver aumentato questo divario, arrivato ad oltre 80 seggi
nelle ultime elezioni del giugno 2009 (dove il Ppe si garantiva 265 seggi contro i 184 dei
socialisti)
23
.
Se a tutto ciò, si aggiunge il fatto che l’inizio degli anni ottanta segna anche l’avvio della
nuova sfida portata dal fenomeno dell’immigrazione (e delle relative politiche “dure”
proposte da vari partiti nazional-populisti in Europa, tra cui il Front National in Francia, i
20
Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., p. 524.
21
Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.
22
Ibidem, p. 523.
23
Sui dati vedi: L. Bardi – P. Ignazi, op. cit., p. 101 e
http://www.europarl.europa.eu/parliament/archive/staticDisplay.do?id=191&language=en.
10
Republikaner tedeschi e il BNP, British National Party, nel Regno Unito
24
) si possono
comprendere meglio le difficoltà dei governi socialisti dell’epoca.
Il 1979 segna l’inizio della politica ultra-conservatrice della Thatcher in Inghilterra, che in
undici anni cambierà radicalmente la società britannica e giocherà un ruolo (frenante)
decisivo nelle negoziazioni dei capi di stato europei sugli sviluppi della comunità: il primo
ministro inglese sosterrà con decisione politiche liberiste e di apertura delle frontiere
commerciali all’interno dell’Unione, a partire dall’Atto unico (1986), in coerenza con il suo
background ideologico e con la volontà politica di opporsi ad ogni svolta federale
dell’Unione, alle regolamentazioni sul mercato e alle nazionalizzazioni, seguendo l’approccio
reaganiano della deregulation
25
.
Il nuovo scenario internazionale favorì anche la creazione della prima coalizione moderata tra
CDU e liberali in Germania alle elezioni del 1982, guidata da Helmut Kohl, che seguì le
spinte alla liberalizzazione dell’economia e alla riduzione del peso dello stato sociale sul
budget statale. Ciò nonostante, la spesa pubblica tedesca rimase a livelli importanti (intorno al
50% del PIL) e – nonostante lo scandalo che colpì il suo partito – il cancelliere riuscì ad
imporsi anche nelle elezioni del 1987
26
e si trovò a giocare un ruolo decisivo negli sviluppi
compulsivi del 1989 sia a livello interno che nel nuovo quadro europeo.
Proprio mentre “l’onda conservatrice” arrivava in Europa, la Comunità faceva una serie di
passi in avanti: il 1979 è l’anno delle prime elezioni del Parlamento Europeo di Strasburgo,
che portava a compimento un obiettivo storico dei federalisti europei, seppur si trattasse di un
Parlamento di fatto esautorato di una sua autorità, perchØ fortemente subordinato ai
parlamenti nazionali e dotato di poteri molto limitati. A questo si aggiungeva l’avvio dello
SME (approvato nell’aprile 1978, l’Italia vi entrerà solo un anno piø tardi), il Sistema
monetario europeo, un passo rilevante verso una politica finanziaria comune e che aveva
l’obiettivo principale di ridurre il gap dei rapporti di cambio tra le valute dei paesi europei.
Ciò nonostante, era un sistema “a due velocità”, con una doppia banda di oscillazione, fissata
al 6% per le monete deboli e al 2,5% per quelle piø forti
27
.
Si può dire, perciò, che c’era stata una sorta di reazione all’interno della Comunità in merito
alla necessità di “andare avanti” e rispondere ai cambiamenti apportati dalla globalizzazione
economico-finanziaria, per evitare anche una crisi nei rapporti intergovernativi che avrebbe
potuto segnare una battuta d’arresto definitiva a livello di cooperazione europea; ciò detto, i
24
Sull’argomento, Cfr. Marco Tarchi, L’Italia populista, Il Mulino, Bologna 2003 e Pierre-AndrØ Taguieff,
L’illusione populista, Bruno Mondadori, Milano 2003.
25
Cfr. Sandro Rogari, op. cit., pp. 521-522.
26
Ibidem, pp. 519-520.
27
Cfr. Giuseppe Mammarella, op. cit., pp. 483-485.
11
primi anni ottanta rappresentano un periodo piuttosto difficile per la Comunità
28
. I negoziati
sull’allargamento della Comunità avevano reso piø tesi i rapporti tra gli stati membri, e la “CE
aveva anche sprecato una buona quantità di tempo prezioso, durante il quale gli Stati Uniti, il
Giappone e le economie asiatiche recentemente industrializzate avevano visto una rapida
espansione”. Si era diffusa, perciò, la percezione di dover avviare riforme importanti per stare
al passo con i cambiamenti e non ridurre la politica europea ad una semplice “lottizzazione”
dei fondi destinati alla PAC, la politica agricola comune. Si trattava della sfida piø importante
che la Comunità avesse mai affrontato, perchØ oltre a lavorare sulle strutture istituzionali,
bisognava trovare una visione comune sugli obiettivi di fondo, dare dei contorni precisi al
“progetto europeo”.
Sebbene il Parlamento europeo approvasse nel luglio 1981 la creazione di una Commissione
istituzionale incaricata di lavorare sulle riforme da applicare, qualcosa iniziò a muoversi solo
qualche anno piø tardi. Il 14 febbraio 1984 venne approvato l’ambiziosissimo “progetto
Spinelli”, che ispirato dalla passione federalista del suo ideatore, proponeva un nuovo Trattato
che sostituisse tutti i precedenti per trasformare la Comunità in Unione, prospettando una
sorta di federazione
29
. Il documento auspicava anche una modifica dei poteri istituzionali,
lasciando al Consiglio europeo il ruolo centrale, coadiuvato però da Parlamento e
Commissione che avrebbero avuto piø poteri, avvicinandoli a quelli dei parlamenti nazionali.
A questi si sarebbe aggiunta una sorta di seconda Camera che avrebbe condiviso il potere
legislativo con il Parlamento, il Consiglio dell’Unione. Oltre alla questione della distribuzione
dei poteri inter-istituzionali, il progetto lanciava il concetto di sussidiarietà per la gestione
delle competenze tra l’Unione e gli stati nazionali: Spinelli metteva al centro del dibattito un
termine che, seppur era già presente nei lavori preparatori per il Trattato di Roma del 1957
diverrà cruciale di lì a qualche anno a venire nelle negoziazioni per l’Atto Unico (1986) e
specialmente per il Trattato di Maastricht (1992), dove verrà incluso ufficialmente.
Tuttavia, il “progetto Spinelli” non ebbe molta fortuna in sede di approvazione: dopo aver
ottenuto il sostegno del presidente di turno della Comunità nel primo semestre 1984, il
francese Mitterrand - che aveva addirittura parlato della necessità di dare vita ad un nuovo
trattato che prefigurasse “un’Europa politica”
30
– al Consiglio di Fontainebleau, uno dei piø
importanti della storia comunitaria, venne completamente ignorato. Nonostante ciò,
Fontainebleau 1984 segna un punto di rottura decisivo, perchØ il dinamismo della presidenza
francese aveva fatto in modo di creare quel “vento del cambiamento” che porterà al Consiglio
28
Cfr. William I. Hitchcock, op. cit., p. 549.
29
Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 193-194.
30
Cfr. Bini Olivi, op. cit., pp. 221-222.
12
di Milano nel 1985.
Il 1985 viene considerato un anno di svolta anche per l’arrivo alla presidenza della
Commissione di Jacques Delors, personalità di spicco e dall’altro profilo politico e morale,
oltre che cittadino francese e supportato dal presidente Mitterrand, espressione quindi di un
paese centrale nelle negoziazioni europee
31
. Delors riuscirà a guidare e stimolare
costantemente i lavori della Commissione ed i progressi della Comunità per circa 9 anni
(1985-1994), quando verrà sostituito dal lussemburghese Santer, con l’intento – neanche
troppo celato – di evitare un’altra figura di spicco. Il nuovo “team” della Commissione non
sprecò tempo e pubblicò “Il Programma Novanta”, un libro bianco che stendeva le linee
guida per lo sviluppo della Comunità nei dieci anni futuri.
Si era aperta, perciò, una stagione di cambiamento, o per dirlo con le parole della
Commissione, “l’Europa si trova ad un bivio. O andiamo avanti con risoluzione e
determinazione oppure ricadiamo indietro nella mediocrità. Rinunciare significherebbe non
essere all’altezza dei fondatori della Comunità”
32
. La volontà di dare una spinta innovativa
prevalse nel Consiglio di Milano del 28 e 29 giugno 1985, laddove si posero le basi per le
difficili negoziazioni che portarono all’Atto unico. Bettino Craxi mise sul tavolo la necessità
di modificare la norma sull’unanimità nelle votazioni, elemento cruciale del “blocco
decisionale” negli incontri intergovernativi, considerando che i buoni propositi di diversi
paesi sulla necessità di accelerare l’integrazione europea non erano quasi mai seguiti da azioni
coerenti e decise che potessero cambiare gli equilibri in gioco. In un’Europa che stava
perdendo l’unità d’intenti iniziale, quella dell’ “Europa a sei” del dopoguerra, l’obiettivo di
fondo era la ricerca del compromesso a tutti i costi, per evitare la rottura di chi privilegiava
l’aspetto economico-commerciale e non era disposto a spingersi piø in là, come la Gran
Bretagna
33
. Su questa scia, tra il settembre e il dicembre 1985 si tennero negoziati molto duri
sotto l’egida della presidenza lussemburghese, che videro un’opposizione netta tra le richieste
del Parlamento europeo (ispirato dal “progetto Spinelli”) e la volontà dei governi, anticipando
quello che succederà su scala anche piø ampia negli anni seguenti
34
. Alla fine il compromesso
di Lussemburgo (2-3 dicembre 1985) portò all’approvazione della proposta della
31
Cfr. Sandro Rogari, op. cit., p. 600.
32
Il completamento del mercato interno. Libro bianco della commissione per il consiglio europeo di Milano,
Bruxelles, 14 giugno 1985, p. 37.
33
Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 211-212.
34
L’analisi dei dibattiti al Parlamento europeo sulle modifiche istituzionali della Comunità, infatti, mostrano la
costante lamentela dei deputati europei di non essere ascoltati a sufficienza dal Consiglio Europeo, laddove sono
i capi di stato a farla da padrone. Di conseguenza, le attese del Parlamento vengono costantemente disattese in
sede decisionale, e il Trattato di Maastricht, seppur faccia notevoli concessioni al PE, non rappresenta
un’eccezione.
Vedi il riferimento al “deficit democratico e al dibattito pre-Maastricht sull’argomento.
13
Commissione per arrivare ad un “Atto Unico”, con obiettivo principale il completamento del
mercato interno.
35
Nonostante il governo italiano avesse fatto pressione per ottenere molto di piø, le
negoziazioni per l’Atto Unico furono un successo per il governo inglese, con Margaret
Thatcher che dichiarava di aver ricondotto <<nelle giuste proporzioni le pretese
esagerate>>
36
. Uscendo dalla prospettiva del momento e utilizzando una visione storica, però,
è innegabile notare come l’Atto Unico, firmato il 17 febbraio 1986 ed entrato in vigore l’1
luglio 1987, abbia rappresentato un evento centrale nel portare a compimento quel processo di
rilancio dell’integrazione europea, di cui si era avvertita la necessità a partire dai primi anni
’80, come anticipato di sopra
37
. Seppur l’opposizione britannica costringesse a tener fuori
dall’Atto l’unione economica e monetaria, le competenze della Comunità si allargavano
notevolmente, con due obiettivi principali: da un lato il completamento del mercato interno
entro il 1992, condizione essenziale per avviare – secondo i piani del presidente Delors –
l’unione monetaria. Si trattava di una misura molto importante, che avrebbe dato il via libera
alla creazione di un <<un mercato interno, unico integrato, senza restrizioni al movimento
delle merci, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e
dei capitali, la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata da
politiche protezioniste, il riavvicinamento delle legislazioni nazionali>>
38
per il
funzionamento del Mercato Comune, associato all’armonizzazione fiscale nell’interesse del
mercato stesso. Tutto ciò era realizzabile solo tramite un’azione integrata di liberalizzazione,
atta a ristrutturare e razionalizzare le gestioni amministrative e le imprese erogatrici di servizi
nei diversi stati nazionali
39
. La spinta verso questi sviluppi rappresentò principalmente la
risposta obbligata al nuovo contesto internazionale descritto nelle pagine precedenti, favorito
dalla svolta liberista e alla deregulation dei governi Thatcher e Reagan, dagli imponenti
accordi su scala globale dell’ Uruguay Round (inseriti nel quadro del GATT) , e la
conseguente nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO)
40
.
Il secondo pilastro dell’Atto Unico era, invece, un vero e proprio elemento di svolta: per la
prima volta i paesi membri si ponevano la questione della cooperazione politica europea
(CPE), cercando di collaborare nell’ottica di una politica estera comune, nonchØ nel campo
della sicurezza, prevedendo di lavorare << al di fuori, ma non in contrasto, con le
35
Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 212-213.
36
Ivi.
37
Cfr. Sandro Rogari, op. cit., p. 600.
38
Il completamento del mercato interno. Libro bianco della Commissione per il Consiglio Europeo, Milano 28-
29 giugno 1985.
39
Cfr. Giuseppe Mammarella, op. cit., pp. 532-533.
40
Cfr. Sandro Rogari, op. cit., pp. 600-602.