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Il presente lavoro, diviso in tre capitoli, ha inteso affrontare la questione
dell'organizzazione politica dell'Etolia, analizzandone i suoi sviluppi diacronici e la
relazione con le forme di culto e i rapporti interregionali. Non si è tralasciato di
formulare qualche osservazione sul livello della cultura etolica, in base agli elementi
forniti dalla ricerca sulla storia della regione. Il capitolo centrale, che sviluppa questi
temi, è preceduto da una presentazione della regione costruita sl testo antico più
informato, la Geografia di Strabone, il cui fine è triplice: chiarire lo sviluppo diacronico
dell'idea di Etolia, fissarne alcuni momenti fondamentali e ricavare alcuni elementi di
geografia storica indispensabili per la ricerca successiva. L'esposizione archeologica è
incentrata in particolar modo su Thermo, per il quale si è risaliti al testo fondamentale,
costituito dal rapporto di scavo del 1915 di Rhomaios, l'ultimo grande scavatore
sistematico del sito, dato che da quelle pagine dipende ogni ricercatore successivo. Per
gli altri centri, laddove non si sono avanzate ipotesi nuove o diverse, si è inteso fornire
rapidi ed essenziali cenni di presentazione, per non sovrapporsi all'informata
panoramica che la Antonetti ha fornito a riguardo. Nell'ultimo capitolo, dedicato al
temenos di Thermo, si sono riprese le fila di alcuni ragionamenti esposti in precedenza,
in modo che risultassero chiari alcuni punti inerenti alla forma del culto e al suo
sviluppo.
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CAPITOLO I
L'ETOLIA: GEOGRAFIA STORICA E
PANORAMA ARCHEOLOGICO
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A. L'IDEA DI ETOLIA
Strabone nei paragrafi 1-6 del secondo capitolo del libro X della sua opera è la
fonte migliore, nel senso della quantità di notizie fornite, per la formazione di un quadro
geografico e storico della regione etolica. Il suo testo deve essere studiato tenendo
presente i versi che Omero dedica agli Etoli nel Catalogo delle navi (1), anzi deve
essere considerato come un esteso commento di impostazione storico-geografica al
passo omerico. E' Strabone stesso (2) che individua nel commento ad Omero il filo
conduttore della sua ricerca inerente alla descrizione della Grecia: dato che gli
avvenimenti intercorsi nei secoli hanno trasformato il territorio descritto da Omero,
cancellando alcuni centri abitati, creandone di nuovi, modificando l'assetto politico e
sociale di intere regioni, il ricercatore di età augustea si trova nella necessità di valutare
criticamente il testo epico, individuando quali realtà si siano mantenute inalterate fino ai
suoi giorni. Soprattutto l'Iliade si configura come libro guida per Strabone, che si
impegna in un lavoro fatto di commenti, correzioni, precisazioni, servendosi, per
l'aspetto più strettamente geografico, del Commento al catalogo delle navi di
Apollodoro e della Geografia di Artemidoro, e, per l'aspetto storico, essenzialmente
dell'opera di Eforo e Polibio. Fedele a questa impostazione Strabone va molto al di là
del criterio espositivo del periplo, che pure afferma di voler seguire: le opere
geografiche legate a questa tradizione che ci sono pervenute (3) mostrano tutta la loro
esiguità, dato che per ogni regione presentata si limitano a fornire il dato della lunghezza
della costa e a nominare i centri che si dispongono lungo la linea costiera; la descrizione
di Strabone, al contrario, investe, di volta in volta, tutta la regione considerata nel suo
complesso e il criterio del periplo viene applicato non nella sostanza, ma solo come
espediente formale per disporre in ordine la trattazione di ogni regione.
Secondo il criterio del periplo la descrizione dell'Etolia trova posto tra quella
dell'Acarnania, da cui Strabone seguendo Eforo fa espressamente cominciare la Grecia,
e quella della Locride Ozolia. L'Etolia al tempo di Strabone è una regione ormai
disabitata in seguito alla sistemazione voluta dopo Azio da Augusto, che ne fece
trasferire gli abitanti nella nuova fondazione di Nicopoli e probabilmente anche nella
colonia di Patrasso (4); Strabone, tuttavia, ignora nel testo questa realtà, limitandosi a
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precisare l'evoluzione dell'Etolia con l'aiuto di Apollodoro e Artemidoro (5): in questo
modo ci fornisce notizie indispensabili su centri scomparsi e di cui, altrimenti, non
sapremmo nulla, ma tralascia di informarci esaurientemente su altre zone, non citate da
Omero, su cui avremmo voluto sapere di più.
La descrizione della regione inizia dal paragrafo X, 2, 1 con la definizione dei
confini tra Acarnania ed Etolia, separate dal corso del più lungo fiume greco, l'Acheloo:
la delimitazione delle due regioni comincia dunque dall'Acheloo per procedere
rispettivamente a ovest per l'Acarnania e a est per l'Etolia; infine si considerano gli
estremi settentrionali e meridionali delle due regioni. In tal modo si dice che
l'Acarnania, a ovest dell'Acheloo, arriva fino al golfo di Ambracia presso Anfilochia e il
santuario di Apollo Aziaco, mentre l'Etolia, a est del fiume, tocca la Locride Ozolia, il
Parnaso e l'Eta; a nord l'Acarnania comprende la regione degli Anfilochi, e tra questi i
Dolopi e il Pindo, l'Etolia invece i Perrebi, gli Athamani e gli Eniani dell'Eta; a sud
entrambe le regioni sono bagnate dalle acque del golfo di Corinto.
Nel paragrafo 3 all'interno di questa Etolia così delimitata vengono distinte due
parti: vi è un'Etolia archaia, che corrisponde al territorio compreso tra l'Acheloo a ovest
e la costa di Calidone a est e che all'interno si spinge fino a comprendere la zona di
Strato e Trichonio, ricca e fertile; e un'Etolia aggiunta, che, lungo la costa, tocca il
territorio di Naupatto ed Eupalio nella Locride Ozolia e, all'interno, arriva fino all'Eta,
agli Athamani e ai monti circostanti. In che modo si debbano inquadrare storicamente
queste due ripartizioni sub-regionali lo si esaminerà nel capitolo successivo, quando si
vedrà che proprio questo ampliamento territoriale dell'Etolia verso est costituisce una
tappa fondamentale della storia della regione; qui basti dire che l'Etolia archaia
corrisponde sostanzialmente alla regione delle città elencate da Omero e trova le sue
origini nella civiltà micenea, mentre l'Etolia epiktetos è il frutto di un cambiamento
insediativo posteriore alla discesa dei Dori.
Va inoltre notato come l'interpretazione di questi paragrafi presenti alcune
difficoltà in alcuni punti particolari. E' innanzi tutto imprecisa e anacronistica la
definizione dei confini settentrionali della regione: per la mescolanza arbitraria dei
popoli confinanti, in quanto Athamani e Perrebi si collocano molto distanti tra loro,
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sembra che Strabone abbia confuso insieme i limiti settentrionali dell'Etolia anteriore al
III secolo con i limiti ben più avanzati raggiunti dal koinon nel momento della sua
massima espansione. In realtà, prima dell'età ellenistica la regione etolica verso nord
confinava con il territorio degli Aperanti (6).
In secondo luogo nel definire gli estremi dell'Etolia archaia od "omerica", che ad
est arriva fino alla costa di Calidone, Strabone sembrerebbe escludere Calcide: si
potrebbe pensare ad una svista, perché non è possibile supporre che la città venga
tralasciata per la sua scarsa importanza, dato che è citata nel paragrafo successivo;
d'altro canto Calcide potrebbe non essere esclusa affatto, perché, come porto di
Calidone, Strabone potrebbe averla compresa nell'indicazione generica di "costa di
Calidone".
Infine, appare fuori luogo l'inserimento nel contesto della regione archaia della
città di Strato, a ovest dell'Acheloo e quindi in Acarnania, che è compresa in un telos
etolico solo nell'età della lega (7) e che, prima della spartizione dell'Acarnania tra lega
etolica ed Epiro del 250 ca, sembra esser stata la capitale del koinon acarnano (8). Dato
che per Strato non è sostenibile una connotazione etolica nei tempi arcaici per la
mancanza di fonti a riguardo e soprattutto perché l'Acheloo è sempre stato visto come il
confine naturale tra Acarnania ed Etolia, ritengo plausibile pensare che Strabone abbia
approssimativamente voluto indicare con Strato l'altezza a cui giungeva a nord
l'estensione dell'Etolia archaia, che però si disponeva ad oriente del fiume.
Con il paragrafo 4 Strabone intraprende una descrizione più particolareggiata della
regione. Dopo che in testa al paragrafo precedente Calidone e Pleurone erano state citate
senza un preciso riferimento geografico, solo per la loro fama di fondazioni "un tempo
gloria dell'Ellade", ora la descrizione si fa più precisa e assume come filo conduttore
l'orografia della regione. Si colloca così la nuova Pleurone presso l'Arakynthos e si
accenna alla distruzione della vecchia Pleurone presso Calidone; gli altri centri di
Molykreia, Makynia e Calcide vengono citati solo in relazione con i rilievi montuosi di
Tafiasso e Calcide, a est dell'Eveno.
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Nel paragrafo 5 l'elemento guida è l'idrografia: la descrizione del corso dell'Eveno
fornisce a Strabone l'occasione di precisare la posizione di alcune stirpi etoliche e di
mettere in relazione il letto del fiume con le città di Calcide, Calidone e Pleurone.
Con i paragrafi 4 e 5 si esaurisce, per il momento, la descrizione dell'Etolia ancora
esistente al tempo di Strabone e si ha chiara l'impressione che con il paragrafo 6
Strabone voglia dar conto di due città, Pilene e Oleno, presenti nel Catalogo di Il. II, ma
non più esistenti sul terreno. Il paragrafo 6 è come una sostanziosa parentesi che il
geografo interpone qui, chiaro esempio del suo modo di procedere: nella sua
esposizione, in primo luogo egli posiziona sulla carta i centri citati da Omero e
sopravvissuti nel tempo, corredando le citazioni con brevi cenni storici e, se necessario,
scegliendo criticamente la sua fonte; in secondo luogo per volontà di completezza
riferisce quel che è riuscito a sapere di centri presenti in Omero, ma da tempo
scomparsi.
Fino a questo momento Strabone si è servito del lavoro di Apollodoro, integrato
da una notizia di Ellanico (FGrHist 4 F 118), che sembra ignaro della distruzione di
Pilene e Oleno: con il paragrafo 21 torna ad elencare le città etoliche prossime al mare
questa volta nel contesto di un criterio legato alla descrizione costiera. La fonte è
cambiata insieme con il metodo espositivo, che richiama molto da vicino la tecnica del
periplo: Strabone segue qui Artemidoro, nel cui testo coglie delle incongruenze riguardo
alla collocazione di Calcide, che viene spostata a ovest dell'Eveno, addirittura oltre
Pleurone, verso il golfo oggi detto di Etolikò.
Nel paragrafo 22 si ha l'ultimo accenno alle città di Omero, precisamente a quelle
di cui rimangono solo scarse tracce: Pilene e Oleno. E' questo l'unico caso in cui
Strabone, per facilitare la localizzazione dei resti delle due antiche città, cita come
riferimenti topografici centri post-omerici di età classica ed ellenistica.
Si vede da questa esposizione come l'utilizzazione da parte di Strabone di Omero
come testo guida sia un'arma a doppio taglio che induce lo studioso a circoscrivere il
campo della sua ricerca: nel nostro caso ad una definizione iniziale dei confini
dell'Etolia che corrispondono con qualche approssimazione all'estensione della regione
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dal postmiceneo all'ellenismo, succede poi un'esposizione che, secondo il criterio sopra
definito, investe solo una parte della regione, la mesogea dei centri "omerici", mentre i
centri postmicenei e post-omerici vengono accennati solo in funzione della
localizzazione dei centri del Catalogo. Perciò Strabone nulla ci dice del bacino del lago
Trichonis e della zona montuosa dell'interno.
**********
La nozione di Etolia si fa molto più imprecisa nelle varie descrizioni della terra
posteriori al lavoro di Strabone, che è stato l'ultimo a ricostruire, in base alle proprie
fonti, una definizione territoriale della regione abbastanza precisa.
Plinio, ad esempio, non si perita di distinguere il territorio originario degli Etoli da
quelli annessi al koinon in un secondo tempo, come la zona di Naupatto sulla costa, e
parte della regione tessala ed epirota a nord (9): ormai l'Etolia, da tempo disabitata, nelle
ricerche erudite comincia a confondersi nell'insieme delle regioni della Grecia
scarsamente urbanizzate e non molto ricche di storia, al punto che non se ne sanno più
ricostruire i confini e non si intende più la specificità di ogni singola regione.
In maniera analoga si presenta l'opera di Dionisio Periegeta, per il quale si può
accettare l'approssimativa cronologia fornita dalla Suda, che ne colloca la vita tra il
periodo di Nerone e quello di Traiano: nei versi che dedica all'Etolia non sembra
distinguere la regione dall'Acarnania, dato che si dice che l'Acheloo scorre in mezzo alla
grande pianura degli Etoli (10).
Proseguendo su questa linea, nell'Expositio totius mundi et gentium troviamo
elencata la provincia di Epiro, che alcuni chiamano Epirus e altri Aetolia (11).
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B. PANORAMA ARCHEOLOGICO
THERMOS
La più antica attestazione letteraria del centro di Thermos è un accenno di Eforo
riportato da Strabone (12), mentre Polibio cita parecchie volte il sito e notevole è il
racconto della sua distruzione ad opera di Filippo V nel 218 (13); al contrario Thermos è
passata sotto silenzio da Strabone nel contesto della descrizione geografica dell'Etolia
perché non è un centro "omerico" e Tucidide, dal canto suo, non ha occasione di farvi
riferimento nel riportare la spedizione in Etolia di Demostene nel 426 (14).
Il sito, ricercato in precedenza tra i rilievi a nord del lago Trichonis, fu identificato
giustamente da Woodhouse a nord-est del lago, nel territorio di Kephalovryson, oggi
ribattezzata Thermos (15). Il temenos, che si estende in un piccolo altopiano alle pendici
del monte Mega Lakkos, è stato interessato da scavi sistematici e complessivi per la
prima volta ad opera di G. Sotiriadis dal 1898 al 1908 (16), successivamente sotto la
guida di K.A. Rhomaios a più riprese, dal 1912 al 1915, nel 1924, infine nel 1931 e
1932 (17).
Per comprendere la reale importanza delle ricerche di questi due eminenti studiosi,
dobbiamo calarle nel contesto storico e culturale in cui si svolsero: per quasi tutto il
diciannovesimo secolo l'interesse dei ricercatori si era incentrato su Atene e i suoi resti
monumentali e solamente nella seconda metà avanzata del secolo l'intervento degli
istituti stranieri fece estendere la ricerca, facendole anche compiere un salto qualitativo.
Si intrapresero scavi in varie regioni del mondo greco, continentale, insulare, asiatico, e
si cominciò a concepire l'idea di un approccio scientifico alle testimonianze
archeologiche, in modo che si potesse ricostruire in profondità la storia di un luogo
senza limitarsi al suo aspetto monumentale. Seguendo questa linea di progresso, a cui
non fu estranea l'attività della Società Archeologica di Atene, W. Dörpfeld, per citare un
archeologo che fu in contatto con Rhomaios e alle cui ricerche Rhomaios fece spesso
riferimento, agli inizi di questo secolo riprese gli scavi ad Olimpia iniziati da E. Curtius
nel 1875, cercando di approfondire i vari aspetti dell'intera storia del sito. In questo
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senso, soprattutto la ricerca di Rhomaios, sovrintendente alle Antichità dal 1908 al
1928, che iniziò ad interessarsi all'Etolia mentre Dörpfeld già scavava nell'Altis di
Olimpia, segnò una tappa importante nella storia degli studi sull'antichità greca e aprì
nuove prospettive di ricerca in ambito topografico, storico e cronologico: egli intraprese
una vasta e lunga attività di scavo in una zona ai margini della Grecia archeologica e
degli interessi degli studiosi locali e stranieri, e non si impegnò soltanto nello studio di
un sito religioso dell'arcaismo nella sua ultima sistemazione, ma volle che la sua
indagine fosse puntigliosa e sistematica e abbracciasse tutto il periodo di vita del sito
dall'età preistorica fino al tardo ellenismo. Giustamente oggi la Società Archeologica
greca gli attribuisce il merito di aver per primo scavato con completezza e profondità la
realtà degli antichi Greci (18).
Tenuto conto di ciò, non possiamo tuttavia evitare di constatare una serie di
manchevolezze relative allo scavo di Thermo, dovute ad un fallace sistema di indagine,
ad una precaria documentazione e a impostazioni in qualche caso azzardate, tutti
elementi che costituiscono un serio ostacolo per chi oggi si dedica allo studio del sito
religioso.
Ai rapporti di scavo di Sotiriadis e Rhomaios dobbiamo tutta la documentazione
archeologica del sito, che non ha mai più beneficiato di accurate e approfondite
indagini: al giorno d'oggi il temenos è oggetto solo di lavori di ripulitura finalizzati alla
completa messa in luce dei limiti degli edifici nella parte ellenistica (19). Inoltre manca,
danno gravissimo, una pubblicazione complessiva dei dati offerti dagli scavi. La
parzialità e la frammentazione dell'evidenza archeologica è certo il maggior ostacolo per
una esatta comprensione della storia dell'occupazione del sito in senso sincronico e
diacronico: si pensi, a titolo di esempio, che manca a tutt'oggi una pianta complessiva di
tutti gli edifici, essendo a disposizione solo piante relative a singoli settori, come quello
del tempio principale, disegnate in forma provvisoria da Rhomaios.
Ci soffermeremo ad analizzare essenzialmente il rendiconto e le deduzioni di K.A.
Rhomaios, esposte in quello che è rimasto il rendiconto fondamentale dei suoi scavi,
pubblicato in AD 1915, e che doveva essere, invece, solo un insieme provvisorio di
informazioni.
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Per la comprensione della disposizione degli edifici va tenuto presente che il
temenos può essere distinto in una parte settentrionale, raccolta sotto le pendici del
monte Mega Lakkos, che è la più antica con gli edifici cultuali del miceneo, geometrico
e orientalizzante, e in una parte meridionale, che si stende in lunghezza in senso nord-
sud e fu occupata in età ellenistica dalla costruzione di due lunghe stoai e di un
bouleuterion posto in fondo ad esse, a chiusura dello spazio aperto. I primi scavi hanno
interessato il settore templare a nord, mentre solo nel 1931 Rhomaios cominciò
l'indagine nella zona delle stoai.
All'idea di Sotiriadis, che proponeva per la fase precedente la costruzione del
tempio arcaico di Apollo l'esistenza di grandi altari all'aperto, l'indagine di Rhomaios
permise di sostituire la realtà di fasi edilizie molto più complesse, incentrate sul
cosiddetto megaron A del miceneo prima e sul cosiddetto megaron B geometrico dopo.
Purtroppo tutte le osservazioni di Rhomaios sullo sviluppo e l'interrelazione delle varie
fasi edilizie devono essere considerate con molta cautela e valgono quasi sempre come
semplici congetture, perché quella che è la base fondamentale per la definizione
accurata di una sequenza cronologica, ossia la ceramica e altri manufatti trovati negli
strati, è stata utilizzata con eccessiva disinvoltura, senza che si avesse coscienza precisa
della distinzione tra reperti contemporanei allo strato di deposizione, successivi o
precedenti, e questa imperfezione, nel contesto di uno scavo non scientificamente
stratigrafico, costituisce un grave impedimento in più. Il fatto che vasi di stili e
cronologia differenti siano stati trovati nello stesso strato o fase o che lo stesso stile si
sia rinvenuto in fasi assai distanti nel tempo, senza che si sia ricercata una relazione
precisa tra strati e reperti, invalida il tentativo di usare i manufatti come prova
archeologica, che Rhomaios fa più volte. Egli stesso, pur avendolo rilevato, sembra non
aver attribuito la giusta importanza agli sconvolgimenti arrecati al sito, nell'antichità, dal
saccheggio e dalla distruzione macedone e, in tempi recenti, dall'occupazione delle genti
dei borghi circostanti, che portò anche alla costruzione sul sito archeologico di canali di
irrigazione dei campi (20).
Fatta questa premessa, passiamo ad analizzare le sequenze abitative di Thermo
individuate da Rhomaios.
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Si distingue innanzi tutto un'occupazione preistorica del luogo grazie al
ritrovamento di due capanne, di cui una sotto il megaron A, parzialmente scavate nel
terreno, simili ad altri esemplari di Sesklo (21): si tratta di scoperte di materiale
neolitico non uniche in Etolia e poi ripetute negli anni '60 dagli scavi di Mastrokostas
presso la collina di Haghios Elias, presso la riva dell'Acheloo.
Segue la fase micenea, che vede la costruzione dell'impianto ellittico denominato
megaron A, a cui si accompagnano, secondo la sequenza cronologica stabilita da
Rhomaios, le altre ellissi classificate con α 4, α 5 e α 6, situate a est del megaron, e gli
edifici a pianta ortogonale α 1 e α 3, costruiti successivamente come indicherebbero i
rapporti di strato. Non inseribili nella sequenza per mancanza di dati, ma facenti parte
della fase micenea, sono la casa a ellissi a ovest del tempio, quella complessa con pianta
mista ortogonale ed ellittica denominata ß a est e l'edificio scavato a sud-ovest, tra il
tempio e la fonte (22).
Rhomaios non ha prove a disposizione per collocare nel tempo la costruzione del
megaron A e si limita a considerare, nella prima fase della sua ricerca, le case α 1 e α 3,
per le quali -dice- non si può scendere al tardo miceneo, cioè al TE III, per la mancanza
della ceramica relativa; ma questa opinione, espressa in AD 1915, è corretta l'anno
seguente (in AD 1916) quando, ragionando su reperti rinvenuti nell'edificio a doppia
ellisse α 5-α 6, riconsidera l'insieme dei cocci rinvenuti e ritiene di poter individuare
manufatti del tardo miceneo, ossia -specifica- posteriori al 1350 a.C. Del resto questa
nuova interpretazione meglio si accorda con la sua ricostruzione della vita del sito, nella
quale non vi sono buchi cronologici fra le varie fasi abitative, particolarmente fra il
periodo d'uso del megaron A e quello del megaron B.
Rhomaios delinea, dunque, una fase abitativa che si qualifica come micenea e che
possiede nel cosiddetto megaron A la dimora del re, che veniva utilizzata anche per il
culto comune degli eroi, svolto tramite banchetti e sacrifici di cui resterebbe come
testimonianza l'abbondante cenere ritrovata insieme a frammenti di ossa all'interno
dell'edificio. La supposizione di Sotiriadis, che la costruzione fosse usata come heroon
viene considerata una semplice congettura non suffragata da prove.
La questione della datazione sarà affrontata più approfonditamente insieme a
quella del megaron B.
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Ricorsi aritmetici e ingegneristici osservati nei cosiddetti megaron A e B inducono
Rhomaios a individuare una continuità abitativa tra la fase micenea e quella geometrica:
si sottolinea la quasi uguaglianza delle lunghezze dei due edifici (m. 22 per A e m.
21,40 per B) e si nota in entrambi la stessa inclinazione dei muri verso l'interno, mentre
la curvatura del muro settentrionale di B viene interpretata come un richiamo della
forma a ellisse del muro nord di A. In base a questi elementi Rhomaios sostiene che il
costruttore del megaron B avesse avuto sotto gli occhi l'edificio detto megaron A, che
sarebbe stato quindi in uso fino all'avvento della nuova costruzione. Un legame di
continuità sarebbe da riscontrare anche tra megaron B e tempio vero e proprio: anche in
questo caso lo starebbero a dimostrare affinità metrologiche, quali la quasi identità tra la
lunghezza del megaron B e la lunghezza del sekos del tempio e fra le larghezze dei due
edifici e tra i rapporti degli intercolumni. Ma all'interno di questa continuità così
delineata che andrebbe dal miceneo all'arcaismo, Rhomaios crede di poter individuare
due fasi, una più antica e una più recente rispetto ad un limite discriminante che
dovrebbe collocarsi nel periodo geometrico, all'interno dell'età del ferro, e non tra età del
bronzo ed età del ferro, come lo scavatore tendeva a pensare in un primo momento. Più
precisamente la distinzione tra due fasi, delle quali una risalirebbe fino agli inizi
dell'occupazione del sito, mentre l'altra scenderebbe fino all'arcaismo, si collocherebbe a
metà della vita del megaron B, che avrebbe anche subito un cambiamento d'uso: nella
prima fase sarebbe stato utilizzato come dimora del re e nella seconda come sede di
culto della divinità un tempo personale del re e poi divenuta pubblica, della comunità, in
seguito ad un graduale processo di volgarizzazione. Il discrimine tra le due epoche, che
assume un'importanza fondamentale nell'analisi dello sviluppo politico e sociale
dell'insediamento svolta da Rhomaios, sarebbe provato da due testimonianze
archeologiche: la presenza, nello strato superiore di cenere del megaron, di manufatti
geometrici in bronzo e la loro assenza negli strati inferiori; la peristasi ellittica, la cui
esistenza è assicurata dalle diciotto basi di colonne ritrovate, che è ritenuta da Rhomaios
un'aggiunta successiva alla costruzione del megaron ed è interpretata come la
dimostrazione tangibile del cambiamento d'uso avvenuto nel megaron, da abitazione del
re a dimora (na�j) della divinità pubblica. La sezione scavata all'interno del megaron
(23) presenterebbe la divisione tra le due fasi: essa mostra una serie di quattro strati,
uguali due a due, stesi sopra la superficie originaria del megaron e risultanti da azioni
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compiute nel megaron stesso, uno strato di terra bruciata sotto uno strato di cenere con
ossa secondo una sequenza doppia. Nell'opinione di Rhomaios la prima sequenza terra
bruciata-cenere con ossa appartiene alla prima fase del megaron ed è il risultato dei
sacrifici domestici compiuti dal re nella propria dimora in onore della sua divinità
personale: Rhomaios riteneva che la terra bruciata risultasse dai focolari bruciati e la
cenere e le ossa dagli animali sacrificati. In maniera analoga la seconda sequenza terra
bruciata-strato nero di cenere con ossa apparterrebbe alla seconda fase dell'edificio
ormai divenuto sacro e pubblico, in quanto nello strato nero di cenere sono stati
rinvenuti i manufatti geometrici, indici di un'epoca più recente: in questo caso la cenere
sarebbe il risultato dei sacrifici compiuti dal sacerdote in nome della comunità nel
megaron trasformato in naos, casa della divinità dove il re non trova più posto. La
peristasi sarebbe il segno evidente di un simile cambiamento d'uso: aggiunta in un
secondo tempo, come dimostrerebbero le basi delle colonne poggianti sul pavimento del
megaron, essa avrebbe conferito carattere sacro all'edificio nella sua trasformazione in
tempio.
In realtà molti dubbi sorgono su questa fin troppo semplicistica ricostruzione e
investono i reperti rinvenuti nello strato nero, l'età della peristasi e il suo rapporto
stratigrafico con il megaron. Procediamo per ordine: è azzardato presentare come prova
a fini cronologici i manufatti geometrici, cioè le statuette di guerrieri in bronzo, datate
dal Rhomaios (24) al 700 a.C. circa perché affini ad altri esemplari di Olimpia: quella
trovata da Rhomaios stesso e da lui identificata con Artemide Aitolé a cui accennano
Strabone e Pausania (25), è stata trovata al di fuori del tempio e, quindi, del megaron, in
uno strato nero che Rhomaios dice contiguo allo strato nero, ma che noi non possiamo
definire tale al di sopra di ogni dubbio; le altre due, invece, sono state trovate da
Sotiriadis e sono ricollegate da Rhomaios allo strato nero solo sulla base dei vaghi
accenni sul luogo di ritrovamento forniti dallo scavatore precedente.
Quanto alla peristasi, non è affatto sicuro che fosse posteriore alla costruzione
dell'edificio, anzi, come è stato successivamente sostenuto da Bundgaard (26), è più
probabile il contrario: la prova delle basi di pietra sostenuta da Rhomaios non è
comprensibile e, del resto, un aggiunta posteriore contrasterebbe con quanto egli osserva
per gli altri edifici di Thermo, che possedevano tutti, anche quelli micenei, una palizzata
esterna di pali in legno, come nel caso degli edifici α 1, α 4, α 5, α 6, protetti dal sistema
- 17 -
di pali che si alzava indipendentemente alle loro spalle sul muro rettilineo che includeva
anche il megaron A e, ovviamente, il naos arcaico di Apollo con la vera e propria
peristasi di 5X15 colonne. Rhomaios insiste molto sul fattore protettivo di queste
palizzate, che dovevano servire a parare la forza del vento di tramontana: ora, se la
peristasi ellittica fosse un'aggiunta posteriore, tutto il ragionamento di Rhomaios
diventerebbe incoerente. Perché fra tutti gli edifici il solo megaron B, la costruzione più
importante, sarebbe sorto senza protezione? D'altro canto non è lecito attribuire ad un
colonnato la facoltà di conferire o meno sacralità ad un edificio, ciò che contrasta con
l'evidenza archeologica a nostra disposizione. Infine, ed è un elemento decisivo per
accantonare l'ipotesi di un colonnato aggiunto in un secondo tempo, non vi è alcuna
relazione stratigrafica di nostra conoscenza che permetta di collegare le colonne della
peristasi con i due strati superiori di terra bruciata e di cenere all'interno del megaron.
In realtà, Rhomaios, sostenendo questa demarcazione in due fasi della vita del
megaron, indimostrabile e semplicistica se estesa a tutta la cronologia del sito, sembra
voler forzare i dati in suo possesso, con il solo fine di poter elaborare il quadro di uno
sviluppo cultuale e politico-sociale che valga per Thermo come per Olimpia: anche per
il centro dell'Elide, infatti, Rhomaios ipotizza uno sviluppo del culto che ammette due
fasi, una privata e una, successiva, pubblica. Ad una prima forzatura se ne aggiunge così
un'altra, che consiste nel voler avvicinare oltre quello che consentono i dati archeologici,
le fasi urbanistiche di due centri per certi versi affini, come Thermo e Olimpia, che
cominciavano ad essere scoperti in profondità nello stesso periodo: Rhomaios ebbe
anche l'occasione di confrontarsi direttamente con lo stesso Dörpfeld che visitò gli scavi
di Thermo nel 1922 (27). Sulla natura dei rapporti tra Thermo e Olimpia si tornerà nel
corso di questo lavoro; quello che qui interessa è far notare come all'interpretazione
delle fasi di vita del megaron B abbia nuociuto proprio quell'influenza meccanica del
centro di Olimpia che Rhomaios affermava di voler combattere nelle tesi di Sotiriadis.
Ma un altro dei difetti nell'impostazione di Rhomaios consiste nell'aver voluto estendere
in maniera fin troppo meccanicistica l'idea dello sviluppo da culto privato a culto
pubblico a tutti i centri cultuali greci: per questo egli va costantemente alla ricerca di
elementi che garantiscano la pratica di culti precedenti alla edificazione di templi, su cui
possa fondare la sua ipotesi.