2
specifica etica del lavoro che secondo Weber valorizzava e incentivava
l’individuo ad impegnarsi con tutti gli sforzi sui problemi terreni. Ciò era in
netta differenza con la dottrina cattolica che esortava a non acquisire e
accumulare ricchezze terrene più di quanto occorreva per vivere bene.
In questo contesto storico-economico tedesco bisogna anche ricordare l’opera
di Werner Sombart che nel 1902 pubblicò un libro, Il capitalismo moderno, in
cui egli propone la sua teoria sulla nascita e sullo sviluppo del capitalismo. A
differenza della teoria weberiana, che metteva in risalto il ruolo della dottrina
calvinista nello sviluppo capitalistico, Sombart individua negli Ebrei gli
iniziatori del capitalismo. Secondo l’autore non era rilevante ai fini del
comportamento economico il contenuto dogmatico della religione ebraica ma
piuttosto era la loro posizione sociale di marginalità nella quale gli ebrei
erano costretti a vivere a creare quelle condizioni favorevoli per un
comportamento economico di tipo acquisitivo e innovativo che portò alla
nascita del capitalismo.
Nel secondo capitolo vengono riportate le controversie sulla nascita del
capitalismo pubblicate dopo l’uscita del saggio weberiano. Vengono presi in
considerazione gli studi di Tawney, contemporaneo di Weber, che abbracciò
in pieno la teoria del suo collega, e che cercò di valorizzarla studiando
l’impatto che la dottrina calvinista ebbe nello sviluppo economico della Gran
3
Bretagna; ma anche quelli di coloro che contestarono sul piano empirico, la
superiorità dei risultati economici conseguiti dal mondo protestante in
confronto alle società cattoliche. Questi studi, tra i quali quelli di Trevor-
Roper e di Fanfani, cercarono di dimostrare che erano state proprio le società
cattoliche ad avviare lo sviluppo del capitalismo moderno molto prima della
Riforma; lo stato di arretratezza dei Paesi cattolici, quindi, sarebbe da
ascrivere più agli effetti provocati dalla Controriforma che alla dottrina
cattolica in quanto tale.
Nel terzo capitolo si spiega come il saggio di Weber sia stato nuovamente al
centro di controversie in tempi più recenti, per cercare soprattutto di capire
quali soggetti economici, al di là della loro religione di appartenenza, hanno
dato vita all’impresa capitalistica, piuttosto che concentrarsi su una
ricostruzione storica dei fattori religiosi che hanno portato alla nascita del
“fenomeno” capitalismo. L’ attenzione di questi storici, quali ad esempio
Landes e Rubinstein, si è focalizzata su quei gruppi che per la posizione
ambigua e marginale che occupavano nella società, fossero essi Ebrei,
Cattolici o Protestanti, erano portati a sviluppare in misura particolarmente
rilevante i tratti caratteristici del perfetto imprenditore capitalista, che per
Weber era rappresentato dal seguace della dottrina calvinista. Tali minoranze,
secondo questi storici, agendo in determinati contesti storico-sociali
4
rompevano con le tradizionali strutture economiche e religiose imposte dal
Paese in cui praticavano i propri affari, dando una svolta in senso capitalistico
alla società, sia che essa fosse Cattolica o Protestante.
Il quarto capitolo mette in evidenza come l’effetto della decolonizzazione,
avviato intorno agli anni sessanta del Novecento, abbia portato un boom
economico anche in quei paesi in cui Weber pensava che il capitalismo non si
sarebbe mai potuto sviluppare. Per Weber, infatti, il capitalismo razionale era
nato e si era sviluppato solo in Occidente, perché le religioni non cristiane
tenevano “incatenati” i propri discepoli, impedendo loro di avviarsi verso
quel processo di razionalizzazione e quindi di sviluppo economico della
società.
In questo ultimo capitolo si è cercato soprattutto di capire se la religione abbia
davvero avuto un ruolo di incentivo o di ostacolo nello sviluppo capitalistico
di alcuni paesi asiatici, che oggi si possono tranquillamente considerare
capitalistici, e quindi di verificare la attendibilità della tesi weberiana.
5
CAPITOLO I
Religione e capitalismo: Weber e Sombart a confronto
1.1 La Germania di inizio Novecento
Nella seconda metà dell’Ottocento (1871), la grande novità che si produsse
sulla scena europea fu la formazione dello stato tedesco, unificato ad opera
della Prussia con una azione politica e militare di cui fu regista il Cancelliere
Otto von Bismark, che tenne questa carica per quasi venti anni (fino al 1890).
Egli cercò continui compromessi con la borghesia che accettò un ruolo
secondario solo per timore del proletariato. Infatti dopo la caduta della
Comune di Parigi
1
, il centro del movimento operaio europeo e quello
socialista, che aveva un forte potere soprattutto nelle fabbriche, si era spostato
dalla Francia alla Germania.
Secondo la Costituzione dell’Impero solo il re prussiano poteva diventare
Imperatore di Germania, con poteri illimitati sulle forze armate, con il diritto
di ratificare o annullare le proposte di legge, di convocare e sciogliere il
Reichstag (Parlamento); a quel tempo l’Imperatore era Guglielmo I.
Ovviamente la Costituzione aveva solo una facciata pseudo-democratica, ad
1
Per approfondimenti su tale argomento si legga, H.P.O. Lissagaray, Storia della Comune, trad. it. di S.
Procacci e M.T. Lucani, Editori Riuniti, Roma 1962.
6
esempio, pur vigendo il suffragio universale nelle elezioni del Parlamento non
avevano diritto di voto le donne, i militari e i giovani con meno di 25 anni. In
effetti la Costituzione non faceva altro che legittimare il dispotismo
prussiano, non a caso in Prussia, che occupava la maggior parte del territorio
imperiale, era ancora in vigore la Costituzione ultrareazionaria del 1850, che
stabiliva un sistema elettorale solo per tre classi.
Lo storico Mann nei suoi studi sulla Germania ha sostenuto che la
unificazione dello Stato nazionale tedesco era stata una forzatura dell’Impero
prussiano che non intendeva assolutamente annullarsi nella Germania ma
continuare ad esistere in se stessa più salda e potente che mai. Bismark,
secondo l’autore, non era altro che un prussiano fanatico che non voleva fare
altro che una politica prussiana di grande potenza; disposto a favorire il
liberalismo e il nazionalismo tedesco nella misura in cui ciò rientrava nei suoi
piani
2
.
Taylor invece, ha sottolineato come la Costituzione Imperiale del 1871 non
nacque da un accordo tra le parti, ma piuttosto fu un pasticcio messo insieme
da Bismark per la costruzione del Reich. Il Reichstag, non era altro che uno
2
Cfr. G. Mann, Storia della Germania moderna, 1789-1958, trad. it. di M.L. Rotsaert Neppi Modona,
Garzanti, Milano 1978, pp. 205-257.
7
“specchio per le allodole” privo di qualsiasi potere effettivo, poteva tenere
dibattiti e approvare leggi ma non prendere l’iniziativa.
Il federalismo del Reich, puramente nominale, era una mera facciata per
rendere più rispettabile la dittatura della Prussia
3
.
Anche il militarismo che era sempre stata una tradizione prussiana, con
l’unificazione non fece che rafforzarsi, proprio in virtù di tale militarismo la
Germania potette contribuire a soffocare nel sangue la Comune di Parigi.
Insomma per la borghesia il militarismo era considerato l’arma più efficace
per combattere il dilagare delle idee socialiste. Il governo approvò la legge sul
servizio militare obbligatorio e stanziò fondi per sette anni per sostenere le
spese militari, evitando così il controllo almeno per quel periodo del
Parlamento. In venti anni l’esercito aumentò del 50% mentre la popolazione
era cresciuta solo del 25%. Naturalmente le classi dirigenti erano interessate a
mantenere rapporti tesi con le altre nazioni, in particolare con la Francia, al
fine di poter giustificare la corsa agli armamenti
4
. Il desiderio di Bismark era
quello di spingersi con l’esercito ad est sia per poter germanizzare le terre
polacche sia per creare una roccaforte per una futura guerra alla Russia. Si
cominciarono ad impiantare aziende di ricchi contadini tedeschi sulle terre
3
Cfr. A.J.P. Taylor, Storia della Germania, trad. it. di A. Aquarone, Laterza, Bari 1963.
4
Cfr. G. Spini, Disegno storico della civiltà, vol. III, Cremonese, Roma 1972, pp. 269-284.
8
polacche, in pratica queste divennero una colonia europea della Germania e
addirittura in alcuni casi i polacchi vennero trasferiti dalle loro terre nelle
zone interne della Germania presentandoli agli operai tedeschi come dei
concorrenti, con la speranza di inculcare nella classe operaia tedesca
l’ideologia nazionalista. Le persecuzioni contro i polacchi vennero compiute
all’insegna della lotta contro la chiesa cattolica, vista come avversaria
dell’Impero tedesco. Infatti nel 1872 vennero approvate leggi repressive
sull’attività del clero cattolico, furono espulsi i Gesuiti e soppresse numerose
congregazioni, vennero sottoposte al controllo statale le scuole tenute dai
religiosi e si rese obbligatorio il matrimonio civile. Il conflitto ebbe dei
momenti drammatici, con deportazioni di sacerdoti e imprigionamenti di
vescovi, ma tutto ciò non riuscì a ridurre la forza elettorale dei cattolici e
perciò nel 1878 Bismark rinunciò a proseguire la lotta contro la chiesa
cattolica
5
.
Questa resa sul campo fu motivata anche dalla forte avanzata del movimento
socialista, che apparve al Cancelliere come il vero nemico da combattere.
Infatti nel 1878 fece approvare delle leggi eccezionali che interdissero agli
operai tedeschi le libertà di riunione, di stampa e di associazione, sciogliendo
i sindacati ed espellendo da Berlino molti attivisti.
5
Cfr. A. Desideri, M. Themelly, Storia e storiografia, vol. II, G. D’Anna, Firenze 1996, pp. 1105-1107.
9
La politica di Bismark, che era quella di eliminare con ogni mezzo possibile i
propri avversari, passò dalla persecuzione dei cattolici a quella dei socialisti
che divennero sempre più forti politicamente grazie alla nascita e allo
sviluppo di numerose imprese capitalistiche che erano il centro di diffusione
di queste ideologie tra la classe operaia. Ma il Cancelliere si rese conto che
per impedire il sorgere di un movimento operaio organizzato, le leggi
antisocialiste rischiavano da sole di essere insufficienti e per tenere calma e
soddisfatta la classe lavoratrice accompagnò tali misure repressive con un
programma di benefici sociali. Venne introdotta l’assicurazione obbligatoria
contro le malattie e gli infortuni sul lavoro, un sistema di previdenza per
l’invalidità e la vecchiaia. Ma gli operai non si lasciarono incantare dalla
politica di benefici voluta da Bismark e il partito socialdemocratico continuò
a crescere costantemente in numero e vigore, ma ciò non toglie che tali
programmi che non si erano mai visti in Europa, servirono da modello per gli
altri Paesi e rappresentarono un primo passo sulla via dello stato assistenziale
della metà del ventesimo secolo. L’onere finanziario del nuovo sistema
assicurativo gravava per due terzi sugli imprenditori e per un terzo sugli stessi
lavoratori, salvo eventuali integrazioni da parte dello Stato
6
. Anche i
cosiddetti “socialisti della cattedra” pensavano che bisognava migliorare le
6
Cfr. J. Joll, Cento anni d’Europa, 1870/1970, trad. it. di B. Maffi, Laterza, Bari 1975, pp. 35-64.
10
condizioni di vita degli operai e dei contadini per sottrarli agli ideali del
marxismo e convertirli al patriottismo. Nel 1888 quando salì al trono il
giovane Imperatore Guglielmo II, la politica di stabilità instaurata da Bismark
arrivò al capolinea, approfittando del parere negativo del Parlamento alla
proroga delle leggi eccezionali contro i socialisti, l’Imperatore nel 1890
sollecitò il Cancelliere a dare le dimissioni. Bismark era stato sicuramente un
abile stratega soprattutto in politica estera. Per alcuni storici era stato un
uomo capace di mettere in equilibrio gli ideali della cultura e quelli della
politica, sino ad allora disgiunti, creando una nuova era di civiltà e di
progresso
7
, capace di dare stabilità alla Germania nei nuovi assetti europei.
Dello stesso parere non fu Croce che “etichettò” il Cancelliere come
distruttore di quel liberalismo che da inizio Ottocento regnava in Europa e
come precursore di quelle teorie sulle razze che conferiva ad alcune di esse il
diritto di dominare la società e la storia, teorie riprese poi dai totalitarismi
europei del Novecento. In Germania la politica era diventata politica di
potenza e dominio che schiacciava le concezioni liberali. E chi le professava
ormai non aveva più interesse a farlo perché troppo impegnato negli affari
economici.
7
Cfr. F. Meinecke, Cosmopolitismo e Stato nazionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco, trad.
it. di A. Oberdorfer, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 272-310
11
Vennero anche in auge, come sostiene Croce, l’irrazionalismo, l’ascetismo, il
misticismo, ai quali corrispose il fastidio per la politica, per le passioni dei
partiti, per le contese sociali, per tutte le manifestazioni della pratica
operosità
8
.
Dal 1890, con le dimissioni di Bismark e con il potere nelle mani di
Guglielmo II, ebbe inizio un nuovo corso per la politica tedesca, più aperta al
dialogo con il movimento operaio e più disposta ad accogliere le aspirazioni
di espansione economica e territoriale dei gruppi industriali. La Germania da
paese prevalentemente agricolo si trasformò in paese fortemente
industrializzato, a tale poderoso sviluppo contribuì oltre che un mercato
interno unico e una uniformità amministrativa e di governo, anche la
conquista della Alsazia e della Lorena (ricchissime di giacimenti minerali)
nella guerra contro la Francia degli anni Settanta. Fin dal suo sorgere l’impero
germanico si scontrò con eccezionali difficoltà per la conquista dei mercati
esteri; a tale scopo, i capitalisti tedeschi introdussero la massima riduzione dei
costi di produzione, sfruttando notevolmente gli operai e usando il dumping,
cioè la vendita all’estero di una merce a prezzi inferiori e perfino sottocosto
rispetto al prezzo praticato nel mercato interno
9
.
8
Cfr. B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1965, pp. 217-284.
9
Per approfondimenti su tale argomento si legga, A. Lanzillo, Problemi economici e sociali dei secoli XIX e
XX, in Nuove questioni di storia contemporanea, Marzorati, Milano 1968.
12
Per compensare le perdite nelle esportazioni i capitalisti aumentarono i prezzi
delle merci vendute all’interno del Paese. Nel 1879 il governo introdusse alti
dazi doganali, affinché il protezionismo favorisse lo sviluppo dei monopoli,
soprattutto nell’industria pesante, che aveva stretti rapporti con le sempre più
numerose banche. All’inizio del Ventesimo secolo la Germania era al primo
posto in Europa nella produzione industriale, persino le terre degli junkers si
erano trasformate in grandi aziende capitalistiche. Molti degli stessi magnati
del capitale finanziario divennero proprietari di grandi estensioni di terra per
sfruttarne le ricchezze del sottosuolo. Apparvero i capitalisti dell’industria e i
grandi finanzieri, quali Krupp, Siemens, Hansemann, Stumm, che
concentrarono nelle loro mani le posizioni chiave nella vita economica del
Paese
10
.
Nonostante l’aumento della ricchezza in Germania, la condizione della
maggioranza dei lavoratori era misera, il salario percepito spesso era inferiore
al minimo vitale, la disoccupazione era ormai una piaga difficile da estirpare,
la giornata lavorativa media era di undici ore e c’era un aumento vertiginoso
delle malattie. Le condizioni di miseria, l’aumento della popolazione, le
continue insistenze degli industriali al governo per avere sbocchi per la
produzione di ferro e di acciaio salita a proporzioni mostruose e divenuta
10
Cfr. W. G. Hoffmann, Il «decollo» in Germania, in F. Catalano, Stato e società nei secoli, vol. III, G.
D’Anna, Firenze 1966.
13
superiore a quella inglese, fecero nascere quel desiderio di espandere i propri
confini, ormai troppo angusti, e cercare nuovo “spazio vitale” da conquistare
e sottomettere. Anche perché a differenza degli altri grandi Stati europei la
Germania non aveva colonie. Guglielmo II era un acceso nazionalista,
desideroso di portare la Germania ai vertici mondiali. I suoi discorsi erano
sempre animati da una forte brama di potenza, il 27 luglio 1900 incitò i suoi
soldati in partenza per la Cina a combattere contro un popolo “inferiore” e a
sottomettere queste terre al dominio della nazione tedesca
11
. Questo discorso
infervorato di sentimenti patriottici non fu altro che un irresponsabile
incitamento al genocidio nei confronti di un popolo colpevole soltanto di
essersi ribellato allo sfruttamento coloniale. Questo ardito sentimento di
nazionalismo e di voglia di conquista professato dall’Imperatore aveva ormai
offuscato le menti non solo, della massa, ma anche degli intellettuali che
sentivano fortemente la suggestione dell’imperialismo e ambivano a veder
ripetuti i successi militari dei loro padri ottenuti soprattutto contro i francesi.
Questi si sentirono investiti da un grande privilegio, guidare la cultura
tedesca, superiore alle altre, nella “missione” di civilizzare i popoli europei.
Gli intellettuali, ma anche i grandi capitalisti, appoggiarono anche le diverse
11
Cfr. Discorsi di Guglielmo II di Hohenzollern, Reden des Kaiser, Munchen 1966, in E. Collotti ed altri, La
storia contemporanea attraverso i documenti, Zanichelli, Bologna 1974.
14
organizzazioni che propagandavano lo spirito di aggressione, lo sciovinismo e
il razzismo, da ricordare la Lega Pangermanica che avanzava l’idea di creare
una “Mitteleuropa” cioè una Europa centrale, con l’intento di sottomettere al
dominio tedesco una serie di paesi europei sotto il pretesto della loro
unificazione.
La tematica dello “spazio vitale”, insieme all’esasperato sentimento di
nazionalismo e di imperialismo, secondo Mosse, spinse la Lega
Pangermanica nel 1908 ad una infausta campagna contro gli Ebrei, accusati di
essere i veicoli del materialismo moderno e quindi i nemici del popolo
tedesco. Inoltre iniziarono una propaganda per l’esclusione dall’insegnamento
e dai pubblici impieghi degli ebrei che risiedevano in Germania e proposero
limiti all’ingresso di ebrei provenienti da altre nazioni. Erano, quindi, già
presenti nella cultura tedesca di inizio Novecento quei sentimenti di odio, di
superiorità e di mitizzazione della propria nazione che verranno
successivamente ripresi, con ancora più enfasi, da Hitler e i suoi seguaci e che
porteranno la Germania alla persecuzione e al massacro del popolo ebraico,
ritenuto “razza” inferiore
12
. I miti foggiati dal nazionalismo quali, la
grandezza, la conquista, la giovinezza e la superiorità della razza facevano
12
Cfr. G. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, trad. it. di F. Saba Sardi, Il Saggiatore, Milano 1968,
pp. 323-344
15
presa soprattutto tra le masse a causa di un diffuso malessere, ma la potenza e
la grandezza della nazione erano anche dei rifugi che si offrivano alle fragilità
dell’individuo che non poteva fare altro che sperare in un futuro migliore. I
singoli, schiacciati dal meccanismo della società industrializzata,
abbandonandosi al pathos corale delle masse “nazionalizzate” riuscivano a
vincere l’incubo della solitudine e trovavano una forma di associazione
diversa dalla solidarietà di classe proposta dagli apostoli del socialismo.
13
Il
popolo credeva e si affidava a questi “profeti” che assicuravano benessere e
successo, ma che inevitabilmente non portarono altro che distruzione, guerre
e morte: «La guerra, il sangue, le stragi, le durezze, le crudeltà non erano più
oggetto di deprecazione e di ripugnanza e di obbrobrio, ma, come cose
necessarie ai fini da conseguire, si facevano accettevoli e desiderabili, e si
rivestivano di una certa attrazione poetica, e perfino davano qualche brivido
di religioso mistero, per modo che si parlava della bellezza che è nella
guerra e nel sangue, e dell’eroica ebbrezza che solo per quella via all’uomo
è dato celebrare e godere»
14
.
In questa Germania impregnata di nazionalismo, di imperialismo, di voglia di
potenza ma anche di spasmodico sviluppo economico si formarono molti
13
Cfr. A. Desideri, M. Themelly, Storia e storiografia, vol. II, cit. pp. 1109-1110.
14
B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, cit. p. 299.