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ovvero entità costruite dalla nostra mente. Tutto il nostro controllo (fisico e chimico) della
natura, così come la nostra capacità di creare e gestire l’habitat politico-economico nel
quale viviamo, si impernia esclusivamente su un pensare per concetti che sono – per
l’occhio nudo – entità invisibili e inesistenti. In sintesi: tutto il sapere dell’homo sapiens si
sviluppa nella sfera di un mundus intelligibilis (di concetti, di concepimenti mentali) che
non è in alcun modo il mundus sensibilis, ovvero il mondo percepito dai nostri sensi.
Quest’ultimo possiede, infatti, un carattere soggettivo che varia da individuo ad individuo:
la percezione binoculare non è fatta di due percezioni monoculari sovrapposte, ma
appartiene ad un altro ordine. Le immagini che l’uomo distingue attraverso la visione
monoculare sono differenti dalla “cosa in sé”: sono dei fantasmi che svaniscono quando si
passa alla visione normale e binoculare.
Il filosofo Maurice Merleau-Ponty, nel famoso saggio Il visibile e l’invisibile, affronta il
tema della soggettività di ciò che l’uomo percepisce come reale:
«I colori dell’altro, il suo dolore, il suo mondo, proprio in quanto suoi, come potrei
concepirli, se non in base ai colori che vedo, ai dolori che ho patito, al mondo in cui vivo?
[…] Nell’istante stesso in cui credo di condividere la vita dell’altro, io non la raggiungo se
non nei suoi fini, nei suoi poli esteriori. La cosa è sempre, per me, la cosa che io vedo. I
“mondi privati” comunicano, ciascuno di essi si dà al suo titolare come variante di un
mondo comune. La comunicazione fa di noi i testimoni di un unico mondo, così come la
sinergia dei nostri occhi li fa dipendere da una cosa unica. Ma in entrambi i casi la
certezza, per irresistibile che sia, rimane assolutamente oscura; noi possiamo viverla, non
possiamo né pensarla, né formularla, né erigerla a tesi».
1
La religione, che si fonda sulla fede verso il supremo elemento invisibile, ovvero Dio, si è
sempre avvalsa dell’ausilio delle immagini, adottando dei testi scritti, assumendo una
figura iconica come portavoce e affidandosi a tutta una serie di simboli per potersi radicare
nel credo del popolo. Durante il Medioevo, ad esempio, l’utilizzo delle vetrate su cui erano
descritti i racconti biblici e la vita dei santi ha fatto in modo che il popolo – allora in
maggioranza analfabeta – potesse essere istruito ai precetti della Chiesa in modo semplice
ed immediato.
Questo bisogno di immagini concrete ha tuttavia portato spesso a degli eccessi, come ad
esempio il non percepire la differenza tra la riproduzione immaginifica e l’oggetto in
1
Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano: Bompiani, 1999.
7
quanto tale, portando ad esempio – tra l’VIII e il IX secolo d.C. – al fenomeno
dell’iconolatria, ovvero la venerazione delle immagini sacre, e conseguentemente alla
misura repressiva dell’iconoclastia, che predicava la distruzione di ogni icona religiosa,
citando le parole di S. Gregorio di Nazianzio, vescovo di Costantinopoli: «la fede non è nei
colori ma nel cuore»
2
.
S. Giovanni Damasceno, tuttavia, ricorda che la materia è l’elemento di cui Dio si è servito
per salvare gli uomini e per comunicare con loro. L’argomento più forte contro
l’iconoclastia, formulato dal padre della Chiesa siriano, fu che essa negava uno dei principi
fondamentali della fede cristiana, cioè la dottrina dell’incarnazione. Secondo i difensori
delle immagini, la nascita umana di Cristo ne aveva reso possibile le rappresentazioni, che
in qualche misura condividevano la divinità del soggetto originale; il rifiuto delle immagini
comportava automaticamente, quindi, il rifiuto del modello di cui erano riferimento.
Nel Secondo Concilio di Nicea, ovvero il settimo concilio ecumenico della Chiesa
Cattolica avvenuto nel 787 d.C, i più alti esponenti del clero hanno discusso sulla liceità
dell’immagine sacra e sulla sua venerazione, riconoscendola come elemento fondamentale
per la dottrina cristiana. In quella sede si è sottolineata la distinzione tra il concetto di
προσκύνησις (“venerazione”) e quello di λατρεία (“adorazione”), precisando che alle icone
spetta una prosternazione d’onore (τιμητική προσκύνησις) ma non la vera adorazione
(άληθινή λατρεία) che deve essere riservata alla sola natura divina: l’onore reso
all’immagine passa a colui che essa rappresenta; allo stesso modo gli altri atti della pietà
popolare, come l’uso diffuso di baciare le icone, sono da intendere come tributari alla
persona raffigurata:
«Le immagini suggeriscono, allo stesso modo che se guardassimo con gli occhi o
toccassimo con le mani, anche ciò che si può contemplare invisibilmente con un guizzo del
pensiero. […] Ogni immagine, fatta nel nome del Signore, sia essa di angeli, o di profeti, o
di Apostoli, o di martiri, o di giusti, è santa; giacché non è adorato il legno, ma si onora
ciò che nel legno si vede e viene ricordato. […] Attraverso il volto visibile la nostra mente
è rapita verso l’invisibile divinità nella sua grandezza con una disposizione spirituale».
3
L’antico dibattito sull’immagine e le sue conclusioni, accolte pur tra contrasti drammatici
da tutta la Cristianità, hanno plasmato la cultura occidentale, rendendo possibile la storia
2
www.sanpietrodisorres.it/ICONA.htm
3
Luigi Russo, Vedere l’invisibile: Nicea e lo statuto dell’Immagine, Palermo: Aesthetica, 1999, pp.18-21-22.
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dell’arte come la conosciamo, ma anche la legittimità dell’immagine – per il piacere dei
sensi, per la propaganda politica e ideologica, per la pubblicità e la conoscenza scientifica,
insomma per le più rarefatte esperienze dello spirito e i più concreti interessi materiali.
L’antica trasgressione al divieto biblico di fabbricare immagini, spintasi fino a sciogliere
l’assoluto all’interno dell’immagine, ha fondato grazie ai dettami di Nicea il nostro
“impero dei sensi”, in cui si è ormai tecnologicamente dissolta ogni distinzione tra visibile
ed invisibile e tutto può e deve essere visto, arrivando addirittura a far coincidere Dio con i
miti di Hollywood o Internet.
Anche la maggior parte delle altre religioni maggiori utilizza l’iconografia come mezzo per
diffondere i concetti del proprio credo: nell’ebraismo, ad esempio, l’utilizzo delle
immagini è simile a quello cristiano, nonostante esso venga arricchito da immagini
popolari a scopo descrittivo e di insegnamento morale; nel taoismo, l’iconografia è invece
di natura esclusivamente simbolica, che spesso è utilizzata a scopo esemplificativo per la
spiegazione di principi troppo elevati e complessi per poter essere compresi facilmente dai
fedeli, che si basano sulla struttura filosofico-matematica, analogica e deduttiva di questo
tipo di religione. L’induismo, inoltre, fa un largo uso dell’iconografia, possedendo un
pantheon di oltre tremila divinità, che altro non sono che le rappresentazioni materiali e
metaforiche di concetti, fenomeni o sentimenti. Nel Buddhismo le immagini sacre
svolgono la funzione di rappresentazioni atte ad appagare il bisogno di familiarità con
concetti metafisici: nella corrente Zen, invece, non esistono simbolismi materiali, in quanto
il raziocinio obbligato viene considerato uno strumento di divagazione delle sensazioni
spirituali.
«Se apriamo le mani, possiamo ricevere ogni cosa. Se siamo vuoti, possiamo contenere
l'Universo».
4
All’interno della religione islamica, invece, l’utilizzo di immagini sacre è severamente
vietato, poiché secondo i precetti di Maometto, Dio (Allah) non può essere rappresentato,
in quanto si colloca al di là del visibile, del comprensibile e dello scibile: la sacralità viene,
invece, espressa attraverso l’architettura, la decorazione, i mosaici e soprattutto attraverso
la calligrafia, che è un vero e proprio strumento di trascrizione del Verbo.
Attraverso questa veloce carrellata tra le maggiori religioni abbiamo notato che nella
stragrande maggioranza l’immagine svolge una funzione essenziale per la divulgazione dei
4
http://www.aikidoedintorni.com/Buddismo%20zen/buddismo_zen.htm
9
precetti religiosi. Al giorno d’oggi l’importanza del simbolo porta ad un vero e proprio
ritorno all’iconolatria, in quanto la società odierna basa le proprie radici sull’immagine e
quindi sull’apparenza. Nella religione cattolica questo fenomeno crea veri feticci di
adorazione: l’immagine sacra di stampo votivo prolifera soprattutto nelle regioni del sud
Italia e tra le persone anziane (si pensi soltanto alla vendita di statue, santini e presunte
reliquie, come la Sacra Sindone a Torino e la Corona Ferrea a Monza). Questo succede
perché si è smarrita la differenza tra la “cosa in sé” e l’immagine che la rappresenta: questa
non è altro che un’ombra sfuocata, come predicava già Platone nel 300 a.C. nel famoso
mito della caverna
5
, per spiegare il mondo delle Idee.
Nella scala di valori del filosofo greco, prima viene l’idea, immutabile e con propria
dimensione ontologica, poi viene il modo in cui essa viene percepita, e solo allora si
collocano le cose sensibili.
Per Platone, infatti, le cose di questo mondo sono corruttibili, mutano, divengono, si
generano e si distruggono, hanno in sé parte dell’idea di cui sono la copia sensibile e parte
del loro opposto, e non devono essere assolutamente scambiate per la “cosa in sé”.
In campo scientifico, l’uomo ha sempre provato il desiderio insopprimibile di conoscere e
rendere visibile ciò che l’occhio umano non è in grado di percepire, come attestano le più
attuali scoperte tecnologiche, in grado di fotografare tanto l’immensamente piccolo, ovvero
l’atomo, quanto l’immensamente lontano, cioè l’Universo.
Nel libro Ballando nudi nel campo della mente, il premio Nobel per la Chimica nel 1993
Kary B. Mullis scrive:
«La stragrande maggioranza del mondo ci risulta invisibile, a prescindere dalla
brillantezza delle nostre luci; le nostre orecchie non percepiscono più di una frazione dei
suoni che esso produce, né riusciamo ad avvertirne, con le nostre dita, il tessuto sottile.
Anche con tutti gli strumenti di cui disponiamo, lunghi tubi piazzati sulle montagne, e un
telescopio Hubble nello spazio, siamo ciechi alla miriade di complesse energie che
ruotano, vibrano e pulsano intorno a noi giorno e notte, anno dopo anno, millennio dopo
5
Il mito della caverna di Platone è probabilmente la più conosciuta tra le sue allegorie, metafore e parabole, e
viene raccontata all’inizio del settimo libro de “La Repubblica” (514a-518b). Questa allegoria descrive degli
uomini incatenati in una caverna sotterranea, costretti a guardare solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si
riflettono immagini di statuette, che sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle dei prigionieri e
raffigurano tutti i generi di cose. Dietro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette e più in là
brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano le ombre
per la sola realtà esistente; ma se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle
statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà.
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millennio. Il comportamento più adeguato per un essere umano è quello di sentirsi
fortunato ad essere vivo, umile di fronte all’immensità del tutto».
6
Gli ultrasuoni, infatti, onde meccaniche sonore, possiedono delle frequenze
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superiori a
quelle mediamente udibili da un orecchio umano: lo stesso termine ultrasuono indica ciò
che è al di là (ultra) del suono, identificando con la parola “suono” un fenomeno fisico
udibile all’uomo.
Come ogni altro tipo di fenomeno ondulatorio gli ultrasuoni sono soggetti a fenomeni di
riflessione, rifrazione e diffrazione e possono essere definiti mediante parametri quali la
frequenza, la lunghezza d’onda, la velocità di propagazione, l’intensità o l’attenuazione
(dovuta all’impedenza acustica del mezzo attraversato).
Gli ultrasuoni trovano utilizzo perlopiù in campo medico ed industriale essendo
ampiamente utilizzati nelle ecografie, nei controlli non distruttivi e in molti apparecchi
utilizzati per la pulizia superficiale di oggetti di piccole dimensioni.
Anche le radiazioni di calore provenienti da un oggetto sono inavvertibili alla vista
dell’uomo, così come gli infrarossi, gli ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. Il motivo di
questa mancanza è presto spiegato: i nostri occhi riescono a percepire solo ciò che rientra
nello spettro della luce visibile, il piccolissimo intervallo di frequenza tra l’ultravioletto e
l’infrarosso, ovvero una minima parte dell’intero spettro elettromagnetico:
«Dopo le guerre mondiali la nostra cultura, in tutto il mondo, ha cominciato ad accettare
il concetto che la realtà non è quella che vediamo con i nostri occhi, ma un qualcosa che
può essere percepito solo dagli specialisti con macchinari speciali e lenti potenti. […]
La cosmologia si pratica vedendo luci che sono state emesse milioni di anni fa, e che non
saremmo in grado di vedere neanche se ci trovassimo su una montagna con una gran
quantità di rilevatori puntati su di essa, perché i nostri occhi non riescono nemmeno a
registrare questo tipo di luce»
.
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Per ovviare a questa mancanza, l’uomo ha creato diversi tipi di espedienti tecnologici:
esistono particolari dispositivi, ad esempio, in grado di fotografare i raggi infrarossi,
ovvero le radiazioni che vanno al di là del colore rosso. Le emulsioni fotografiche, infatti,
6
Kary B Mullis, Ballando nudi nel campo della mente, Milano: Baldini&Castoldi, 2000, p.220.
7
La frequenza convenzionalmente utilizzata per discriminare onde soniche da onde ultrasoniche è fissata in
20 kHz.
8
Kary B Mullis, Ballando nudi nel campo della mente, Milano: Baldini&Castoldi, 2000, pp.76-77.
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sotto l’azione di queste radiazioni subiscono particolari alterazioni che, mediante lo
sviluppo e il fissaggio della pellicola o della lastra, diventano visibili all’occhio umano: per
questo motivo, oggi la fotografia è forse il più importante mezzo di ricerca della fisica
nucleare. Dallo studio di tutte le radiazioni emesse da un corpo si possono ricavare
preziose informazioni sulla costituzione molecolare, atomica e subatomica della materia,
ovvero l’oggetto di studi di quel ramo della fisica che si chiama spettrografia.
La radiazione ultravioletta, invece, possiede maggior frequenza dell’infrarosso e quindi più
energia. Questi raggi sono molto pericolosi: dosi elevate e una prolungata esposizione ai
raggi solari, infatti, favoriscono l’invecchiamento e l’insorgenza di tumori della pelle.
I raggi X, ancora più potenti, vengono utilizzati sia come mezzo diagnostico che come
mezzo curativo, nella lotta contro i tumori. L’astronomia moderna – la cosiddetta
radioastronomia – studia i raggi X provenienti dal Sole e dalle lontane stelle e galassie.
Ancora più energetici, e dunque pericolosi, sono i raggi gamma, i quali provengono dalle
sostanze radioattive.
Paradossalmente, l’incessante bombardamento di immagini al quale assistiamo nella
società contemporanea – icone che inneggiano all’apparenza e all’esteriorità – ha portato
ad una sempre maggiore ricerca di “invisibilità”. Tutto si sta progressivamente
“virtualizzando”, grazie alle nuove tecnologie digitali ed informatiche: ci si rinchiude nello
spazio interno personale, evitando il contatto diretto e “fisico” con gli altri individui.
Nascono così le invisible people, persone sole che vivono ai margini di una società
incurante che predica il successo e l’apparenza esteriore. Molti di questi individui, proprio
a causa dell’atteggiamento di cui sono vittime, cercano rifugio in un mondo parallelo, un
universo in cui possono crearsi una nuova identità e in cui sentirsi, finalmente, visibili.
Parlo del mondo di internet e delle chat, universi virtuali in cui si possono oltrepassare le
barriere dettate da colore della pelle, handicap fisici o linguistici, e in cui ci si può mostrare
per ciò che si ha dentro. Esempi di vita alternativa sono il GDR
9
e le community online
come Second Life o Ultima Online, le quali si basano sul medesimo principio: crearsi una
nuova vita scegliendo il proprio aspetto fisico e caratteriale, il proprio lavoro e gli amici da
frequentare.
L’arte ha sempre cercato di dare forma e peso ai processi più invisibili, proponendosi come
la chiave di lettura in grado di oltrepassare le apparenze e di aprire la mente a nuovi punti
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In un gioco di ruolo, abbreviato spesso nell’acronimo GDR o RPG (dall’inglese role-playing game), i
giocatori assumono il ruolo di personaggi da loro ideati o non in un mondo immaginario o simulato, con
precise e a volte complesse regole interne. Ogni personaggio è caratterizzato da svariate caratteristiche a
seconda del tipo di gioco di ruolo (ad esempio forza, destrezza, intelligenza, carisma e così via),
generalmente definite tramite punteggi.
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di vista che esulano dai significati a cui siamo abituati. Cosa differenzia un semplice
oggetto da un’opera d’arte? Nel 1948 René Magritte intitolava un suo quadro “Ceci n’est
pas une pipe” (“Questa non è una pipa”), rivelando, in una visione molto chiara, la frattura
tra il mondo dei segni e il mondo della realtà. I segni sono arbitrari: significato e
significante hanno, quindi, un rapporto del tutto soggettivo e la relazione che intercorre tra
il segno e la sua rappresentazione non solo frantuma la consapevolezza intrinseca in
ognuno di noi della scissione tra il linguaggio e la realtà, ma diviene la negazione di se
stessa. Bisogna insomma saper distinguere tra la “cosa in sé” e la sua rappresentazione,
come afferma Jean-Luc Nancy nella sua “Piccola conferenza su Dio”:
«Sicuramente amate qualcuno, e capite che l’amore non è una cosa che sta da qualche
parte, anche se potete inviare una cartolina con un cuore: è un segno d’amore, ma non è
l’amore».
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Marcel Duchamps espone in una galleria uno scolabottiglie, Jannis Kounellis dei cavalli
vivi, Gino De Dominicis una mozzarella posta sul sedile di una carrozza: è grazie
all’intervento di questi artisti se il significato che la società attribuisce ad ogni significante
acquista nuovi termini, minando le certezze dello spettatore e portandolo all’acquisizione
di un nuovo modo di pensare, che va oltre l’apparenza. L’utilizzo di elementi comuni porta
inevitabilmente il pubblico a riflettere: poiché si trovano in una galleria, infatti, questi
oggetti diventano opere d’arte, e quindi il loro significato deve necessariamente porsi al di
là del quotidiano. Tra i protagonisti dell’arte contemporanea che hanno dichiarato guerra
alla fossilizzazione del pensiero ne ho selezionati quattro che, più di altri, mi hanno aiutato
a comprendere l’importanza di saper abbattere i propri pregiudizi e schemi mentali,
aprendosi al nuovo e al diverso. Ognuno di essi mostra il proprio invisibile, che può essere
la traccia lasciata da un corpo che non è più, la descrizione di un oggetto che si viene a
sostituire ad esso o, ancora, il distaccamento mentale dal corpo terreno per raggiungere un
universo “altro”, o infine la mitologia e la forza ammaliante e allo stesso tempo distruttrice
della passione.
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Jean-Luc Nancy, In cielo e in Terra – Piccola conferenza su Dio, Roma: Luca Sossella Editore, 2006, p.57.