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INTRODUZIONE 
 
La stesura di questo elaborato è nata da una proposta che mi è stata fatta dall'associazione L'Avete 
Fatto A Me Onlus: di partecipare ad un intervento di tre settimane di scambio-formazione, rivolto  
agli educatori di un progetto che si occupa di ragazzi di strada a Garoua, nel nord del Camerun. 
Conoscevo già un poco della realtà dei ragazzi di strada per una ricerca svolta al liceo sui ragazzi di 
strada sudamericani ed un viaggio nel 2005 nel nordest brasiliano, dove ho potuto incontrare un 
assaggio di questa realtà. Si trattava comunque di conoscenze sporadiche e  poco approfondite. 
Dell'Africa, non sapevo quasi niente. È un continente che mi ha sempre affascinato per la sua 
cultura e tradizione, e diverse volte in passato avevo preso in considerazione l'idea di andare a 
conoscere questo mondo attraverso un'attività di volontariato. Un'idea che non si è mai realizzata, 
fino a che, appunto, non è arrivata la proposta di questo progetto. 
Ho deciso di accettare perchè mi veniva offerta la possibilità di avvicinarmi alla realtà africana 
all'interno di un progetto già strutturato e concreto. Un progetto, tra l'altro, che mi avrebbe permesso 
di incontrare persone del posto, addirittura persone che condividevano il mio stesso universo 
professionale. La possibilità di fare educazione in un contesto altro e a contatto con educatori locali 
mi è sembrata un'opportunità molto interessante per il mio percorso formativo. Inoltre da sempre, la 
mia prospettiva di lavoro come educatrice è all'interno del disagio sociale. Se guardo al mio futuro 
professionale, spero di essere impegnata in un'attività a contatto con minori, donne, adulti “in 
difficoltà”, piuttosto che con disabili, con bambini piccoli, con anziani, altri ambiti in cui la nostra 
professione è presente. I ragazzi di strada fanno parte di questa categoria, quindi ho pensato che 
un'esperienza con loro avrebbe potuto accrescere il mio bagaglio esperienziale anche in questo 
senso. Infine,si trattava di rispondere a un bisogno di formazione e di scambio culturale proveniente 
dagli educatori che agiscono sul posto, quindi mi è sembrata una scelta corretta non solo per me, ma 
anche per dare un contributo a queste persone. 
Ho deciso di impegnarmi nella ricerca e nella stesura di un elaborato su questo argomento perchè ho 
pensato che l'esperienza che mi aspettava sarebbe stata complessa e avrebbe richiesto un'accurata 
riflessione. Scriverne una tesi sicuramente mi avrebbe aiutato in questo lavoro di rielaborazione.  
La proposta del viaggio e della tesi mi è stata fatta da un appartenente all'associazione, responsabile 
e realizzatore del progetto, Ferruccio Cartacci. Lui e gli altri formatori che portavano avanti questa 
collaborazione ormai da due anni sono stati i mediatori che hanno preparato me e  i miei compagni 
di viaggio all'incontro con la realtà africana  e con gli educatori di Garoua. Molte delle riflessioni in 
questa tesi nascono dal loro prezioso patrimonio di esperienze e conoscenze, che hanno accettato di
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condividere con noi. La preparazione che abbiamo svolto insieme prima della partenza è stata 
fondamentale per arrivare ad interiorizzare le numerosissime contraddizioni che una realtà così 
diversa dalla nostra ha suscitato. Altrettanto importante è stato avere al mio fianco in questo viaggio 
altre due persone che condividevano le mie stesse categorie e visioni del mondo. Il poter riflettere 
attorno agli elementi contraddittori incontrati confrontandomi con altri mi ha permesso di 
rielaborarli al meglio.  
Il mio elaborato prevede una parte iniziale introduttiva alla tematica dei ragazzi di strada nel 
mondo, attraverso l'indagine di altri movimenti e progetti che operano a contatto con questa realtà. 
Una seconda parte si concentra sul contesto sociale e culturale in cui si colloca il progetto che 
abbiamo incontrato, il Camerun in generale e la città di Garoua in particolare. 
Successivamente, ho ritenuto opportuno raccontare la storia del progetto ed i principi che 
sottostanno alle azioni che gli educatori mettono in pratica ogni giorno. 
Infine, l'ultima parte è dedicata al racconto della nostra esperienza concreta, del mio viaggio alla 
scoperta di questo mondo ed alle numerose riflessioni che tutto ciò mi ha suscitato.
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Cap. 1  I RAGAZZI DI STRADA NEL MONDO: VITTIME DELLA 
STRUTTURA SOCIALE 
 
1.1.Un imperativo condiviso: intervento locale e pensiero globale 
 
All'inizio della mia ricerca mi sono resa conto che la realtà dei Ragazzi di Strada è presente in molte 
parti del mondo, tant'è che diverse persone che vi operano ritengono che un discorso mirato e 
localizzato sia incompleto e riduttivo per comprendere questo fenomeno. 
Pertanto, ho indagato intorno al pensiero di alcuni dei promotori degli interventi nel mondo rispetto 
a questa realtà ed ho trovato che la maggior parte di essi ritiene fondamentale trattare il problema da 
un duplice punto di vista: locale e concreto per quanto riguarda gli interventi pratici, calato nella 
realtà e attento alle condizioni materiali; globale e generalizzato per quanto riguarda invece un 
discorso ideologico e riflessivo rispetto a questo fenomeno, in quanto le cause primarie si rifanno 
tutte a un problema strutturale globale, che interessa la nostra società intera.  
Le mie fonti principali sono stati Gérard Lutte, con il suo Movimento des Jovines de la Calle 
(MOJOCA) in Guatemala,
1  
Miloud con l'associazione Parada in Romania
2 
e Padre Yves Balaam 
che ha lavorato per molto tempo con i ragazzi di strada di Yaoundé
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. 
Il fenomeno dei ragazzi di strada è oggi presente in proporzioni enormi e preoccupanti in quasi tutti 
i paesi generalmente definiti 'in via di sviluppo'. Lo si incontra in America Latina, Africa, Asia e in 
qualche stato dell'Europa dell'Est, in generale in quegli stati che hanno subito la colonizzazione 
occidentale e che hanno raggiunto l'indipendenza nella seconda ondata di decolonizzazione, intorno 
agli anni 70.  
Si considerano Ragazzi di Strada quei minori, privi del supporto della famiglia di orgine, che non 
hanno un posto fisso dove abitare e vivono di sussistenza. Le loro fonti di sopravvivenza sono 
lavoretti occasionali, mendicità e furto, i loro territori abituali sono le strade delle grandi metropoli 
dei paesi in via di sviluppo, le stazioni, le fogne, le costruzioni abbandonate... 
 
 
                                                 
1 Cfr. Lutte, G. Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala e il loro movimento autogestito, il MOJOCA, ed. 
Qualevita e Amistrada, Pescara 2008 (ed. Originale  Rete di Solidarietà,  Kappa, Roma, 2001). Sito internet: 
www.amistrada.net 
2 Film Pa.ra.da, Italia 2008, Regia di Marco Pontecorvo, 01 Distribution . Sito internet: www.parada.it 
3  Cfr. Balaam, Y. Enfants de la prison et de la rue dans une ville africaine, Presse de l'UCAC (Université Catholique 
de l'Afrique Centrale), Yaoundé, 1997
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      1.2. I conflitti alla base della realtà dei RdS 
 
Le condizioni concrete della quotidianità di questi ragazzi sono molto eterogenee, tanto che è 
difficile fare un discorso generalizzato valido ovunque. Esistono però caratteristiche strutturali che 
si ripetono nei vari paesi e che, secondo la maggior parte delle associazioni che vivono ogni giorno 
a contatto con questa realtà, sono alla base di una diffusione così ampia e problematica del 
fenomeno. Si tratta di conflitti a molteplici livelli che hanno portato a una disgregazione sociale 
generalizzata, fonte di contraddizioni e di ostacoli al benessere del popolo. I bambini di strada si 
situano alla fine di questa catena di cause-effetti.  
 In primo luogo, è fondamentale il conflitto economico tra nord e sud del mondo, eredità 
attuale e globalizzata del periodo della colonizzazione. I paesi ricchi, invece di sostenere i 
governi dei paesi appena decolonizzati per promuovere uno sviluppo globale armonico  che 
permettesse la riduzione del dislivello economico mondiale,  hanno spesso attuato politiche 
capitalistiche di sfruttamento delle risorse e della manodopera. Queste sono state causa di 
ulteriore povertà e indigenza dei paesi in via di sviluppo e non ne hanno permesso 
l'emancipazione effettiva.  
 Inoltre, tali paesi ricchi hanno più volte appoggiato governi dittatoriali all'interno degli stati 
teoricamente liberi, i quali invece che guardare al benessere della popolazione potenziando 
le istituzioni pubbliche e assecondando i profondi mutamenti culturali subiti, hanno 
privilegiato essi stessi la rincorsa allo sviluppo economico. Tutto questo ha comportato 
conflitti strutturali interni alle società dei paesi in via di sviluppo, in cui la distribuzione 
delle ricchezze non è equilibrata: a fronte di poche persone estremamente ricche, esiste una 
massa di poveri che si dividono il restante PIL. Infine, i governi di questi paesi non hanno 
agito nella direzione di potenziare lo stato sociale, fondamentale in Occidente per attenuare 
gli effetti devastanti del capitalismo puro. Gli individui si ritrovano così senza alcun 
supporto pubblico, totalmente dipendenti dalla famiglia di origine e assolutalmente soli in  
mancanza di questa. 
 Il conflitto economico diventa ovviamente e soprattutto anche conflitto culturale: le logiche 
capitalistiche e occidentali si sono imposte in luoghi dove già erano presenti tradizioni e 
culture millenarie, spesso totalmente differenti da questa nuova cultura arrivista e 
individualista. Tutti i paesi in via di sviluppo soffrono lo scarto tra i due sistemi culturali, 
dove la modernità rappresenta tanto potenziale sviluppo, ricchezza, fuoriuscita dalla povertà,
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quanto uccisione delle proprie tradizioni. Allo stesso modo le culture tradizionali, se da una 
parte sono sinonimo di grandiosità del passato e alti valori, dall'altra sanno di immobilismo e 
arretratezza, e vengono rifiutate dalle nuove generazioni. Questo si verifica soprattutto 
quando i giovani stessi percepiscono la disapprovazione che il mondo occidentale nutre nei 
confronti di questi elementi culturali, che frenano il percorso di sviluppo. Si ritrovano quindi 
a negare il proprio passato e a considerarlo negativamente, cosa che  causa in loro ulteriore 
conflitto e confusione. 
 Il conflitto culturale diventa territoriale se si considera il gap esistente tra le campagne e le 
città di questi paesi: nelle zone rurali l'economia è di sussistenza, le possibilità di movimento 
sono decisamente limitate e la modernità è conosciuta solo indirettamente. Spesso esse 
ospitano storiche comunità che si ergono come ultimi baluardi di conservazione di tradizioni 
millenarie, che non vogliono scomparire. In città, al contrario, l'atmosfera è solitamente 
dinamica, fimmeggiante, ricca di tecnologie, spinta a raggiungere il livello di vita 
occidentale. Questo mondo urbano e moderno possiede una forza attrattiva enorme per tutti i 
giovani delle campagne, che vi entrano in contatto tramite i racconti di qualcuno che è 
partito, la radio o la televisione. Spesso si illudono che basti spostarsi in città per poter 
partecipare al ricco festino del mondo contemporaneo. Una volta arrivati però, devono 
scontrarsi con la dura realtà per cui la modernità è una sirena ammaliatrice ma non sempre 
può garantire ciò che promette, non a loro, gli scarti sociali, gli ultimi. 
 Inoltre, nelle società in cui esiste un modello famigliare clanistico e patriarcale, (la maggior 
parte in Africa)  il conflitto diventa generazionale e di genere. In questo tipo di famiglia 
infatti il patriarca detiene il potere decisionale e richiede cieca obbedienza, in cambio di 
sostentamento e protezione. Ognuno è tenuto a lavorare, il guadagno non è suo ma viene 
amministrato dagli anziani e viene richiesto un forte senso di appartenenza.  Siamo in un 
momento in cui però la famiglia tradizionale stessa sta perdendo il proprio ruolo e la propria 
autorità in quanto inadeguata alle esigenze dello stile di vita contemporaneo: i saggi anziani 
misconoscono e disprezzano i giovani che si fanno prendere dalle accattivanti tecnologie 
della modernità, rifiutando di ereditare e perpetrare i costumi popolari. Lo stesso succede 
alle donne che, sull'onda delle loro coetanee occidentali, richiedono l'emancipazione dal 
potere del padre o del marito. Visto il grande senso di appartenenza e il valore della 
solidarietà famigliare sentito come importantissimo, chi mette in discussione questo modello 
viene facilmente isolato ed esiliato, considerato colpevole e ribelle. Per chi viene allontanato 
dalla comunità famigliare, però, la vita diventa molto difficile, soprattutto a causa della 
mancanza di uno stato sociale e previdenziale che si faccia carico di queste situazioni.