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Introduzione
"Non esiste una personalità pretossicomane...
per dirla terra terra, quasi tutti apprezzano la droga.
Avendo fatto l'esperienza di questo piacere
l'organismo umano tende a ricercarlo all'infinito. La malattia
del tossicodipendente è la roba. Bussate a una porta qualunque.
Chiunque risponda, dategli quattro dosi da 30 milligrammi
Della Medicina di Dio al giorno per sei mesi ed ecco che si troverà
Con la cosidetta "personalità del tossicomane".
William S. Burroughs (1961). La macchina morbida.
Mi piacerebbe inziare questo lavoro con una frase di Catherine Chabert che
scrive: "Le parole sono lì per mascherare ciò che non è rappresentabile, per sbarrare
le vie di accesso a chi ascolta, perchè egli non può vedere"
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.
La possibilità di poter leggere le dinamiche che si celano dietro ogni
individuo, esplorare il suo immaginario, formulare ipotesi sul suo
funzionamento, cercare di capire più di quanto lui mi possa esprimere
attraverso una risposta data ad una macchia d'inchiostro, diviene per me il
completamento di un percorso iniziato quattro anni fà, ma che ha delineato
un nuovo punto di partenza.
Partendo dalla lettura e dall'approfondimento di alcuni protocolli Rorschach,
si vogliono formulare alcune riflessioni sulla tossicodipendenza, intesa come
un comportamento sintomatico, a prescindere dalle diverse ipotesi
diagnostiche di altra natura. La vasta letteratura ha evidenziato
l'impossibilità di stabilire una struttura di personalità comune (Bergeret,
1982), rilevando che le nozioni di struttura e topica possano intendersi come
soluzioni momentanee, in un'estrema mobilità della vita in cui perturbazioni
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Chabert C. (1998ª). Psicopatologia e Rorshach, trad. ital., Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003, p. 133.
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e deformazioni spostano continuamente gli equilibri (Olievenstein, 1983):
una fuga permessa e promossa dalle fantasmagorie illusionali che ogni droga
trascina con sè, di restituire un senso in un deserto di insignificanza.
Il test proiettivo di Rorschach, nella nostra pratica, viene utilizzato come uno
strumento che ci aiuta a comprendere alcuni aspetti del modo di essere del
paziente, nel suo relazionarsi con sé e il mondo e ci offre validi punti di
orientamento.
Il test viene usato non tanto per avere o supportare una diagnosi descrittiva,
ma sopratutto per approfondire il mondo del paziente. L'ausilio che il test di
Rorschach offre con questi soggetti è importante, dal momento che è difficile
avere un colloquio con i tossicodipendenti, è difficile sentirsi raccontare
qualcosa di sé che non abbia a che fare con la roba che tiene su. Spesso c'è
silenzio, come se non ci fosse nulla da dire, oppure come se tutto fosse già
detto: in questo senso la costruzione di uno spazio psicologico-
psicoterapeutico è un obiettivo, piuttosto che il punto di partenza.
L'ipotesi psicopatologica, da cui cercherò di muovermi mette in primo piano
il deficit relazionale (intrapsichico oltre che intersoggettivo).
Nella prima parte (capitolo I) vengono approfonditi gli approcci
psicodinamici della tossicodipendenza, dando un rilievo maggiore a quegli
autori che hanno cercato di capirla in termini di funzionamenti difettosi delle
prime relazioni.
Il secondo capitolo approfondisce le modalità di come una separazione o una
perdita possa essere l'origine di uno sviluppo patologico.
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Nel terzo capitolo viene descritta la natura del Rorschach; quali sono gli
aspetti fondanti di questo test, e come possono diventare degli strumenti di
conoscenza.
L'ultima parte (capitolo IV) esamina i protocolli somministrati, valutando i
risultati in chiave macroscopica (su tutto il campione), per poi approfondirli
in maniera più dettagliata.
Questo lavoro si propone di far comprendere come l'esperienza del Rorschach
possa essere un veicolo per indagare gli atteggiamenti del tossicodipendente,
ed in modo particolare, come il suo immaginario si inscriva in una relazione
d'assenza; creatice di uno spazio di solitudine, dove le immagini restano
chiuse, inglobate dall'angoscia di una madre non presente.
Vorrei infine fare un ringraziamento alla Dott.ssa Tiziana Sola per averci
avvicinato ai proiettivi, cercando di farci capire che un test può essere
qualcosa di più di un mero strumento di analisi psicometrica, e che questo,
attraverso l'immagine, apre un campo associativo infinito ed una libertà
visiva e sensoriale sorprendente.
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1. Approccio psicodinamico alla tossicodipendenza
"Ho visto le menti migliori della mia generazione
distrutte dalla follia,
affamate nude isteriche,
trascinarsi all'alba nei quartieri negri,
in cerca di droga rabbiosa..."
Allen Ginsberg (1955). L'Urlo.
Il fenomeno della dipendenza ed in particolare della tossicodipendenza sono
assai complessi con una storia per certi versi antica, ma che è andato
organizzandosi nella forma comunemente intesa, cioè dipendenza da una
sostanza identificata genericamente come "droga". L’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità), definisce la dipendenza come "Uno stato psichico e
talvolta anche fisico risultante dall’interazione tra un organismo vivente ed una
sostanza, che si caratterizza per modificazioni comportamentali ed altre reazioni che
includono sempre la necessità (compulsione) ad assumere la sostanza, per ottenere gli
effetti psichici o per evitare la sindrome da astinenza" (Ascone; Lauricella, 1997).
1.1 Alcune teorie psicodinamiche.
Le spiegazioni della tossicodipendenza proposte in ambito psicoanalitico
fino agli anni ’60 condividevano l’idea che essa costituisce un disturbo della
personalità caratterizzato da fissazione orale
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, narcisismo, disturbi maniaco-
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La fase orale è la prima dello sviluppo psico-sessuale dal punto di vista psicoanalitico e si sviluppa
dalla nascita del bambino fino ai 18 mesi circa. Domina la zona orale: bocca, labbra, lingua. La
fissazione orale avviene quando la fase libidica stessa o la zona erogena implicata sono state vissute
come troppo gratificanti o troppo frustranti. La direzione selettiva dell’energia pulsionale ad una
particolare zona può incentivare l’insorgere di nevrosi (Freud, 1900-1905).
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depressivi, salienza degli istinti distruttivi. In questa prospettiva la condotta
tossicomanica era soprattutto interpretata come conseguenza di una
fissazione ad una fase pregenitale dello sviluppo libidico e proprio da
quest’ultima derivava il carattere coatto della ricerca del piacere da parte del
tossicomane e la sua incapacità di dilazionarne nel tempo la soddisfazione.
Nelle opere di Freud (1905) sono presenti osservazioni isolate che rimarcano
le caratteristiche regressive delle condotte tossicomaniche: i tossicomani sono
ritenuti vittime di una fissazione alla fase orale, che li rende incapaci di
staccarsi da un’oggetto d’amore che li nutre e placa il dolore derivante dalla
mancata soddisfazione dei bisogni primari. Tale fissazione è vista anche in
rapporto a un’intensificazione costituzionale della sensibilità della zona
esogena labiale, che se persiste nel tempo determina in età adulta la
propensione a bere e a fumare. Rado (1926), pur collocandosi sempre
all’interno del modello strutturale delle pulsioni considera la tossicomania
legata ad una disposizione dell’individuo ad assumere la sostanza d’abuso
nel tentativo di risolvere una condizione di disagio generalmente di tipo
ansioso-depressivo; il termine usato da questo autore "farmacotimia" indica
proprio questa disposizione che unendosi all’altro fattore, la presenza della
droga e l’effetto farmacologico piacevole di questa, determina la dipendenza.
Anche Rosenfeld (1965), riferendosi al ciclo maniaco depressivo, sostiene che
il tossicomane ricorra alla droga per difendersi, tramite una reazione
maniacale, da una sofferenza di tipo depressivo. In rapporto al ciclo
depressivo, il tossicomane tende a identificarsi, introiettandolo, con un
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oggetto morto o malato che è appunto rappresentato dalla droga. Secondo
questo autore la tossicomania si associa all’esistenza di un trauma precoce
che influenza lo sviluppo della personalità del bambino impedendogli di
raggiungere una relazione oggettuale.
Le teorie psicodinamiche attuali spiegano la dipendenza da sostanze non
tanto in termini di controllo delle pulsioni e di istinti distruttivi, ma piuttosto
in rapporto alle relazioni oggettuali e alle identificazioni che caratterizzano i
processi di costruzione dell’identità.
Olievenstein allievo di Lacan, è forse l'unico che dedica una parte
significativa della sua attivita' non solo di ricerca, ma anche di cura, ai
tossicomani, e conduce osservazioni su circa 12.000 casi seguiti presso il
Centro Medico Marmottan di Parigi.
Olievenstein (1983) sostiene che il futuro tossicodipendente si avvicina alla
sostanza con un senso di incompiutezza derivato dal mancato superamento
della fase dello specchio durante i primi due anni di vita. Il mancato
riconoscimento delle esigenze del bambino come individuo separato,
derivante dalla richiesta invertita di riconoscimento da parte della madre,
rende impossibile la definizione dell’individualità, e il bambino risulta
costruito in maniera fittizia dalle proiezioni materne.
L’immagine dello specchio
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è spezzata e ne risulta un profondo senso di
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Olievenstein utilizza la metafora dello "specchio infranto" introdotta da Lacan, per spiegare la
formazione dell’identità dell’uomo. Nell’evoluzione psichica del bambino si giunge verso i 6/18 mesi
ad una fase, che Lacan definisce, “dello specchio” in cui il bambino scopre la sua unità corporea,
intuisce il suo essere “altro” rispetto alla primordiale fusionalità con la madre. Immerso ancora in uno
stato impotenza, attraverso uno specchio simbolico, egli anticipa con l’immaginazione la conoscenza e
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incompletezza, che verrà annullato dalla droga, la quale a sua volta consente
un temporaneo ripristino della propria interezza mediante un ritorno al
momento della fusione col sé materno (Olievenstein, 1983).
La droga equivale allo sprofondarsi nell'arcaico, nel pregenitale, rimettendosi
nella posizione del bambino piccolo e annullando la frattura.
Da un punto di vista fenomenologico e clinico, conferma le osservazioni di
Glover (1939): il tossicomane somiglia sempre "un poco" a qualcosa di gia’
conosciuto clinicamente, l’autore definisce il quadro del tossicomane come
una "malattia" a sè (cita elementi di psicoticita' maniaco depressiva o
paranoie ed elementi di perversione).
Secondo Bergeret (1982) il tossicodipendente ha riportato delusioni precoci e
ripetute nelle relazioni primitive fondamentali che fanno si che i desideri
siano degradati a semplici bisogni, soddisfatti attraverso il comportamento
mediante il passaggio all’atto e non entrino nel campo dell’immaginario per
l’incapacità di usare il registro fantasmatico e simbolico. Di conseguenza,
nulla di simbolico fa da contrappeso al piacere immediato e al sentimento di
trionfo che la soddisfazione del bisogno procura. Questi bisogni tendono ad
la padronanza della propria unità corporea. E’ un momento cruciale ed obbligato dello sviluppo e
definisce un momento di eccezionale vulnerabilità. Secondo Olievenstein la tossicomania deriverebbe
dal verificarsi di una fase intermedia fra uno stadio dello specchio riuscito ed uno stadio dello specchio
infranto impossibile, che si caratterizza per la quasi contemporaneità del suo verificarsi e del suo
fallire. Sembra quasi che proprio nel momento di passaggio durante il quale si sarebbe dovuto
costituire per il bambino un Io diverso da quello fusivo con la madre, durante la scoperta
dell’immagine del Sé, il bambino si trovi dinanzi alla visione di uno specchio infranto; uno specchio
che rinvia una immagine frammentata, incompleta, ricca di spazi vuoti che lo riconduce all’esperienza
dell’indifferenziazione del Sé (Olievenstein 1983).