hanno conosciuto uno straordinario successo di pubblico, contri-
buendo a distorcere notevolmente la sua immagine e facendo di lui
una sorta di profeta (o, come si è sentito dire spesso, di guru)
dell’esperienza psichedelica. Uno degli scopi di questa nota sarà
dunque quello di fornire un profilo il più possibile completo di
Huxley, denunciando nel contempo simili falsificazioni
2
.
Per comprendere la personalità di Huxley, non si può fare a
meno di accennare all’ambiente culturale in cui essa si sviluppa.
Innanzitutto, bisogna considerare che quella di Huxley è una fami-
glia in cui la cultura viene tenuta in larga considerazione in tutti i
suoi aspetti, scientifici, filosofici e letterari. Il nonno di Aldous,
Thomas Henry Huxley, è un illustre scienziato e polemista vitto-
riano, sostenitore del darwinismo e di una riforma della pedagogia
che renda l’istruzione scientifica accessibile a tutti. Il padre Leo-
nard, uomo di lettere, dirige la Cornhill Magazine fondata da Tha-
ckeray. Uno dei fratelli maggiori, Julian, è un biologo di fama
mondiale; il fratello minore, Andrew, vince nel 1963 il premio
Nobel per la fisiologia e la medicina, collaborando con Hodgkin e
Eccles nello studio della trasmissione degli impulsi nervosi. Il ra-
mo materno non è meno fecondo, e comprende, tra gli altri, il poe-
ta e critico letterario Matthew Arnold, prozio di Aldous
3
.
Il percorso culturale di Huxley ha inizio, dunque, in un am-
biente decisamente privilegiato. La sua famiglia culturalmente no-
bile, benestante pur non essendo ricca, si trova da diverse genera-
zioni al vertice del mondo culturale britannico. Aldous apprende
fin dalla più tenera età a sviluppare un’ampia gamma di tematiche
intellettuali, consegue nel 1915 la laurea in Lettere e, negli anni
successivi, pubblica alcune raccolte di poesie. L’Huxley di questo
periodo, acquisita ben presto una certa fama negli ambienti della
borghesia colta, facendosi notare innanzitutto come abile polemi-
2
Si veda, per es., l’Introduzione di Timothy LEARY a D. SOLOMON [a cura di], LSD. La
droga che dilata la coscienza (1964), introduzione di T. Leary, tr. it. di A. D’Anna, Milano,
Feltrinelli, 1967, dedicata “a Aldous Huxley — guru extraordinaire”.
3
Queste notizie storiche sono tratte da: R. RUNCINI, Aldous Huxley, cit., e S. MANFERLOT-
TI, Invito alla lettura di Huxley, Milano, Mursia, 1987.
sta e conversatore raffinato
4
. Si forma in questi anni, possiamo di-
re, quella parte del carattere di Huxley che più è nota al vasto pub-
blico: uno sguardo superficiale alla sua biografia, infatti, fa risal-
tare immediatamente i suoi tratti di eccentricità e snobismo
5
, di-
pingendo così il ritratto di un perfetto esempio di svagato
gentleman anglosassone, che si diletta, non senza dar prova
d’ingegno, in campo artistico e letterario
6
. Si tratta però di
un’immagine che non corrisponde al vero: in questa breve nota,
vorremmo evidenziare come Huxley in realtà sia, per così dire, di
un altro stampo, rispetto alla maggioranza dei personaggi che
riempiono, nei primi decenni di questo secolo, i salotti letterari eu-
ropei.
Dopo gli anni della prima guerra mondiale e il matrimonio
con la belga Maria Nys, Huxley inizia un’intensa attività di colla-
borazione con numerose testate letterarie, pubblicando articoli su
“ogni genere di cose e di eventi”
7
. Inizia così il periodo, che dura
fino a metà degli anni trenta, dell’Huxley autore di romanzi e rac-
conti (in cui, per lo più, satireggia i costumi della borghesia bri-
tannica), nonché appassionato viaggiatore. Ottimo conoscitore del-
le lingue e delle culture straniere, Huxley visita, in questo periodo,
un gran numero di paesi (in due occasioni, nel 1925 e nel 1933,
compie una sorta di giro del mondo), e raccoglie le proprie im-
pressioni in saggi e resoconti che testimoniano della sua abilità
narrativa, così come della sua erudizione in campo storico e arti-
stico. Si stabilisce in Italia per lunghi periodi, soggiornando presso
Firenze. Nel frattempo, giunge alla fama letteraria internazionale
con la pubblicazione, fra le altre opere, di due romanzi: Chrome
4
“Aldous - dice RUNCINI [Aldous Huxley, cit., p. 643] - non era soltanto un poeta: come
Wilde, come Beerbhom, era anche un personaggio. Il suo portamento elegante, la sua gentilez-
za di maniere, la sua figura altissima (...) spiccavano insieme alla grande intelligenza, al gusto
cinico della battuta salottiera, come doni naturali del perfetto dandy-letterario”.
5
MANFERLOTTI [op. cit., p. 22], ci ricorda, per es., che Huxley era solito “portare con sé,
ovunque si recasse, i volumi dell’Enciclopedia Britannica”.
6
Si tratta di una tendenza comune nell’ambiente sociale di Huxley: in proposito, MANFER-
LOTTI [ibid.] parla di “una predilezione, più che per l’erudizione intesa nel senso classico del
termine, per la curiosità più o meno esotica, per la citazione ad effetto; per una ripresentazione
della scienza, anche, in modi talora assai disinvolti o per mezzo di volgarizzazioni che, pur es-
sendo a loro modo sapienti, hanno il potere di irritare”
7
R. RUNCINI, op. cit., p. 643.
Yellow (1921) e soprattutto Point counter point (1928)
8
, ritenuto
dalla gran maggioranza dei critici la sua migliore opera narrativa
9
.
In questo periodo Huxley conosce personalmente molti degli espo-
nenti di spicco della cultura mondiale di marca anglosassone: Ber-
trand Russell, John Maynard Keynes, Virginia Woolf, Thomas
Stearns Eliot, e soprattutto David Herbert Lawrence, con cui strin-
ge un burrascoso (per via delle loro numerose divergenze caratte-
riali e artistiche
10
) vincolo di amicizia. Fino a questo punto, la vita
di Huxley è quella di un romanziere di successo, ben introdotto nel
mondo culturale della propria epoca, del quale non disdegna di
mettere a nudo, nelle proprie opere, vanità e contraddizioni.
Huxley è quasi cieco dall’età di sedici anni, a causa di una ra-
ra malattia alla cornea, la keratitis punctata. Abbiamo taciuto vo-
lontariamente, finora, questa informazione per evidenziare come la
sua biografia non sembri affatto implicare un simile handicap. La
severa limitazione della vista di cui soffre (un occhio è appena in
grado di percepire la luce, l’altro ha una capacità visiva di venti
volte inferiore alla norma) migliora soltanto nel 1939, in seguito a
una terapia che oggi definiremmo “alternativa”: il metodo Bates,
8
Le traduzioni italiane sono, rispettivamente: Giallo cromo, tr. it. di C. Giardini, Torino,
Einaudi, 1958, e Punto contro punto, tr. it. di S. Spaventa Filippi, Milano, Bompiani, 1980.
Per una bibliografia completa delle opere di Huxley, rimandiamo comunque a S. MANFERLOT-
TI, op. cit.
9
A giudizio di Mario PRAZ [Storia della letteratura inglese, Firenze, Sansoni, 1964, pp.
704 e 705] si tratta del “suo libro più significativo”, in cui ottiene i massimi risultati dalla de-
scrizione - tipica di questo suo periodo narrativo - della società colta inglese negli anni tra le
due guerre, “una società di gente eccitabile, futile, irrequieta, amante di piaceri e di viaggi”.
Huxley, continua Praz, considera “con divertito distacco gli stravaganti lazzi di questa società
votata alla sterilità e all’estinzione”. Tuttavia, il giudizio critico di numerosi autori sulle capa-
cità narrative di Huxley, è bene notarlo, è per lo più negativo: Huxley si colloca, infatti, nella
tradizione del romanzo d’idee, cosicché i personaggi che descrive appaiono spesso come sem-
plici pretesti per raffigurare determinate posizioni filosofiche e metterle a confronto tra loro.
Secondo Praz, Huxley “aveva una tendenza al sermone laico in forma narrativa”. Un giudizio
assai tagliente sul valore dei romanzi huxleyani si ha poi in Giuseppe TOMASI DI LAMPEDUSA
[Letteratura inglese (1954), a cura di N. Polo, Milano, Mondadori 1990, p. 463]: “[i]l noccio-
lo del caso Huxley risiede (...) nell’anacronismo che egli rappresenta. Nato da una famiglia di
illustri scienziati, Huxley si è tanto profondamente imbevuto di tradizioni scientifiche e umani-
stiche che è rimasto uno scrittore, un grande scrittore, del Settecento. Vi è in lui molto di Swift
ma anche molto di Steele e di Addison, di gente cioè per la quale la letteratura era veicolo di
trasmissione di idee sistematiche e non di emozioni”.
10
RUNCINI [op. cit., p. 643] ricorda che Lawrence, rispetto a Huxley, “incarnava il polo
opposto al suo cinico intellettualismo di dandy, quella coscienza sensibile del corpo liberato in
tutta la violenta fisicità del suo essere naturale”. Analogamente, MANFERLOTTI [op. cit., p. 29]
ci informa che Lawrence “considerava con infinito sospetto e talvolta con vero odio (era capa-
ce di scoppi di collera furiosa) l’interesse che Huxley manifestava per la scienza.
basato sul rilassamento muscolare, di cui Huxley diventa un con-
vinto sostenitore
11
.
Queste considerazioni ci introducono a un aspetto di Huxley
che sembra non essere mai stato ben recepito dai commentatori,
così all’estero come, ancor più, in Italia. L’acuto spirito critico
huxleyano, che già si manifesta negli intenti satirici dei primi ro-
manzi, conosce infatti, col passare del tempo, uno sviluppo costan-
te, e lo spinge a valutare la propria epoca in termini sempre più di-
sillusi, allargando man mano il campo della riflessione: dagli am-
bienti cólti di cui fa parte, come abbiamo visto, per nascita, e che
costituiscono uno dei bersagli della sua satira, alla politica inter-
nazionale (dopo la prima guerra mondiale, Huxley segue con cre-
scente preoccupazione l’affermarsi dei vari nazionalismi
12
), fino ai
fondamenti stessi della cultura occidentale. La testimonianza prin-
cipale di questa progressiva trasformazione del pensiero huxleyano
è il suo romanzo oggi più noto, Brave New World
13
del 1932. La
fama di quest’opera
14
, un’utopia negativa che presenta un mondo
futuro in cui la conquista del benessere sociale ha estinto la libertà
individuale e ogni forma di trascendenza, è dovuta, in particolare,
al suo carattere profetico. Alcune delle previsioni di Huxley, infat-
ti, si sono puntualmente avverate, come egli stesso nota nella rac-
colta di saggi Brave New World revisited: Huxley prevede, con in-
quietante perspicacia, l’avvento della società di massa, nel suo a-
spetto più deteriore di omologazione e assenza di consapevolezza,
11
V. infra, p. 80, n. 80.
12
Lo troviamo, infatti, nel 1933 ad Amsterdam, co-fondatore, assieme a Klaus Mann e An-
dré Gide, della rivista antinazista Die Sammlung (La raccolta) [cfr. K. MANN, La svolta. Sto-
ria di una vita (1958), tr. it. di B. Allason, Milano, Il Saggiatore, 1962].
13
Ed. it.: Il mondo nuovo, trad. di L. Gigli e L. Bianciardi, Milano, Mondadori, 1981. Si
veda, inoltre, infra, pp. 46 e 47.
14
Bisogna citare, tuttavia, il giudizio fortemente critico, e forse fuori luogo, di ADORNO
[Aldous Huxley e l’utopia (1942), in Prismi. Saggi sulla critica della cultura (1955), tr. it. di
E. Zolla, Torino, Einaudi, 1972, pp. 89-114], che vede in The Brave New World una critica del
capitalismo e della società borghese di massa che “si impiglia essa stessa nella borghesia”, e
nella quale “il culto della sofferenza [che Huxley, nel suo romanzo, oppone al benessere forza-
to in cui vive la società da lui descritta] diventa un assurdo fine in sé, vezzo d’un estetismo il
cui legame con le forze più oscure non può restare ignoto”.
soggiogata da raffinate forme di condizionamento
15
istituzionaliz-
zato. Nel 1937, Huxley lascia l’Europa e si stabilisce in California.
Le sue opere successive hanno ormai perduto gli accenti ele-
ganti e scherzosi di un tempo
16
. Huxley pubblica un romanzo stori-
co, Grey Eminence
17
, nel 1941, e un’opera nella quale si delinea
definitivamente la visione del mondo cui è approdato: Time Must
Have a Stop
18
, il Bildungsroman di un giovane intellettuale che
passa da una posizione di “realismo cinico”
19
(in cui è facile rico-
noscere l’ideologia del primo Huxley), alla consapevolezza di sé;
consapevolezza che egli raggiunge alla luce delle filosofie e delle
religioni orientali
20
.
Da questo momento in poi, l’opera di Huxley sarà tutta tesa a
valutare l’opportunità dell’approccio occidentale all’esistenza,
vòlto a far prevalere il soggetto sul mondo, rispetto alle concezioni
mistico-religiose del buddhismo e del cristianesimo delle origini
21
.
La sfiducia di Huxley nei confronti della società cui appartiene
giunge all’apice nel romanzo Ape and Essence
22
, del 1949, in cui
15
Si veda, in proposito, infra, p. 70, n. 49.
16
Tale mutamento viene accolto, almeno fino agli anni sessanta, dalla più totale incom-
prensione. SCOTT JAMES [La letteratura inglese del Novecento (1956), tr. it. di F. Rota e A.
Rizzardi, Firenze, La Nuova Italia, 1970, pp. 265 e 266] afferma, alquanto amabilmente, che
Huxley, nei suoi primi romanzi, “[i]ncantò, divertì, stimolò le facoltà critiche”. Tuttavia, “oggi
[1956], diventato serio, disgustato dal mondo, intento alle verità eterne, la sua intelligenza non
lo ha abbandonato, ma è come una cosa della carne che ostacola il suo procedere sulla strada
del misticismo, nella quale, come predicatore, egli vorrebbe condurci, ma dalla quale, come ar-
tista, egli devia volontariamente”.
17
Ed. it: L’eminenza grigia, trad. di E. Bizzarri, Mondadori, Milano, 1946.
18
Ed. it.: Il tempo si deve fermare, trad. di E. Bizzarri, Mondadori, Milano, 1947.
19
A. HUXLEY, Il tempo si deve fermare, cit., p. 53.
20
Huxley esprime così, in questo romanzo, la propria disillusione verso il mondo occiden-
tale: “più c’è dell’Io, del mio, meno c’è del Principio (...). Gli individui amano il loro ego e
non vogliono mortificarlo, non capiscono perché non dovrebbero ‘esprimere la loro personali-
tà’ e ‘divertirsi’. Ottengono il loro divertimento; ma ottengono anche ed inevitabilmente guerra
e sifilide e rivoluzioni e alcoolismo e tirannia e, in mancanza di un’adeguata ipotesi religiosa,
la scelta tra qualche idolatria da lunatici, come il nazionalismo, e un senso di futilità e dispera-
zione integrali” [ibid., p. 284].
21
Quello per le religioni orientali è un interesse che coinvolge, in quest’epoca, numerosi
scrittori inglesi (come ad es. Christopher Isherwood). Nel caso di Huxley, esso ha radici pro-
fonde, e le prime avvisaglie di questa sorta di ‘conversione’ si hanno già negli anni trenta. So-
no illuminanti, in proposito, le seguenti osservazioni di Klaus MANN [op. cit., p. 278], che fre-
quenta spesso Huxley in questo periodo: “[s]ì, l’uomo un tempo così frivolo e scettico, il gio-
coliere intellettuale e l’artista invulnerabile si trova oggi al primo stadio della crisi religiosa
che nei prossimi anni lo sconvolgerà, lo turberà, lo trasformerà, dandogli una seconda gioven-
tù. Il senza-fede vuol diventare un credente; l’agnostico è assetato di assoluto; il cerebrale ri-
cerca la luce della rivelazione...”.
22
Ed. it.: La scimmia e l’essenza, trad. di A. C. Dauphiné, Milano, Mondadori 1980
2
.
raffigura un mondo devastato dalla guerra nucleare, popolato da
una comunità di superstiti ridotti a uno stato di follia e bestialità.
L’opera che riassume definitivamente le opinioni huxleyane intor-
no alla religione e alla sua importanza per l’umanità e The Peren-
nial Philosophy, pubblicato nel 1945: si tratta di una raccolta di
saggi che comprende un’antologia delle opere religiose (dai testi
sacri agli scritti dei mistici) di ogni cultura in ogni tempo.
L’estrema produzione letteraria e saggistica di Huxley si con-
figura come una riflessione a tutto campo sul destino dell’umanità,
sui problemi di politica internazionale, sulla sovrappopolazione,
sull’ecologia.
Da un lato, ciò ha l’effetto di accrescere l’interesse del pub-
blico nei confronti delle sue opere, cosicché Huxley tiene, fino
all’anno della morte, centinaia di conferenze per diversi enti cultu-
rali
23
, e pubblica articoli e interventi su svariate testate.
D’altro canto, tuttavia, la sua curiosità instancabile, nonché la
spregiudicatezza che lo fa avvicinare alle più diverse esperienze
con piglio genuinamente sperimentale, ignorando i dettami
dell’opinione comune per basarsi sui fatti, lo rendono, sotto certi
aspetti, una figura isolata e ignorata dal grande pubblico, ma esal-
tata e salutata come ‘maestro spirituale’ dalla cerchia dei rivolu-
zionari e dei contestatori. È il caso dei due saggi huxleyani sulla
droga, The Doors of Perception (1954) e Heaven and Hell
(1956)
24
, di cui ci occuperemo in questo lavoro: essi sono stati in-
sistentemente ignorati dalla critica ufficiale - che vede in essi o un
incidente di percorso dello scrittore, o, in alternativa, una confer-
ma della sua eccentricità - ma devono una notevole fama ai divul-
gatori della cosiddetta ‘rivoluzione psichedelica’, che, come ab-
23
Ricordiamo, in particolare, la conferenza sulla fame nel mondo, tenuta a Roma nel 1963
su invito della FAO.
24
Ed. it.: Le Porte della Percezione. Paradiso e Inferno, trad. di L. Sautto, postfazione e
bibliografia di G. e R. Boeri, Milano, Mondadori 1986
2
.
biamo notato all’inizio
25
, hanno fatto di Huxley il guru capace di
attribuire dignità culturale alle loro proposizioni
26
.
In realtà, come è nostra intenzione mostrare, le riflessioni di
Huxley sull’esperienza della droga (nel suo caso si tratta della me-
scalina, una sostanza naturale dai forti effetti allucinogeni), non
solo si inseriscono in una ben precisa tradizione letteraria (quella
di assumere la droga per descriverne gli effetti), ma rivestono un
interesse rilevante per il pensiero filosofico in generale, e psicolo-
gico in particolare. In altre parole, una sostanza in grado, come
vedremo, di alterare la percezione del mondo al punto da mettere
in discussione il ruolo del soggetto, che sembra stemperarsi
nell’ambiente circostante, il ruolo dello spazio, che sembra rivela-
re una natura ulteriore a ciò che viene ordinariamente percepito, il
ruolo del tempo, che sembra modificare radicalmente il proprio
corso, si configura, in Huxley, come una sorta di verifica speri-
mentale delle diverse concezioni filosofiche sul rapporto che in-
tercorre tra soggetto e oggetto, o su dicotomie quali materia e spi-
rito, sostanza e forma, analisi e intuizione. Con la massima preci-
sione possibile, e attingendo alla propria sterminata erudizione,
Huxley non fa altro, nei due saggi in questione, che descrivere ciò
che vede, i cambiamenti cui la sua percezione va soggetta, per poi
prenderne atto, traendo dai fatti dell’esperienza le proprie conclu-
sioni. Il suo percorso si svolge, è importante tenerlo presente, in
una prospettiva mistico-religiosa: Huxley insiste più volte nel de-
finire la propria esperienza da mescalina una sorta di surrogato
dell’estasi.
Per quanto si possano condividere o meno i termini delle ana-
logie huxleyane tra droga e misticismo e le sue conclusioni spiri-
25
Supra, n. 2.
26
MANFERLOTTI [op. cit., pp. 36 e 37] liquida il problema in appena due pagine, pur difen-
dendo Huxley dalle accuse di “essere stato uno dei padri putativi della cosiddetta ‘gioventù
della droga’”. Nel saggio di RUNCINI [cit., pp. 659 e segg.], non troviamo che qualche breve
accenno alle riflessioni huxleyane sulla droga. A quanto sembra, l’unico testo italiano dedicato
a The Doors of Perception è la recensione di Enzo MELANDRI apparsa nel 1962 sulla rivista
Convivium [a. XXX, fasc. I, pp. 95-97], in cui si riconosce il valore dell’esperimento huxleyano,
osservando inoltre che “senza una preliminare cognizione del contesto da cui emerge, una let-
tura idealisticamente prevenuta di questi saggi è esposta al rischio di disconoscerne la profon-
da e non appariscente serietà dell’intelligenza critica”.
tualistiche, non si può non prendere atto della sconcertante
indipendenza di pensiero con la quale Huxley porta avanti le pro-
prie riflessioni sul rapporto tra esperienza visionaria indotta e
spontanea. L’atteggiamento di Huxley è confortato dal suo fare
esperienza diretta dei termini del problema, affrontando
dall’interno questioni sulle quali, in alternativa, non si può che
speculare. Lo scopo di tale operazione, che Huxley non dichiara
espressamente, si può, forse, ricondurre alla semplice curiosità —
tratto caratteriale che, come abbiamo visto, in Huxley è assai forte.
Ma la stessa personalità dell’autore dovrebbe spingerci a indivi-
duare, nei suoi intenti, “l’esigenza di acquisire alla cultura
l’orizzonte più vasto che si apre oltrepassando [le consuete soglie
della percezione sensibile] e la preoccupazione morale per le con-
seguenze che ne derivano”
27
.
In questo nostro lavoro, suddiviso in tre capitoli, tenteremo
una lettura analitica di The Doors of Perception e Heaven and
Hell, ricostruendo, da un lato, l’ambiente culturale in cui sono ma-
turate le esperienze di Huxley e di altri letterati e psichiatri sul te-
ma della droga, e dall’altro i principali punti di riferimento filoso-
fici che sottendono le argomentazioni huxleyane (e che l’autore
non sempre rivela).
Così, nel primo capitolo, ci occuperemo, in una prospettiva
storica, delle due principali categorie di studiosi che hanno assun-
to droghe, negli ultimi due secoli, allo scopo di interpretarne gli
effetti: seguiremo così il percorso della riflessione letteraria (in
cui Huxley rientra, peraltro, solo indirettamente), e, in parallelo, il
percorso della teorizzazione psichiatrica intorno al rapporto tra
droga e follia. Evidenzieremo inoltre, lungo il nostro tracciato così
definito, quelli che possono essere considerati i punti di contatto
tra gli studiosi dei due campi, mostrando in che misura simili con-
vergenze d’interessi debbano considerarsi degne di nota. In segui-
to, nel secondo capitolo, proveremo a chiarire il significato delle
27
E. MELANDRI, op. cit., p. 96.
esperienze fino a quel punto descritte, analizzando le idee filosofi-
che che vi sono implicate. Costruiremo così un quadro teorico di
riferimento in cui le esperienze dei due percorsi - psichiatrico e
letterario - intorno alle droghe possano inserirsi. In particolare, ci
dedicheremo a un rilievo puntuale dei temi filosofici affrontati da
Huxley nei suoi saggi sulla mescalina. In questo secondo capitolo,
il nostro referente filosofico principale (citato da Huxley in The
Doors of Perception) sarà Henri Bergson, e in particolare il suo
saggio sul rapporto tra materia e spirito dal titolo Matière et mé-
moire (1896). Altri spunti di riflessione ci verranno forniti dalla
letteratura mistica e dalle teorie psichiatriche intorno ai fenomeni
allucinatori. Nel terzo capitolo, per finire, ci occuperemo di due
fenomeni che Huxley esplicitamente paragona all’esperienza vis-
suta sotto l’effetto della mescalina: da un lato, l’esperienza artisti-
ca, specialmente per quanto riguarda le arti visive; dall’altro,
l’esperienza della follia, e della schizofrenia in particolare. I nostri
punti di riferimento, quindi, saranno, oltre a Bergson, il Merleau-
Ponty della Phénoménologie de la perception (1945) e de Le visi-
ble et l’invisible (1964), le teorie di Paul Cézanne sul significato
dei colori e della prospettiva, e infine la riflessione psichiatrico-
fenomenologica che fa capo a Binswanger e Minkowski.
Cap. I. Intorno agli effetti delle droghe: resoconti psichiatrici e
letterari tra Ottocento e Novecento.
I. 1. Il significato dell’assunzione volontaria di droghe a scopo
di studio.
Nella terza parte della sua Psicopatologia generale, al secon-
do paragrafo, Karl Jaspers fa cenno allo studio degli effetti delle
sostanze tossiche sulla vita psichica. Jaspers, a questo proposito,
elenca tre modelli d’indagine: il primo riguarda il vissuto sogget-
tivo dei fenomeni che insorgono dopo l’assunzione di tali so-
stanze; il secondo, la misurazione oggettiva delle alterazioni psi-
cologiche che sopravvengono; il terzo, infine, gli effetti postumi e
permanenti dei tossici sulla psiche dell’individuo
28
. Queste tre di-
rettive fondamentali riassumono gli orientamenti teorici che gli
psichiatri, lungo il corso degli ultimi due secoli, hanno assunto via
via nei confronti dell’assunzione delle droghe. In questo lavoro,
noi ci occuperemo della prima di esse, riguardo alla quale Jaspers
opportunamente commenta: “[l]e esperienze vissute durante le eb-
brezze tossiche sono di alto interesse. Non solo sono fenomeni
strani, il cui fascino suscita la curiosità (...) e il cui godimento
comporta grandi pericoli, ma in certo modo, rappresentano ‘psicosi
modello’ (...) nelle quali si può sperimentare qualcosa che somi-
glia molto più alle psicosi acute, specialmente schizofreniche, che
al sogno o alla fatica”
29
.
Qualche decennio dopo la prima edizione della Psicopatolo-
gia generale, nel 1956, uno scrittore francese, Henri Michaux, an-
nota: “Le onde dell’oceano mescalinico si erano buttate su di me,
urtandomi, rovesciandomi come ghiaia sottile: i movimenti, che
28
K. JASPERS, Psicopatologia generale (1959
7
), Ed. it. a cura di R. Priori, Roma, Il Pensie-
ro Scientifico, 1964, pp. 501-504. Il termine ‘psicosi modello’ (Modellpsychose) è, avverte Ja-
spers, da attribuirsi a Beringer.
29
Ibid., pp. 501-502 [corsivo nostro].
fino a quel momento erano nella mia visione, ora erano su di me.
Tutto ciò era durato meno di dieci secondi, ed era fatta. Ero per-
duto”. Si tratta di un brano tratto da Psicosi sperimentale, un bre-
ve, drammatico resoconto di un’esperienza con la mescalina
30
. Due
elementi di quest’ultimo testo concordano con le affermazioni di
Jaspers più sopra accennate: il fascino attribuito all’esperienza
della droga e il suo legame fenomenologico con la follia
31
.
Nella cultura occidentale, la pratica di assumere droghe allo
scopo di descriverne gli effetti è stata attuata, sistematicamente, da
due categorie di ‘addetti ai lavori’: neurologi, psichiatri e psicolo-
gi, da un lato, e filosofi, artisti e letterati, dall’altro
32
. Gli studiosi
della mente hanno visto nella droga un mezzo per provocare artifi-
cialmente alterazioni della coscienza e delle cosiddette ‘funzioni
psichiche’, nonché, come abbiamo già visto e approfondiremo in
seguito, la possibilità di indurre, sperimentalmente, la psicosi. I
letterati, dal canto loro, se ne sono serviti per indagare in profon-
dità il senso dei cambiamenti prodotti dalla droga nella percezione
di se stessi e del mondo. Come l’indagine psichiatrica, anche il
percorso letterario intorno alla droga presenta una pluralità di o-
biettivi, più o meno dichiarati: da un lato, l’indiscutibile attrazione
per lo straordinario, il meraviglioso; dall’altro, come dice Huxley,
l’interesse per “la luce che essa [la droga] può gettare su (...) pro-
blemi antichi e insoluti, come il posto della mente nella natura e il
rapporto tra cervello e coscienza”
33
.
30
H. MICHAUX, Miserabile miracolo (La mescalina). L’infinito turbolento (1964), con un
saggio di M. BLANCHOT, tr. it. di E. Filippini, V. Riva e C. Rugafiori, Milano, Feltrinelli,
1967, p. 71.
31
Si consideri quest’altra citazione: “Non ho ormai dubbio di essermi messo in una situa-
zione grave, senza le indispensabili precauzioni, e che va di minuto in minuto aggravandosi.
La trasformazione a cui viene soggiacendo il mio io si precisa in modo sempre più netto; ho
l’impressione che un’altra personalità si sviluppi accanto alla mia e vada, a poco a poco, assu-
mendone il ruolo”. Non si tratta del prosieguo del resoconto di Michaux, in questo caso, ma
della relazione, da parte di uno psichiatra italiano, Enrico Morselli, della propria esperienza
dopo l’assunzione di 0,75 grammi di mescalina [cfr. G. E. MORSELLI, Contributo allo studio
delle turbe da mescalina (1935), in AA. VV., Le psicosi sperimentali, Milano, Feltrinelli,
1962, p. 49].
32
Cfr. G. e R. BOERI, Huxley e la droga vent’anni dopo, Postfazione a A. HUXLEY, Le
Porte della Percezione. Paradiso e inferno (1954), tr. it. di L. Sautto, Milano, Mondadori,
1986
2
.
33
A. HUXLEY, Le Porte della Percezione. Paradiso e inferno, cit., p. 8.
Bisogna notare, tuttavia, che i due percorsi fin qui segnalati,
in tema di sperimentazione delle droghe da parte di psichiatri e let-
terati, sono sempre rimasti separati, e non vi è mai stata comunica-
zione tra gli studiosi dei due campi. Possiamo individuare sola-
mente due punti di contatto: il primo, nel 1845, tra lo psichiatra
Moreau de Tours e lo scrittore Théophile Gautier, e il secondo, nel
1953, tra lo psichiatra Humphry Osmond e Aldous Huxley
34
. Tali
convergenze, è bene evidenziarlo fin d’ora, non risultano affatto
fini a se stesse e prive di conseguenze; al contrario, esse danno i-
nizio a due periodi di riflessione e sperimentazione (il ‘Club des
Haschischins’ e la ricerca psichedelica) di grande rilevanza per il
pensiero filosofico, psicologico e letterario. Come vedremo tra
breve infatti, non solo la ricerca in tema di droga spinge la
psichiatria e la letteratura a interrogarsi sulla natura dei propri
fondamenti, ma, per di più, fa sì che questi due percorsi,
apparentemente contrastanti, finiscano per riavvicinarsi,
giungendo, in alcuni casi, a condividere le stesse tecniche e il
medesimo linguaggio. È importante notare infatti che molti
letterati che si sono occupati di droga si sono poi serviti di una
metodologia strettamente sperimentale, con tanto di verbali,
resoconti e conseguenti ipotesi esplicative
35
.
Allo stesso modo, molte delle correnti psichiatriche che han-
no approfondito il legame tra droga e follia sono uscite dal campo
della pratica rigorosamente clinica, e si sono avvicinate a temati-
che di notevole interesse filosofico e religioso.
Indipendentemente dai diversi contesti storici in cui appaio-
no, le concezioni che emergono da queste inattese convergenze ri-
sultano purificate da ogni dogmatismo di natura scientifica o mo-
rale, e disponibili a considerare sotto una nuova luce la totalità
dell’esperienza umana.
34
Cfr. G. e R. BOERI, op. cit.
35
Walter Benjamin e Henri Michaux sono stati, pur seguendo percorsi differenti, che più
tardi ripercorreremo in dettaglio, i principali fautori di questa tendenza sperimentale. Cfr. W.
BENJAMIN, Sull’hascish (1972), tr. it. e nota di G. Backhaus, Torino, Einaudi, 1996
2
, e H. MI-
CHAUX, op. cit.
In particolare, come vedremo, dopo la metà del Novecento, la
riflessione sulle droghe, mescolandosi ad alcuni concetti prove-
nienti dalle religioni orientali, darà corpo a una serie di nuove pro-
spettive e speranze per il futuro spirituale dell’intera umanità,
spingendo alcuni letterati e psichiatri a delineare l’utopia ‘psiche-
delica’. Walter Benjamin, uno scrittore che non si annovera certo
fra gli spiritualisti, aveva già intuito, nel 1938, che “certe forze
dell’ebbrezza possono sostenere profondamente la ragione e la sua
lotta per la libertà”
36
. Nel 1952, tale previsione si dispiega comple-
tamente nelle seguenti parole dello psichiatra Osmond: “[p]enso
che gli agenti psichedelici ci offrano una opportunità - per quanto
debole sia - perché l’homo faber, questo operaio astuto, impietoso,
imprudente e cupido, si trasformi in quest’altra creatura che ab-
biamo così impetuosamente creduto esistesse: l’homo sapiens, il
saggio, l’intelligente, il compassionevole, per il quale la quadru-
plice visione dell’arte, della politica, della scienza e della religio-
ne si confonde in una sola”
37
.
36
Lettera a Horkheimer, cit. in G. BACKHAUS, Nota all’edizione italiana, in W. BENJA-
MIN, op. cit., p. XXXVIII.
37
H. OSMOND, Su alcuni effetti clinici (1952), in J. C. BAILLY e J. P. GUIMARD,
L’esperienza allucinogena (1979), tr. it. di R. Monteleone, Bari, Dedalo, 1988.