9
Introduzione
Il presente lavoro si colloca nel solco del lungo e tormentato dibattito
in materia di concorso esterno in associazione per delinquere.
L’indagine ha preso avvio esaminando il tema del concorso esterno
rispetto alle associazioni per delinquere c.d. comuni.
Successivamente sono stati approfonditi i copiosi orientamenti
dottrinali e giurisprudenziali in tema di associazione per delinquere di
stampo mafioso, i quali risultano spesso sovrapponibili, ma ancora più
spesso contraddittori.
Si è proceduto in primis a far luce sulle questioni più controverse che
rendono questa figura, di matrice evidentemente giurisprudenziale,
particolarmente insidiosa soprattutto per gli operatori del diritto, che si
trovano “quotidianamente” a scontrarsi con le difficoltà che essa pone,
sia sul piano probatorio, sia sul piano della difficile compatibilità con i
fondamentali principi di determinatezza e tassatività.
Oggi, mi sembra, di poter affermare che il problema della
configurabilità o meno del concorso esterno possa dirsi risolto in senso
affermativo.
Una tale soluzione del problema scaturisce da una presa di coscienza
sull’esistenza di una serie di posizioni sfumate all’interno dei rapporti
instaurati dalla criminalità organizzata con il tessuto civile circostante.
La trattazione mira, nello specifico, a valutare la possibilità di
configurare il concorso esterno rispetto ad una serie di associazioni per
delinquere comuni previste dal nostro ordinamento penale.
10
Mi pare di poter affermare, anche sulla scia dell’intervento
chiarificatore del Primo Presidente della Corte di Cassazione, che il
concorso esterno possa configurarsi rispetto a tutti i reati associativi, e
non più solo rispetto all’associazione di stampo mafioso.
In particolare, si è cercato, attraverso l’analisi della giurisprudenza e
della dottrina, di capire come i “famosi” dicta delle Sezioni Unite
potessero essere utilizzati in associazioni diverse da quelle di stampo
mafioso.
Gli obbiettivi del lavoro, a parere di chi scrive, devono essere
considerati duplici: da un lato, capire rispetto a ciascuna associazione
per delinquere chi sia il soggetto che poteva “rivestire i panni” del
concorrente esterno; dall’altro lato, analizzare la questione del concorso
esterno al fine di poter fornire un contributo per una sua eventuale
tipizzazione.
Tipizzazione che, mi pare, sia divenuta indispensabile.
Aldilà della premessa, conviene sottolineare che si è proceduto
all’analisi delle varie fattispecie associative cercando, per taluna di
queste, di identificare la figura del concorrente esterno, nel senso di
verificare se, ed in presenza di quali presupposti, sia configurabile il
concorso esterno ex art. 110 c.p.
A tal proposito è stato indispensabile seguire il percorso
giurisprudenziale sviluppato negli anni, dal dictum Demitry del 1994,
sino al dictum Dell’Utri del 2016.
Dal lavoro è emerso che la fattispecie, nonostante sia stata ampiamente
riconosciuta, paga lo scotto di una mancata tipizzazione ad hoc che
determina sempre più spesso violazioni del principio di legalità –
sancito dall’art. 25 della Costituzione – e più in particolare, la
violazione del principio di tassatività e determinatezza.
11
La trattazione, suddivisa in capitoli, mira in ciascuno di esso ad
affrontare una diversa fattispecie associativa per poi procedere,
attraverso l’esame delle più importanti sentenze, al riconoscimento di
colui che può essere considerato concorrente esterno.
Nel capitolo primo, si è affrontato il tema del concorso esterno rispetto
all’associazione per delinquere semplice ex art 416 c.p.
Nei successivi capitoli si è affrontato il tema del concorso esterno
rispetto ad una serie di associazioni per delinquere, in particolare:
associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope,
associazione con finalità di terrorismo, associazione finalizzata alla
frode sportina e doping, associazione finalizzata al contrabbando di
tabacchi lavorati esteri.
Al capitolo sesto si è presa in considerazione l’esperienza del concorso
esterno rispetto ad una serie di reati associativi, quali: la banda armata,
associazione per delinquere finalizzata al gioco clandestino,
associazione per delinquere finalizzata all’incitamento, alla
discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione
clandestina.
In ultimo, al capitolo settimo, si è cercato, muovendo dalle motivazioni
che hanno condotto i giudici di Strasburgo alla condanna dell’Italia, di
cogliere quali siano ad oggi i reali problemi scaturenti, non solo da un
orientamento giurisprudenziale controverso, ma anche e soprattutto
dalla mancata tipizzazione di tale istituto.
Per procedere, in ultimo, ad una riflessione de iure condendo è risultato
fondamentale volgere lo sguardo ad alcuni ordinamenti stranieri, per
“vedere” come questi reagiscono dinanzi ad una simile emergenza, se
in essi siano riscontrabili i medesimi problemi di determinatezza e
12
tassatività e se le soluzioni adottate possono considerarsi un esempio
per l’ordinamento italiano.
Da tale analisi è venuto fuori che gli ordinamenti stranieri, in maniera
più o meno convincente, possiedono una normativa ad hoc in materia.
Ciò ha condotto la trattazione a considerare ormai indispensabile una
tipizzazione dell’istituto.
A tal fine si è proceduto ad una proposta di legge, che possa aiutare a
porre fine al “tormentato cammino del concorso esterno”.
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1. L’associazione per delinquere
1.1 Evoluzione storica della fattispecie: dai codici preunitari al Codice
Rocco del 1930.
Il primo modello di associazione per delinquere lo ritroviamo all’articolo
265
1
del codice napoleonico del 1810, che sanzionava le “association de
malfaiteurs”.
La legge dichiara crimine contro la pubblica tranquillità qualunque unione
di malfattori contro le persone o le proprietà.
Il reato di “associazione di malfattori”, insieme ai crimini di
“vagabondaggio” e “mendicità” fu inserito nella sezione dei «Delitti contro la pace
pubblica», evidenziando una precisa scelta di politica criminale compiuta dal
legislatore francese, che mirava ad etichettare come criminali le classi pericolose
nella società rivoluzionaria borghese ossia le associazioni di malfattori accanto al
vagabondaggio e alla mendicità.
2
Il reato fu elaborato in chiave non solo repressiva, ma anche preventiva.
La ratio dell’incriminazione era diventata più articolata, non ci si limitava a
reprimere un reato, ma si mirava a svolgere un efficace profilassi nei confronti
della criminalità contro il patrimonio e le persone.
Il “code napoleon”, dunque, rappresentò un importante punto di partenza
per le codificazioni italiane preunitarie.
La figura dell’associazione di malfattori diretta contro le persone o le
proprietà venne, infatti, inserita in toto sia nel codice parmense del 1821, sia nel
codice sardo del 1839. Anche l’impianto dell’illecito associativo, previsto dal
codice sardo-italiano del 1859, si ispirava alla fattispecie napoleonica pur
assorbendo le influenze di altri codici della penisola.
1
Articolo 265 nella sua formula definitiva recitava: “ogni associazione di malfattori contro le
persone o le proprietà è un crimine contro la pace pubblica” così citato in G. Insolera,
L’associazione per delinquere, CEDAM, 1983, pag. 5.
2
INSOLERA G., op. ult. Cit.
CAPITOLO PRIMO
Il concorso esterno nei reati associativi: il tormentato cammino
nell’ordinamento italiano.
14
Rispetto alla tradizione francese, un’autentica rivoluzione fu apportata dal
codice toscano che abbandonò i riferimenti criminologici precedenti e consegnò un
nuovo titolo di reato: l’associazione per delinquere.
L’art. 421 del codice leopoldino incriminava la mera «società per
commettere delitti» e lo scopo di tale società era quello di commettere reati, che
erano specificamente elencati nella norma, a prescindere dall’esistenza di una vera
e propria organizzazione
3
; infatti, per una corretta integrazione del reato ex art. 421
era necessaria e sufficiente la «semplice riunione di consensi».
Il legislatore, quindi, aveva consegnato una fattispecie di reato scarsamente
determinata e ciò comportava che la punibilità fosse limitata ai soli membri della
società, escludendo le condotte di favoreggiamento dei soggetti estranei.
4
Ricordiamo che l’introduzione del titolo dei “Delitti contro l’ordine
pubblico” si deve a proprio al codice toscano che deve essere considerato un unicum
nel panorama dell’epoca per la capacità di adottare soluzioni liberali e garantiste.
Queste novità furono in gran parte riprodotte nel codice Zanardelli del 1889
all’articolo 248, il quale subì l’influenza del sopracitato codice leopoldino, ma non
mancarono influenze derivanti da altri codici preunitari.
3
Di seguito il testo dell’articolo 421 Cod. Leopoldino: «§ 1. Quando tre o più persone hanno formato
una società, per commettere delitti di furto, di estorsione, di pirateria, di truffa, di baratteria
marittima, o di frode, benché non ne abbiano ancora determinata la specie, od incominciata
l’esecuzione; gl’istigatori e i direttori son puniti con il carcere da tre mesi a tre anni, e gli altri
partecipanti soggiacciono alla medesima pena da un mese ad un anno». «§ 2. E se i membri della
detta società hanno, in sequela di essa, tentato o consumato un delitto; la pena di questo concorre
con quella stabilita dal § precedente, secondo le norme degli art. 72 e seguenti». «§ 3. In tutti i casi,
contemplati dai precedenti §§ 1 e 2, si applica ancora la pena accessoria della sottoposizione alla
vigilanza della polizia».
4
CARRARA F., L’associazione per delinquere secondo l’abolito codice toscano Enciclopedia
giuridica italiana, diretta da PS Mancini, I, Soc. Ed. Libr., Milano, 1884, p. 1117.
15
In particolare, dal codice sardo-italiano recepì il requisito riguardante il
numero minimo di persone necessario ad integrare il reato
5
, nonché la circostanza
aggravante dei delitti commessi dagli associati disciplinata all’articolo 250
6
.
Riguardo la struttura della nuova fattispecie incriminatrice, uno degli
elementi di maggiore novità fu l’ampliamento delle tipologie dei delitti-scopo. In
tal senso, mentre il progetto originario del 1883 avanzava l’idea di evitare
l’elencazione dei reati- scopo al fine di non restringere il campo applicativo della
norma
7
, nella Relazione al Re finalizzata ad approvare il testo definitivo del codice
ci fu un’inversione di rotta e apparve utile la individuazione delle finalità criminali
dell’associazione. L’articolo 248 riproduceva pedestremente tutti i titoli del libro
secondo del codice, fatta eccezione per i delitti politici, quelli contrari all’ordine
pubblico
e i reati contro la pubblica amministrazione, ma era sostanzialmente,
generico ed astratto e quindi facilmente plasmabile rispetto al mutamento
criminologico dell’epoca conseguente ad una evoluzione storico- sociale.
5
Secondo la formulazione dell’articolo 248 il numero minimo di soggetti ai fini dell’integrazione il
reato era individuato in cinque persone. Solo dopo, con il codice Rocco, il numero diminuirà in tre
persone.
6
Nell’art. 250 era prevista la circostanza aggravante e quindi un aumento di pena «Per i delitti
commessi dagli associati, o da alcuno di essi, nel tempo o per occasione dell’associazione», in
ALEO S., Dalle figure delittuose associative alla nozione di criminalità organizzata, in Riv.
Elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna.
7
«Il concorso di più persone in uno stesso reato non costituisce, in generale, una specie delittuosa a
sé, oppure una circostanza aggravante. Ma se un numero considerevole di individui si associa, non
già per commettere questo o quel reato, ma in generale, una serie di delinquenze, per far quasi, a
così dire, il mestiere del delinquente, sorge lo speciale delitto di cui si tratta e che ha, per i suoi
estremi, il concorso di cinque o più associati e lo scopo generale di commettere reati, sia pure di
specie non ancora determinata. Ed il Progetto (art. 210) evita di enunciare tutte quelle circostanze
od eventualità che il Codice penale del 1859 (articoli 426 e 427) ed il Codice toscano (art. 421)
annoverano, e le quali sono bensì tra le contingenze più frequenti del reato, ma ne restringono
indebitamente la nozione. Gli associati, come si accennò, debbono sempre rispondere del reato pel
sol fatto di aver preso parte ad una associazione per delinquere, qualunque fossero le loro precedenti
qualità: ciò che ha consigliato di abbandonare il titolo di associazione di malfattori, d’onde
potevano scaturire dubbiezze e controversie, come attualmente accade», Relazione di Zanardelli al
progetto di codice penale italiano del 1883, Stamperia Reale Ripamonti, Roma, 1889, p. 78, citato
da INSOLERA G., L’associazione per delinquere, CEDAM, 1983, cit., p. 57.
16
Il reato così strutturato, senza specificare se fosse necessaria, ai fini del
perfezionamento del reato, una vera e propria organizzazione o solo un mero
accordo, lasciò ampi spazi di intervento all’interpretazione discrezionale degli
organi giudicanti.
Non a caso la dottrina del tempo osservò come fosse ormai «rimesso
all’arbitrio del giudice il determinare, nei singoli casi, se esistano o meno gli estremi
costitutivi dell’associazione»
8
.
Così, mentre un orientamento giurisprudenziale considerava sufficiente un
semplice accordo, quand’anche tacito, per integrare l’art. 248 – non essendo in
alcun modo richiesta la «prova di una perfetta organizzazione»
9
– un secondo
indirizzo di segno opposto riteneva necessario dimostrare, nel caso concreto, la
sussistenza di «un’organizzazione permanente per congrua durata di tempo»
10
.
Inoltre, era fondamentale tracciare una linea di confine tra il concorso di
persone e l’associazione per delinquere, in quanto la distinzione non appariva nitida
e vi era il rischio di sovrapposizione tra i due istituti.
Era, quindi, considerata associazione per delinquere quella situazione in cui
i partecipi si accordano per attuare un indeterminato programma criminoso; era
considerato concorso di persone la situazione in cui i partecipi si accordano per la
commissione di una specifica figura di reato
11
.
Già con il codice Zanardelli cominciarono a nascere le prime controversie
interpretative, conseguenza del fatto che la fattispecie appariva formulata in
maniera eccessivamente generica e indeterminata, ma si raggiungerà il culmine con
l’entrata in vigore del codice Rocco e del relativo articolo 416 c.p.; infatti, fu allora
che si riconobbe un deficit di determinatezza e tipicità di tale fattispecie.
8
CAVAGNARI W., Delitti contro l’ordine pubblico, Completo trattato teorico e pratico di diritto
penale 2, cit. pag. 720.
9
Cass. Pen., 12 dicembre 1894, in Riv. pen.,1894, XLI, pp. 195, citata da INGROIA A.,
L’associazione di tipo mafioso, Giuffrè, Milano, 1983, cit., p. 9
10
Cass. Pen, 5 marzo 1898, in Riv pen., 1898, XLVII, p. 488, citata da INGROIA A., loc. ult. cit.
11
INGROIA A., L’associazione di tipo mafioso, Giuffré, Milano, 1993, pag. 10.
17
L’art. 416 del codice penale
è una norma criminologicamente neutra, priva
di riferimenti a specifiche realtà delinquenziali, e pertanto in grado di apprestare
una tutela onnicomprensiva
12
.
Del resto, si può affermare che, forse, l’obiettivo del legislatore del 1930
fosse proprio quello di consegnare una fattispecie di reato “vaga” ed
“indeterminata”.
Infatti, nel passaggio dall’articolo 248 del codice Zanardelli all’articolo 416
del codice Rocco fu abbandonata l’elencazione dei delitti-scopo in presenza dei
quali il reato poteva dirsi integrato
13
.
Infatti, l’articolo 416 del codice Rocco, per una corretta integrazione del
reato non rilevava la forma con la quale l’associazione veniva a manifestarsi nella
realtà, ma rilevava l’esistenza di un programma criminale che avesse come fine il
compimento di una serie indeterminata di delitti.
Il secondo elemento di novità fu l’abbassamento del numero minino di
persone per l’integrazione del reato in esame da cinque a tre.
12
CAVALIERE A., Il concorso eventuale nel reato associativo. Le ipotesi delle associazioni per
delinquere e di tipo mafioso, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, scrive che «In particolare l’art.
416 c.p. svolge la funzione di apprestare una tutela penale a prescindere dalla realizzazione, anche
solo in forma tentata, dei delitti oggetto del programma criminoso (…), ma anche quella di aggravare
il carico sanzionatorio nei confronti degli associati che commettono i reati oggetto del programma.
Non vanno, peraltro, sottaciute ulteriori funzioni, di tipo procedimentale, dell’art. 416 c.p., come
della generalità dei reati associativi: essi possono servire a consentire “scorciatoie probatorie”,
fondando una responsabilità pur in assenza della prova della commissione di delitti-scopo; anche se,
in realtà, la prova dell’associazione risulta ardua, allorché manchi quella della commissione di tali
delitti. Inoltre, l’art. 416 c.p. risulta collegato a regole procedimentali derogatorie, che consentono
più penetranti interventi e corrispondenti limitazioni di diritti dell’indagato/imputato» (ivi pag. 44-
45). Per le medesime considerazioni v. DE VERO G., I reati associativi nell’odierno sistema penale,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1998. cit., p. 20; INSOLERA G., L’associazione per delinquere, CEDAM,
cit., pp. 281 ss.; SPAGNOLO G., Reati associativi, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXIX, Roma, 1993,
pp. 1 e ss.; PALAZZO F. C., Associazioni illecite ed illeciti delle associazioni, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1976, fasc. 2, pp. 418 ss.
13
INSOLERA G., L’associazione per delinquere, CEDAM, 1983, cit., pp. 154 ss.