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L’influsso esotico, che in questo periodo diventa moda sulla
spinta di messaggi provenienti dalla Cina e dalla Turchia, si
inserisce nelle rappresentazioni formali e diventa sfogo per la
fantasia, ma allo stesso tempo sinonimo di ordine e regola nella
cultura europea del secolo grazie alle sue trasfigurazioni.
Tali aspetti influenzano anche la cultura siciliana, da sempre
ricca di fermenti e portatrice di simboli “peculiari” di una realtà
tutta mediterranea, tipica per gli atteggiamenti a volte di adesione
al più ampio contesto europeo, ma a volte anche di chiusura entro
confini circoscritti all’interno della sua storia e tradizione.
Basta fare due passi in una città dell’isola o in un piccolo borgo
per capire come la Sicilia si è qualificata per la sua autonomia
culturale, che l’ha sempre caratterizzata nelle diverse epoche in
rapporto alle culture con le quali si è confrontata. Nell’isola nel
Settecento risulta abbondante l’edificazione di palazzi e ville
residenziali. Bagheria ben rappresenta le tendenze di tale cultura
artistica settecentesca siciliana, e Villa Palagonia, in questo
contesto, si distingue per la sua singolarità e stravaganza. La
commistione di elementi stilistici come le statue dell’esterno, i
mosaici, gli affreschi classici ed esotici, innova e contestualizza
l’insieme. Quindi, non sorprende che l’affresco di villa Palagonia
si ispiri a un tema esotico e lo rappresenti, come non stupisce
neanche la presenza di specifici elementi che tendono ad
assemblare i due mondi diversi tra loro. L’evento della parata,
raccontato nell’affresco, trova nella totalità dell’immagine i tipici
temi esotici “alla moda”, e la banda turca, ormai largamente
diffusa anche nella cultura militare, operistica e orchestrale, trova
la sua giusta collocazione topologica, allegorica ed estetica. Per
poter cogliere il vero senso dell’immagine necessita appellarsi,
poi, a una breve indagine sull’iconografia musicale, disciplina
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della musicologia resasi ormai autonoma dalla storia dell’arte,
che attraverso il suo rigore metodologico permette un fortunato
incontro fra arte e musica. Il risalire al contesto culturale e
ideologico sotteso all’immagine ci permette di conoscere il vero
senso che l’artista vuole dare alla sua opera. Quindi non bisogna
limitarsi a ciò che l’immagine ci suggerisce nell’immediatezza
del colpo d’occhio, ma si deve andare oltre per individuarne i più
profondi messaggi comunicativi. Così negli strumenti musicali
della banda turca, presenti nell’affresco di villa Palagonia, si
ritrova un altro sottile messaggio della cultura esotica, ovvero la
commistione di strumenti provenienti dal teatro d’opera europeo
con altri tipici della musica marziale turca. Quindi l’esotico
diventa non solo motivo di influenza nel mondo occidentale, ma
di questo ne assimila valori e significati, e grazie ad esso due
culture totalmente diverse si incontrano assemblandosi. In tal
senso la musica, anche se letta tramite un’immagine, risulta
essere ancora una volta un linguaggio universale dove culture
diverse si confrontano, comunicano e vicendevolmente si
integrano.
L’Illuminismo, l’esotico, la musica, l’occidente e l’oriente
trovano in Sicilia, all’interno di villa Palagonia, un luogo, fra i
tanti, dove continuano a convivere appagando il desiderio di
evasione che da sempre vive nell’umanità e soprattutto nella
mentalità siciliana.
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Capitolo primo
Il Settecento: logicità, sentimento ed esotismo.
1.1 Il ruolo della borghesia nell’età dei lumi.
Per illuminismo si intende, come scrive Alberto Pompeati (1),
quel grande movimento culturale che con la forza della ragione
voleva illuminare il mondo per far sparire le tenebre
dell’ignoranza e della superstizione. Sorge in Europa,
inizialmente in Inghilterra, ma trova la sua maggiore espansione
nell’attività dei filosofi e degli scrittori francesi come Voltaire,
Diderot, D’Alembert e Rousseau, che diedero vita al progetto
dell’Encyclopédie, colossale impresa di analisi e di revisione
critica dello scibile filosofico-scientifico-tematico, al lume delle
nuove concezioni.
Dopo un lento sviluppo nei secoli XVII e XVIII la borghesia
capitalistica, che tende a modificare radicalmente i rapporti di
forza nei confronti delle classi dominanti, diventa il fulcro di
tutta l’economia grazie alle nuove tecniche produttive, delle quali
detiene il controllo. Già nell’età dei Comuni, delle Signorie e dei
Principati la borghesia mercantile aveva creato un’oligarchia di
potere, cioè una nuova aristocrazia, da cui trae origine la cultura
raffinatissima del rinascimento. Di conseguenza è naturale che le
conquiste tecnologiche e l’espansione economica europea del
secolo XVIII ripropongano come elemento trainante nuovi strati
della borghesia.
Nel campo della politica si sviluppa la scuola del “diritto
naturale” che sostiene l’esistenza di alcuni diritti innati
nell’uomo e perciò inalienabili, come la libertà di persona e il
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diritto di proprietà. Lo Stato viene concepito come il prodotto di
un accordo tra i cittadini, e non come un’investitura concessa da
Dio ai sovrani. Il Contratto Sociale del 1762 di Rousseau
sviluppa ampiamente tale ideologia, e considera lo Stato come
frutto di un contratto sociale e spera nella concretizzazione della
democrazia diretta, in cui ogni cittadino possa deliberare
direttamente sui vari aspetti della vita pubblica, senza delegare i
suoi poteri ad un rappresentante e così debellare i privilegi e le
oppressioni.
Nel campo filosofico e scientifico, si riconfrontano, sulla scia di
Cartesio e Locke, razionalismo ed empirismo sviluppandosi sui
temi del naturalismo rinascimentale e approdando al sensismo.
Anche la religione viene considerata come “naturale” presente in
tutti gli uomini sotto forma di un sentimento generico della
divinità, che è il presupposto delle religioni storicamente rivelate,
ma non coincide con nessuna di esse.
I produttori di questa nuova cultura, come sottolineano Carlo
Salinari e Carlo Ricci (2), gli intellettuali o, come si chiamarono
nel Settecento, i philosophes presentano caratteristiche particolari
che li distinguono dagli eruditi di vecchio stampo. Essi sentono
di appartenere a una classe imprenditoriale borghese che vuole
esercitare la sua egemonia culturale ancora prima di aver
conquistato il potere politico. Da qui nasce l’ambizione
dell’intellettuale ad essere non solo un creatore, ma anche un
divulgatore di cultura, egli infatti è o un borghese che vive con le
proprie attività, o un aristocratico borghesizzato che riesce a
mantenersi scrivendo, o un uomo di stato che promuove le
riforme necessarie per modernizzare la società. Tramonta così la
figura dell’intellettuale di corte al servizio del principe, e sorge
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quella dell’intellettuale moderno autosufficiente che interpreta gli
interessi della classe lavoratrice.
1.2 L’estetica settecentesca al centro dell’indagine.
Il Settecento viene soprattutto indicato come il secolo “dei
lumi”, che suggella definitivamente la nascita di una cultura
moderna che portò alla rivoluzione francese, in nome della
libertà, fraternità e uguaglianza, pertanto sembra che in esso
abbia imperato una mentalità, per così dire, estremamente
razionale. Ripercorrendo però le esperienze culturali che lo
hanno animato, si scoprono interessi ed atteggiamenti che
specificano il senso illuminato di un cosciente tentativo operato
dall’individuo anche di interpretare e chiarire se stesso in
rapporto con la natura. In tal senso, quindi, al di là delle
caratteristiche polemiche fatte proprie dagli intellettuali, si è
rivisitato il piano del sentimento, della passione, del gusto, della
sensibilità per trovarvi, attraverso il rigore dell’analisi scientifica,
nuova linfa comunicativa.
Gli orizzonti settecenteschi in tale prospettiva si aprono ad una
nuova sensibilità, i cui segni sono visibili in una tendenza, già
presente all’inizio del secolo, che vuole individuare nell’arte e
nei suoi processi produttivi passionalità e razionalità. I temi
classici dell’indagine filosofica si appropriano pertanto di
particolari significati che danno tono all’insieme della ricerca. In
tale prospettiva, empirismo e razionalismo, oltre che definirsi
come metodi per fissare le regole della conoscenza, si orientano
anche verso il piano di quelle discipline umanistiche e letterarie
che storicamente hanno contribuito a determinare numerose e
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significative possibilità esperenziali per la coscienza. L’analisi
quindi diventa globale, mediando posizioni e valori culturali, che
vengono espressi in un contesto variegato anche per realtà
ideologiche interagenti, che meglio si specificano in relazione
alle nazioni europee dove il momento storico differenzia le
opinioni e le coscienze. In tale prospettiva, le meditazioni
poetiche di Baumgarten (3), del 1735, offrono preziose
indicazioni sull’origine di una innovativa visione dell’estetica
intesa come uno spazio culturale di analisi e di metodo.
L’estetica assume la funzione di scienza originariamente posta a
metà strada fra filosofia, poetica e retorica, connotandosi in
“gnoseologia inferior”. Si viene così progressivamente a
discutere sul valore metodologico della nuova scienza utilizzata
dai moderni, o sul più ampio significato riferito al senso
qualitativo delle cose. Dalla disputa intorno alla presunta
superiorità degli antichi sui moderni, o viceversa, si passa a un
dibattito che rivisita, da diverse prospettive, i temi del progresso,
dell’unità nella varietà, come anche quelli della fantasia e
dell’antimetafisica. Si sviluppa pertanto una ricerca, che, come
afferma Elio Franzini (4), si concentra “sulla centralità dei dati
sensoriali e dei poteri della sensibilità, la cui forza analogica è
inserita nei quadri di un metodo filosofico organizzato e
operativo secondo più ampi spettri di funzionalità”.
L’interscambio culturale mette poi in essere un ricco intreccio
tematico, che fin dall’inizio del secolo, attraverso il trionfo delle
fiabe, di argomentazioni pittoresche e orientaleggianti, afferma il
successo della commedia. Si assiste parallelamente alla crescita
del melodramma e alla disputa sulla validità della commedia
dell’arte. Tutti questi fattori mettono soprattutto in primo piano,
nei processi produttivi artistici, il mondo delle passioni. Si
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manifesta una filosofia dell’esperienza, che accomuna il tema del
bello e del sublime ad una nuova visione antropologica
dell’uomo. Il concetto della natura sfuma la sua centralità
metafisica in funzione di una pluralità di sensi spesso legati
anche a motivazioni sociali, politiche relativistiche ed
economiche. Il pensiero, quindi, prova la sua “esteticità” quasi
senza alcuna mediazione teorica. Il romanzo di Denis Diderot, I
gioielli indiscreti del 1747 (5), esemplifica in tale direzione i
temi dell’estetica settecentesca, là dove viene espresso il concetto
per il quale “nel tuo paese chiamano delitto quello che nel nostro
paese viene considerato un atto gradito alla divinità”.
L’esperienza dell’altro serve per farci capire i paradigmi
dell’analogia, della differenza, del senso comune, del modello
altro del sapere su cui, si sviluppa l’estetica settecentesca.
Passione e ragione, piaceri dei sensi e piaceri intellettuali,
vengono analizzati nella loro spontaneità, e ricondotti
nell’ambito di un ordine che vuole assumere significati metafisici
e teologici. Viene ripresa quindi la lezione seicentesca
leibniziana della ricerca che si sviluppa verso l’unità nella varietà
a sigillo dell’armonia del reale, e si recupera, superandolo, il
distinguo cartesiano del cogito ergo sum. Pur avendo per oggetto
l’idea dell’infinito, l’estetica del Settecento, prima di essere una
disciplina compiuta, si sviluppa come un atteggiamento teorico
che abbraccia diversi orizzonti tematici. Ben esprime tale
consapevolezza Elio Franzini nella sua opera L’estetica del
Settecento (6), quando afferma che l’estetica è “un guardarsi
intorno con uno sguardo pieno di chiarezza. Ma pronti tuttavia a
sorridere e a cercare di nuovo, se lo sguardo incontra ancora la
nebbia”.
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1.3 Gli interessi estetici e il sentimento.
Nel 1714 veniva pubblicato il Traité du beau di Jean-Pierre
Crousaz che cerca l’oggettività di un metodo nell’analisi delle
funzioni soggettive. Sulla scia della tradizione cartesiana di
utilizzare nella ricerca i codici della chiarezza e della
distinzione, l’autore in tale direzione individua nella bellezza il
motore di una molteplice varietà di rapporti e,
consequenzialmente, di sentimenti. Si ha quindi, come
puntualizza Elio Migliorini (7) nei suoi Studi sul pensiero
estetico del Settecento, del 1966, una visione della bellezza come
unità nel molteplice che, come tale, assume funzione ontologica
per la conoscenza e finalità universale di ordine cosmico-
finalistico. Si arriva così all’armonia leibniziana che individua
nella bellezza un simbolo metafisico da far proprio assimilando
e contestualizzando la sua formula filosofica “unità nella
varietà”.
Quanto detto può brevemente individuare un percorso estetico in
direzione mistico-religiosa.
Se invece riconosciamo, per dirla con A. Cooper (conte di
Shaftesbury), che il giudizio di bellezza rinvia a quello di realtà,
si arriva a una sostanziale identità tra bello e vero. Così l’autore
invita a perseguire in questa direzione e propone all’uomo colto
del Settecento di perseguire questa identità e individuarla
nell’opera d’arte. Ecco palesata una funzione etica dell’estetica
settecentesca, attraverso un autentico entusiasmo per la filosofia
e per l’arte. Questi valori tipicamente illuministici determinano i
nuovi significati di armonia e proporzione, intorno ai quali
l’umanità potrà raccogliersi con rinnovato interesse. Sulla scorta
di tali indicazioni, la tradizione filosofica inglese, pur tonificata
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nella sua tradizione seicentesca, da figure quali Hobbes o Looks,
si riappropria del significato del bello, del vero e del buono, e fa
propri temi culturali che animano le querelles dibattute
contemporaneamente nel resto d’Europa.
In Francia, nel 1741, Padre André (8) pubblica il suo Essai sur
le beau, con l’intento sistematico di operare una classificazione
della bellezza in una direzione classicistica e fortemente
gerarchizzata: “chiamo bello non quel che piace al primo sguardo
dell’immaginazione […], ma ciò che ha diritto di piacere alla
ragione [….] ”.
Denis Diderot nel suo “Trattato sul bello”, sull’onda della
tradizione baconiana, parla di qualità e rapporti e trova nel
Compendium musicae di Cartesio il giusto supporto per far
dialogare relatività e oggettività. Sentimento, piacere, realtà e
verità vengono collocate all’interno di un unico contesto
espressivo. La bellezza viene intesa come il prodotto di uno
scambio organico e genetico tra l’uomo e la natura, all’interno di
un medesimo processo interpretativo e poetico.
Se Diderot si ispira alla musica, Charles Du Bos nelle sue
Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura del 1719, in qualità di
difensore dell’antico, parla di arte attraverso il recupero di tutta
una tradizione rinascimentale e si riallaccia al paradigma
oraziano “ut pictura poesis”. I temi spaziano dalla fenomenologia
dell’arte alla teoria della critica per il recupero della
considerazione del gusto, in tale prospettiva decide il sentimento
e non la ragione come affermato dall’autore che così si esprime
(9) “ non interessa tanto definire l’essenza dei fenomeni estetici,
quanto descriverne gli effetti e la funzionalità in relazione alla
vita dell’uomo”.
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Muratori, in Italia, applica le regole del bello sia alle scienze
che al mondo della letteratura, usando un paradigma
terminologico e conoscitivo concentrato sul verosimile, sul vero,
sulla fantasia, sull’ingegno e sul giudizio. Vico privilegia invece
lo studio del linguaggio, ed elabora un progetto universale della
cultura che recupera, attraverso la produttività
dell’immaginazione linguistica, l’uomo e la natura. Tale
posizione culturale ispira un nuovo progetto universale della
cultura che trova nella poetica la sua stessa origine.
Immanuel Kant traccia dell’estetica una mappa ideale che la
trasporta da una posizione psicologica e speculativa ad una nuova
funzione nell’edificio del sapere, e indaga sul significato del
sentimento soggettivo, aprendo così le porte alla cultura
romantica. L’illuminismo trova così un nuovo e significativo
principio filosofico, che lo pone autonomo sul piano della sua
totale produttività che è logica, etica, e soprattutto estetica.