CAPITOLO I
L’esercizio in forma collettiva delle professioni intellettuali : legislazione
ed evoluzione Sommario: 1.1L.1815/1939 ed elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali. - 1.2 Le riforme e le aperture degli anni '90-
1.3 Gli interventi recenti – 1.4 Il limite dell'esecuzione personale 1.1 L.1815/1939 ed elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali Quando si parla di professioni intellettuali, non si può trascurare l'impronta
giuridica che su di esse ha lasciato il legislatore del 1942, che alle stesse ha dedicato
ampio risalto nel codice civile dello stesso anno. Il quadro giuridico emergente
sembra essere il risultato di un'opera politico-giuridica di cui i sentori si sentono già
negli anni precedenti. in tal senso, il legislatore nel 1939 emanò un'apposita legge,
la numero 1815, che prendeva in considerazione l'esercizio delle professioni
intellettuali secondo schemi diversi dal mero esercizio individuale. In particolare
l'articolo 1 della legge statuiva che “ Le persone che, munite dei necessari titoli di
abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in
forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l’esercizio delle
professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare,
nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la
dizione di “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o
tributario”, seguita dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli
associati. L’esercizio associato delle professioni o delle altre attività, ai sensi del
comma precedente, deve essere notificato all’organizzazione sindacale da cui sono
rappresentati i singoli associati”.
Per completare tali previsioni l'art. 2 statuiva che “È vietato costituire,
esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente
articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare,
1
anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o
consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o
tributaria”. T ra la legge e il codice vi è un rapporto di stretta interdipendenza:
elementi necessari, indispensabili per interpretare il perché delle previsioni (invero
restrittive) della legge del '39 sono stati ravvisati nel carattere rigorosamente
personale della prestazione professionale nonché dal principio del “compenso
adeguato al decoro professionale del professionista” , contenuti negli articoli 2232
1
e
2233 del c.c.
Nel complesso, la disciplina di quegli anni trovava una giustificazione
nell'intento del legislatore di impedire che dietro allo schermo societario operassero
persone non abilitate all’esercizio dell’attività professionale che, per mancanza di
titolo professionale, potevano arrecare pregiudizio a terzi. In questo senso, il
legislatore limitava la possibilità di un esercizio collettivo della professione ai soli
studi in forma associata, in controtendenza rispetto a quelle che erano state le
aperture dottrinali 2
alla possibilità di un esercizio collettivo delle professioni
intellettuali nelle forme del contratto di società civile disciplinato dall'art. 1706 del
codice civile del 1865.
A conferma del rigore della disciplina, per i contravventori la legge 1815
prevedeva la sanzione privatistica più grave: la nullità della società per violazione
di norme imperative (art.1418 c.c.) e, di riflesso, la nullità di tutti i contratti d'opera
professionale dalla stessa stipulati, con la conseguenza che i professionisti
avrebbero subito la negazione del diritto al compenso una volta prestata l'opera. Le
previsioni della legge apparirono alla giurisprudenza e a quella stessa dottrina
possibilista come una reazione esagerata e spropositata da parte dell'ordinamento. In
questo senso, autorevoli autori definirono la legge 1815 come una legge che “in
realtà dissimulava l'inqualificabile intento di dare attuazione alle leggi razziali,
prefiggendosi di impedire alle persone razzialmente discriminate di svolgere la loro
1
Per un'analisi del punto v. il capitolo 1.4
2
V. CARBONE V., Le Società di Engineering hanno piena cittadinanza nel sistema giuridico italiano , in
Corr. Giur. , 1985, 5 , 518 ss
2
professione anche in forma societaria 3
”. Proprio per queste ragioni è possibile
affermare che si assistette ad un vero e proprio fenomeno di erosione della
previsione legislativa, da alcuni indicato come una “lunga marcia” 4
, fatto di
elaborazioni dottrinali e sentenze giurisprudenziali il cui punto d’arrivo sarebbe
stato il legittimo esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali.
In primo luogo, nelle sentenze si affermò un'interpretazione restrittiva delle
fattispecie cui era precluso l'esercizio delle professioni intellettuali in forme diverse
dalle forme previste dalla legge del 1939; si venne così a creare una distinzione fra
il fenomeno societario vietato e gli altri fenomeni associativi o societari che
acconsentivano al coinvolgimento di professionisti, ma che non ricadendo
nell'ambito di applicazione della l.1815, erano da considerarsi senz'altro
ammissibili, quindi validi (nonché sottratti alla futura disciplina della società fra
professionisti 5
). Questa distinzione riguardò , soprattutto, l'ambito della
progettazione industriale e le cosiddette società di ingegneria, o società di
engineering . Importantissime risultarono essere diverse pronunce dei tribunali di
merito e poi di organi superiori, quali Cassazione e Consiglio di Stato. Il file rouge
rintracciabile in queste decisioni è l’affermazione della liceità delle società in cui
la prestazione professionale diviene parte di un oggetto più complesso e articolato,
tanto da assumere una posizione di strumentalità, cioè servente rispetto al servizio
unitario offerto dalla società, che non si identifica perciò con quello tipico di
alcune delle professioni intellettuali. Il Supremo collegio, con le sentenze 7263,
7264 e 7265, tutte datate 6 dicembre 1986, arriva persino ad affermare la parziale
tacita abrogazione della legge del 1939 : abrogazione “attuata non espressamente né
per nuovo regolamento dell'intera materia ma per incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti “ 6
. In conseguenza a queste pronunce non è certo
possibile affermare la liceità di ogni tipo di società di engineering, conclusione cui
3
Cfr. SCHIANO DI PEPE G., Le società di persone, Milano, 1995, 201 ss.
4
L'espressione è utilizzata da RESCIGNO M., La “lunga marcia” verso la società tra professionisti , in
AA.VV., La Società tra Avvocati , a cura di Lorenzo de Angelis, Giuffrè, Milano, 2003, 12 ss.
5
CAMPOBASSO G.F., Diritto Commerciale, II, Diritto delle società , VII ed., Utet, Torino, 2009
6
Cass. 6 dicembre 1986, n. 7263, 7264,7265
3
si può pervenire solamente attraverso un intervento del legislatore
7
; è possibile,
piuttosto, rilevare, quale positivo effetto di quest'orientamento l'affermazione del
principio in base al quale è sufficiente inserire la prestazione professionale
all'interno di un servizio più ampio affinché questa possa essere resa da una società
senza alcun limite per la forma da adottare ovvero per le particolari regole di
responsabilità aggravata o estesa verso il cliente
8
.
Successivamente, la strada battuta fu quella dell’esclusione, dal divieto ex
L.1815, delle c.d. Società di mezzi fra professionisti. Era, ed è tuttora , molto
diffuso il contratto atipico tra uno o più professionisti e una società di capitali, il cui
oggetto era costituito dalla fornitura di beni strumentali e di servizi accessori, che
consentivano o facilitavano l’esercizio della professione. In questa ipotesi, la
posizione ricoperta dalla società era quella di soggetto terzo e autonomo nei
confronti dei professionisti e dei fornitori, ossia del soggetto che sostiene i costi per
i mezzi utilizzati dai professionisti e che provvede a riaddebitare i corrispettivi dei
servizi . La titolarità dei beni strumentali spetta, quindi, ad un soggetto diverso dal
professionista, spetta per l’appunto alla società di mezzi . La giurisprudenza, seppur
con qualche oscillazione a metà degli anni novanta 9
, dichiarò perfettamente lecite
tali società, in quanto svolgenti attività di impresa e non attività individuale. In
particolare, il Tribunale di Milano, in data 15 giugno 1991, ha precisato che” il
disposto dell’art. 1 della L. 1815/39 “non opera qualora la società non abbia come
oggetto l’esecuzione di compiti propri di professioni, ma si limiti a porre a
disposizione dei professionisti (soci o terzi) un apparato di strutture e di mezzi che
possa facilitare lo svolgimento della prestazione senza intaccare il rapporto
fiduciario che si instaura tra il cliente ed il professionista, in modo che la
prestazione gli sia direttamente imputabile” 10
. Ancora, la Cassazione con la
sentenza n. 5656 del 13 maggio 1992, rilevò non trovavano applicazione i divieti
7
V. 4.4
8
RESCIGNO M., op. cit ., 15
9
CAMPOBASSO G.F, op. cit. , 14
10
Trib. Milano 16 maggio 1991, in Le Società , 11, 1991, 1546
4
di cui alla L. 1815/39 qualora la società avesse avuto “[…] ad oggetto soltanto la
realizzazione e la gestione di mezzi strumentali per l’esercizio di una attività
professionale ancorché protetta (immobili, arredamenti, macchinari, servizi
ausiliari), che resti però nettamente separata e distinta dalla organizzazione dei beni
di cui si serve, anche sul piano contabile” 11
. Perfettamente lecito e strutturalmente
diverso dall'esercizio collettivo fu poi considerato dalla Cassazione ,con la sentenza
n. 3012 del 7 maggio 1980, il fenomeno dell'assunzione congiunta di un incarico da
parte di più professionisti. In questo specifico caso, si è in presenza di distinte
attività professionali collegate e coordinate e non di un'unica attività esercitata in
comune, pertanto ciascun professionista risponde personalmente del proprio
operato ed ha diritto ad un proprio distinto compenso anche quando nulla sia dovuto
all'altro 12
.
La “seconda tappa” di questa lunga marcia si sostanzio nell'orientamento, di
matrice strettamente dottrinale, che ripensava il limite ex. articolo 2 legge
1815/1939, quale limite diretto alle sole professioni protette; considerava, cioè,
l'esercizio in forma societaria vietato alle professioni per le quali era richiesto il
superamento dell’esame di stato e l’iscrizione in albi tenuti da ordini e collegi. In
altre parole, si ammise che per certi tipi di professioni (quali ad esempio: agenti di
pubblicità ed esperti di ricerche di mercato) la forma societaria potesse essere
utilizzata senza limitazioni e che quindi potessero essere utilizzate anche le società
di capitali
13
. Quest'interpretazione fu fatta propria dalla Corte Costituzionale in una
sua pronuncia del 1976, in cui si stabilì che la normativa del 1939 non contrastava
con l'art. 41 della Costituzione “essendo riservato alla legge ogni opportuno
controllo delle iniziative od attività economiche ed essendo sempre stato l'esercizio
delle professioni intellettuali oggetto di speciali discipline, pur con forme, modalità
e limitazione diverse nei tempi e nel vario regolamento delle singole professioni” .
11
Cass. 13 maggio 1992, n. 5656, in Giur. it ., 1993, I, 1, p. 354
12
Cass. 7 maggio 1980, n 3012, in Giust. civ .,1980, I, 2735
13
CAMPOBASSO G.F, op. cit. , 16
5
Su questa scia, per alcuni autori 14
è inevitabilmente collegato all'applicazione di
uno schema societario per l'esercizio di una professione, il fatto che la prestazione
non possa più essere qualificata giuridicamente come prestazione d'opera
intellettuale essendo venuto meno un carattere inderogabile della stessa. Il
professionista verrà considerato in tutto e per tutto un comune produttore di servizi,
ed al pari di ogni produttore di servizi acquisterà la qualità di imprenditore
commerciale 15
.
In tutto questo i vari legislatori che si susseguono nel tempo non rimangono
inerti di fronte agli stimoli dottrinali e giurisprudenziali : con alcuni interventi di
portata settoriale, dal diritto civile al diritto tributario, si comincia a far riferimento
a forme societarie anche per le professioni protette, equiparandole alle società
semplici. Alcuni importanti esempi 16
: l'art. 5 del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 597
avente titolo “Redditi prodotti in forma associata” che tratta le “società o
associazioni costituite fra artisti e professionisti” equiparandole alle società
semplici; formula non smentita dal d. P. R. Modificativo del 22 dicembre 1986,
n.917, che prende in considerazione “le associazioni senza personalità giuridica”
costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni, e
li equipara a sua volta alle società semplici. Di società e associazioni se ne occupa
anche la legge 576/1980, recante titolo “Norme sulla previdenza degli avvocati,
dottori commercialisti e ragionieri”, riferendosi alla società come soggetto avente
proprio volume d'affari. Il limite della legge 1815/1939 viene lambito, e per alcuni
superato, anche dalla legge istitutiva dei CAAF (legge 30 dicembre 1991, n. 413
rivisitata poi dal d.lgs. 28 dicembre 1998, n. 490) e dal d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136
riguardante le società di revisione ( cioè società a cui viene attribuita la funzione di
controllo della regolare tenuta della contabilità e di certificazione delle società
quotate in borsa). Invero, alcuni dubitano che l'attività di tali società si risolva ed
esaurisca nell'esercizio di una professione intellettuale (quella dei dottori
14
GALGANO F. , Le società in genere, Giuffré, 2007 , 36 ss.
15
CAMPOBASSO G.F, op. cit. , 19
16
DE STEFANIS C., Società e Associazioni tra Professionisti , Maggioli, 2010
6
commercialisti e dei ragionieri)
17
; Piuttosto, ci si troverebbe dinnanzi ad una tipica
attività nella quale le prestazioni d'opera intellettuale (dei soci e/o dei terzi) hanno
carattere strumentale e servente rispetto all'unitaria prestazione di revisione
contabile cui tali società sono tenute.
Per quanto riguarda i centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF), l'attività
che essi svolgono, sotto forma di società di capitale, è senza dubbio professionale, o
almeno è da considerare coincidente in parte con quella dei dottori commercialisti
e dei ragionieri; infatti essi possono: elaborare e predisporre le dichiarazioni
tributarie e gli ulteriori adempimenti tributari; redigere le scritture contabili;
verificare la conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni alla relativa
documentazione; consegnare al contribuente copia della dichiarazione elaborata e
del prospetto di liquidazione ; comunicare ai sostituti d'imposta il risultato finale
delle dichiarazioni, ai fini del conguaglio a credito o a debito in sede di ritenuta
d'acconto ;inviare le dichiarazioni predisposte; apporre il visto di conformità dei
dati delle dichiarazioni unificate alla relativa dichiarazione.
Per completezza d'analisi, è importante sottolineare che i CAAF svolgono attività
professionale ma non sono società di professionisti, in quanto i soci possono essere
soltanto le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori e le organizzazioni
sindacali dei lavoratori rispondenti a determinate caratteristiche 18
.
L'equiparazione e l'avvicinamento al modello della società semplice non si
trova solo in vari interventi legislativi settoriali e con scopi limitati, ma comincia a
farsi strada anche in alcune pronunce giurisprudenziali 19
. Tutti questi tasselli
possono essere visti come funzionali al raggiungimento del punto di arrivo di cui
sopra. I tempi, nella seconda metà degli anni '90, sono quindi maturi per una
rivisitazione della legislazione del 1939 nel senso di favorire un intervento
legislativo che non abbia carattere settoriale, bensì esplichi una portata generale
17
Per alcune sentenze in materia, v. App. Firenze, 6 maggio 1983, in Foro it. , 1983, I, 2547, con nota di
MARZIALE; Trib. Milano, 15 dicembre 1998, in Rass. impr. , 1999, 1053
18
DI SABATO F., Società in generale , Edizioni scientifiche italiane, 2004
19
Trib. Bari, 23 novembre 1981, in Giur. Comm ., 1983, II, 633; App. Bari, 27 gennaio 1982, ibidem ; Trib.
Roma, 2 dicembre 1986, in Le Società, 1987, 193
7
nell'ordinamento. .
1.2 Le riforme e le aperture degli anni '90
Gli anni novanta del secolo scorso si caratterizzano per una rilevante
produzione legislativa in materia di libere professioni e utilizzo di schemi societario
e/o collettivi (comunque diversi dagli schemi associativi già permessi). Alcuni di
questi interventi costituiscono il mezzo con cui l'ordinamento italiano si adegua agli
stimoli che sopraggiungono dall'ordinamento comunitario, molto più “coraggioso”
di quello italiano nell'adottare strumenti per l'esercizio collettivo delle professioni
intellettuali.
In questo senso si spiega il d. lgs. 240/1991, punto di arrivo di una lunga
gestazione 20
iniziata con la delega contenuta nella “Legge comunitaria 1990” (legge
29 dicembre 1990, n. 428, che reca norme per l'applicazione del regolamento
85/2137/CEE relativo al Gruppo europeo di interesse economico), le norme
introdotte sono norme necessarie che concorrono con la fonte comunitaria a
introdurre uno strumento peculiare, a carattere ausiliario, per l'attività dei
professionisti . Infatti il Regolamento in questione presenta alcuni caratteri tipici
delle Direttive comunitarie, nel senso che non pone una disciplina esaustiva e
completa ma anzi bisognosa di integrazioni eteronome da parte degli Stati,
tenendo ben presente però il limite dello schema generale; in altri termini, questi
possono solo esercitare opzioni normative, per giustificare una maggiore
omogeneità con la disciplina interna.
21
Questo fa si che la disciplina del G. E. I. E.
sia parecchio articolata 22
, e coinvolga anche le norme comunitarie in materia di
concorrenza e le norme di diritto internazionale privato, finalizzate alla gestione dei
rapporti tra i membri del gruppo, e tra gli stessi e il gruppo .
Sempre in quegli anni , nel 1994 è approvata la Legge quadro in materia di
20
v. 4.1
21
ROSSI A., Il gruppo europeo di interesse pubblico , in Società , 1990, 2, 161 ss.
22
DE STEFANIS C., Op. cit. , 421 ss.
8
lavori pubblici (legge 109/1994) che prevede, allo scopo di rafforzare i risultati
raggiunti dalla giurisprudenza, la disapplicazione del divieto ex art. 2 legge 1815 in
favore di quelle società, sotto qualunque forma costituite, che “eseguono studi di
fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni, direzioni dei lavori, valutazioni di
congruità tecnico economica e studi di impatto ambientale e che non esercitano
attività di produzione di beni”; È inoltre sancita la l'imputabilità dell'attività di
progettazione ad uno o più professionisti indicati nominativamente e personalmente
responsabili. In pratica il legislatore riconosce e disciplina le società cosiddette di
consulting engineering 23
.
Ma l'intervento legislativo più importante di quegli anni è senza dubbio la
legge 266/1997 (c.d. Legge Bersani) , che, dettand o interventi urgenti in materia
economica, disponeva all'articolo 24 l'abrogazione dell'articolo 2 della legge
1815/1939, dopo quasi sessant'anni di vigenza. L'articolo 24 conteneva anche un
secondo comma che , nell'ambito di una tendenza alle delegificazione invalsa in
quegli anni, disponeva che “ il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e, per quanto di
competenza, con il Ministro della sanità, fissa con proprio decreto, entro centoventi
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i requisiti per l’esercizio
della attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n.1815” . La legge
266, se da un lato risultava molto importante per i suoi effetti abrogativi che di fatto
testimoniavano un'apertura alle società professionali, difettava di completezza, e
lasciava quindi una situazione di incertezza. Molti dubbi riguardavano sopratutto il
richiamo ad una fonte regolamentare per disciplinare punti focali della disciplina.
In questo senso, sia la dottrina che la giurisprudenza si schierarono contro il
regolamento : la prima censurava la “superficialità 24
” del legislatore che aveva
pensato di intervenire in una materia tanto complessa solo “abrogando l'articolo di
una legge”,senza dettare una disciplina che prendesse posizione in merito alla
23
CAMPOBASSO G.F, op. cit. , 17
24
SCHLENSINGER P., A bolito il divieto dell'esercizio in forma societaria di attività professionali , in Corr.
Giur. , 1997, 1369 ss.
9
compatibilità delle società professionali con lo statuto legale delle professioni
intellettuali risultante dal codice civile. In pratica, il legislatore del '97 non aveva
compreso appieno il disegno politico-giuridico del legislatore passato. In questa
situazione qualsiasi regolamento, aldilà del suo contenuto, non solo non avrebbe
posto fine ad una situazione incerta e confusa (qual era quella che si era venuta a
creare) ma avrebbe, anzi, accresciuto quella incertezza e quella confusione 25
. Per
quanto riguarda le posizione espresse dalla giurisprudenza, importantissimi furono
poi due pareri del Consiglio di Stato Sezione Consultiva( pareri n. 35/98 e 72/98),
emanati in stretta consecuzione temporale, i quali prendevano in considerazione
una bozza di regolamento (c.d. Progetto Rovelli).
Un'analisi contenutistica dello stesso faceva rilevare come il regolamento
contenesse una una disciplina “condivisibile ed equilibrata” 26
, ma in più punti non
rispettosa della gerarchia delle fonti ;in particolare, consentiva l'adozione di
qualunque tipo societario, la costituzione anche di società interprofessionali e la
partecipazione anche di soggetti non professionisti 27
; prevedeva poi l'iscrizione
delle società in apposite sezioni speciali degli albi professionali; disponeva il
conferimento dell'incarico professionale alla società, la sua esecuzione da parte di
un soggetto abilitato e la possibilità per il cliente di scegliere tale soggetto; e in capo
alle società di capitali, mancando la responsabilità personale dei professionisti-soci,
ordinava l'obbligo di assicurazione della responsabilità civile 28
.
Il Consiglio di Stato, con il primo parere datato 9 marzo 1998 formulava
sopratutto tre obiezioni che partendo appunto da una valutazione sull'opportunità
dello strumento adottato, finivano per investire anche profili disciplinari e
contenutistici. In altri termini, nel parere il Consiglio di Stato rilevava in primis che
è "è incongruo e contrario ad ogni buona regola di tecnica legislativa deferire ad
una norma di rango secondario, quale è appunto il decreto ministeriale, la disciplina
25
IBBA C. , Contro il regolamento sulle società professionali, in Riv. Dir. Priv., 1998, 5 ss
26
Ibidem 27
IBBA C., Sulla riforma delle Libere professioni , in Riv. dir. priv ., 2000, 165 ss.
28
Ibidem 10
di istituti ai quali si vuole fare assumere un'importanza fondamentale nel nuovo
assetto che si intende introdurre nell'ordinamento giuridico”; ed inoltre, “si riscontra
una ultrattività del regolamento predisposto dal Governo rispetto alla disposizione
del decreto Bersani, in quanto questo non si limita a disciplinare l'esercizio in forma
collettiva, e quindi anche societaria, delle professioni protette, ma pretende di
dettare una disciplina nuova, valida per tutte le professioni intellettuali”. In ultimo,
“Il regolamento apre alla possibilità che i soggetti collettivi possano esercitare
attività professionali tout court, con conseguente violazione dell'articolo 33, quinto
comma, Cost., poiché solo gli individui, e non anche le società, possono sostenere
un esame di Stato” 29
.
A questa parziale chiusura, il ministero di Grazia e Giustizia reagì con una
richiesta di riesame del regolamento presentando una relazione in cui sosteneva
un’interpretazione dell'articolo 33 che non vietasse la costituzione di società tra
professionisti e la possibilità di far riferimento ad altri ordinamenti per elaborare
schemi di società congruenti con le regole giuridiche fondamentali vigenti in Italia.
La Sezione consultiva però, con il secondo parere datato 11 maggio 1998, non ha
modificato l'impostazione già data al problema. In particolare, è stata ribadita la non
congruità della fonte regolamentare per dare attuazione all'articolo 24 della legge
266 del 1997; sono inoltre stati confermati i punti di frizione del regolamento con
l'art. 33 della Costituzione, rilevando anche un potenziale contrasto con l'articolo 3 e
il principio dell'uguaglianza formale, facendo leva sul diverso regime di
responsabilità che sarebbe stato praticato al singolo professionista e alla società di
capitali. Sempre dal punto di vista della componente “soggettiva” di tali società,è
stata comunque negata la liceità della partecipazione a società professionali di
soggetti che non siano professionisti abilitati, neppure se questi dovessero
obbligatoriamente collocarsi in posizione minoritaria, tale però da poter incidere
concretamente sull'attività decisoria degli organi sociali
29
Su questa complessa vicenda v. DE ANGELIS L., Le società tra professionisti nel progetto di riforma
delle libere professioni , In Riv. Soc ., 1999
11
Stavolta dal parere traspariva una bocciatura senza appello, a cui si aggiunse il voto
del Senato del 23 giugno dello stesso anno, che spinse il Governo abbandonare
definitivamente la via regolamentare. Alcune disposizioni del progetto Rovelli,
considerate meritevoli, furono rispolverate in occasione del decreto istitutivo della
società tra avvocati.
Viste le difficoltà a pervenire ad un completamento della disciplina, la
situazione di incertezza si prolungò oltre quanto preventivato e portò all'emergere di
una problematica relativa al regime transitorio che dovesse adottarsi nel frattempo :
sul punto si segnalano alcuni interventi della giurisprudenza di merito. Innanzitutto
la pronuncia del Tribunale di Milano datata 12 Dicembre 1998, i n cui si è osservato
che “ le modificazioni dell’atto costitutivo di una società per azioni che introducono,
nella denominazione sociale e nella clausola di trasferimento delle azioni, il
riferimento all’oggetto professionale, in difetto della emanazione del decreto
interministeriale a cui fa rinvio la L. n. 266/1997 per la regolamentazione dei
requisiti delle società professionali, sono illecite per indeterminatezza del contenuto
e non possono essere omologate ”. Sempre a Milano, nello stesso periodo, il
Registro delle imprese di Milano iscriveva una società tra professionisti nella forma
di società semplice. In particolare il giudice del Registro di Milano, (dot. G.
Tarantola , ordinava, con decreto depositato in Cancelleria il 5 giugno 1999,
l'iscrizione nella sezione speciale della società semplice “STUDIO VERNA società
professionale”. La società, di cui facevano parte un ragioniere e sette dottori
commercialisti, si era vista negare in prima battuta l'iscrizione da parte del
Conservatore del Registro 30
: In particolare, il dottor Tarantola, ha chiarito che
“anche nelle more dell’emanazione del regolamento sull’indicazione dei requisiti
necessari per poter esercitare l’attività professionale in forma societaria, può essere
iscritta nel registro delle imprese una società di professionisti costituita in forma di
società di persone e in modo specifico nella forma della società semplice, restando
30
Trib. Milano, Giudice del registro delle imprese, 5 giugno 1999 (decr.)
12