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INTRODUZIONE
La tesi è volta allo studio di un nuovo istituto del panorama giuridico
italiano, l’esdebitazione. Esso è meritevole di nota non solo per la sua
valenza innovativa, ma soprattutto per la rivoluzione concettuale delle
procedure concorsuali, di cui è ritenuto l’emblema.
A seguito dei provvedimenti di riforma del R.D. 267/1942, introdotti negli
anni 2006 e 2007, il Legislatore ha avviato un radicale cambio di
direzione sulla concezione del fallimento, riqualificando il suo
protagonista da decoctor ergo fraudator a soggetto economico meritevole
di tutela e bisognoso di una seconda opportunità. Per la prima volta il
fallimento è visto come accadimento fisiologico e intrinseco al rischio
d’impresa, e non più come male incurabile da punire con la limitazione
dei diritti personali.
Si vedrà come l’istituto dell’esdebitazione possa permettere al fallito di
liberarsi dal fardello debitorio, per reintrodursi nuovamente nella società
senza timore alcuno, e concedere a questi, se meritevole, una new fresh
start imprenditoriale.
L’intento del presente studio è quello di approfondire l’argomento per
comprendere la strada intrapresa dal Legislatore nella riforma della
Legge fallimentare, valutarne gli aspetti innovativi e giudicare la reale
integrabilità con la cultura giuridica vigente.
5
CAPITOLO PRIMO
L’evoluzione storica.
Sommario
1.1 La figura del debitore nella storia.
1.2 Il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.
1.3 La riabilitazione civile: un “recente antenato” dell’esdebitazione.
1.4 Un tentativo di cambiamento: la Commissione Trevisanato.
1.5 I provvedimenti successivi.
1.6 I principi ispiratori dell’esdebitazione. Analisi del panorama comparato.
1.7 L’assetto normativo vigente.
1.1 La figura del debitore nella storia.
Pare evidente come la storia possa essere considerata la prima
fonte chiarificatrice di eventi e fattispecie odierne, in qualsiasi circostanza.
Rintracciare e ricostruire comportamenti, fatti o prassi alla loro origine può
rivelarsi un ottimo strumento per individuare i riflessi che questi hanno
proiettato sugli istituti vigenti.
In conformità a tale ragionamento s’intende dimostrare come anche
l’attuale disciplina dell’esdebitazione sia il frutto di esperienze storiche
passate che ne hanno condizionato i lineamenti. Si potrebbe ben pensare
semplicemente all’ultimo decennio di riforme in materia di diritto
fallimentare per motivare la tesi di cui sopra, ma chi scrive è convinto che
le ragioni dei cambiamenti debbano essere ricercate più lontano nel
tempo
1
.
Un’assoluta certezza è che il debitore insolvente sia sempre
esistito nella storia e soprattutto sia stato sempre catalogato come colui
1
Si vuole intendere che, per analizzare l’assetto odierno delle procedure concorsuali e
della normativa sull’esdebitazione, bisogna prendere atto dell’assenza di queste forme
di “tutela” negli anni addietro, e ripercorrere in senso critico le motivazioni che hanno
portato alla loro introduzione.
6
che, per differenti ragioni, è responsabile patrimonialmente verso terzi.
Nonostante questo, si ritiene utile specificare che a questa figura siano
stati attribuiti diversi status nel tempo, in considerazione dei fattori
culturali, normativi ed etici vigenti nel periodo storico di riferimento.
Pare, dunque, evidente che in tutti i sistemi giuridici della storia si sia
affrontato il problema, impostando delle regole più o meno ferree, per
predisporre una reazione alla mancata cooperazione del debitore
insolvente. A ben vedere, l’analisi del diritto positivo vigente ai giorni
nostri, riporta a una molteplicità d’istituti vigenti già nel diritto romano, e si
tenterà di tracciarne le caratteristiche salienti per dimostrare che a diversi
istituti corrispondono, il più delle volte, i medesimi bisogni
2
.
Nell’antica Roma del 451 a.C. un debitore insolvente poteva
pagare con la propria vita o con l’estrema limitazione dei propri diritti
personali. Nonostante questa “crudele” introduzione, bisogna dire che già
in quegli anni le situazioni debitorie erano sottoposte a precise regole
procedurali. Molte di queste erano dettate dalla legge delle “Dodici
tavole”, un documento che prevedeva la procedura esecutiva da attuare
nel caso in cui l’insolvenza provenisse da sentenza o confessione. Al
debitore insolvente erano concessi trenta giorni per far fronte alla propria
obbligazione, al termine dei quali sarebbe stato condannato a un periodo
di sessanta giorni di prigionia e di pubbliche umiliazioni. A conclusione di
questo periodo “d’indulgenza”, il creditore aveva facoltà di vendere come
schiavo il suo debitore o condannarlo a morte
3
.
Sembra chiaro che in questo periodo storico la comunità
vedesse il debitore come un “rifiuto della società”, e le procedure ufficiali
ne erano la prova, giacché contemplavano l’umiliazione del debitore e la
2
M. FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Torino, 2011, p. 19.
3
L. GHIA, L’esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e
comparatistici, in La riforma fallimentare, Milano, 2008, p. 19 s.
7
sua morte, prevalentemente con lo scopo di vendicare il creditore
4
. Da
queste prime osservazioni si può affermare che molte regole vigenti
nell’Antica Roma siano state drammaticamente attuali fino al secondo
millennio appena trascorso. Si fa riferimento alla più drastica
conseguenza dell’insolvenza debitoria, ovvero alla morte, ma anche al
gesto di spoliazione del patrimonio, come testimonianza di assoluto ed
incondizionato potere sul fallito e tutti i suoi averi
5
.
Da questi anni anche l’antica Roma subì delle evoluzioni in
tema d’insolvenza debitoria, che gradualmente portarono ad addolcire la
truce procedura descritta. Un notevole passo in avanti si ebbe con
l’introduzione di un’esecuzione patrimoniale che prendeva il nome di
Bonorum venditio; altro non era se non un modello di vendita coattiva. Il
fallimento ha acquisito già a questi tempi i caratteri di procedura
concorsuale, prevedendo che tutti i creditori si rifacessero in proporzione
sui beni di proprietà del debitore
6
. Già in questi anni si sviluppò la prassi
della morte civile del debitore, con la fictio mortis, che permetteva di
spossessarlo dei propri beni e far sì che i creditori se ne
impossessassero forzatamente. Si vuole rilevare, però, come la parte
residua, necessaria per far fronte all’intero ammontare di debiti, fosse
richiesta ad una terza persona (Bonorum emptor), che succedeva al
debitore universum ius
7
.
4
In questo frangente storico la procedura da adottare in caso d’insolvenza risponde
palesemente a finalità “private” del creditore, spesso legittimato dalla sua
appartenenza alle ricche famiglie patrizie del tempo.
5
M. FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, cit., p. 20.
6
Si rinvengono, in quest’epoca, i primi rudimenti di par condicio creditorum. Si tratta di
un principio fondamentale che oggi regge le procedure concorsuali dei principali
ordinamenti Occidentali.
7
L. GHIA, L’esdebitazione, cit., p. 21 s.
8
Dovranno passare dei secoli affinché si inizi a parlare di Cessio Bonorum.
Quest’iniziativa veniva concessa al debitore dell’Antica Roma, ed era
volta a tentare una regolazione concordata dei debiti con i suoi creditori
8
.
A ben vedere in quest’epoca si è ancora molto distanti dalla concezione
moderna di debitore e di responsabilità patrimoniale. Il popolo pareva
approvare drammatiche soluzioni all’insolvenza debitoria, quasi a porre
l’accento sull’inciviltà e la vergogna che questo status cagionava.
Tratti più marcati di civiltà si evidenziavano invece nelle
istituzioni germaniche, che avrebbero posto delle solide basi ai vigenti
ordinamenti giuridici. Spiccava il ruolo preponderante del giudice, il quale,
con il suo benestare, permetteva ai creditori di impossessarsi dei beni
mobili del debitore. La procedura pare perdere il significato di mera
punizione personale del creditore e assumere quello di esecuzione
patrimoniale in senso stretto. Per le varie popolazioni germaniche
l’obbligazione del debitore era garantita dal pegno, un vincolo al
patrimonio dell’insolvente
9
.
Un tratto tipico della procedura germanica stava nella presunzione
d’inadempimento che accompagnava il debitore sin dall’inizio di questa
10
.
Veniva innescata una procedura esecutiva che prevedeva la pronuncia di
una promessa di pagamento del debitore; qualora si fosse rifiutato,
l’insolvente sarebbe stato bandito dalla società e sottoposto a pubblico
sequestro del patrimonio. Un ufficio preposto spossessava dei propri beni
il fallito trasferendo la titolarità dell’eccedenza, qualora ci fosse, nelle
mani dello Stato. Qualora il patrimonio non fosse stato sufficiente, si
sarebbe però applicata la più rigida formula della lex Visigothorum: il
8
La Cessio Bonorum è catalogabile come un antico embrione delle forme
concordatarie vigenti nei moderni ordinamenti concorsuali; M. FABIANI, Diritto
fallimentare. Un profilo organico, cit., p. 20.
9
R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, V edizione, vol.1, Milano, 1969, p.
77.
10
Nella prassi concorsuale dei paesi germanici era marcato il profilo sanzionatorio, in
quanto il soggetto in dissesto era sempre condannato a pagare, indipendentemente
dall’ammissione o meno della propria colpa.
9
fallito veniva escluso dalla vita economica e sociale della comunità,
catalogandolo come pericoloso e restio all’osservazione delle regole del
vivere civile. Per cui, vista la scarsità delle risorse familiari e la sua
conclamata impossibilità ad adempiere, poteva essere sottoposto a
schiavitù da parte del creditore
11
.
Ad onor del vero è quindi opinabile l’affermazione fatta a monte;
solo superficialmente le istituzioni concorsuali germaniche avevano
portato una ventata di indulgenza nel panorama oggetto di analisi. In
verità anche questo, come il sistema adottato nell’antica Roma,
prevedeva la morte civile del debitore senza considerare né le cause che
l’avessero portato a tale situazione di dissesto, né basilari principi di
umanità
12
.
Un punto di svolta si ebbe con la legislazione dell’età comunale,
nel secolo XIII. In questi anni prese il sopravvento una disciplina che
contemplava, dopo il pignoramento, l’istituto del sequestro reale dei beni
per ordine del giudice. Tratto saliente di questa procedura era che
l’esecuzione sui beni del debitore derivava da un provvedimento
dell’autorità pubblica e perdeva le vesti della difesa personale. Questo
implicava l’irrogazione di sanzioni o la restrizione della libertà personale
qualora si fosse verificata l’inosservanza da parte dell’insolvente
13
.
Le cose cambieranno nella Venezia della prima metà del 1700
con una disciplina che ha posto le basi all’attuale assetto delle procedure
concorsuali, con tratti palesemente innovativi in quegli anni. La procedura
fallimentare veneziana si aprì notevolmente rispetto ai paesi confinanti,
tanto che contemplava la possibilità, in capo allo stesso debitore
insolvente, di richiedere il proprio fallimento. Inoltre era prevista una
forma, seppur più rude, di revocatoria fallimentare, in base alla quale
11
L. GHIA, L’esdebitazione, cit., p. 26 s.
12
Ad un avvio della procedura più mite seguiva, in verità, la facoltà del creditore di
umiliare il debitore, di schiavizzarlo o di condannarlo a morte.
13
R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, cit., p.79.
10
determinati beni trasferiti in un periodo sospetto potevano essere
rivendicati dai creditori per soddisfare i propri diritti. In questo periodo
storico il fallito, soprattutto se commerciante, avrebbe perduto la sua
buona reputazione in seguito al dissesto, per cui era usuale che questo
espatriasse in cerca di nuova fortuna fuori da Venezia. Nonostante
questo, è bene precisare che, qualora si fossero tenute distinte masse
attive e passive, i famigliari avrebbero potuto avviare ex-novo un’attività
economica senza dover rispondere del dissesto del parente, nonostante i
vincoli di sangue. In buona sostanza si crede che nell’assetto normativo
concorsuale veneziano risieda una traccia importante della legislazione
italiana, probabilmente la più antica ed articolata in tema di fallimento
14
.
Altro tratto distintivo della procedura fallimentare veneziana stava nella
possibilità di applicare il processo esecutivo, oltre che ai mercatores del
tempo, anche agli insolventi civili. Una tematica che trova una grande
divergenza di opinioni nella dottrina dei giorni nostri e che, a parere di chi
scrive, mostra la rilevanza e l’apertura della disciplina veneziana.
La posizione del debitore insolvente nell’Italia dei primi del 1800
era senz’altro controversa, data dalla frammentazione di stati che
componevano lo stivale. Degno di nota era il Codice Albertino del 1842
che, su ispirazione del Code de Commerce francese, introdusse
disposizioni in tema di fallimento, bancarotta e per la prima volta di
riabilitazione. Nel 1861, con l’unificazione italiana, il suddetto codice fu
esteso a tutto il territorio nazionale fino al 1865, quando entrò in vigore il
Codice di Commercio italiano. Con questo nuovo testo le novità non
furono rilevanti, ma si prevedeva la riabilitazione per il fallito qualora
questo avesse pagato per intero il suo debito, comprensivo di tutti gli
interessi. Risulta interessante evidenziare che nel Codice del 1865 era
presente una prima disciplina di concordato fallimentare, che lasciava
presagire grandi evoluzioni e rinnovamenti. La tendenza però, fu invertita
14
L. GHIA, L’esdebitazione, cit., p. 41 s.