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INTRODUZIONE
Per molto tempo il fallimento è stato rappresentato
nell’ordinamento giuridico italiano come lo strumento
sanzionatorio appositamente previsto per punire gli imprenditori
che nella loro impresa si siano trovati a fallire poiché caduti in
uno stato di crisi e di insolvenza rimediabile solo attraverso
l’istituto della riabilitazione fallimentare. Con la riforma del 2006
tale visione è cambiata, ci si è resi conto che a livello di
probabilità decadere costituisce un’alternativa ipotizzabile al
prosperare per una serie di svariati motivi. Il mondo giuridico
stesso sembra essere sensibilmente cambiato evolvendosi verso
un uso degli strumenti giuridici più razionale ed efficiente,
andando al di là delle barriere puramente etiche così come è
accaduto in tanti ambiti del diritto, basti ricordare i mutamenti
che si sono avuti in materia di divorzio, di violenza sessuale, di
aborto, ecc.. Il culmine del cambiamento avvenuto nel diritto
fallimentare si è avuto con l’introduzione di un istituto assai
innovativo con cui il fallito è liberato dai debiti residui che
ancora permangono nei confronti dei creditori concorsuali
all’esito della procedura fallimentare, ovvero dell’esdebitazione.
I paesi anglosassoni conoscono tale istituto da secoli come
discharge e lo utilizzano in diverse varianti allo scopo di
disciplinare tutte le possibili situazioni legate agli accadimenti
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riguardanti i diversi operatori economici. Sicuramente in simili
contesti le idee di fondo sono diverse così come diverse sono le
origini dei due istituti e in Italia la via del “perdono” sembra
essere ancora lunga e assai tortuosa poiché le vicende storiche
che hanno contribuito alla creazione dei due diversi sistemi
giuridici
1
si caratterizzano per essere differenti, infatti nel mondo
del common law si ritiene che il lavoro nobiliti e le seconde
chance sono viste come le benvenute
2
.
Nella seguente trattazione si andrà a tracciare brevemente il
contesto storico da cui è scaturita la disciplina fallimentare
attuale, introdotta con il regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267,
in materia di “Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa”, per arrivare, infine e velocemente, alla
modifica più importante di tutte posta in essere con il decreto
legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di “Riforma
organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma
dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80”,
conosciuto semplicemente come riforma fallimentare del 2006
con cui è anche stata introdotta l’esdebitazione, mettendo così in
evidenza il punto di svolta che si è avuto in materia. Difatti
l’inserimento di tale istituto non è che l’esito di un’evoluzione
che ha interessato l’ordinamento giuridico italiano coinvolgendo
in generale la disciplina del fallimento e che porta oggi ad
1
Ci si riferisce al sistema di common law e a quello di civil law.
2
Per approfondire vedi LUCIO GHIA, L’esdebitazione. Evoluzione storica, profili
sostanziali, procedurali e comparatistici, in La riforma fallimentare (collana diretta da
Luciano Panzani), 2008, capitolo 3.
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utilizzare l’enunciato “nuovo sistema di diritto fallimentare” per
riferirsi alla disciplina attualmente in vigore.
Con l’introduzione dell’esdebitazione sono però sorti, come
meglio si vedrà, diversi problemi interpretativi riguardanti la
precondizione oggettiva di cui all’art. 142, comma 2, l. fall., la
sorte degli interessi maturati sui crediti concorsuali nelle more
della procedura, gli effetti dell’esdebitazione nei confronti dei
creditori concorsuali esclusi, il grado di rigidità da utilizzare
nell’interpretazione delle condizioni soggettive di meritevolezza
di cui all’art. 142, comma 1, l. fall., l’estensione applicativa della
disciplina in esame, la rilevanza delle sentenze di applicazione
della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., la
natura del procedimento esdebitativo, l’individuazione dei
legittimati attivi e passivi e il carattere espropriativo
dell’esdebitazione soprattutto nell’ottica dell’incostituzionalità
dell’istituto stesso. Queste sono le problematiche di cui ci si
andrà ad occupare nel corso della presente trattazione cercando di
risolverle tramite l’individuazione di un elemento unificante che
permetta di dare alla disciplina esdebitatoria una lettura uniforme
ed omogenea che ne garantisca un’utilità effettiva e un
superamento definitivo dei dubbi di incostituzionalità da più parti
sollevati.
A tal fine occorrerà prendere atto che esistono diverse
prospettive di interpretazione con cui si può trattare
dell’esdebitazione, come per ogni altro strumento giuridico, e che
bisogna seguire tra tutte quella che, intanto, si configuri per
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essere la più costituzionalmente orientata e, in secondo luogo,
quella che riempia maggiormente di significato l’istituto in
esame in modo da non vanificare l’opera del legislatore e la
portata stessa del cambiamento posto in essere con la riforma su
menzionata. Nell’ambito esdebitatorio si vedrà che le prospettive
possono essere due: una moralista o etica e un’altra economica o
laica a seconda dei valori a cui si vuol fare riferimento. La lettura
di un istituto può essere difatti orientata a difendere valori etici o
morali, facendosi anche carico dei giudizi della società, oppure
interessi giuridici ed economici tollerando a volte il passaggio in
secondo piano degli interessi dei singoli anche se a vantaggio
della collettività. Per poter scegliere come procedere con
l’interpretazione occorrerà individuare lo scopo della norma che
si sta esaminando e che ruolo essa ricopre all’interno del sistema
giuridico. Ogni istituto fa parte di un meccanismo più grande con
cui deve coordinarsi e ognuno di essi ha una propria unitarietà
che ne spiega il senso ultimo, cioè ha una propria ratio. Si deve
pertanto prendere atto che l’esdebitazione è un istituto a carattere
apparentemente “premiale” facente parte del diritto fallimentare
che a sua volta si caratterizza per essere una categoria del diritto
civile, ovvero uno degli ambiti in cui si suddivide l’ordinamento
giuridico italiano, cioè uno dei tanti protagonisti sulla scena del
diritto sovranazionale ed internazionale, e ha lo scopo di tutelare
da una parte i residui interessi dei creditori concorsuali e
dall’altra quelli del debitore fallito, direttamente, e della classe
imprenditoriale e dell’economia, indirettamente. Inserendo
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l’esdebitazione nel contesto giuridico attuale risulterà lampante
come il legislatore abbia voluto superare i pregiudizi sociali
gravanti sul fallito per spingersi oltre andando a tutelare un bene
collettivo davvero importante, cioè l’economia pubblica. Come si
vedrà si è istituzionalizzato in questo modo il diritto all’errore
riconoscendo che il fallimento è uno dei possibili esiti in cui può
sfociare l’attività d’impresa che come tale può avere esito
positivo oppure può sfociare in un grave stato di crisi senza che
ciò sia necessariamente addebitabile alla colpa dell’imprenditore.
La società attuale si è resa conto che a volte a mandare in
fallimento un’impresa può essere un disastro naturale, una cattiva
congiuntura economica, un periodo di mera sfortuna personale
dell’imprenditore stesso, ecc.. Vista, poi, l’abolizione dell’istituto
della riabilitazione, carico com’era anche la disciplina sottostante
di valori morali negativi, e presa coscienza della nuova direzione
su cui si muove la disciplina fallimentare in un’ottica di pura
efficienza economica e di privatizzazione, si deve ritenere
corretto interpretare la disciplina esdebitatoria in chiave laico-
economica. L’ordinamento giuridico lo permette e difatti nell’art.
2740 c.c. si legge, al riguardo della responsabilità patrimoniale,
che “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non
nei casi stabiliti dalla legge” e, tra le altre cose, l’attuale struttura
giuridica ha preso una strada ben precisa che porta alla tutela di
interessi che si possono definire superiori rispetto a quelli
individuali anche se lo scopo principale resta sempre quello di
tutelare i cittadini sia come singoli che nelle formazioni sociali
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ove si svolge la loro personalità
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e ne è sintomo anche
l’istituzione dell’esdebitazione civile con il d.l. 179/2012,
convertito in l. 221/2012, che ha modificato la l. 3/2012, in
materia di “Disposizioni in materia di usura e di estorsione,
nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”,
introducendo l’art. 14terdecies. La stessa Corte di Cassazione
sembra aver avallato tale nuova visione con le sentenze gemelle
delle sezioni unite civili del 18 novembre 2011 n. 24214 e 24215
di cui si parlerà.
Fatto ciò si procederà a raffrontare l’esdebitazione con
l’espropriazione per pubblica utilità così da inquadrare in modo
più preciso la forma e gli effetti dell’istituto in esame
sgomberando in questo modo il campo da eventuali dubbi di
incostituzionalità. Si vedrà che l’esdebitazione deve essere
considerata come un istituto analogo all’espropriazione, difatti in
entrambi i casi il soggetto titolare di una posizione giuridica
soggettiva è privato del proprio diritto, che degrada a interesse
legittimo, e l’unica opportunità di opporsi è dimostrare la
mancanza dei presupposti indicati dalla legge. Al di là delle
diversità segnalate da altri autori
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nella presente elaborazione si
provvederà ad evidenziarne i punti in comune per procedere poi
con la ricostruzione dell’istituto dell’esdebitazione in questa
particolare ottica. Si osserverà pertanto che anche l’esdebitazione
è posta a garanzia di un bene giuridico tutelato
3
Art. 2 Cost..
4
SCARSELLI, L’incostituzionalità dell’istituto della esdebitazione, in “Il Foro italiano”
fasc. 9 (2008), pp. 2395 e 2396.
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costituzionalmente, ovvero l’economia, e ciò è importante poiché
custodendo detto bene lo Stato mantiene libera l’iniziativa
economica di cui all’art. 41 Cost. e il mercato potrà continuare a
funzionare in regime di libera e leale concorrenza. La
Costituzione, come si vedrà, non smentisce quanto appena
sostenuto siccome nell’art. 42, comma 3, si parla in generale di
proprietà e di beni economici, concetti ben adattabili anche ai
crediti. La norma fa altresì riferimento alla tutela di un interesse
generale che in questo caso, come visto sopra, è configurabile
nell’economia. Infine si richiede il rispetto della riserva di legge
e anche qui non vi sono problemi dato che l’istituto in
discussione è stato inserito mediante un atto avente forza di
legge. A favore dell’assimilazione con l’espropriazione si può tra
l’altro aggiungere che durante il procedimento di esdebitazione è
previsto l’intervento di un potere pubblico, quale è configurabile
l’autorità giudiziaria, a garanzia della legalità dello stesso.
L’unico dubbio può riguardare l’elemento costituzionalmente
previsto dell’indennizzo; in realtà, come meglio si provvederà ad
approfondire, si tratta di dubbio apparente se si considera che il
soggetto passivo nell’esdebitazione non è identificato nel singolo
creditore, ma è individuabile nel ceto dei creditori concorsuali
preso nel suo insieme e questo non può ritenersi del tutto
insoddisfatto dato l’enunciato dell’art. 142, comma 2, l. fall..
Quanto appena detto è ancor più vero se si tiene presente il
risultato che si vuole raggiungere con l’esdebitazione: la
creazione di un circolo virtuoso in cui gli imprenditori investono
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le loro risorse in modo efficiente e consapevole sapendo
riconoscere tempestivamente i segnali negativi che possono
portare al loro stesso fallimento, così da garantire la maggior
soddisfazione possibile dei creditori (qualificabile come equo
indennizzo) e generare conseguentemente una grande fiducia nel
mercato, quindi maggior credito e maggiore sviluppo economico.
Se l’economia funziona, funziona anche l’apparato statale che su
di essa si fonda e viceversa.
Premesso quanto precede non si potrà che propendere per
una razionale applicazione dell’istituto mantenendo il carattere
oggettivo di ciò che tale deve essere, ovvero la parziale
soddisfazione dei creditori concorsuali che deve, quindi,
intendersi come possibilità di soddisfare anche solo parzialmente
il ceto creditorio, ammettendo che taluni creditori possano restare
totalmente insoddisfatti
5
. Se l’ottica adottata è quella laico-
economica la visione punitiva deve essere accantonata e la
cernita dei debitori falliti non può fondarsi su criteri oggettivi
esasperatamente irrigiditi, questi devono semplicemente porsi
come primo spartiacque obiettivo. Tutto ciò risulterà ancor più
vero analizzando il risultato interpretativo fatto proprio dalla
Corte di Cassazione con le sentenze gemelle n. 24214 e
24215/2011 già ricordate.
Si procederà quindi sottolineando che a tutto ciò esiste uno
specifico contrappeso rinvenibile negli elementi soggettivi
contenuti nel primo comma dell’art. 142 l. fall., che chiameremo
5
Corte di Cassazione, sez. Unite civ., sentenze 18 novembre 2011, n. 24214 e 24215.
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“condizioni soggettive di meritevolezza”, che mirano a ricreare la
situazione che ha portato al fallimento e le vere intenzioni del
debitore fallito che a tale scopo dovrà rispondere in presenza
dell’elemento soggettivo della colpa. Tutte le condizioni di
concedibilità soggettive saranno, quindi, interpretate rigidamente:
ogni ritardo consapevole deve essere di ostacolo alla concessione
del beneficio
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, così come ogni condotta scorretta e disonesta,
anche se non configurabile come reato o come tale non punibile.
Conformemente anche le sentenze di patteggiamento devono
acquisire effetto ostativo come le sentenze di condanna
definitiva, pur sempre sulla base del richiamo esplicito di
efficacia operato dall’art. 142 l. fall.
7
senza però dimenticarsi del
dettato presente nel comma 1bis dell’art. 445 c.p.p.. Questo è il
ruolo che l’ordinamento ha assegnato all’insieme delle
condizioni appena citate onde evitare squilibri non voluti a
svantaggio dei singoli creditori.
Per quanto concerne gli ultimi problemi che si dovranno
risolvere il passo è breve se si tiene conto delle premesse
illustrate.
Si converrà che sicuramente deve darsi un’applicazione
estensiva dell’esdebitazione che ha come unico limite la
valutazione soggettiva del fallito insieme con la comparazione tra
quanto complessivamente dovuto e quanto effettivamente versato
dal debitore ai propri creditori concorsuali tenendo ben presente
il contesto che ha originato la crisi dell’impresa. Di conseguenza
6
Corte di Cassazione, sez. I civ., sentenza 23 maggio 2011, n. 11279.
7
Corte di Cassazione, sez. Unite pen., sentenza 23 maggio 2006, n. 17781.