PREMESSA
La testimonianza è un mezzo di prova che più di ogni altro
permette di raggiungere la verità, in quanto si basa sulle dichiarazioni
di coloro che hanno percepito direttamente il fatto di reato, in qualità
di testimoni oculari o persone offese dall'azione od omissione
criminosa.
Allo stesso tempo, però, l'esigenza di accertare la penale
responsabilità dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, deve
confrontarsi, da una parte, con la necessità di salvaguardare la salute e
la riservatezza del testimone, soprattutto quando oggetto di
valutazione è il contributo probatorio offerto da un minore; dall'altra,
deve fare i conti con le cause fisiologiche, psicologiche ed emozionali
che incidono sulla testimonianza, messe in evidenza dalla psicologia
giuridica.
Per questo motivo si è sentita l'esigenza di introdurre nel nostro
ordinamento modalità particolari di assunzione della prova
testimoniale, le quali derogano alla disciplina generale prevista per
l'acquisizione di tale prova, e che prendono in considerazione le
dinamiche psicologiche che possono interferire sulla genuinità del
contributo testimoniale, quando il dichiarante è un soggetto
vulnerabile per la giovane età o perchè soggetto passivo di atti
particolarmente violenti.
L'intento è stato quello di realizzare, così, un concreto
bilanciamento tra la tutela del diritto di difesa dell'imputato e la tutela
del diritto alla salute e all'integrità psicofisica del testimone persona
offesa.
CAPITOLO I
L'ESAME INCROCIATO
SOMMARIO : 1.1- IL NUOVO PROCESSO PENALE ALLA LUCE DELLA RIFORMA
DEL 1988.
1.2- IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO NELLA FORMAZIONE
DELLA PROV A E IL PROBLEMA DELLA VULNERABILITA'.
1.1 – IL NUOVO PROCESSO PENALE ALLA LUCE DELLA
RIFORMA DEL 1988.
Nella Relazione al testo definitivo del codice
1
si legge: <<Già
nella bozza redatta nel 1963 da Francesco Carnelutti erano
prefigurate in larga misura le linee lungo le quali si sarebbe dovuto
muovere il nuovo processo penale, abbandonando gli schemi
inquisitori che caratterizzano il codice vigente. Era netta in quella
“bozza” la separazione fra la fase preliminare, denominata
“inchiesta preliminare”, rimessa esclusivamente al pubblico
ministero, e il giudizio; ed erano rigidamente contenuti i poteri del
pubblico ministero, con il chiarimento, nella “introduzione”, che
l'inchiesta differiva nettamente dall'istruzione sommaria, perché
questa “tende ad offrire immediatamente i suoi risultati al giudice del
reato affinché se ne serva al dibattimento, mentre l'inchiesta
preliminare li offre soltanto al pubblico ministero>>.
La volontà di cambiare in modo radicale il processo penale, già
1 Relazione al testo definitivo del codice di procedura penale, in G. U., n. 250, 24 ottobre 1988.
1
manifestata nella “bozza” Carnelutti, prosegue la Relazione, è stata
recepita sia dalla legge delega del 1974, sia da quella del 1987: <<Il
preambolo dell'art 2
2
indica una tendenza che si sviluppa “secondo i
principi e i criteri” indicati di seguito nello stesso articolo e che deve
armonizzarsi più in generale con altri principi di carattere
costituzionale, quali quelli sull'obbligatorietà dell'azione penale e
sulla posizione ordinamentale del pubblico ministero. E' in questo
quadro che il nuovo processo risulta improntato dai “caratteri del
sistema accusatorio”; caratteri che emergono attraverso la netta
differenziazione di ruolo tra pubblico ministero e giudice,
l'eliminazione del segreto negli atti del giudice e nella formazione
della prova, l'accentuazione dei poteri delle parti e la parità tra
queste, la valorizzazione del dibattimento e dell'oralità. Questi
principi espressi dalla legge delega hanno trovato ulteriore
svolgimento nel codice, che ha sviluppato un processo di parti,
curando di collocare le indagini preliminari del pubblico ministero in
uno stadio preprocessuale, di garantire nel modo più ampio la parità
e di riconoscere, in tutti i casi in cui è risultato possibile, alla
concorde volontà dell'imputato e del pubblico ministero, il potere di
semplificare lo svolgimento del processo>>. La Relazione, poi,
aggiungeva: <<Le ragioni della scelta risultano, inoltre, rafforzate
dalla convinzione che le probabilità di una decisione giusta sono
maggiori quando la prova si forma nella dialettica processuale,
anziché nella solitaria ricerca dell'organo istruttore, sia esso un
2 L'art 2 della legge-delega del 1987 dispone che <<Il codice di procedura penale deve attuare i
principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate
dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso, inoltre, deve attuare nel
processo penale i caratteri del sistema accusatorio (…)>>.
2
pubblico ministero o un giudice, le cui acquisizioni diventano fonti di
pregiudizio ineliminabile per il giudice del dibattimento (…) il
giudizio è preceduto dalle indagini preliminari (…) gli atti delle
indagini preliminari normalmente non costituiscono prova, data la
posizione di parte del pubblico ministero (…). Emerge così la
centralità del dibattimento, luogo in cui l'accusa è chiamata a
superare la presunzione di non colpevolezza e si forma la prova nel
contraddittorio tra le parti ed attraverso l'esame incrociato (…)>>.
Dalla Relazione al codice emergono i principi alla base del
nuovo processo penale: preferenza per l'oralità, partecipazione
paritaria delle parti in ogni fase del procedimento, immediato contatto
con la prova costituenda fino alla previsione dell'esame dibattimentale
incrociato.
Alla base del sistema accusatorio vi è una ridefinizione della
figura del giudice, soggetto terzo rispetto alle parti in causa, la cui
funzione è essenzialmente giurisdizionale.
I suoi poteri sono stati attenuati, conferendo alle parti l'iniziativa
della ricerca della prova. Separando la fase delle indagini preliminari
da quella del dibattimento si crea un'automatica disinformazione del
giudice in ordine agli elementi raccolti nella fase di indagine. Questa
“distanza” iniziale del giudice permette di fare un confronto con
quello che era il sistema delineato dal codice del 1930.
In base a quest'ultimo sistema, poiché il giudice era a
conoscenza di tutti gli atti di indagine, ed era, quindi, informato su
quanto raccolto dall'accusa, l'imputato non era protetto dal fatto di
potersi trovare ad essere giudicato da un giudice “prevenuto”, che si
3
era precostituito un giudizio prima del dibattimento, in base ad
elementi di prova acquisiti non dinnanzi a lui, ma in segreto.
Inoltre, era differente la modalità di assunzione della prova
testimoniale: era il giudice che conduceva per primo e direttamente
l'interrogatorio, rivolgendo domande proposte dall'accusa e dalla
difesa; così era compromessa la spontaneità della deposizione, in
quanto, nel tempo in cui la parte proponeva la domanda al giudice e
questo al teste, l'interrogato aveva il tempo necessario per prepararsi la
risposta, mentre la rielaborazione automatica della domanda da parte
del giudice poteva compromettere la genuinità della stessa. Era,
quindi, un sistema che riponeva parte delle garanzie nella persona del
giudice, nella sua capacità di critica del materiale probatorio già
acquisito.
Con il nuovo codice il mutamento è stato profondo. La garanzia
è data dalla nuova forma conferita alla dialettica probatoria esterna
3
,
cioè alla nuova modalità di acquisizione della prova attraverso il
meccanismo dell'esame incrociato. Alla base vi è il principio del
contraddittorio, perché la prova non può essere rinvenuta attraverso la
ricerca solitaria di un solo soggetto, ma attraverso lo scontro dialettico
tra le parti. Il giudice, qui, è terzo, estraneo alla contesa, il cui compito
è capire chi ha prevalso nella ricostruzione dei fatti. Le parti hanno il
potere di informare il giudice sui fatti su cui si procede, mediante la
ricerca, l'introduzione e la rielaborazione della prova attraverso un
meccanismo, quello, appunto, dell'esame incrociato, che permette loro
di perseguire i contrapposti interessi, nel presupposto logico che
3 G. UBERTIS, Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Milano, 1979, pag. 118.
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questo procedimento permetta un accertamento del fatto più corretto e
fedele. Per le sue peculiarità – immediatezza, intervento di tutte le
parti e del giudice, elaborazione verbale della prova – l'esame
dibattimentale del testimone è stata considerata dal legislatore come
forma tipica dell'istituto; ciò è provato da due considerazioni: ogni
volta che il legislatore ha voluto adottare la forma dell'esame come
modalità di assunzione della prova, ha esplicitamente richiamato le
norme concernenti l'esame dibattimentale del teste, come per esempio
nell'art. 210 comma 5, c.p.p. dove si legge: <<All'esame si applicano
le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499, 500>>;
inoltre, l'istituto era inizialmente sconosciuto nella fase delle indagini,
se non con riferimento alle modalità di acquisizione anticipata della
prova attraverso l'incidente probatorio (art. 401, comma 5, c.p.p.)
4
,
perché l'esame incrociato era collegato con particolari atti
dibattimentali, come la testimonianza e l'esame delle parti; non era,
quindi, contemplata la possibilità di un'anticipazione dello
svolgimento del confronto dialettico in una fase diversa, come quella
delle indagini preliminari; questo comportava, peraltro, che la forma
di assunzione della prova, l'unica prevista in via ordinaria, cioè quella
acquisita oralmente in dibattimento, fosse identificata con il mezzo di
prova complessivamente inteso.
Una prima caratteristica dell'esame testimoniale, in quanto atto
dibattimentale, è la sua pubblicità, che non costituisce solo garanzia di
correttezza e di rispetto della legge da parte di tutti i partecipanti, ma è
4 L'art. 401, comma 5, c.p.p., recita <<Le prove sono assunte con le forma stabilite per il
dibattimento. Il difensore della persona offesa può chiedere al giudice di rivolgere domande
alle persone sottoposte ad esame>>.
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una delle condizioni di validità gnoseologica dell'atto, comportando
una responsabilità diversa rendere una testimonianza pubblica
piuttosto che in segreto. Esistono, però, eccezioni, costituite
dall'ipotesi in cui si proceda all'esame in incidente probatorio o dalle
deroghe generali alla pubblicità in dibattimento. L'art. 472 c.p.p.
prevede, infatti, la possibilità che si proceda a porte chiuse quando la
pubblicità può nuocere al buon costume, quando può comportare la
diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato,
quando possa provocare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni,
per motivi di igiene, ma soprattutto il nuovo comma 3-bis, introdotto
dall'art. 15, legge 15 febbraio 1996, n.66, successivamente modificato
dall'art 13, legge 3 agosto 1998, n. 269 e dall'art. 15, legge 11 agosto
2003, n. 228 recita: <<Il dibattimento relativo ai delitti previsti dagli
articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinques, 601, 602, 609-bis, 609-
ter e 609-octies del codice penale si svolge a porte aperte; tuttavia, la
persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo
per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la
parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse
domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se
non sono necessarie alla ricostruzione del fatto>>.
Infatti lo svolgimento del processo pubblico genererebbe, nella
generalità dei casi, un meccanismo di vittimizzazione secondaria: il
minore sarebbe costretto, cioè, a rievocare pubblicamente e alla
presenza dell'imputato lo svolgimento dei fatti e il reato subito,
rivivendo, così, lo stato di vittimizzazione primaria, e quindi, la paura,
l'ansia e il disagio vissute quale protagonista del fatto di reato.
6
Con questa disposizione si vuole, quindi, evitare una pressione
psicologica sul minore, di cui è presunta una particolare fragilità
psichica e la cui dignità merita particolare tutela.
Per questi motivi si vuole evitare che vengano poste domande
particolarmente delicate a soggetti in fase di sviluppo, i quali, in base
all'età, potrebbero non avere ancora coscienza della sfera della
sessualità e che potrebbero, perciò, essere ulteriormente turbati da un
controesame vertente su questi aspetti, salvi i casi in cui tali domande
siano necessarie per la ricostruzione dei fatti.
Per quanto riguarda l'oggetto della testimonianza, questo è
delineato dall'articolo 194 c.p.p. e coincide con i fatti che
costituiscono oggetto di prova. Il primo comma di tale articolo deve,
però, essere combinato con quanto disposto dall'articolo 187 c.p.p.,
che indica, quali fatti oggetto di prova, quelli che <<si riferiscono
all'imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena o
della misura di sicurezza>>, e che <<sono, altresì, oggetto di prova i
fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali>>.
Secondo quanto disposto dall'art. 194 comma 1, c.p.p. <<il testimone
non può deporre sulla moralità dell'imputato, salvo che si tratti di
fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato
e alla pericolosità sociale>>. <<L'esame può estendersi anche ai
rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e
le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è
necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che
servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è
ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in
7
relazione al comportamento di quella persona>>.
Con quest'ultima disposizione si vuole evitare che il processo
diventi una pubblica accusa, anche per chi accusato non è, ma allo
stesso tempo dalla deposizione deve emergere qualsiasi fatto utile per
valutare l'attendibilità delle dichiarazioni e per meglio ricostruire i
fatti per cui si procede.
Infine, l'esame deve vertere su fatti determinati o specifici,
“obiettivi”, cioè che siano stati effettivamente percepiti o conosciuti
dal dichiarante; lo scopo di tale disposizione è, da una parte, far sì che
la testimonianza non si allontani dalla sua natura, quale quella di
apprensione da parte dei soggetti processuali e del pubblico di ciò che
una persona, a cui non sono addebitabili responsabilità penali
collegate al fatto per cui si procede, ha percepito o comunque
conosciuto riguardo il fatto medesimo; è necessario, quindi, che le
parti e il giudice esercitino un potere di selezione per mezzo di
domande specifiche, per non lasciare spazio alle divagazioni del teste
5
.
Dall'altra si vogliono ottenere dichiarazioni gnoselogicamente
affidabili, quindi dettagliate, precise in ordine all'oggetto di prova, in
modo da poter vagliare, allo stesso tempo, l'attendibilità della fonte di
prova e ricostruire il fatto nel modo più definito possibile.
La dottrina ritene che specificità e determinatezza siano
sinonimi. L'ovvia interdipendenza tra domanda e risposta implica che,
soltanto se la prima è specifica, la seconda può corrispondentemente
avere per oggetto fatti circoscritti, cioè “determinati”
6
. Fare domande
5 Cass., sez. V , 9 giugno 1993, Tiscione, in Cass. Pen., 1995, pag. 96: fermo il principio si può
ammettere l'acquisizione e utilizzo di dichiarazioni spontanee del testimone.
6 G. FRIGO, Sub art. 498-499, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da
Chiavario, Torino, 1991, p. 255 e ss.
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su fatti specifici non vuol necessariamente dire far “domande brevi per
avere risposte brevi”, anche se, solitamente, non sono consentite le
domande alle quali seguono narrazioni continuate, magari concordate,
tali da esaurire l'esame in una sola risposta. E', però, sempre consentita
la formulazione di domande aperte, purché queste siano mirate e
sufficientemente determinate. Lo scopo è quello di ottenere
dichiarazioni affidabili attraverso la scissione di ciò che è stato
percepito dagli apprezzamenti personali del dichiarante.
Per questo è previsto un ulteriore divieto: di non deporre sulle
“voci correnti del pubblico”, in quanto si tratta di notizie che circolano
in un determinato ambiente senza poterne attribuire la paternità ad
alcuno in particolare, con conseguente inaffidabilità, oltre che
impossibilità, di escutere direttamente la fonte.
La disposizione principale in tema di esame incrociato è l'art.
498 c.p.p. che indica le modalità di svolgimento dell'esame
testimoniale. A sua volta il comma 2 richiama l'art. 496 c.p.p per
l'ordine di assunzione delle prove. Si evince in maniera chiara la scelta
di un processo di parti; si può parlare di “turni istruttori”, intesi come
scansioni processuali riservate all'assunzione delle prove richieste da
ciascuna parte, in quanto l'art. 496 c.p.p. prevede: <<L'istruzione
dibattimentale inizia con l'assunzione delle prove richieste dal
pubblico ministero e prosegue con l'assunzione di quelle richieste da
altre parti, nell'ordine previsto dall'art. 493, comma 2. Le parti
possono concordare un diverso ordine di assunzione delle prove>>.
L'art. 493, comma 2, c.p.p prevede, infatti, un ordine, stabilito
dalla legge, in base al quale devono essere assunte le prove: <<Il
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pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile
civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e
dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e
chiedono l'ammissione delle prove>>. La ratio sottesa a tale
disposizione e che, visto che l'onere della prova spetta al pubblico
ministero, è razionale che sia questi per primo a fornire la
dimostrazione dell'ipotesi descritta dal capo di imputazione; viceversa,
siccome l'imputato ha diritto di difendersi, è giusto che sia ammesso
ad assumere le prove da ultimo, in relazione a quanto è stato acquisito
a seguito dell'assunzione delle prove a carico. E' stato escluso che
fosse l'imputato a dover essere sentito per primo, proprio perché tale
ordine di assunzione della prova, tipica del sistema processuale
precedente, presupponeva una prova già preconfezionata
nell'istruttoria predibattimentale, dalla quale l'imputato è chiamato a
discolparsi. Nel rito attuale, mancando, in via generale, una prova
formata prima del dibattimento, manca il presupposto dell'escussione
iniziale dell'imputato, escussione che sarebbe irrazionale, oltre che
lesiva del diritto di difesa. Inoltre l'ordine legale corrisponde alla
gnoseologia del processo di parti che presuppone ipotesi da dimostrare
secondo le scansioni affermazione/falsificazione, quindi in generale
prova/controprova e, per quanto concerne l'istruzione, prova a
carico/prova a discarico. Inoltre non sono rimasti estranei alla
disciplina legislativa accorgimenti volti alla tutela della genuinità dei
risultati dell'esame delle parti: questo deve avvenire dopo
l'acquisizione delle prove a carico, per consentire un'efficace difesa,
ma prima di quelle a discarico, per evitare che la genuinità delle
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