IV
Introduzione
Generalmente, quando si fa riferimento al concetto di «equilibrio di potenza
internazionale», si allude ad una situazione in cui, in un determinata area geografica e
in un determinato periodo storico, vi è una distribuzione della potenza tra Stati (o tra
le rispettive organizzazioni politiche esistenti) tale da non permettere a nessuno di essi
di imporre il suo predominio sugli altri. Ma al di là di questa semplice ed immediata
definizione, c’è un intero universo di significati e di riflessioni da esaminare
approfonditamente.
In questo elaborato analizzerò il tema focale dell’equilibrio di potenza, così
come si è evoluto nel corso dell’era moderna, tra il XV e il XVIII secolo,
concentrandomi sullo studio della prassi e della teorizzazione relative al contesto
europeo e, andando più nel particolare, sull’analisi della pratica e della teorizzazione
settecentesca della suddetta questione. L’argomento, nel corso dei secoli, e a partire
dalle sue prime applicazioni pratiche rinvenibili in alcuni sporadici episodi della storia
antica e medievale, ha assunto una rilevanza sempre più crescente e, nell’età moderna,
tale materia è divenuta una delle più dibattute tra gli intellettuali e i politici del tempo.
Una tale importanza della questione, evidenziatasi proprio dalla sua costante e, a
volte, prolissa trattazione, non può stupire, per le molteplici accezioni ed
interpretazioni che il termine «equilibrio» ha ricevuto nel corso dei secoli, e che sono
andate trasformandosi progressivamente nel tempo, man a mano che gli eventi storici
e le dinamiche interstatali davano vita ad un sistema internazionale europeo sempre
più integrato e mutato nei suoi rapporti interni: principio politico da perseguire sul
piano pratico per tutelare la sopravvivenza del regno nell’anarchico sistema di Stati
europeo; criterio d’ordine internazionale; elemento costitutivo delle politiche nazionali
esplicabile sia verso l’interno che verso l’esterno; codice diplomatico comune
condiviso e compreso universalmente da statisti, ambasciatori e uomini politici;
fattore unificante del continente europeo e determinante della stessa idea di Europa;
strumento giustificante delle pragmatiche politiche estere europee; fondamento
giuridico internazionale necessario al mantenimento della stabilità e della pace
europea, che dev’essere rispettato alla stessa stregua di una norma di diritto
internazionale; e molte altre di questo tipo. Tale molteplicità di interpretazioni lo
resero (e lo è ancora) un concetto assai ambiguo, contraddittorio e spinoso da
V
affrontare, aperto ai più disparati significati. La fortuna e, allo stesso tempo, il
fallimento riscossi dalla dottrina dell’equilibrio di potenza nel corso dei lustri derivano
soprattutto dalla sua intrinseca contraddittorietà e dalla strumentalizzazione a cui è
stato lungamente sottoposto per poter essere plasmato alle più differenti situazioni
storico-politiche peculiari di ogni Stato. Ed è soprattutto a causa della sua enigmaticità
che questa tematica, in età contemporanea, rimane al centro di discussioni teoriche di
ogni sorta; ancora oggi non si sono trovate risposte univoche, chiare e universalmente
accettate alle seguenti domande: cosa si intende per «equilibrio internazionale»? Qual
è la vera natura, la vera essenza, dell’equilibrio di potenza? E qual è la sua reale
funzione? Sono tutti quesiti, circoscritti all’ambito della storia moderna e, ancor più in
particolare, al Settecento europeo, ai quali ho cercato di dare risposte concrete tramite
questa ricerca.
Nel primo capitolo, dopo aver effettuato un breve excursus sulle modalità con
cui gli antichi Greci e Romani si posero nei confronti della pratica dell’equilibrio e
dopo aver narrato, in maniera sintetica, dello scontro fra i due poli dell’equilibrio
medievale, Papato e Sacro Romano Impero, la ricerca si concentrerà, a partire dalla
metà del XV secolo, sull’analisi di come le emergenti compagini statali europee si
mossero nel panorama internazionale per impedire la formazione di uno Stato troppo
potente, capace di egemonizzare ogni aspetto della vita politica, economica e socio-
culturale del Vecchio Continente attraverso il suo dominio, relegando le rimanenti
organizzazioni statali in posizione subalterna; accanto a questo tipo di trattazione
affiancherò lo studio delle riflessioni degli autori del periodo dinanzi a tale
problematico concetto, seguendo un ordine cronologico pertinente al racconto storico-
politico degli eventi accennato prima. Emergerà che almeno fino alla pace di
Westfalia (1648), al termine della «Guerra dei Trent'anni» (1618-1648), l’equilibrio
venne interpretato alla stessa stregua di un fondamento empirico da ricercare, da
attuare concretamente, e connesso alla soddisfazione dell’esigenza e dell’interesse
primario di ogni potenza europea: l’autoconservazione. Nonostante i continui
mutamenti delle gerarchie internazionali (nel Cinquecento sarà la monarchia spagnola
di Carlo V e di suo figlio Filippo II ad assurgere al primato internazionale, primato che
verrà perso nel secolo successivo a favore della monarchia francese) prodottisi a
partire dall’utilizzo sfrenato dello strumento privilegiato della politica internazionale
moderna, la guerra, la funzione dell’equilibrio continuò ad essere principalmente
VI
quella suddetta. Nella seconda metà del XVII secolo, il mito dell’equilibrio dovette
scontrarsi con l’altro imperante mito dell’epoca moderna: la realizzazione della
Monarchia universalis, quasi a fondamento della politica internazionale perseguita dal
sovrano francese Luigi XIV.
Nel secondo capitolo svilupperò la mia analisi rispetto alla pratica
dell’equilibrio attuata dalle Nazioni europee nel Settecento (fino e non oltre la
Rivoluzione francese), il cosiddetto «Secolo dei Lumi», durante il quale i fattori
dinastici ed economici assunsero il ruolo di moventi delle contese europee,
soppiantando i pretesti religiosi, non più generatori di conflitti internazionali dopo
Westfalia. Le guerre di successione furono dunque le principali artefici dei mutamenti
territoriali e politici prodottisi nella prima metà del XVIII secolo, giustamente definita
«l’età aurea dell’equilibrio di potenza», in quanto si affinarono gli strumenti tecnico-
diplomatici utili ad arginare il potenziamento spropositato degli Stati europei (la
creazione di «Stati cuscinetto», ad esempio, o le interminabili discussioni
diplomatiche condotte fino a guerra inoltrata). In questo secolo l’Inghilterra (divenuta
Gran Bretagna nel 1707, con l’unione delle corone di Inghilterra e Scozia sanzionata
dall’ approvazione dell’Act of Union), padrona di un impero coloniale di estensione
mondiale, riuscì a destituire la Francia dallo scranno della potenza principe
internazionale, consacrando ancor di più il ruolo di «bilanciere» che aveva ricoperto
fin dai primi scontri tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia, nel XVI secolo. Il
conflitto mondiale tra le potenze europee (la «Guerra dei Sette anni», 1756-1763) e la
nascita della Confederazione americana nel Nuovo Mondo sanzioneranno la
vocazione planetaria dell’equilibrio europeo, che tuttavia di lì a poco verrà
completamente sconvolto dallo scoppio della Rivoluzione francese e dalle conseguenti
guerre napoleoniche (sulle quali, come ho già specificato, non mi soffermerò).
Nel terzo e quarto capitolo, realizzati suddividendo l’argomentazione per
tematiche e non in senso cronologico (come invece ho ritenuto opportuno fare per i
primi due capitoli), la ricerca si soffermerà sull’analisi dell’amplissima riflessione
concettuale settecentesca nata intorno all’equilibrio, prendendo in considerazione i
due punti di vista: positivo (nel terzo capitolo) e critico-negativo (nel quarto ed ultimo
capitolo dell’elaborato). Il XVIII secolo dunque si confermò essere il «secolo
dell’equilibrio» anche per lo straordinario sforzo intellettuale profuso da decine di
autori (fra i tanti, i più illustri sono Montesquieu, V oltaire, Federico II di Prussia, Kant
VII
e Jean-Jacques Rousseau, il quale in questo elaborato riceve un’analisi più
approfondita e particolareggiata rispetto a tutti gli altri) che si interessarono
all’argomento, sino a sviscerarlo nelle sue più intrinseche componenti. La teoria
dell’equilibrio di potenza raggiunse il suo massimo splendore: quel concetto veniva
invocato nei dibattiti politici, nei Cafè letterari, nei salotti aristocratici illuministi,
nelle disquisizioni pubbliche; l’equilibrio ascese a principio giuridico fondamentale
per le relazioni internazionali, in contrapposizione con il modello precedente, che lo
vedeva soltanto come un principio empirico da perseguire per la salvaguardia delle
frontiere nazionali e della Nazione stessa; ora anche la funzione e l’obiettivo tendono
a mutare e si guarderà con speranza alla auspicata pacificazione d’Europa, alla Pax
europea, e alla creazione di un’organizzazione sovranazionale in grado di mettere a
tacere le ostilità fra le potenze, della quale l’equilibrio sarebbe dovuto rimanere il
caposaldo imprescindibile. E tuttavia, seppur in maniera disorganica, si iniziarono a
sentire le prime voci di dissidio, furono elaborate le prime taglienti critiche al concetto
e ad esso si cercò di trovare delle valide alternative. Fra le critiche più diffuse, si
ritenne che quel concetto venisse invocato impropriamente, soltanto per giustificare le
mire espansionistiche degli Stati, e non sarebbe mai potuto divenire l’elemento
determinante della pace europea, tutt’altro; la stessa natura dell’equilibrio,
ingannevole e multiforme piuttosto che cristallina e regolare, venne posta in
discussione e così anche la sua funzione, abietta e disonesta. Un intero complesso di
idee sembrò dunque cadere dinanzi agli evidenti punti deboli della dottrina
dell’equilibrio: molti autori si applicarono per cercare di correggerne l’impianto
strutturale e teorico, fallendo il più delle volte; e ciò permise all’equilibrio di rimanere
il criterio imprescindibile di interpretazione della politica internazionale, in mancanze
di alternative plausibili.
L’insieme dei temi trattati è stato elaborato attingendo da una vasta letteratura
sul tema, per la maggior parte cartacea, ottenuta attraverso la consultazione dei
documenti nelle biblioteche di settore; in alcuni casi ho ritenuto necessario
documentarmi anche da fonti presenti su internet. In questo modo, spero di aver dato
una panoramica generale completa sulla tematica trattata. L’intero lavoro è di
proprietà intellettuale dell’autore.
1
1. Il principio dell'equilibrio di potenza: una ricostruzione storica-
concettuale della questione dalla metà del Quattrocento fino alla fine
del Seicento
1.1 Brevi accenni al concetto dall'antichità fino al Quattrocento
Sebbene il suo concetto teorico si sia iniziato a sviluppare sistematicamente
solo dalla seconda metà del Quattrocento, il problema dell'equilibrio di potenza fra le
diverse organizzazioni politiche presenti in una determinata area geografica e in un
determinato periodo storico è molto antico
1
. È indubbio che «da sempre i popoli
abitanti una medesima parte del globo hanno considerato con occhio geloso lo
sproporzionato accrescimento di uno solo fra loro»
2
; da sempre leghe e confederazioni
sono nate per ridimensionare la potenza dominante esistente in quel periodo: le prime
manifestazioni pratiche risalgono alla Grecia delle poleis, quando Atene, divenuta
troppo potente nella penisola ellenica rispetto alle altre città-stato, alla fine del V
secolo a.C., dovette subire la formazione di una lega, guidata da Sparta, tesa a limitare
la sua progressiva espansione, territoriale e politica, in quella che poi venne chiamata
la «Guerra del Peloponneso» (431 a.C. - 404 a.C.); in seguito al declino di Atene,
quest'ultima assunse il ruolo di «ago della bilancia» nelle guerre fra Tebe e Sparta,
esplicando la propria azione con la tendenza a «gettarsi sempre sul piatto più leggero,
cercando di mantenere l'equilibrio della bilancia»
3
. C'è da dire che comunque le azioni
belliche messe in pratica dalle antiche organizzazioni politiche greche sembravano
motivate più da considerazioni di prestigio e orgoglio che da vere prese di posizione in
favore del mantenimento di un equilibrio generale
4
.
Nel contesto della storia romana, è evidente la volontà di Gerone (308 a.C. ca.-
215 a.C. ca.), re di Siracusa, saggiamente consapevole della propria debolezza dinanzi
alle due grandi potenze dell'epoca, di conservarsi nel mezzo delle dispute fra Romani
1
M. Cesa, Equilibrio, in Società internazionale. Vocabolario, a cura di F. Armao, V . E. Parsi, Milano,
Jaca Book, 1997, p. 228.
2
G.F. de Martens, Précis du droit des gens modern, cap. I, parr. 120-124, cit. in L’equilibrio di potenza
nell’età moderna. Dal Cinquecento al Congresso di Vienna, a cura di M. Bazzoli, Milano, Unicopli,
1998, p. 154.
3
Senofonte, Hist. Graec., Libri VI e VII; cit. in D.Hume, Sull'equilibrio di potenza, in Discorsi politici,
Torino, Boringhieri, 1959; cit. in L’equilibrio di potenza nell’età moderna. Dal Cinquecento al
Congresso di Vienna, a cura di M. Bazzoli, Milano, Unicopli, 1998, p. 83.
4
M. Cesa, L’equilibrio di potenza. Analisi storica e teorica del concetto, Milano, FrancoAngeli, 1987,
p. 14.