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Introduzione
La necessità di raccogliere i propri lavori migliori a testimonianza dei
percorsi realizzati e delle proprie competenze è presente già da secoli,
soprattutto in relazione a determinate professioni, quali quelle
dell’artigiano e dell’artista. Per questo molti sostengono che il Portfolio
non sia una novità assoluta.
Esso comunque costituisce uno strumento e una risorsa efficace e rilevante
non solo nei contesti lavorativi, ma anche in quelli formativi.
Il tradizionale Portfolio e la sua recente evoluzione, l’ePortfolio,
consentono infatti al soggetto di disporre di un mezzo di presentazione
che non si esaurisce solo in un elenco di certificazioni o attestati ma gli
consente di mostrarsi valorizzando tutti gli aspetti della sua personalità,
senza tralasciare le ambizioni, i desideri e le capacità.
Utilizzare il Portfolio quale risorsa per la didattica significa favorire negli
allievi processi di autoriflessione, di analisi e di autorientamento.
Nella prima parte di questa Tesi viene effettuata una riflessione
sull’orientamento, sull’importanza che i processi orientativi rivestono
quale sostegno alla persona e ai suoi percorsi e sulle pratiche attualmente
in vigore all’interno della realtà scolastica italiana. Segue poi una breve
riflessione su quelle che, a livello di ricerca, risultano essere le
caratteristiche di una buona didattica orientativa, introducendo così il
ruolo che in essa può avere lo strumento del Portfolio.
Nella seconda parte viene invece compiuta una analisi dei percorsi di
sviluppo degli strumenti di documentazione sulla storia formativa
dell’allievo, soffermandosi in particolare sui cambiamenti normativi che
hanno introdotto l’utilizzo nei contesti scolastici prima del “fascicolo
personale dell’allievo” e successivamente del Portfolio. Viene quindi
5
fornita una definizione di questo strumento, analizzate le sue
caratteristiche e le relazioni tra esso e le nuove pratiche valutative e infine
viene effettuata una breve riflessione sul percorso evolutivo che ha portato
alla nascita del Portfolio digitale o ePortfolio.
Nella terza ed ultima parte viene presentato un progetto di Portfolio
attuato in una sezione dell’Asilo e Scuola dell’Infanzia Kinderhaus
Schatzkiste, ad Amburgo, Germania.
In questa sezione vengono evidenziate le funzioni che uno strumento di
questo tipo può svolgere già a partire dai primi anni di formazione e viene
offerta una panoramica degli obiettivi fissati, della progettazione e
attuazione dello strumento, dei risultati ottenuti. A testimonianza di
quanto realizzato, il lavoro svolto è documentato con esempi di pagine
prodotte dai bambini che hanno fruito della proposta educativa.
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PARTE I. L’orientamento nella scuola: caratteristiche e metodi
attuativi di una didattica orientativa
1. Su una definizione di orientamento
Il termine “orientamento” deriva dal latino “oriens”, dal verbo “orior”, che
letteralmente significa “sorgere”, “levarsi”. Il riferimento è chiaramente al
Sole e difatti il termine “oriente” viene utilizzato per indicare il punto
cardinale dove esso sorge. La parola evoca una direzione e in tal senso
l’orientarsi fa riferimento all’azione di ricercare la via più conveniente per
riuscire a raggiungere una certa meta.
Nell’ambito scolastico e lavorativo questo termine nel tempo ha assunto
significati diversi, in relazione all’evoluzione delle teorie e delle pratiche
di orientamento, ed è tutt’oggi un concetto polisemico. Definire in maniera
univoca cosa sia l’orientamento è quindi difficile, eppure giungere a una
definizione dello stesso è necessario dato che essa è fondamentale se si
vuole circoscrivere con precisione il concetto.
Se si analizza la letteratura si ha subito riscontro di quanto numerose siano
le definizioni di orientamento. Anche se non è possibile darne un
resoconto completo è comunque opportuno fare riferimento ad alcune tra
le più significative.
A livello internazionale una delle più rilevanti è quella contenuta nella
raccomandazione conclusiva del Congresso Unesco del 1970, in cui si
afferma che “Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza
di sé e progredire, con i suoi studi e la sua professione, in relazione alle mutevoli
7
esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e
di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana”
1
.
Di tale definizione appare opportuno sottolineare alcuni aspetti
particolarmente significativi:
L’orientamento è da considerarsi come un insieme di interventi
individualizzati;
Esso deve mirare a divenire da etero-orientamento un auto-orientamento;
Si tratta di un processo continuo, che dura tanto quanto l’intero arco
della vita;
Esso non ha solo una finalità individuale, ma anche sociale.
Le parole della raccomandazione Unesco chiariscono inoltre che centro
dell’azione orientativa è la persona umana, che deve essere coinvolta in un
processo atto a favorire, attraverso il suo pieno coinvolgimento, il liberarsi
e il dispiegarsi delle sue possibilità. L’orientamento è quindi
intrinsecamente un intervento di tipo formativo, tale cioè da far sviluppare
nell’individuo la consapevolezza delle proprie inclinazioni e aspirazioni,
nonché l’acquisizione degli strumenti necessari sia per la propria
soddisfazione personale sia per il bene della società.
Afferma infatti Laura Donà che l’orientamento è “una modalità educativa
permanente, un processo continuo lungo tutto l’arco della vita centrato
sull’individuazione e sul potenziamento delle competenze della persona affinché
essa possa, realizzando integralmente se stessa, inserirsi in modo creativo e critico
nella società”
2
.
1
Raccomandazione conclusiva del Congresso UNESCO sull’Orientamento, Bratislava, 1970.
2
DONÀ L., “La dimensione storico-normativa dell’orientamento scolastico e
professionale”, in FOCCHIATTI R. (a cura di), Orientare e orientarsi nella scuola primaria e
secondaria, Carocci, Roma, 2008, p. 17.
8
Grazie ad esso la persona può arrivare a individuare il proprio posto nel
mondo e a definire il proprio progetto di vita in maniera piuttosto chiara,
nonostante lo scenario globale odierno sia caratterizzato prevalentemente
da una continua mutabilità.
L’orientare e l’orientarsi, secondo Domenici, possono essere intesi come
“interventi volti ad avviare rispettivamente altri o se stessi a scelte e decisioni,
attività e simili, congruenti con i vincoli del contesto, in senso stretto e lato, e con
gli interessi, le attitudini, il progetto di vita più o meno abbozzato
dell’orientando”
3
.
Sebbene si tratti di un processo che richiede inizialmente l’intervento di un
soggetto esperto (sia esso un operatore, un docente…) che svolga una
funzione di guida e di accompagnamento, esso tende comunque, come
fine ultimo, all’autonomia, all’acquisizione da parte dell’orientando delle
competenze necessarie per auto-orientarsi, cioè trovarsi “nelle condizioni
cognitive migliori per affrontare i problemi complessivi posti da una società
caratterizzata da una accentuata complessità, da un cambiamento continuo, da
una sorta di strutturale incertezza dei quadri di riferimento”
4
.
Da processo eterodiretto esso si trasforma quindi, gradualmente, in
processo autodiretto, autonomo (ma comunque aperto a “correzioni di
rotta nel tempo” nel caso in cui si verifichino situazioni tali da imporre
interventi di ri-orientamento). Chi si occupa di orientare deve quindi aver
ben presente che, così come nell’educazione in senso più ampio,
l’orientando non deve essere oggetto, ma soggetto, attivo e coinvolto.
L’aiuto da parte dell’educatore è chiaramente indispensabile, ma esso
deve rimanere un aiuto e quest’ultimo deve far sì che sia il soggetto in
formazione ad acquisire ciò che gli è necessario per poi orientarsi
3
DOMENICI G., Manuale dell'orientamento e della didattica modulare, Roma-Bari, Editori
Laterza, 2009, p. 3.
4
DOMENICI G., Manuale dell'orientamento e della didattica modulare, Editori Laterza,
Roma-Bari, 2009, p. 11.
9
autonomamente, tenendo conto che il suo compito dovrà quindi stare
“nell’illuminare, sollecitare, stimolare, senza sostituirsi a colui che egli vuole
educare”
5
.
Il rapporto tra orientamento ed educazione è senza dubbio forte e allo
stesso tempo complesso. Come noto “educare” deriva dal latino “educĕre”,
che significa “trar fuori” o "condurre fuori ciò che sta dentro". Educare
significa quindi trarre dalla persona ciò che ha da sviluppare di proprio, di
autentico, al fine di garantirne la piena realizzazione. Riprendendo le
parole di Pietro Braido, primo direttore della rivista “Orientamenti
Pedagogici” potremmo dire che “Educare è, essenzialmente, orientare: è cioè
sforzo di illuminazione dell’uomo in crescita”
6
, processo attraverso il quale
favorire, da parte del soggetto in formazione, presa di coscienza di ciò che
è, di ciò di cui è capace e di ciò che vuole diventare.
Orientamento ed educazione sono così accomunati dall’intento e dallo
sforzo di garantire l’assunzione di consapevolezza del proprio sé da parte
dell’individuo, la promozione delle proprie potenzialità e l’acquisizione e
lo sviluppo di attitudini e competenze.
La visione che oggi si ha dell’orientamento in ambito scolastico e anche
professionale è dunque fortemente incentrata sul valore della persona e
sulla sua capacità di imparare ad orientarsi lungo tutto l’arco della vita e
in una pluralità di contesti differenziati (nelle scelte scolastiche, nella
transizione scuola-lavoro, nel passaggio da una occupazione ad un’altra).
Tuttavia, come affermano Donata Francescano e Minou Ella Mebane
7
,
alcune fasi si sono succedute prima di arrivare all’attuale concezione di
orientamento. Prendere atto di queste fasi di evoluzione del concetto
5
ZAVALLONI R., Orientare per educare, La Scuola, Brescia, 1977, p. 75.
6
BRAIDO P., “Educare è orientare”, in Orientamenti Pedagogici, n.1, 1954, pp. 3-9.
7
FRANCESCANO D., MEBANE M. E., “Dalla scuola dell’obbligo al ‹‹lifelong learning››”,
in FRANCESCANO D., MEBANE M. E., TOMAI M., Psicologia di comunità per la scuola,
l’orientamento e la formazione, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 11-50.
10
risulta conveniente al fine di rendere più significativa la definizione di
orientamento che ne è, alla fine, scaturita. Le due autrici, riprendendo le
considerazioni di Pombeni
8
e Di Fabio
9
individuano cinque fasi
fondamentali:
Fase diagnostico-attitudinale: Sviluppatasi all’inizio del XX secolo,
concepisce l’orientamento come processo volto a determinare la
concordanza tra le attitudini del singolo individuo (considerate
come predisposizioni innate) e i requisiti richiesti da una specifica
professione. Si tratta di una impostazione psicoattitudinale, in base
alla quale è il possesso di determinate capacità a rendere un
individuo adatto a specifiche professioni, perciò è possibile
ricorrere a test attitudinali per determinare la professione più
congeniale ad ogni individuo. Secondo Scarpellini i presupposti che
stanno alla basa di questo approccio “risentono almeno di due pretese
meccanicistiche: essi stabiliscono infatti che in ogni individuo esistono
delle capacità e disposizioni congenite tali da renderlo più adatto a certe
professioni che richiedono precisamente quelle tipiche abilità. […]
Stabiliscono, inoltre, come altro assioma, che si possano costruire prove
oggettive a misura delle singole capacità, per cui è evidente […] la
conclusione verso l’orientamento di tipo psicotecnico, meccanicistico e
strumentalistico”
10
.
Tale impostazione viene però messa in crisi dagli studi sul
rendimento lavorativo condotti a partire dagli anni Trenta (da
importanti studiosi quali Mayo, Unbrock e Hoppock), che
dimostrarono come a parità di attitudini è la persona con maggiore
livello di interesse ad ottenere migliori prestazioni lavorative.
8
POMBENI M. L., Orientamento scolastico e professionale, Il Mulino, Bologna, 1990.
9
DI FABIO A., Psicologia dell’orientamento. Problemi, metodi e strumenti, Giunti, Firenze,
1998.
10
SCARPELLINI G., STROLOGO E. (a cura di), L’orientamento. Problemi teorici e metodi
operativi, La scuola, Brescia, 1976, p.134.
11
Fase caratterologico-affettiva: Questi studi pioneristici portarono a
porre maggiore attenzione nell’ambito dell’orientamento ad aspetti
più globali della personalità, ad esempio a componenti affettive
come emozioni ed interessi. Si sviluppa la comprensione del legame
esistente tra attività svolta, attitudine e partecipazione
emotiva/affettiva del soggetto e si capisce che a parità di attitudine
maggiori sono l’attenzione, l’interesse e il coinvolgimento affettivo,
migliori sono i risultati ottenuti. Ciò porta a spostare il focus di
indagine dal solo concetto di attitudine a quello di interesse
professionale, e a tentare di capire come trovare corrispondenze tra
tipi caratterologici e professioni. Si tratta tuttavia di un approccio
ancora fortemente psicometrico, fondato sull’elaborazione di
questionari per il rilevamento di caratteristiche personali ed
interessi.
Fase clinico-dinamica: Ha inizio con gli anni Cinquanta, con il
diffondersi delle teorie psicodinamiche e psicoanalitiche. Esse
propongono una visione del lavoro come fonte di soddisfazione dei
bisogni profondi dell’uomo e dell’orientamento come processo
avente lo scopo di aiutare a individuare il percorso di studi e
professionale più in grado di soddisfare tali bisogni. Per indagare le
tendenze profonde dell’individuo, il suo vissuto passato (causa
determinante delle stesse) e le sue motivazioni inconsce non sono
però più sufficienti i classici test attitudinali, che vengono così
sostituiti da test proiettivi e colloqui clinici, condotti da un
orientatore che non è più semplice tecnico testista ma piuttosto
psicologo clinico, dotato di competenze più adatte per analizzare
gli aspetti profondi della personalità.
Con gli anni Sessanta l’approccio clinico-dinamico viene sottoposto
sempre più a critiche, soprattutto da parte di molti sociologi, che
mettono in evidenza l’impostazione eccessivamente psicologica