Oggi però sono i “Talenti” la risorsa scarsa del marcato, e del
mercato del lavoro nello specifico.
Sono i soli capaci di garantire quel vantaggio competitivo che le
imprese devono mantenere per stare sul mercato.
E in un mercato del lavoro molto competitivo attrarre i migliori
Talenti è spesso una sfida difficile.
Oggi la situazione è ormai ribaltata: non sono più i candidati a
rincorrere le aziende, ma le aziende a inseguire i talenti.
In passato per un azienda in cerca di talenti, trovare le risorse
necessarie era decisamente più semplice.
Perché si godeva di una posizione di forza sul mercato del lavoro, e
soprattutto, la gestione delle risorse umane non richiedeva l’utilizzo
di strumenti di marketing.
Oggi invece è noto ai selezionatori che per “catturare” i talenti
migliori non basta puntare solo sulla leva dello stipendio.
È fondamentale offrire al lavoratore la sensazione che lavora in
determinato contesto perché ne condivide i progetti e la filosofia.
Per tale motivo è importante puntare su azioni mirate di Recruitment
Marketing.
E cosi che anche in Italia, si sta affermando una nuova strategia di
gestione e selezione del personale, l’Employer Branding: l’attività di
costruire e sviluppare, attraverso un efficace comunicazione, la
propria immagine aziendale sia sul mercato interno (Retention) sia sul
mercato esterno del lavoro (Recruiting).
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Dunque, l’Employer Branding è una strategia per attrarre, selezionare,
reclutare, motivare e trattenere, le risorse umane, con l’obiettivo di
sviluppare, attraverso la comunicazione, l’immagine aziendale verso
i dipendenti e nei confronti dei candidati all’assunzione.
Si tratta di costruire una vera e propria strategia di marketing che
parte dalle esigenze di che sta cercando lavoro per costruire
all’interno delle aziende un ambiente che appaia il più possibile
attrattivo.
Nel primo capitolo viene analizzato il ruolo strategico delle risorse
umane come fattore strategico per il mantenimento del vantaggio
competitivo.
Il passaggio dall’era industriale, che puntava sulla solidità, sul
capitale fisico, materiale sull’importanza delle fabbriche dei
macchinari e su strutture gerarchico-piramidali, all’era
dell’informazione che punta, invece, sulla leggerezza.
Ciò che conta nell’era dell’informazione è il capitale immateriale
costituito dalle conoscenze, dai valori, dalle immagini.
Conta soprattutto il capitale umano: le sue conoscenze e le sue
capacità.
Nel secondo capitolo vengono analizzate le politiche per
identificare, attrarre valutare e trattenere le risorse migliori, gli high
potentials, per vincere la “Guerra dei Talenti”.
L’espressione “Guerra dei Talenti”, si deve ad Ed Michaels e agli
uomini di Mckinsey, titolo emblematico di una ricerca effettuata nel
1998 per indicare la frenesia con la quale le aziende americane
8
cercavano di accaparrarsi manager capaci e giovani talenti per
realizzare i loro piani di sviluppo.
L’origine della ricerca dei talenti va rintracciata con la nascita della
società dell’informazione, quando il valore globale di un’impresa
non è più misurato soltanto dagli assett tangibili, quali macchinari,
fabbriche , capitali, ma, e soprattutto, dagli assett intangibili come il
brand, il capitale intellettuale, il talento.
Le aziende, oggi, parlano di “Guerra dei Talenti” proprio per
identificare il continuo “fronte” che le vede confrontarsi per la
ricerca e la Retention dei talenti.
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi e allo sviluppo delle fasi in cui
si articola l’Employer Branding Process.
Il quarto capitolo è incentrato sull’analisi di un case history:
l’employer branding nel Gruppo Telecom Italia.
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CAPITOLO 1
Le risorse umane come fattore strategico per il
mantenimento del vantaggio competitivo
1.1 Il passaggio dall’era industriale all’era
dell’informazione
Il contesto un cui viviamo è caratterizzato da forte turbolenza,
da competitività, ponendo ai manager sfide continue e sempre più
impegnative.
Cresce continuamente la complessità del modo in cui le
organizzazioni operano.
Siamo nell’epoca postindustriale, caratterizzata dalla decostruzione
delle strutture organizzative, dall’enfasi sulla dimensione culturale
dell’organizzazione.
Un’epoca in cui la catena del valore dell’ impresa non è più lineare,
ma da origine a complesse reti economiche.
Nell’era industriale, invece, si puntava sulla solidità, sul capitale
fisico, materiale, sull’importanza degli edifici, delle fabbriche, dei
10
macchinari, delle materie prime; inoltre si puntava su strutture
gerarchico-piramidali.
Nella filosofia fordista e in quella tayloristica l’azienda era concepita
come una macchina in cui chi lavorava (il dipendente) era solo una
componente dei suoi meccanismi, in una logica di procedure
standardizzate e di processi lineari.
L’approccio ai problemi era quello dello scientific management, basato
su una concezione meccanicistica dell’organizzazione.
Ciò che vigeva era il modello “fordista” e quello “taylorista” del
prodotto “unico” (la ford nera) e della soluzione unica ai problemi
(one best way).
Oggi invece si punta sulla leggerezza.
Ciò che conta è il capitale immateriale costituito dalle
conoscenze, dai valori, dalle immagini.
Conta soprattutto la velocità di azione e di reazione alle situazioni
nuove e impreviste e ciò che è standardizzato non consente di
affrontare queste situazioni.
Contano, più di ogni altra cosa, le reazioni, la flessibilità, il rapporto
aperto con l’esterno.
Conta il capitale umano: le sue conoscenze e la sua creatività.
L’organizzazione postindustriale è caratterizzata dalla capacità
flessibile di gestire un numero illimitato di relazioni, di processi e di
comunicazioni.
Infatti necessità di soluzioni e di approcci differenziati e non
standardizzati.
11
Oggi a differenza del passato sono molte le vie per la soluzione dei
problemi.
L’epistemologia della società postindustriale è quella della diversità,
della discontinuità e della complessità.
Basata sull’informatica e sul mondo digitale, sulla logica del
networking, sulle telecomunicazioni ecc.
Nell’impresa postindustriale e postmoderna l’informazione diventa
la risorsa chiave, capace di creare valore in molte maniere differenti.
Dunque, sono tramontati il fordismo e il taylorismo come filosofia
organizzativa.
Con la nuova filosofia postifordista e posttayloristica
l’organizzazione acquista connotati diversi da quelli
dell’organizzazione-macchina: scompare la piramide gerarchica,
niente modelli autocentranti, ma reazione continue e illimitate con
l’ambiente, grande permeabilità ai cambiamenti e alle innovazioni.
In sintesi, l’impresa postindustriale è caratterizzata da quello che gli
americani hanno chiamato l’”effetto Odd”: outsourcing
(l’esternalizzazione) delayering (appiattimento della piramide
gerarchica) deconstruction (frammentazione della catena dei valori)
1
.
1
Cfr. Capucci U., Complessità e gestione delle risorse umane., Franco Angeli, Milano 2004.
12
1.2 L’evoluzione dell’ambiente competitivo e le
conseguenze su strategia, organizzazione e politiche
di gestione delle risorse umane
Le organizzazioni vivono il passaggio da un cambiamento, le
cui conseguenze erano prevedibili, al cosiddetto cambiamento
discontinuo.
Ciò significa che nelle organizzazioni oggi è necessaria una nuova
cultura, che consenta ai nuovi operatori di agire in situazioni di
incertezza, di gestire la complessità e di sviluppare creatività e
innovazione.
Il nuovo tipo di cambiamento mette in crisi le modalità di gestire le
risorse umane nelle organizzazioni.
Infatti è necessario ripensare gli schemi operativi di un tempo per
adattarli alle nuove situazioni.
Le imprese non si pongono strategie di crescita quantitativa, ma
nelle condizioni di ambienti-mercati ad alta competizione si è alla
ricerca del “valore”, alla ricerca della qualità e continuità dei
risultati
2
La competitività rappresenta il nuovo obiettivo delle imprese del
terzo millennio, che operano in mercati spesso difficili e con
concorrenza spesso crescente.
2
Ivi., pag. 15.
13
Essere competitivi significa saper sviluppare e difendere un fattore
di successo in un certo mercato.
Un primo elemento di cambiamento è il passaggio da una gestione
delle risorse omogenea ad una gestione “segmentata”, in quanto la
popolazione di riferimento non è più la qualifica, ma la specificità di
appartenenza ad una popolazione.
Infatti si parla di top management, di alti potenziali, con una
segmentazione o per business o per ruolo.
Viene riconosciuta l’esigenza di sviluppare politiche e programmi
specifici per ogni popolazione, introducendo il principio della
disomogeneità.
Un secondo cambiamento nei processi di gestione delle risorse
umane è dato dal passaggio da attività funzionali a processive.
L’enfasi non è più solo sulla valutazione della prestazione, ma sul
suo miglioramento; non tanto sulla valutazione del potenziale ma
sulla crescita-sviluppo del potenziale.
Quindi in un momento in cui il cambiamento è diventato una
costante, le imprese si trovano in situazioni molto diverse dal loro
percorso di cambiamento organizzativo e culturale.
Infatti la realtà delle diverse organizzazioni è a “macchia di
leopardo”: qualcuna è vicina all’arrivo, qualcuna vicina alla partenza.
Tutte hanno fatto qualcosa sulle persone, sull’organizzazione, sugli
strumenti per operare, ma lo stato di evoluzione è tutt’ora molto
diverso.
14
Si diffonde sempre di più l’esigenza di competitività, soprattutto a
quelle organizzazioni che hanno l’esigenza di “mettere valore” nei
loro processi, nei loro comportamenti, nelle loro risorse.
Esistono, infatti, imprese differenti tra di loro: aziende di old
economy, di new economy, di starp-up; aziende high- tech, di
media tecnologia.
Ma in tutte queste organizzazioni si pone il problema di gestire le
risorse, in quanto nei business competitivi la gestione delle risorse
umane è “strategica”.
Tutto ha generato nuovi processi di gestione delle risorse delle
umane, infatti, ai tradizionali processi di acquisizione, di sviluppo, di
rewording, di comunicazione si sono aggiunti nuovi processi.
Un processo completamente nuovo è il tema della governance.
L’organizzazione e la gestione delle risorse umane tradizionalmente
ha conosciuto prima il “comando”, costituito di disposizioni e di
istruzioni, e dopo la delega, fatta di obiettivi e di
responsabilizzazione.
Invece, la governance sposta la leva della gestione dal comando-delega
al sistema delle regole.
Governare è per l’organizzazione un modo nuovo di regolare i
rapporti: la cultura aziendale aveva fatto il passaggio, dal compito al
risultato; adesso assistiamo al passaggio dal risultato al sistema delle
regole.
Possiamo poi collocare accanto alla governance la leadership, che
oggi le organizzazioni cercano di generare al loro interno.
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La leadership che si cerca di generare oggi è una “leadership
trasformazionale”, cioè in grado di generare motivazioni, di
accrescere le capacità e produrre empowerment
3
.
Questo modello di leadership non si limita a valutare i risultati e le
prestazioni, ma le migliora e le potenzia.
Infatti ottenere leadership “diffusa” è l’obiettivo di un processo di
gestione delle risorse umane del tutto nuovo per l’organizzazione.
Altro processo nuovo è quello relativo allo sviluppo individuale..
Facendo riferimento alle iniziative di post assessment development,
al coaching, al tutoring, alle iniziative di empowerment; tutti questi
strumenti ed iniziative che sono rivolte ad un processo di sviluppo
o crescita della persona a 360°.
1.3 L’evoluzione del sistema organizzativo
I modelli organizzativi affermatisi con la transizione verso il
postfordismo hanno trasformato il rapporto esistente tra funzione
di staff e quelle di line all’interno dell’organizzazione.
3
Empowerment: si inserisce in un movimento di degerarchizzazione organizzativa, che vede i
processi delega spingersi sempre di più verso la base dell’organizzazione nell’ipotesi di suscitare
nei collaboratori un livello di impegno (commitment) verso gli obiettivi dell’azienda
proporzionale a quello dell’autonomia, della discrezionalità e del potere loro conferito.
L’empowerment può essere definito come “il processo individuale e organizzativo attraverso il
quale le persone raggiungano la padronanza e il controllo della loro vita organizzativa”.
16
Infatti nella gestione delle risorse umane, si è verificato il passaggio
di poteri e doveri alla linea, che è diventata il punto di riferimento
della gestione risorse.
Linea e personale condividono lo stesso percorso gestionale,
diventando “partner”.
La partnership di personale e linea vuole conseguire insieme la
generazione di valore, per le persone e delle persone, in un circolo
virtuoso che possiamo chiamare “catena di valore”.
Nelle grandi organizzazione è ormai superato il modello funzionale
4
che per definizione è il più semplice.
Infatti è applicato soprattutto nelle organizzazioni di tipo
tradizionale e si basa sul criterio di divisione del lavoro per
omogeneità di funzioni.
Solitamente questo modello è adatto in situazioni caratterizzate da
dimensioni non elevate e in condizioni di mercato stabili.
Il superamento del modello funzionale ha portato verso modelli di
tipo divisionali, creando un livello di “moltiplicazione” delle
strutture.
Nel modello divisionale il focus organizzativo è sugli obiettivi
generali dell’organizzazione.
Esso prevede il decentramento delle responsabilità decisionali ed è
adatto in situazioni caratterizzati da un elevato livello di
complessità.
4
Alessandrini G., (a cura di), Formazione e organizzazione nella scuola dell’autonomia, Guerini e
Associati, Milano 2000.
17
Adesso le organizzazioni complesse si articolano in business unit :
unità organizzative dedicate e focalizzate su un unico business, ma
con funzioni operative (produzione, vendita, progettazione,) “a
fattor comune” per ricercare economie di scala e di sinergie.
1.3.1 L’adozione di schemi organizzativi e modalità di
produzione più snelli e flessibili
La richiesta di maggiore flessibilità del lavoro che le imprese
continuano a promuovere deriva dal mutato contesto economico,
tecnologico e istituzionale costringendo le direzioni aziendali a
strategie di adattamento più complesse e incerte.
Oggi il sistema di produzione è più flessibile e soprattutto la
produzione si è evoluta da una organizzazione rigida tendente allo
sviluppo continuo quantitativo, ad una organizzazione flessibile,
tendente alla personalizzazione del prodotto, dove l’intelligenza
umana e la conoscenza è l’elemento che può costituire il vantaggio
competitivo di una impresa.
Nonostante le fonti tradizionali di successo, tecnologia di prodotto
e di processo, mercati protetti, sono ancora leve competitive, la
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competenza e la capacità organizzativa delle persone che operano
nell’azienda sono più vitali.
Tutto ciò porta a considerare le risorse umane fonte di vantaggio
strategico.
Le imprese devono cercare di acquisire una “competitività
strutturale”che oggi possiamo definire come la capacità intrinseca di
produrre e mantenere nel tempo prestazioni competitive.
Ci troviamo alle soglie del XXI secolo, di fronte ad una sfida che
richiede un ripensamento dell’organizzazione aziendale.
La sfida attuale per le imprese e legata a temi quali la ricerca della
flessibilità, la rapidità delle innovazioni, la globalizzazione dei
mercati.
Nasce un nuovo modello organizzativo chiamato azienda corta (lean
organization); che significa una struttura con pochi livelli gerarchici
5
.
L’azienda corta è un modello organico e complesso con cui
rivisitare le strutture e il funzionamento organizzativo tradizionale,
per realizzare i bisogni di competitività strutturale delle imprese che
vogliono avere successo nei propri mercati.
La lean organization: assegna maggiore autonomia alle persone
favorendone lo sviluppo professionale e delle potenzialità; riduce il
numero delle posizioni manageriali; comporta lo snellimento dei
sistemi di controllo e dei fattori che non generano valore.
Lo sviluppo successivo della lean organization sfocia nella forma
organizzativa chiamata azienda a rete.
5
Cfr. Auteri E., Management delle risorse umane, Guerini e Associati, Milano 2001.
9
Nelle imprese la cui ricchezza è rappresentata dal capitale
intellettuale, la struttura organizzativa più appropriata è la struttura
a rete e non la gerarchia.
Le reti permettono alle organizzazioni la condivisione delle
conoscenze, infatti, servono proprio a mettere in relazione le
persone con le altre persone e con i dati.
L’azienda a rete è un network di soggetti eccellenti nel proprio campo
orientati a un obiettivo comune e che pertanto: hanno come
collante l’ottimizzazione delle reciproche competenze; utilizzano in
modo strategico le relazioni con i partner; vivono in collaborazione
interna ed esterna, sviluppando una capacità di scambio, di
adattabilità con gli altri individui e organizzazioni; infine si
avvalgono delle potenzialità connesse all’Infomation Tecnology.
1.3.2 L’outsourcing: uno strumento di flessibilità per
gestire la complessità
Nell’attuale contesto competitivo le imprese devono
affrontare cambiamenti improvvisi e radicali in un clima dominato
da incertezza.
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