Introduzione
Gli studiosi prevedono che entro il 2025 oltre il 75% della forza lavoro globale sarà
composta dai nuovi talenti del millennio.
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Questa nuova generazione viene indicata come la
generazione zeta: ovvero tutti coloro che sono nati tra il 1995 e il 2010, i quali hanno nuove
ambizioni e visioni sul lavoro rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Tale
cambiamento è dovuto soprattutto all’avvento dell’innovazione tecnologica: smartphone,
computer, tablet sono ormai presenti nella vita quotidiana di ogni individuo. Ciò ha
comportato anche il cambiamento delle dinamiche di acquisto del consumatore: un cliente
interessato all'acquisto di un prodotto, oggi, svolge una serie di ricerche (60-70%) prima che
un venditore venga coinvolto e prima che venga acquistato un determinato prodotto o
servizio. Questo è esattamente ciò che sta accadendo nel mercato del lavoro con l’avvento
della cosiddetta “Guerra dei Talenti”. Le organizzazioni sono in guerra tra loro per
accaparrarsi le migliori risorse sul mercato e per reclutare profili qualificati. L’employer
branding e i nuovi strumenti digitali che vengono utilizzati nell’ambito delle risorse umane
e del marketing sono diventati indispensabili per attirare e coinvolgere i migliori talenti. Le
scelte strategiche adottate dalle aziende hanno dimostrato come non solo sia possibile
aumentare il bacino di potenziali brillanti risorse, ma come sia anche possibile incrementare
il proprio profitto. Per comprendere al meglio tutte le dinamiche e i processi che derivano
dall’EB, l’elaborato nella prima parte si propone di condurre un’accurata analisi della
definizione del termine “Employer branding” e dei suoi processi. Nel secondo capitolo sono
stati riportati i modelli teorici più importanti dell’EB e l’impatto che ha avuto la digital
transformation nell’ambito delle risorse umane, citando i casi di due famose multinazionali:
Ferrovie dello Stato Italiane e Roche. Il focus della parte finale, invece, è sull’impatto che le
evoluzioni tecnologiche di mercato hanno avuto sul mondo del lavoro - in particolare sulle
risorse umane - con l’avvento dell’intelligenza artificiale.
Infine, ho esaminato il caso di una start up italiana, Employerland, evidenziando come
realtà aziendali simili, possano rivestire oggi un ruolo rilevante soprattutto nella
progettualità di nuovi strumenti digitali utili e vantaggiosi in ambito HR.
1
G. Rusconi, Generazione Z ecco come convincere i nuovi talenti a dare il massimo in Sole24ore, 30 ottobre 2019,
https://www.ilsole24ore.com/art/generazione-z-ecco-come-convincere-nuovi-talenti-dare-massimo-AC3cNrF
CAPITOLO I
NASCITA ED EVOLUZIONE DELL’EMPLOYER BRANDING
1.1) La nascita dell’Employer branding
Qual è oggi la ricetta vincente per un’azienda che vuole avere successo?
Le aziende di successo sono quelle che godono di una ottima reputazione rispetto ad altre e che
quindi, sono in grado di attirare talenti nonostante negli ultimi anni, trovare candidati profilati
sia diventato piuttosto difficile a causa della “Guerra dei Talenti”
2
. Le aziende cercano di
migliorare la loro immagine affinché possa essere considerata dai potenziali candidati un
"employer of choice", ovvero come il luogo ideale dove lavorare e possa essere la scelta dei
profili più qualificati.
Il reclutamento e la selezione dei migliori candidati per le organizzazioni, quindi, non si limita
solo all'inserimento dell'annuncio su piattaforme, portali e social network ma va oltre queste
informazioni. Per questo motivo, dalla fine degli anni ’90 l’Employer brand è diventato una
parte importante della strategia aziendale a lungo termine, determinato da diversi fattori:
attrattiva del settore, reputazione dell'azienda, qualità dei prodotti e dei servizi, posizione,
ambiente di lavoro, retribuzione, condizioni economiche, benefici per i dipendenti, persone e
cultura, equilibrio tra lavoro e vita privata.
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Comincia così a essere usato il termine Employer
Branding.
Per comprenderne concretamente il significato è opportuno analizzare la definizione delle due
parole che lo compongono. Questo concetto affonda le sue radici nei due termini inglesi
“employer” che in italiano significa “datore di lavoro” e “brand” ovvero “marchio”.
Employer, dunque, non fa altro che riferimento ad una realtà aziendale che produce ed opera in
uno specifico settore elaborando delle efficaci strategie per concorrere sul mercato. Il brand non
è altro che un tratto distintivo, un’immagine identitaria che permette di diversificare un’azienda
da un’altra nonostante queste operino nel medesimo settore.
Una definizione coincisa ed esaustiva del significato è stata data da Kotler nel 1991 che
definisce un marchio come “un nome, un termine, un segno, simbolo o disegno o una
combinazione di questi che è destinata a identificare i prodotti e servizi di un venditore o
gruppo di venditori e per differenziarli da quelli dei concorrenti”.
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Questa definizione è stata
utilizzata principalmente in ambito marketing per descrivere i marchi di prodotti ideati e creati
dalle aziende, offerti sul mercato e rivolti ad un target di clientela.
2
E.Michaels, H.Handfield-Jones, B. Axelrod in War of Talent, Harvard Business Review Press,
London, 2001
3
Ibidem
4
Philip Kotler, Suzan Burton, Kenneth Deans, Linen Brown, Gary Armstrong, Marketing, 9th edition, Pearson,
London, 2015.
Nel corso del tempo, tuttavia, si è compreso che il brand non è solamente legato all’immagine
che l’azienda crea rivolta al cliente, ma influisce anche sull'azienda intesa come datore di
lavoro. Pertanto il marchio aziendale assicura un certo target di clienti che acquistano prodotti e
servizi, mentre il marchio dell’employer permette ai dipendenti di comprendere quale sarà il
modus operandi aziendale e quali esperienze vivranno nell'organizzazione. Dall’unione dei due
termini nasce l’Employer Branding.
Il primo articolo in cui compare questo concetto, è stato pubblicato nel 1996 con il titolo "The
Employer Brand" scritto da Tim Ambler, Grand Metropolitan Senior Fellow della London
Business School, e Simon Barrow, presidente di People in Business, che definiscono il concetto
come " “il pacchetto di vantaggi funzionali, economici e psicologici forniti dal posto di lavoro e
identificato con il datore di lavoro”.
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La conclusione della loro ricerca fu che le aziende,
adottando strategie di EB, avrebbero potuto reclutare i talenti futuri sia più facilmente che in
quantità superiore.
La definizione, quindi, rimandava a due considerazioni: la prima che l’Employer Branding
racchiudeva al suo interno una serie di vantaggi a beneficio dei dipendenti di un’azienda e la
seconda che questo nuovo concetto permetteva di misurare la capacità da parte del datore di
lavoro di poter offrire questi benefici ai propri collaboratori. Il pacchetto prevedeva vantaggi di
tipo funzionali: le attività lavorative svolte all’interno dell’azienda affinché questa potesse
svilupparsi; benefici economici: i prodotti finali e i riconoscimenti monetari e infine quelli
psicologici: il rapporto di fiducia che si sarebbe instaurato tra il datore di lavoro e i dipendenti.
L’azienda, pertanto, secondo Ambler e Barrow per poter operare al meglio aveva
necessariamente bisogno di adottare un’adeguata strategia di EB al fine di poter garantire una
serie di vantaggi ai propri lavoratori e per poter competere sul mercato.
In generale, così come accade nel marketing, le persone associano un marchio al nome, al bene
o servizio offerto da una determinata azienda, quando queste idee di branding sono incorporate
nelle strategie HR, si parla di "Employer Branding”.
Sono svariate le ragioni che inducono a teorizzare il concetto di Employer Branding durante gli
anni ’90. Una fra queste è sicuramente la carenza di forza lavoro che già a partire dalla fine
degli anni ’80 ha indotto le aziende a ricercare personale qualificato da assumere in azienda.
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Affinché le imprese potessero far fronte a questo problema, è stato necessario adottare strategie
e politiche aziendali nell’ambito delle risorse umane in grado di poter rendere l’azienda
attrattiva sul mercato. Nel 2001 - nel giro di soli cinque anni dalla coniazione di questo termine
- il 40% delle 138 aziende intervistate dal Conference Board, in Nord America, erano
attivamente impegnate in attività di EB. Nel 2008, Jackie Orme, direttore generale del
5
T. Ambler e S. Barrow, The Employer Brand” in London Business School, London, 1996.
6
0. Ployhart, R. E., Staffing in the 21 st century: New challenges and strategic opportunities in Journal of
Management, 2006.
Chartered Institute of Personnel Directors del Regno Unito, nel suo discorso di apertura alla
conferenza annuale del CIPD, aveva confermato che il branding del datore di lavoro era
assolutamente parte integrante della strategia aziendale oltre che una funzione HR.
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Analogo riconoscimento della crescente importanza del pensiero e della pratica dell’Employer
Brand è stato riconosciuto nel corso degli anni in tutto il mondo: dagli Stati Uniti all’Europa.
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Infatti, sono stati numerosi gli autori che hanno trattato questo tema interrogandosi su quanto
potesse essere importante sviluppare una strategia di EB nel contesto aziendale.
7
L. Holbeche, HR Leadership, Linda’s combination of pratical example and well-argued theory is a powerful mix,
Routledge, London, 2009.
8
L. Moroko, and M. D. Uncles, Characteristics of successful Employer Brands, Brand Management, 2008.
9
B. Schneider e D.E. Bowen, “The Service Organisation: HRM is Crucial”, Organizational Dynamics, Elsevier,
London, 1993.