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Introduzione
In un contesto come quello attuale, caratterizzato da un mercato del lavoro sempre più
dinamico e competitivo, la competizione tra le imprese per attrarre i talenti di cui hanno
bisogno – la cosiddetta War for Talent – sta diventando sempre più aspra. Ciò ha fatto
emergere la necessità per le organizzazioni di mettere a punto delle iniziative finalizzate non
solo ad attrarre, acquisire e trattenere i talenti più preziosi al proprio interno ma anche a
promuovere la propria immagine come datore di lavoro. Il cuore pulsante di questa sfida è
l’Employer Branding una disciplina che sta rapidamente guadagnando un posto di rilievo tra
le strategie aziendali globali.
Lo scopo di tale elaborato è quello di dimostrare da un lato come, ad oggi, per le imprese sia
fondamentale prendere in considerazione tale disciplina al fine di mettere a punto delle
iniziative per attrarre e trattenere i talenti al proprio interno e dall’altro comprendere come
per essere stia diventando sempre più importante definire in maniera attenta quelle che sono
le leve utilizzate per attrarre e trattenere i dipendenti di cui hanno bisogno nonché una
proposta di valore accattivante per differenziarsi dalla concorrenza come datori di lavoro.
In particolar modo, il primo capitolo di tale elaborato, si aprirà con una riflessione relativa
all’importanza delle risorse umane, le quali sono considerate un elemento di vantaggio
competitivo sempre più importante per le imprese. Verranno poi descritti i principali fattori
che stanno concorrendo a rendere sempre più aspra la cosiddetta War for Talent e che, di
conseguenza, hanno portato le imprese a riflettere sulla necessità di promuovere sé stesse non
solo più come produttrici di beni e servizi ma anche come datori di lavoro. Si cercherà poi di
definire il concetto di Employer Branding ricorrendo all’analisi della letteratura esistente sul
tema e approfondire quello che è il suo rapporto con il corporate brand e il product/service
brand. Infine, verranno presentati quelli che sono i principali vantaggi che le imprese possono
trarre dall’implementazione di iniziative di Employer Branding nonché quelli che sono i
limiti e le difficoltà che esse possono riscontrare.
Per quanto riguarda il secondo capitolo, in esso verrà illustrato come le organizzazioni
possono andare a definire ed implementare una strategia di Employer Branding. In
particolare, verranno descritti in maniera dettagliata quelli che sono i vari step in cui si può
6
articolare tale strategia con un maggiore focus sulle fasi di analisi del contesto interno ed
esterno dell’impresa, di sviluppo e test dell’Employer Value Proposition, della
comunicazione della stessa e del KPI reporting. Verranno inoltre presentati e descritti una
serie di strumenti ed attività a cui le imprese possono fare ricorso al fine di implementare tale
strategia.
Infine, il terzo capitolo andrà ad illustrare una ricerca empirica basata sull’analisi di dati
ottenuti tramite due strumenti: un questionario rivolto a lavoratori attuali e potenziali e delle
interviste rivolte ai responsabili delle risorse umane di due imprese. Tale capitolo si propone
di raggiungere un duplice obiettivo. In primis, quello di capire, da un lato, quali sono le leve
di attraction e retention maggiormente apprezzate dai lavoratori attuali e potenziali e
dall’altro, se persone appartenenti a generazioni diverse, affidano più importanza a certe leve
piuttosto che ad altre. In secondo luogo, si vogliono indagare le modalità attraverso cui le
imprese implementano le proprie iniziative di Employer Branding nonché quelle che sono le
leve di attraction e retention più utilizzate dalle stesse. Si cercherà poi di comprendere se esse
differenziano la propria proposta di valore e le proprie iniziative a seconda dell’appartenenza
generazione del talento che vogliono attrarre o trattenere al proprio interno.
7
CAPITOLO 1 - Introduzione all’Employer Branding
1.1 Le persone come fattore critico di successo e la necessità di vincere la War for
Talent
Investire sulle persone, sulla loro crescita di competenze, conoscenze e abilità, sulla loro
capacità di lavorare insieme agli altri, sul loro potere inteso come possibilità di
esprimersi, è la condicio sine qua non per qualunque impresa, piccola o grande, per
recuperare competitività sui mercati
1
.
È proprio con questa frase che Gianni Lattanzio, segretario generale dell’associazione
Ambientevivo, sottolinea l’importanza del fattore lavoro inteso come un elemento chiave da
cui può dipendere la competitività delle imprese sui mercati. La rilevanza di tale fattore
produttivo è emersa soprattutto negli ultimi decenni durante i quali l’ambiente all’interno del
quale operano e si sviluppano le organizzazioni ha subìto profonde trasformazioni; si è
passati infatti da un’economia basata sull’industria ed i servizi in cui le imprese non
dovevano affrontare una forte concorrenza e in cui il progresso tecnico e scientifico era molto
lento, a un’economia fondata sulla conoscenza, caratterizzata da una forte concorrenza
domestica ed internazionale e in cui lo sviluppo tecnico e scientifico è divenuto sempre più
rapido. Di fronte a questo nuovo scenario, imprenditori e manager di tutto il mondo, si sono
accorti che i tradizionali fattori di vantaggio competitivo, tra cui è possibile trovare la qualità
tecnologica e le economie di scala, sono diventati sempre più facili da imitare da parte di
competitor potenziali ed attuali e di conseguenza è sempre più raro che essi possano portare
le imprese ad avere un vantaggio sulla concorrenza. Tale nuovo contesto ha sottolineato
l’importanza per le imprese di ottenere e valorizzare delle risorse in grado di portare ad effetti
non duplicabili da parte dei concorrenti. Secondo la resource-based view (RBV) infatti, il
vantaggio competitivo dell’impresa, nonché il suo stesso successo, dipende dalle risorse che
essa ha a disposizione e dall’utilizzo che fa delle stesse; solo se queste sono di valore, rare,
non sostituibili e non imitabili allora possono essere considerate strategiche ed utili al
raggiungimento di un vantaggio competitivo, e come sottolineano Patrick M. Wright e Gary
C. McMahan sono proprio le risorse immateriali dell’impresa, prime tra tutte le risorse
1
Gianfaldoni S. e Giannini M. (2016) Gestione delle risorse umane, un approccio sistematico
multidisciplinare, Pisa University Press, Pisa
8
umane, ad avere queste caratteristiche fondamentali
2
. È quindi nei confronti di tali risorse
che le aziende devono indirizzare la propria attenzione in quanto sono proprio il know-how
e le competenze dei collaboratori a costituire una fonte di reale vantaggio competitivo. Le
persone sono quindi un asset fondamentale ed un fattore primario per lo sviluppo e la crescita
dell’intera organizzazione in quanto rappresentano delle risorse uniche ed inimitabili ed è
proprio per questo motivo che è di grande importanza mettere in atto delle prassi basate sulla
creazione di condizioni di lavoro in grado di attrarre e mantenere i cosiddetti talenti e allo
stesso tempo capaci di valorizzare le risorse umane. Sono infatti molteplici gli studi che
dimostrano come solo le aziende in grado di attratte e trattenere i collaboratori migliori e più
brillanti potranno durare nel tempo mentre quelle che continueranno a fare business as usual
saranno destinate a declinare; è possibile quindi affermare che è proprio l’insieme dei soggetti
che operano per nome e conto dell’impresa, ovvero tutti i collaboratori interni ed esterni ad
essa, a concorrere a costituire il “motore propulsore” della competitività della stessa ed il
valore dei prodotti che essa immette sul mercato. Da ciò si può intuire come ci sia una forte
correlazione tra il fattore lavoro ed i risultati finanziari delle imprese; tale affermazione è
supportata inoltre da alcuni recenti studi che evidenziano che più del 70% del valore di
mercato di un’organizzazione è determinato dal capitale relazionale ed umano
3
.
Quanto precedentemente affermato aiuta quindi a comprendere che il modo in cui le risorse
umane sono concepite all’interno dell’impresa ha subìto una profonda trasformazione negli
ultimi decenni ma è necessario sottolineare che il percorso storico che ha condotto a
considerare l’elemento umano come risorsa fondamentale per il lavoro è stato complesso,
lungo e pieno di ostacoli. L’evoluzione del lessico e la comparsa terminologica di “risorsa”
per riferirsi alle persone testimoniano importanti modificazioni socioculturali avvenute nel
corso della modernità. Si è infatti passati ad utilizzare il neologismo “risorse umane” per
indicare quello che un tempo veniva chiamato più semplicemente come “personale”, il quale
era ritenuto un fattore di produzione non privilegiato e considerato al pari di tante altre risorse
aziendali quali, fonti di energia, materie prime, immobili, macchinari e tecnologia. Le risorse
umane, quindi, non vantavano quella centralità che oggi invece viene loro diffusamente
2
Wright P. M. e McMahan G.C. (1992) Theoretical perspectives for strategic human resource management,
Journal of Management, Vol.18, No.2, 295-320
3
Schultz T.W. (1972) Human capital: policy issues and research opportunities, National Bureau of
Economic Research, Vol. 6, 1-84
9
riconosciuta e sostenuta dalla comunità scientifica ma erano considerate principalmente un
costo per le imprese che, in quanto tale, doveva essere contenuto. Oggigiorno, al contrario,
il capitale umano occupa un posto chiave all’interno del sistema produttivo ed ogni
competenza e professionalità costituisce un vero e proprio capitale funzionale al
raggiungimento di obiettivi aziendali e alla sopravvivenza dell’impresa stessa.
E’ possibile quindi a questo punto affermare che l’uomo è la linfa vitale delle imprese da cui
può dipendere il loro successo o fallimento e per questo motivo, ad oggi, uno dei principali
obiettivi strategici che esse si propongono di raggiungere è quello di attratte, trattenere e
valorizzare le persone giuste. Le imprese quindi devono individuare quelle che sono le leve
su cui agire per attrarre e trattenere diverse tipologie di talenti, i quali sono fattori sempre più
determinanti per il loro successo. Infatti, come afferma Dave Ulrich, noto professore
dell’università del Michigan: “people are our most important asset; it all begins with talent;
we need to win the war for talent”
4
.
Per quanto riguarda la definizione di chi siano i talenti, essa non può essere oggettiva ed
univoca. Infatti, imprese differenti forniscono una definizione diversa a questo concetto, la
quale dipende dalle caratteristiche che esse ricercano in un potenziale collaboratore che
devono essere coerenti con il ruolo ricoperto ma anche con l’identità e la cultura aziendale.
Per questo motivo è essenziale per le organizzazioni definire la propria cultura e la propria
identità al fine di rendere chiara e specifica la ricerca di quei lavoratori che rispecchiano tali
caratteristiche. È possibile però tentare di dare una definizione al concetto di talento che può
essere descritto dalla seguente formula:
talent = competence x commitment x contribution
5
Secondo tale formula, esplicitata da Dave Ulrich, il talento consiste nella combinazione di
tre elementi essenziali che tutti insieme costituiscono la cosiddetta “Talent Trifecta”. Egli
sottolinea inoltre che, affinché ci possa essere talento, è necessaria la coesistenza di tutte e
tre queste componenti; il talento, infatti, non è la somma tra competence, commitment e
4
Ulrich D. e Smallwood N. (2011) What is Talent?, Leader to Leader, 51-61
5
Ulrich D. (2008) The Talent Trifecta, Development and Learning in Organizations, Vol. 22, No. 2, 32-34
10
contribution ma la loro moltiplicazione, il che significa che l’azzeramento, o anche la sola
riduzione ai minimi termini, di uno di questi tre elementi annulla i benefici dell’altro a
qualunque livello si esprima. È quindi fondamentale che ci sia equilibrio tra le tre dimensioni
del talento, le quali sono descritte dall’autore nel seguente modo:
• competence (competenza): questo termine descrive la capacità dell’individuo di
rispondere alle aspettative associate al ruolo ricoperto all’interno dell’azienda sia oggi
che in futuro. Secondo l’autore le organizzazioni possono creare o migliorare le
competenze dei propri collaboratori investendo nella loro formazione e sviluppo,
chiarendo ad essi cosa ci si aspetta da loro, monitorando quelli che sono i
miglioramenti delle loro performance, valutando le loro prestazioni e fornendo dei
feedback;
• commitment (motivazione): la motivazione si ha quando le persone compiono
volontariamente uno sforzo, il quale è finalizzato al raggiungimento degli obiettivi
dell’organizzazione. Essa si ha quindi quando i collaboratori vanno oltre quello che
è il loro senso del dovere e mettono dello sforzo extra per fare bene il proprio lavoro
ricercando allo stesso tempo dei modi per svolgerlo nella maniera più efficiente
possibile. È quindi importante motivare i propri collaboratori e ricompensarli per il
maggiore impegno che mostrano nel perseguimento degli obiettivi aziendali in
quanto, solo così, tutte le competenze e le abilità di cui dispongono saranno
pienamente utilizzate a favore dell’impresa avendo essi la certezza che questa
ripagherà completamente la loro prestazione. Al fine di stimolare e mantenere la
motivazione delle persone le imprese devono presentare ai propri dipendenti una
chiara value proposition – proposta di valore - alla quale si collegano una serie di
elementi tra i quali è possibile trovare quelli che Ulrich chiama “incentives” ovvero
un giusto salario, bonus e altri benefit di natura non finanziaria, “opportunities”
ovvero la possibilità di crescere e imparare all’interno dell’organizzazione e “impact”
che consiste nell’opportunità di osservare il contributo che il proprio lavoro ha
apportato all’impresa;
• contribution (contributo): si ha quando le persone si sentono personalmente appagate
grazie al fatto che danno un proprio contributo all’interno dell’organizzazione. Ciò
avviene quando l’identità del collaboratore, i suoi valori e i suoi obiettivi coincidono
11
con quelli dell’organizzazione. Tale elemento sussiste nel momento in cui
l’organizzazione mette i propri collaboratori di fronte a sfide ed obiettivi da
raggiungere che sono per loro stimolanti.
Quindi, come precedentemente affermato, le imprese ricercano diverse tipologie di talenti a
seconda di quelle che sono le loro esigenze. Nonostante ciò, spesso capita che esse vadano
alla ricerca di persone aventi stesse caratteristiche o attributi similari ed è proprio qui che
nasce la concorrenza tipica della War for Talent, termine usato per sottolineare come
oggigiorno le organizzazioni debbano “lottare” al fine di attrarre e trattenere i talenti
necessari per avere successo. Tale concetto venne coniato nel 1997 da Ed Michaels, Helen
Hanfield-Jones e Beth Axelrod, consulenti di McKinsey, con l’intento di indicare il
fenomeno di competizione tra le imprese per trattenere e motivare quelle risorse - i talenti -
in grado di fare la differenza in un ambiente competitivo sempre più complesso
6
. La guerra
dei talenti ha avuto inizio negli anni 80 del secolo scorso con la nascita dell’information age
che ha sostituito l’industrial age. Ciò ha fatto diminuire l’importanza dei cosiddetti hard
assets - macchine, capitale, fabbriche ecc. - mentre ha sottolineato la necessità di puntare
sugli intangible assets - diritti di proprietà intellettuale, brand e talenti - i quali hanno
cominciato ad assumere un ruolo sempre più rilevante all’interno delle imprese. A supporto
di ciò, diverse ricerche mostrano come, nel corso del secolo scorso, il successo delle
organizzazioni sia diventato sempre più dipendente dalle persone e ciò è dimostrato dal forte
incremento della domanda dei cosiddetti knowledge workers (lavoratori della conoscenza).
È possibile, inoltre, affermare che la War for Talent fonda le proprie origini nella particolare
situazione sociale che contraddistingueva gli USA e l’Europa negli anni 90 del secolo scorso,
la quale era caratterizzata da un forte calo demografico che aveva colpito la popolazione
soprattutto nell’intervallo di tempo che va dal 1966 al 1977. Ciò ha portato ad una
conseguente difficoltà per le imprese nel reperire forza lavoro qualificata in coloro che erano
nati in quel decennio, la cosiddetta generazione X. La situazione demografica negativa si è
protratta anche successivamente a tale periodo arrivando fino ad ora in cui si ha un contesto
6
Michaels E., Handfield-Jones H. e Axelrod B. (2001) The War for Talent, Harvard Business School Press,
Boston
12
particolarmente grave per quanto riguarda l’Italia; i dati Istat, infatti, confermano un declino
continuo della fascia di età compresa tra i 25 e i 40 anni
7
.
Tale fenomeno sociale era aggravato dalla sempre meno standardizzazione delle competenze
che ha fatto si che la ricerca dei giusti candidati venisse a rappresentare una vera e propria
sfida per le imprese. Nel loro libro, i consulenti di McKinsey precedentemente citati,
riportano inoltre una serie di cambiamenti (elencati nella figura 1.2) avvenuti nel mercato del
lavoro che stanno, ancora oggi, contribuendo a rendere sempre più intensa la guerra per i
talenti e che quindi stanno spingendo sempre più imprese a focalizzare la loro attenzione
sull’attrazione ed il mantenimento di risorse sempre più scarse al loro interno.
7
Istat (22 settembre 2022) Previsioni della popolazione residente e delle famiglie – base 1/1/2021
[Comunicato stampa]
Figura 2 Popolazione totale prevista secondo gli scenari ISTAT, EUROSTAT E UNPD anni 2021-2070,
milioni di residenti. Fonte: Istat
Figura 1.1 Popolazione totale prevista secondo gli scenari ISTAT, EUROSTAT E UNPD anni 2021-2070, milioni di residenti. Fonte: istat.it
13
Innanzitutto, se in passato erano principalmente le persone ad avere bisogno delle imprese
poiché esse potevano offrire loro un lavoro utile per soddisfare bisogni per lo più materiali,
oggi sono soprattutto le imprese ad avere bisogno delle persone. Come ripetuto più volte,
infatti, il vantaggio competitivo ed il conseguente successo delle aziende dipendono sempre
di più dal fattore lavoro. Mai come oggi, infatti, lo sviluppo delle risorse umane e la
performance aziendale sono state così interdipendenti questo perché sono proprio le persone
ad avere una risorsa fondamentale nell’information age: la conoscenza. Come infatti afferma
un noto studioso giapponese “in un epoca in cui l’unica certezza è l’incertezza, l’unica fonte
per il vantaggio competitivo è la conoscenza
8
”. In secondo luogo, il contesto odierno è
caratterizzato dal fenomeno del talent shortage ovvero della carenza di talenti, che secondo
una survey condotta da Gartner, è uno dei rischi più grandi che le imprese oggigiorno si
trovano ad affrontare
9
. È proprio questo che ha determinato un cambiamento del rapporto tra
datori di lavoro-imprese e lavoratori soprattutto in settori knowledge-intensive in quanto, se
in passato erano i primi a poter scegliere i propri dipendenti tra una vasta area di candidati,
ora, molto spesso, sono questi ultimi a poter decidere tra diversi datori di lavoro. A conferma
di quanto affermato vi è una ricerca condotta da Unioncamere la quale sottolinea come nei
8
Nonaka I. e Takeuchi H. (1995) The knowledge creating company, Oxford University Press, Oxford
9
Gartner (13 Settembre 2021) Gartner Survey Reveals Talent Shortages as Biggest Barrier to Emerging
Technologies Adoption [Comunicato stampa]
Figura 1.2 Trend nel mercato del lavoro: confronto ieri e oggi. Fonte: Michaels E., Handfield-Jones H.
e Axelrod B. (2001) The War for Talent, Harvard Business School Press, Boston
14
prossimi anni ci sarà una forte carenza di neolaureati all’interno del mercato del lavoro. In
particolare, si calcola che di fronte alla richiesta di 246mila laureati all’anno da parte del
sistema economico nazionale, saranno pronti a farvi ingresso solo 191mila persone
10
. Si ha
quindi un gap tra domanda ed offerta di lavoro e ciò fa capire come la guerra per i talenti sia
un fenomeno destinato a diventare sempre più importante in futuro.
Tale grafico mostra le professioni in relazione alle quali si ha il fenomeno del critical
mismatch. In riferimento a queste figure professionali si può infatti ipotizzare che, se non
aumenterà l’offerta, cresceranno le criticità di reperimento sul mercato del lavoro in quanto,
sono proprio quelle per cui ci si aspetta una intensa domanda nei prossimi anni.
Tale gap tra domanda e offerta di lavoro ha inoltre portato ad una conseguenza che
contribuisce a rendere più intensa la lotta per i talenti da parte delle imprese ovvero il fatto
10
Unioncamere (2022) Previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine
(2022-2026) – Scenari per l’orientamento e la programmazione della formazione
Figura 1.3 Fabbisogni quinquennio e difficoltà di reperimento delle professioni. Fonte: Unioncamere (2022) Previsione dei
fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2022-2026) – Scenari per l’orientamento e la
programmazione della formazione