II
avevano usi e costumi sconosciuti con l’unica certezza e fortuna, per la maggior parte,
di avere qualcuno, tra parenti o amici, che li accogliessero e li introducessero al Nuovo
Mondo.
L’emigrazione, per molti, divenne anche un lavoro; vettori e agenzie dirigevano i
loro interessi verso le zone maggiormente popolate e più povere della penisola talvolta
fomentando l’esodo di migliaia di persone o semplicemente fungendo da trait d’union
tra queste ultime, dalla loro partenza alla meta d’arrivo. Negli stati di destinazione, il
guadagno dei grandi proprietari terrieri fu, comunque, superiore rispetto agli
intermediari: grazie alla richiesta europea di prodotti latinoamericani a basso costo, a
forme innovative di conservazione industriale delle merci e attraverso nuove forme di
schiavitù che nascevano dai vincoli che legavano l’emigrante al latifondista, i grandi
proprietari svilupparono una forte esportazione di caffè, di prodotti agricoli e
d’allevamento.
Nacquero così, dalla seconda metà del 1800, i profondi legami che uniscono oggi
grandi paesi come l’Argentina ed il Brasile al nostro, rafforzati ulteriormente con la
costituzione dell’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) che permette ai
discendenti di emigranti, per diritto di sangue, di ottenere la cittadinanza italiana purché
non siano mai stati fatti atti di rinuncia della stessa.
Tra i legami che ci uniscono c’è anche quello religioso, promosso, proprio negli anni
dell’emigrazione di massa, dall’azione diretta di vescovi, prelati e suore che seguirono
gli emigranti nelle nuove terre al fine di mantenere vivo l’attaccamento alla patria ma
soprattutto alla religione cattolica. Nacquero inoltre comitati a difesa di chi partiva, sia
nei vari mandamenti giudiziari di origine, sia nelle maggiori città d’arrivo come Rio de
Janeiro, Santos, Buenos Aires e Montevideo. Numerosa, e anche la più consistente, era
la presenza di italiani in molte colonie dell’Argentina e del Brasile meridionale dove
III
hanno lavorato e creato, dove si sono imposti alle difficoltà che li aspettavano e dove
hanno lasciato, oltre ai loro cognomi, anche il ricordo di un fenomeno tanto vasto
quanto doloroso e silenzioso.
1
Capitolo primo
Un grande fenomeno sociale: l’emigrazione
Nell’età moderna, l’emigrazione verso le Americhe ebbe inizio subito nel 1500,
dopo e per merito delle scoperte geografiche. A fine ’700 più di 4 milioni di europei
erano già emigrati oltre l’Atlantico, inizialmente spagnoli e portoghesi nelle loro
colonie, poi anche dall’Irlanda che era la più povera e sovrappopolata delle isole
britanniche. Ma le cifre più alte furono registrate nell’intervallo compreso tra l’inizio
dell’800 ed il 1930, nel quale si calcola che gli europei messisi in viaggio per l’America
furono circa 40 milioni. Nell’Italia preunitaria il movimento migratorio era soprattutto
intereuropeo fin dalle guerre napoleoniche: si formarono isolate colonie di italiani nel
bacino del Mediterraneo, tutte però di modeste entità, tra le quali, la più grande,
stabilitasi in Francia, non superava gli 80.000 individui.
Solo oggigiorno l’emigrazione può essere considerata, per il nostro Stato, il più
imponente fenomeno di natura sociale dal punto di vista quantitativo; infatti, dalla sua
unità fino agli inizi degli anni ’70 del 1900, l’Italia ha visto emigrare più di 27 milioni
di concittadini
1
.
Inizialmente l’aspetto numerico del fenomeno fu preso in considerazione, tra i primi,
dal Deputato ferrarese Leone Carpi che, nel 1874, pubblicò una propria opera in quattro
volumi dal titolo “Delle colonie e dell’emigrazione di italiani all’estero” (Milano,
1
G. Rosoli, La grande emigrazione e le comunità italiane all’estero, in Cultura nazionale, culture
regionali, comunità italiane all’estero, (collana di testi e documenti), a cura di Francesco Schino, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana fondata da G. Treccani, 1988, p. 41.
2
1874). Tuttavia, l’attendibilità del suo lavoro e delle sue statistiche fu criticata dal
Senatore Luigi Bodio, perché le notizie sull’emigrazione non venivano “pubblicate dal
Governo direttamente” ma passavano “a traverso un lavoro di compilazione, di
comparazioni e di apprezzamenti privati, che non lasciavano scorgere facilmente
l’autenticità della fonte ufficiale”. “Illustrandolo con sue proprie considerazioni, molto
diffuse e ispirate a concetti, che io [Bodio] non sono [era] chiamato adesso [allora] ad
apprezzare”
2
. Probabilmente il Senatore criticava il fatto che non tutti i sindaci avevano
risposto ai quesiti del Carpi e “nei totali erano considerati emigrati clandestinamente
anche coloro che erano partiti senza passaporto ma della cui partenza i sindaci erano a
conoscenza”
3
.
Solo dal 1876 lo stesso Bodio, nominato direttore della giunta centrale di statistica
del Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio (M.A.I.C.) sotto il primo
mandato di Agostino Depretis, cominciò la rilevazione ufficiale dell’emigrazione
aiutato, nel suo compito, dai prospetti che i sindaci di ogni comune inviavano ad
intervalli regolari al Prefetto e che dalla Prefettura arrivavano all’ufficio centrale. Nel
riempire i prospetti i sindaci vi dovevano inserire le stesse risposte che i partenti
dovevano lasciare agli ufficiali comunali dichiarando l’età, la professione, il luogo in
cui si recavano, il modo e con quale mezzo e se sarebbero partiti da soli o in gruppi
4
.
Dal 1876 allo scoppio della prima guerra mondiale si registrò l’espatrio di 14 milioni
di cittadini, di cui più della metà erano diretti ai paesi oltreoceano e soprattutto negli
Stati Uniti e, in America Latina, Brasile, Argentina e Uruguay. La restante parte era
2
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975. Storia e documenti,
Firenze, Vallecchi, 1978, vol. I, p. 57, (M.A.I.C., Annali, Roma, 1878, Commissione per l’emigrazione.
Seduta del 26 marzo 1877, pp. 192-200).
3
M. Trapani, L’emigrazione lucchese nella seconda metà del sec. XIX riflessa nei documenti
d’archivio, in Ai Lucchesi che hanno onorato l’Italia nel mondo, a cura di N. Mazzanti, Camera di
Commercio di Lucca, 1993, p. 135.
4
Ibidem.
3
ospitata in quelle nazioni europee che prima dell’Italia erano riuscite a far frutto dello
sviluppo industriale come la Gran Bretagna, la Francia, l’Austria-Ungheria, la Germania
e la Svizzera.
Dividendo in due sottoperiodi l’arco di tempo preso in considerazione, nel periodo
1876-1900 espatriarono mediamente 210.000 persone all’anno mentre, nei primi 13
anni del secolo XX, la media superò le 600.000 unità, toccando nel 1913 la punta
massima di 872.598 emigranti. Ciò fu dovuto in parte ad una norma contenuta nella
legge del 1901 che ridusse gli impedimenti all’espatrio conseguenti all’obbligo di
prestare il servizio militare: fu abolito il divieto di emigrare alla seconda categoria di
leva, mentre per la prima venne abbassato il limite minimo d’età passando da 32 anni a
28 anni. La nuova normativa doveva favorire l’espatrio nei periodi di malessere sociale
come nel 1913, anno di crisi economica agricola, industriale e di disoccupazione.
L’aspetto negativo venne evidenziato durante la chiamata alle armi per la prima guerra
mondiale, in cui si registrò la più ampia renitenza
5
.
È pur anche vero che nello stesso periodo venne evidenziato un aumento della
partecipazione femminile all’emigrazione, specialmente negli anni precedenti al
conflitto, periodo in cui le donne, per evitare che i mariti perdessero il lavoro, si
aggiunsero e poi si sostituirono agli stessi chiamati nell’esercito.
Dopo il grande calo corrispondente alla prima guerra mondiale, l’emigrazione
riprese la sua “febbre” americana (così chiamata non solo per la sua consistenza ma
anche per il pregiudizio corrente che vedeva nella partenza per l’America l’unico grande
indicatore del disagio economico) e, come seconda meta, la Francia che, stremata dalla
guerra, attuava una politica di popolamento soprattutto nelle campagne.
5
E. Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979,
p. 266.
4
Sarà poi Benito Mussolini ad imporre una restrizione dell’esodo alla fine degli anni
venti e tenterà con successo di diffondere le associazioni ricreative e culturali fasciste in
Argentina, Brasile e Stati Uniti.
L’emigrazione si riaccese con la fine della seconda guerra mondiale fino ad esaurirsi
definitivamente con la crisi economica internazionale degli anni ’70, che rese meno
allettante l’espatrio. In conseguenza delle profonde trasformazioni demografiche ed
economiche, si preferisce parlare oggigiorno di comunità italiane all’estero o di stock
6
e
pensare all’Italia non più come paese di emigranti ma come meta d’arrivo.
Per spiegare le cause di un così grande esodo bisogna risalire al secolo precedente: il
progresso della medicina e il conseguente generale miglioramento delle condizioni
sanitarie avevano contribuito alla caduta del tasso di mortalità e ad un inevitabile ed
intenso sviluppo demografico. Per capire quanto le risorse erano insufficienti a coprire i
fabbisogni di una popolazione crescente, basta osservare l’aumento della stessa
dall’inizio alla fine del 1800 passata da 17.860.000 a 32.475.000 abitanti con un
aumento complessivo dell’82% circa
7
. Nello stesso periodo l’industria stava diventando
l’attività principale delle economie nazionali e, il suo impiego nell’agricoltura,
determinò la cosiddetta disoccupazione tecnologica e, nel settore artigianale,
l’eliminazione di molteplici attività.
Aumentava sempre più il numero dei cercalavoro e dei diseredati mentre “il capitale,
purtroppo, non si crea[va] con la stessa facilità con la quale vedon [vedevano] la luce i
rampolli delle famiglie operaie”
8
. L’attrazione era divenuta la città e insieme
giungevano notizie d’oltreoceano che nazioni giovani bisognavano di manodopera, che
6
G. Rosoli, La grande emigrazione e le comunità italiane all’estero, cit., p. 41.
7
E. Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Milano,
Mondadori, 1995, p. 143.
8
E. Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, cit., pp. 75-76.
5
c’era la terra per tutti; in una sola parola, stava nascendo il “sogno americano”. Ma il
desiderio di avventurarsi in terre lontane di alcuni, non era minimamente paragonabile
alla vera causa dell’emigrazione: la povertà.
Ma, nella storia, l’aspetto economico non è stato l’unico motivo di emigrazione.
Anzitutto non si devono dimenticare i 10 milioni di neri strappati coattivamente
dall’Africa centrale e occidentale e venduti in America come schiavi, né si deve
sottovalutare la persecuzione di minoranze etniche o etnico religiose costrette ad
emigrare. Il riferimento più evidente concerne la fuga degli ebrei dall’Europa
soprattutto verso U.S.A., Argentina e Brasile, non solo negli anni delle dittature naziste
e fasciste ma anche precedentemente dall’Austria-Ungheria e dalla Russia dove gli ebrei
furono ritenuti responsabili dell’attentato allo zar Alessandro II nel 1881 e della
sconfitta col Giappone nel 1905
9
.
Anche in Italia, ancor prima delle leggi razziali, c’era già stata la persecuzione di una
minoranza etnico religiosa in periodo preunitario. I valdesi del Piemonte, di religione
protestante, furono tollerati ufficialmente solo con l’editto di Carlo Alberto nel 1848 che
li emancipava insieme agli ebrei. Da quell’anno anche i valdesi ebbero la libertà di
emigrare liberamente; fu così che dal 1856 iniziò la loro migrazione negli altri staterelli
dell’Italia ed anche in America Latina, inizialmente con non poche difficoltà.
Formarono colonie, producendo frutta e uva, in Uruguay e Argentina, e aumentando di
numero durante gli anni del fascismo, sempre per effetto dell’intolleranza
10
.
9
Cfr. Enciclopedia Europea, vol.VII, p. 846.
10
C. Vangelista, Dal vecchio al nuovo continente. L’immigrazione in America Latina, Torino, Paravia,
1997, p. 89.
6
Capitolo secondo
Il fenomeno nella società italiana
1. Il dibattito politico dall’unità alla prima guerra mondiale
Nel XIX secolo, l’emigrazione temporanea non destava nessun problema al
mantenimento del sistema di sfruttamento del lavoro contadino. Con una certa
preoccupazione, invece, era vista l’emigrazione permanente verso la fine degli anni ’60,
allorchè iniziò a crescere a causa della spietata repressione del brigantaggio meridionale
insieme al diffondersi delle nuove vie di comunicazione e all’introduzione dal 1868
della tassa sul macinato sotto il secondo Governo di Luigi Menabrea. I primi ad
avvertire la consistenza del fenomeno furono gli agrari perché l’esodo contadino
minacciava il rapporto tra patti agrari e salari con evidente aumento degli ultimi,
lievitando il costo della manodopera
1
.
Nella giovane classe dirigente dell’Italia unita emersero contraddizioni tra chi
chiedeva al Governo un freno dell’emigrazione e chi, come gli ambienti armatoriali e
liberisti genovesi, era favorevole alla liberalizzazione dell’esodo. Fu il settore agrario
dei grandi proprietari di latifondi ad avere la meglio in Parlamento, infatti, proprio il 23
gennaio 1868, uscì la circolare del Ministro dell’Interno Raffaele Cadorna che
raccomandava ai prefetti di non lasciar partire per l’America e l’Algeria i lavoratori
italiani che non dimostrassero di avere “occupazione ben assicurata e mezzi sufficienti
1
E. Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, cit., p. 73.
7
di sussistenza”. La settimana successiva, esattamente il 30 gennaio, durante una seduta
parlamentare, il Deputato ligure Stefano Castagnola, favorevole all’emigrazione, si era
levato a parlare contro le scelte governative considerando il “lato altamente proficuo
dell’emigrazione” e ricordando che “se mai la Liguria si trova[va] al giorno d’oggi in
uno stato relativo di floridezza, ciò si deve [doveva] per non poca parte
all’emigrazione”, sconsigliando infine qualsiasi politica repressiva. La discussione
rientrava nell’interpellanza del Deputato Ercole Lualdi, contrario agli espatri e
favorevole a risolvere il problema attraverso una politica meramente poliziesca e
repressiva, e che criticava il Governo accusandolo di non far niente da un punto di vista
pratico e precisando che “[...] mancheranno [sarebbero mancati] gli uomini necessari
per lavorare i terreni e per isviluppare l’industria”. Al Lualdi rispose nella stessa seduta
parlamentare il presidente del Consiglio Luigi Menabrea, dicendo che il Governo non
poteva “impedire che cittadini italiani emigrino [emigrassero] all’estero”, invitando
proprietari terrieri e industriali a “dare alla gente del popolo una condizione
conveniente, [...] che quella povera gente, e coi mezzi di trasporto resi così facili, e colle
promesse dalle quali sono [erano] allettati, si decide[va] a emigrare”
2
. Era la prima volta
che la questione dell’emigrazione entrava nelle aule del Parlamento nazionale e non fu
un caso che la denuncia, “alquanto interessata”, provenisse proprio dal Lualdi, Deputato
e rappresentante di un collegio industriale e industriale cotoniero egli stesso
3
. La
circolare colpiva la grande massa dei contadini poveri che gli agrari intendevano
proteggere, come scusa, da avidi speculatori. Il compatto fronte antiemigrazionista
2
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975 [...], cit., in A. P.,
Camera dei Deputati, Discussioni, tornata del 30 gennaio 1868, vol. I, pp. 7-13.
3
E. Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo [...], cit., p. 156.
8
aveva costretto la Destra Storica ad abbandonare la tradizione liberale di Cavour
favorevole all’emigrazione sull’esempio inglese
4
.
Sull’argomento presero piede proposte di colonialismo a livello nazionale perché,
chi osservava l’emigrazione britannica, notava come gli inglesi andassero ad abitare le
terre da loro conquistate, “[...] mentre gli italiani si perdevano fra estranie genti”
5
.
Neppure la giovane classe borghese, che chiedeva via libera all’emigrazione per liberare
le città dalla zavorra sociale, fu presa in considerazione.
Ma, poiché l’emigrazione continuava incessantemente a crescere nonostante le
restrizioni imposte, si giunse il 18 gennaio 1873 all’emissione di una nuova circolare
del presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno Giovanni Lanza. Quest’ultimo
aveva difeso l’emigrazione come fenomeno economico naturale, ma la sinistra
meridionale e la pressione degli stessi agrari avevano posto un freno alle sue idee
liberali chiedendo, tuttavia, ai proprietari terrieri, come fece Luigi Menabrea, maggior
impegno per curare e sviluppare le loro terre e dare ai contadini più lavoro e migliori
condizioni di vita. Il nuovo documento ufficiale negava il nulla osta all’espatrio ai
giovani che ancora dovevano prestare il servizio militare, ai militari senza congedo
assoluto, agli inabili e soprattutto a “chi era sfornito di mezzi” vale a dire di capitali,
colpendo direttamente chi emigrava perché, appunto, di capitali non ne aveva,
favorendo così l’usura e l’espatrio clandestino. Era infine richiesto ai prefetti di
pubblicare sui giornali articoli relativi alla cattiva sorte degli emigrati italiani nel
tentativo di “[...] distogliere dall’emigrazione i cittadini [...]”
6
.
4
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975 [...], cit., vol. I, p. 6.
5
M. Vernassa, Alle origini dell’interessamento italiano per l’America Latina, modernizzazione e
colonialismo nella politica crispina: l’inchiesta del 1888 sull’emigrazione, Pisa, Ets, 1996, cit., p. 44.
6
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975 [...], cit., vol. I, pp.
30-31.
9
Nel 1876 lo schieramento politico, che aveva guidato i primi 15 anni di monarchia,
perse le elezioni. Il nuovo leader Agostino Depretis non seppe interpretare nel miglior
modo il fenomeno “emigrazione” ed anzi lo sottovalutò cercando di sdrammatizzare la
situazione. Ciò è dimostrato dall’abolizione della precedente circolare Lanza da parte
del nuovo Ministro dell’Interno Giovanni Nicotera e dall’introduzione, il 20 settembre
dello stesso anno, di una nuova circolare che si limitava ad invitare i prefetti a
scoraggiare l’emigrazione “artificiale” (quella cioè alimentata da agenti che la
propagandavano). Una critica particolare alla circolare giunse dai contadini lombardi sul
giornale socialista “La Plebe”. Nell’articolo, testimonianza di una crisi profonda, venne
ripreso un fatto storico, e in più biblico, che paragonava lo Stato italiano agli antichi
egizi che costrinsero “gli ebrei da essi sfruttati a non uscire dalla terra di servitù […]”.
“Avete nell’emigrazione una valvola di sicurezza: vi consigliamo nel vostro interesse e
pel minore dei mali a non chiuderla”
7
.
Due anni più tardi, nel 1878, Luigi Luzzatti e Marco Minghetti, esponenti della
Destra Storica, presentarono nel dibattito politico un progetto di legge sull’emigrazione
più moderno e liberale. Nel tentativo di porre fine alla “politica migratoria meramente
poliziesca”, proposero di sottrarre il controllo dell’emigrazione al Ministero dell’Interno
e di passarlo a quello dell’Agricoltura. Ancora una volta la reazione del settore agrario
fu immediata e compatta rendendo vano il tentativo dei due liberali
8
. Cinque anni dopo,
nel 1883, l’emigrazione non aveva ancora una sua legislazione ufficiale, se non una
legge di pubblica sicurezza del 1865 che “la lasciava completamente all’arbitrio del
Ministero dell’Interno che emanava disposizioni secondo le circostanze e sottoforma di
ordinanze alle autorità locali di polizia”
9
. Fu di nuovo Agostino Depretis, nel corso del
7
Ibidem, vol. I, pp. 78-79.
8
Ibidem, vol. I, pp. 102-103.
9
Ibidem, vol. I, p. 7, nota n. 20.
10
suo quarto Ministero, ad emanare il 6 gennaio 1883 una nuova circolare che, con
l’intenzione di tutelare l’emigrazione, cercava invece di contrastarla imponendo una
tassa sui passaporti
10
. Di idee diametralmente opposte era il Deputato Sidney Sonnino
che considerava l’emigrazione un potente strumento di colonizzazione, asserendo che
era indispensabile per chi restava, che non avrebbe mai assorbito l’eccedenza di
manodopera agraria e industriale e che era “una preziosa valvola di sicurezza” per
“impedire le minacce di disordini e guai di ogni specie”
11
.
Nonostante interminabili dibattiti politici, nel corso degli anni ’80 si stavano creando
ed accorpando, sul territorio nazionale, società di navigazione coll’intento di collegare
meglio i maggiori porti italiani con quelli latinoamericani. Il 4 settembre 1881 era nata
la “Navigazione Generale Italiana” attraverso la fusione delle società “Florio” e
“Rubattino”. Ma il traffico emigratorio dal nostro paese stuzzicava gli interessi del
capitale straniero e soprattutto quello delle banche tedesche. Un consorzio di
quest’ultime rilevò nel maggio 1889 la maggioranza delle azioni della società genovese
la “Veloce” sorta nel 1885 e fallita a causa del naufragio di un grosso piroscafo
12
.
Negli stessi anni l’Italia stava affrontando una crisi agraria che si aggravava ancor
più con l’introduzione delle tecniche industriali nell’agricoltura, il tutto appesantito dal
diffondersi della pellagra. Scoppiarono le prime agitazioni agrarie e anche l’abolizione
della tassa sul macinato nel 1884 non poteva risolvere il problema della disoccupazione.
Fu in simili circostanze che si iniziò ad analizzare il fenomeno dell’emigrazione da
un’altra angolatura: stava sempre più perdendo l’etichetta di “problema” per diventare
invece la soluzione del disagio sociale.
10
Ibidem, vol. I, pp. 110-111.
11
Ibidem, (Interrogazione di Sidney Sonnino sulla circolare del 6 gennaio 1883; in A.P., Camera dei
Deputati, Discussioni, tornata del 7 maggio 1883), vol. I, pp. 115-125.
12
M. Vernassa, Alle origini dell’interessamento italiano per l’America Latina [...], cit., pp. 66-67.
11
I colonialisti convinti proponevano conquiste nella vicina Africa cercando di
coniugare esodo e colonizzazione per “[...] avere anche noi il nostro posto al sole [...]”,
ed evitare che la nostra emigrazione si disperdesse “sulla faccia del globo”
13
.
Inizialmente le loro idee prevalsero su quelle dell’imprenditoria più propensa ai mercati
e alle colonie di italiani in America, evitando in tal modo costose occupazioni militari. I
risentimenti degli africanisti non potevano restare indifferenti agli esiti del Congresso di
Berlino del 1885 che aveva assegnato al piccolo Stato del Belgio l’immenso territorio
del Congo. Anche il Ministro degli Esteri, Pasquale Mancini, giustificava le mire
africane per indirizzare l’emigrazione dove sventolasse la bandiera nazionale
14
.
Nel 1887 morì Agostino Depretis, succedendogli come primo Ministro Francesco
Crispi. Nonostante le spinte africaniste ed essendo sostenitore del colonialismo, il nuovo
premier diede finalmente una nuova legislazione all’emigrazione a fine dicembre 1888.
Nello stesso anno, infatti, venne ricostituita, dopo tre anni di inattività, una speciale
commissione che aveva tra i consiglieri Luigi Bodio, uomo vicinissimo a Crispi, e come
compito quello di investigare sull’emigrazione. Le ricerche terminarono nel tentativo di
distogliere Francesco Crispi dall’illusione di avviare l’emigrazione in Africa, facendo
inoltre notare allo statista che non era possibile e né conveniente contenere l’esodo
15
.
La legge che ne scaturì fu definita di compromesso perché, mentre riconosceva le
tesi degli agrari colpendo avide agenzie di emigrazione e sorvegliando il flusso di
manodopera dalle singole zone di produzione agricola, dava al tempo stesso, alle
compagnie di navigazione, la possibilità di ottenere le necessarie patenti. Tendeva alla
protezione dell’emigrante regolando l’indispensabile, vigilando, così credeva Crispi,
13
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975 [...], (Interpellanza
del Deputato Francesco De Renzis al Ministro degli Esteri Pasquale Mancini sulla politica coloniale; in
A.P., Camera dei Deputati, Discussioni, tornata del 25 gennaio 1885), cit., vol. I, pp. 128-131.
14
Ibidem, vol. I, pp. 126-127.
15
M. Vernassa, Alle origini dell’interessamento italiano per l’America Latina [...], cit., pp. 75-76.
12
sulla libertà di emigrare
16
. Tra gli obiettivi di Crispi vi era, infatti, anche quello di dar
vita ad un circuito commerciale tra le colonie americane e il nostro settore produttivo,
trasformando l’emigrazione da “elemento di debolezza ad un fattore di potenza”
17
. A tal
fine promosse un’inchiesta attraverso circolari inviate ai consoli dei paesi
latinoamericani nelle quali si richiedeva una panoramica delle condizioni di vita dei
nostri concittadini, l’importanza dell’aspetto coloniale, l’occupazione dei nostri
emigrati, i salari e tutto quanto potesse essere utile per un miglioramento. Per spiegare
l’enorme sproporzione tra un’alta emigrazione e scarsi rapporti commerciali, Abele
Damiani, sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri (nuovo organo voluto
da Crispi), inviò ai regi consolati in America una circolare in cui erano elencate, a
parere dei nostri politici, “le cagioni per le quali le nostre importazioni in America sono
[erano] molto ristrette”; l’indice fu puntato sugli “alti dazi d’entrata” applicati
soprattutto ai prodotti agricoli, sulla “mancanza di una completa e forte rete di linee di
navigazione a vapore fra la nostra penisola e l’America” e sulla “scarsità, se non
mancanza, di negozianti commissionari italiani”. L’inchiesta era inoltre volta a spiegare
per quale motivo i dazi di entrata, che erano uguali per ogni stato, non fossero proibitivi
“per la Spagna, che vi manda[va] vini in grande quantità, e per il Belgio, la Francia, la
Germania e l’Inghilterra che vi spediscono [spedivano] zucchero raffinato, filati e
tessuti, manifatture, macchine, ecc.”
18
.
16
Z. Ciuffoletti-M. Degl’innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975 [...], cit., vol. I, p.
154.
17
M. Vernassa, Alle origini dell’interessamento italiano per l’America Latina [...], cit., p. 79.
18
Ibidem, pp. 103-104.