2
Per far questo si ritiene di ricorrere alla documentazione raccolta dall’Office Federal de la
Statistique (OFS) di Neuchatel, dal centro Immigration, Integration, Emigration Suisse (IMES),
dall’Organisation de Coopération et de Développement Economiques (OCDE) e dal Système
d’Observation Permanente des Migrations (SOPEMI) di Berna.
Per quanto riguarda i frontalieri, vale a dire i lavoratori pendolari verso la Svizzera, che
hanno l’obbligo del rientro quotidiano in Italia, è importante cercare di valutarne l’entità, i
settori di occupazione, oltre a prendere in considerazione le ragioni del fenomeno, le condizioni
in cui esso si svolge, dal punto di vista fiscale, contrattuale, previdenziale ed assicurativo, sia in
caso di licenziamento che di malattia o infortunio. A tal fine, una preziosa collaborazione è
quella accordata dal signor Pietro Pizzini, ex presidente dell’ACLI di Sondrio, e dal signor
Giuseppe Barbusca, della CGIL di Morbegno, la cui esperienza professionale in tema di
frontalierato costituisce una fonte insostituibile di informazioni su un fenomeno troppo a lungo
trascurato dalle statistiche ufficiali.
Infine, per analizzare le prospettive di sviluppo in tema d’emigrazione, occorre prendere
in considerazione le opere realizzate nonché i progetti formulati dal Consiglio Sindacale
Interregionale Lombardia-Sondrio-Grigioni ed i nuovi rapporti che si stanno profilando, negli
ultimi anni, tra la Svizzera e l’Unione Europea, inserendo il testo originale dell’Accordo sulla
libera circolazione delle persone, del 1999, e la legge federale sull’acquisto della cittadinanza
svizzera, aggiornata al 2003.
3
Capitolo 1
L’ECONOMIA VALTELLINESE DALL’UNITA’ D’ITALIA AL
SECONDO DOPOGUERRA
1.1. Cenni storici
La Valtellina e la Valchiavenna hanno storicamente vissuto periodi complessi e
drammatici. Queste valli, infatti, in epoche passate hanno rivestito una notevole importanza
strategica e commerciale grazie al fatto che al loro interno transitavano alcune fra le più
importanti vie di comunicazione sulla direttrice Nord-Sud Europa: il valico dello Spluga, la via
Mala, il passo del Settimo, la via Priula, il passo San Marco, il passo del Maloja, il passo del
Muretto, il passo dell’Aprica, il valico del Bernina, il passo di San Giacomo e la Strada
Imperiale
1
. Per questo motivo, il territorio dell’attuale provincia di Sondrio ha sempre attirato
l’attenzione delle potenze straniere che, nel corso dei secoli, si sono alternate con la propria
presenza politico-militare, spesso con gravi danni per le popolazioni locali.
Già a partire dal tardo Impero Romano, le strade dello Spluga e del Settimo furono
segnate sugli itinerari ufficiali e le invasioni barbariche coinvolsero tutta la zona delle Alpi
Centrali. In realtà, i romani sottomisero questa zona solamente con Augusto, intorno al 16/15
a.C., “quando gli abitanti della Valtellina erano forse i Vennonetes”
2
. Con l’ingresso nella
romanità, l’attuale provincia di Sondrio assunse quell’organizzazione che sarà alla base del suo
successivo sviluppo, anche se non scomparvero mai del tutto i ricordi legati ai tempi precedenti,
nella lingua e nelle consuetudini del settore agricolo e pastorale.
Nel secolo VI, per la prima volta, compare il nome di Valtellina che deriva dall’antico
centro urbano di Teglio situato “sulla sponda soliva tra Sondrio e Tirano”
3
e che significa
appunto “Valle di Teglio”.
1
Guicciardi C., “Sintesi strutturale della provincia di Sondrio”, in: C.C.I.A.A. di Sondrio, Valtellina e Valchiavenna
rivista della Camera di Commercio di Sondrio, numero speciale sullo sviluppo dell’economia provinciale, aprile 1998.
2
Antonioli G., Perotti G., Le tracce della storia, in: Comunità Montane di Bormio, Tirano, Sondrio, Morbegno,
Valchiavenna, Conoscere la Valtellina e la Valchiavenna, Officine Grafiche De Agostini, Novara, 1990, p. 13.
3
Guicciardi C., cit.
4
Con il dominio longobardo e quello franco, da Carlo Magno al X secolo, si dispone di
una più attendibile documentazione che testimonia le assegnazioni del territorio a feudatari, per
lo più ecclesiastici, come il monastero di San Dionigi
4
.
I passi alpini riconquistarono la loro importanza con l’impero tedesco ed il loro
controllo venne conteso tra i vescovi di Como e di Coira cosicché si formò una rete di pievi in
diverse località valtellinesi e valchiavennasche cui se ne deve aggiungere una sorta ad Olonio
(attualmente in provincia di Como, al confine occidentale del Pian di Spagna). Col tempo, la
supremazia di Como si affermò sul piano sia civile che religioso, ad eccezione dei territori di
Bormio e di Chiavenna che continuarono a godere di un’ampia autonomia, concessa allo scopo
di garantirne la fedeltà necessaria per il controllo dei passi strategici, verso i quali si
estendevano le fortificazioni ed un certo numero di rifugi per i viandanti. Le lotte interne tra
guelfi e ghibellini in Como e l’eterna rivalità con Milano ben presto coinvolsero anche i territori
alpini dove, agli inizi dell’XI secolo, presero vita le istituzioni comunali, a partire da Chiavenna
5
.
Nel 1335, i Visconti di Milano si impadronirono di Como e dei suoi domini, tra cui la
Valtellina, la Valchiavenna ed il Bormiese: tre entità distinte, le ultime due delle quali ebbero
modo di godere sempre di una certa autonomia. La Valtellina vera e propria, retta da un
governatore di valle, fu suddivisa in tre Terzieri. Questa sistemazione amministrativa
corrispondeva ad una situazione territoriale di fatto, con cinque centri di riferimento, attorno ai
quali si aggregavano le comunità delle valli e del piano, ognuna delle quali si fu sempre
caratterizzata da forti sentimenti campanilistici. La stessa suddivisione territoriale sarà poi
mantenuta per tutto il periodo grigionese
6
.
Le lotte fra guelfi e ghibellini stavano insanguinando le valli quando si affacciarono due
pretendenti: la Serenissima dalle Orobie ed i Grigioni da nord. Fermata Venezia con la battaglia
di Delebio, nel 1432, ed i Grigioni con quella di Caiolo nel 1486, il benessere dell’età sforzesca si
concluse con la fuga di Ludovico il Moro dai suoi domini, proprio attraverso la Valtellina.
Quando, nel 1512, dopo un burrascoso periodo di predominio francese, i Grigioni riuscirono a
raggiungere la Valtellina, la popolazione li accolse con una sorta di sollievo. Le cose erano
destinate a cambiare nei decenni successivi, quando le diverse ragioni di malcontento trovarono
4
Antonioli G., Perotti G., cit.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
5
un’espressione unificante nel sentimento religioso cattolico, di fronte alla predilezione dei retici
per il protestantesimo. Non mancarono neppure tentativi di riconquista da parte di Milano:
famoso quello, ben presto fallito, messo in atto dal castellano di Musso, Gian Giacomo de
Medici, il Meneghino
7
.
Mentre le valli diventavano un rifugio per i riformati, la loro importanza strategica si
faceva determinante per l’equilibrio dell’intera Europa: è allora che si parla del “corridoio
valtellinese” come di un percorso vitale, sia per il collegamento fra i diversi domini asburgici, sia
per l’autonomia di potenze come Venezia e la Francia.
Nell’intrico della politica internazionale, entrano in gioco i sentimenti religiosi e così i
valtellinesi, nel 1620, con la benevolenza degli Asburgo, insorgono contro gli eretici uccidendone
a centinaia. Quello che è passato alla storia come “Sacro Macello” è solo l’inizio di un ventennio
di guerre, azioni diplomatiche, carestie e pestilenze che culmineranno nella guerra europea dei
trent’anni. Questo buio periodo di battaglie e distruzioni terminò solo nel 1639 col Capitolato di
Milano, che assegnò nuovamente l’attuale provincia di Sondrio ai Grigioni, con qualche garanzia
in più soprattutto dal punto di vista religioso
8
.
L’arretratezza di un’economia essenzialmente chiusa dimostrò tutta la sua fragilità
quando, con Napoleone, Valtellina e Valchiavenna tornarono a far parte del territorio lombardo
il 10 ottobre 1797
9
. Dopo l’ondata napoleonica, gli ardori rivoluzionari si affievolirono e, anche
se il passaggio al dominio austriaco trovò ostacoli da parte degli elvetici, uniti a qualche gruppo
nostrano, questo avvenne in modo sostanzialmente pacifico, grazie anche all’abilità della
diplomazia imperiale e secondo i desideri espressi dalle comunità delle valli, eccetto il
Bormiese
10
.
Fu così che, col Congresso di Vienna del 1815, il dipartimento dell’Adda prese il nome di
provincia di Sondrio, parte integrante del Lombardo-Veneto, e particolarmente curata dai nuovi
dominatori per i collegamenti diretti col centro dell’impero
11
. Nacquero le ardite strade dello
Spluga e dello Stelvio, fu rettificata l’Adda alla foce e si iniziarono numerose opere di bonifica, il
tutto sotto una rigida, ma efficiente burocrazia a cui non sfuggiva nulla, nemmeno il controllo
7
Antonioli G., Perotti G., cit.
8
Ibidem.
9
De Bernardi L., Commercio e turismo in Valtellina e Valchiavenna. Una storia che viene da lontano, a cura
dell’Unione del Commercio, del Turismo e dei Servizi della provincia di Sondrio e della C.C.I.A.A. di Sondrio, Litografia
Mitta, Sondrio, 1994.
10
Antonioli G., Perotti G., cit.
11
De Bernardi L., Commercio e turismo, cit.
6
sull’amministrazione ecclesiastica
12
.
Nel 1848, Valtellina e Valchiavenna si ribellarono partecipando con onore alla guerra
d’indipendenza. Così pure avvenne dieci anni più tardi quando, già liberate, esse salutarono con
entusiasmo la venuta di Garibaldi ed entrarono a far parte della storia nazionale. Una storia
vissuta con difficoltà a livello locale per l’arretratezza dell’economia agricola, lo svantaggioso
inserimento in una realtà più vasta e gli oggettivi ostacoli alla riconversione. L’industria si
affermò solo in modo sporadico, almeno fino ai massicci interventi nel settore idroelettrico che
però, una volta conclusi i lavori, lasciarono ben poco spazio all’occupazione. Sul versante dei
collegamenti, le scelte europee ed italiane si rivolsero ad altre regioni, per cui venne a mancare
un’ulteriore fonte di reddito a cui spesso si suppliva, dato anche il consistente sviluppo
demografico, con l’emigrazione
13
.
1.2. Caratteristiche morfologiche della zona
La provincia di Sondrio, spesso chiamata in modo non del tutto corretto Valtellina, è
solcata da due grandi vallate alpine: la Valtellina e la Valchiavenna. La prima è posta in senso
latitudinale tra le Alpi Retiche e le Prealpi Orobiche, dal Pian di Spagna (dove finisce il lago di
Como) fino allo Stelvio; la seconda, che deriva il suo nome dalla cittadina di Chiavenna, è
disposta in direzione Nord-Sud, dal giogo dello Spluga fino al lago di Novate Mezzola e, quindi,
di Como.
Geograficamente la provincia, che attualmente conta 177000 abitanti
14
, si colloca nel
Nord-Est della Lombardia, del cui territorio occupa circa la quinta parte, 3212 Kmq, tutti in
zona alpina.
Sul fondovalle, in Valtellina, scorre il fiume Adda, le cui sorgenti scaturiscono nella Valle
di Fraele, nel comune di Valdidentro; in Valchiavenna, invece, abbiamo il Mera corso d’acqua a
carattere torrentizio, che nasce al passo del Settimo e, dopo un breve tragitto, confluisce nelle
vicinanze di Colico, anch’esso nel lago di Como.
Come già accennato, la provincia di Sondrio occupa un territorio totalmente alpino e
questo ha influito molto sul suo sviluppo economico, sia passato che presente. Il carattere
12
Ibidem.
13
Antonioli G., Perotti G., cit.
14
ISTAT, Censimento abitazioni e popolazioni, 2001, risultati provvisori, 2003.
7
montuoso della zona, infatti, ha spesso reso difficili la viticoltura e l’agricoltura ed ha indotto gli
abitanti ad apportare grandi modifiche al paesaggio con il vigneto a terrazzi ed il maggengo.
D’altro canto, storicamente, gli insediamenti si sono concentrati quasi esclusivamente
nelle valli: Chiavenna, Morbegno, Sondrio, Tirano, Bormio. Tra questi, a Chiavenna e a Bormio,
le scelte economiche erano subordinate alle esigenze dei traffici attraverso i valichi alpini. Le
attività nelle altre zone, invece, hanno avuto un indirizzo obbligato, legato ad un’agricoltura di
sopravvivenza ed alla faticosa ricerca di risorse che permettessero di sostenere i ritmi
dell’eccessivo sviluppo demografico rispetto alla scarsità ed alla povertà della terra coltivabile.
Per quanto riguarda le infrastrutture, tutte le innovazioni poste in atto dal governo
austriaco, agli inizi dell’Ottocento, e dallo Stato unitario, all’inizio del Novecento, non hanno
portato ad un reale sviluppo dell’economia locale, che rimase sostanzialmente chiusa. L’apertura
delle nuove vie di comunicazione aveva motivazioni militari: i governi che si sono succeduti non
avevano interesse a far fiorire la zona, ma solo a controllarla, dato che la consideravano
semplicemente un punto di passaggio, strategicamente importante, verso la vicina Svizzera e il
Nord Europa.
1.3. Quadro economico provinciale all’ingresso nel Regno d’Italia
“Domani 18, a mezzogiorno, il governo fa qui tirare 101 colpi di cannone per la
proclamazione del Regno d’Italia. S’intenda con l’autorità militare per fare altrettanto”
15
. Così,
con il telegramma da Torino dell’allora Ministro degli Interni, inviato il 17 marzo 1861, al
governatore della Valtellina Luigi Torelli, la provincia di Sondrio entra ufficialmente a far parte
del Regno d’Italia.
Quella che entra nel nascente Stato italiano è una provincia la cui economia è ancora
essenzialmente basata sulla lavorazione della terra, per secoli legata al mondo contadino e, per
la precarietà delle vie di comunicazione verso la pianura, fortemente chiusa ed autarchica. I
contadini, infatti, solamente per alcuni prodotti di prima necessità, come il sale ed i cereali, si
vedevano costretti a ricorrere all’importazione dall’esterno ed esportavano pochi prodotti quali
il vino, la birra, il bestiame, il legname ed i latticini.
15
De Bernardi L., “Lineamenti dello sviluppo economico”, in: C.C.I.A.A. di Sondrio, Valtellina e Valchiavenna rivista
della Camera di Commercio di Sondrio, numero speciale sullo sviluppo dell’economia provinciale, aprile 1998, p. 27.
8
Anche quello che oggi è considerato il settore secondario fu originato da esigenze
maturate nel mondo contadino, nel quale rientrava la quasi totalità della popolazione ed al cui
interno si vennero a creare le prime attività artigianali, sotto forma di lavoro promiscuo. Basti
pensare alla tessitura, ai lavori d’intreccio delle fibre e dei vimini, alla costruzione di attrezzi per
l’agricoltura e per la casa, all’attività molatoria.
Tuttavia, nel corso dei secoli, ci sono stati alti e bassi del ruolo della provincia nel
contesto economico nazionale. Infatti, alcuni centri urbani, come Chiavenna, grazie ai traffici
mercantili attraverso i valichi alpini, hanno ottenuto lustro e benessere, ma questo fatto non ha
intaccato la realtà economica locale, considerata nella sua totalità
16
.
All’atto dell’unificazione italiana, le altre attività non agricole e industriali erano
estremamente ridotte e contavano 3774 addetti, cioè il 3.5% della popolazione dell’intera
provincia
17
.
1.3.1. L’agricoltura
Il carattere quasi esclusivamente agricolo della provincia di Sondrio viene evidenziato
dai dati relativi alla popolazione nel 1861: su 84000 residenti attivi (su una popolazione
complessiva di 106040), erano oltre 68000 gli addetti al settore primario. Inoltre, il valore dei
beni impiegati nell’industria e nel commercio era poco più di un quattordicesimo rispetto a
quello dei beni impiegati in agricoltura
18
. Da qui veniva perciò la maggior parte del reddito, con
tutti gli elementi di aleatorietà che questo comportava, come sottolinea, fra l’altro, Scelsi, il
primo Prefetto dopo l’unità d’Italia: “la provincia non possiede efficaci correttivi (…) alle
calamità agricole: e quando vengono meno i prodotti della terra cade in desolante miseria”
19
.
Purtroppo, questi non erano eventi rari: la crittogama della vite, già nel 1852, aveva
drasticamente ridotto la raccolta vinicola e, intorno al 1880, fu la volta della peronospora e poi
della filossera.
La crisi agricola della metà dell’Ottocento, dovuta soprattutto alle numerose calamità
naturali, fu avvertita in modo più attenuato che in passato grazie all’ingresso della provincia di
Sondrio nel Regno Italiano che alleggerì la pressione fiscale, organizzò adeguati interventi
16
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
17
Ibidem.
18
Ibidem.
19
Ibidem.
9
contro le pestilenze e promosse crediti fondiari e mutui agli Enti Locali per opere pubbliche
attraverso la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.
Il principale prodotto agricolo della provincia che godeva ancora di un elevato grado di
commerciabilità era la viticoltura. Nel 1874, essa superò i livelli di produzione del periodo
precedente la crisi, raggiungendo una media di circa 120000 ettolitri, rispetto agli 80000
precedenti. Tuttavia, se negli anni ’70 la situazione è soddisfacente dal punto di vista della
produzione, non si può dire altrettanto per quanto riguarda lo smercio del prodotto. La
viticoltura, infatti, viene a trovarsi in forte difficoltà a causa dei maggiori costi di produzione
rispetto a quelli di altre zone e della concorrenza sul mercato svizzero, lo sbocco internazionale
più rilevante per i cittadini della zona, dei vini francesi, sul piano qualitativo, e dei vini
ungheresi, su quello dei prezzi. Su questo quadro incideva, poi, l’avvenuta realizzazione di nuove
vie ferroviarie: una vasta rete che “permette ai vini francesi e di altre provenienze di soppiantare
i vini valtellinesi sul mercato svizzero”
20
. Anche per quanto riguarda il mercato lombardo la
situazione non è delle più rosee in quanto i vini valtellinesi non riescono a sostenere la
concorrenza dell’enorme quantità e varietà dei vini mantovani, modenesi e piemontesi venduti a
bassissimi prezzi.
Dopo questi anni, perciò, il problema principale per gli agricoltori valtellinesi è quello di
diversificare la produzione cercando di cogliere le opportunità migliori anche in relazione alla
conformazione del territorio, evitando così di concentrare gli sforzi solamente sulla viticoltura. A
partire dal 1881, iniziano a prendere consistenza alternative concrete, anche sotto il profilo
mercantile.
Per quanto riguarda la zootecnia, in passato importante voce dell’economia locale, la
situazione versa in condizioni di pesante degrado, dovuto alla crisi generale di cui si è detto: la
popolazione valtellinese è perciò costretta ad importare, dal Tirolo e dalla Svizzera, una notevole
quantità di carne da macello per consumo interno. Si pensi che, solo vent’anni prima, la valle
aveva un’importante ruolo di esportatrice.
Negli anni 1870/’74, la situazione è positiva solamente per quanto riguarda la
produzione dei bozzoli per l’industria della seta che raggiunge il livello record di 180000 Kg,
20
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
10
cifra che però scenderà fino ai 100000 Kg nell’ultimo ventennio del secolo
21
.
Nel periodo 1871-1901, la popolazione agricola rimane pressoché stabile. Tale
stabilizzazione giunge al termine di una fase di graduale aumento sia della popolazione sia degli
addetti in agricoltura riscontrato nel precedente periodo 1822-1871. Perciò la pressione
dell’incremento demografico su un’attività agricola incapace di alimentare ulteriormente il
meccanismo diffusivo della proprietà privata provoca una notevole crescita della
sottooccupazione e della disoccupazione, che spingono numerosi valligiani all’emigrazione
22
.
L’agricoltura valtellinese e valchiavennasca si appresta a fare il suo ingresso nel nuovo
secolo portando con sé una situazione economica molto difficile e pesante, sia a causa della forte
emigrazione, sia per quanto riguarda la disastrosa crisi agricola che ha colpito tutta la penisola.
1.3.2. L’industria e l’artigianato
“Nessun popolo meno industre del Valtellino”
23
e “le industrie esistenti sono in buona
parte condotte da persone venute di fuori, liete di trovare un paese vergine a questo riguardo, e
quasi tutte hanno trovato quella fortuna che gli indigeni cercano altrove”
24
. Con queste parole,
Visconti Venosta e Scelsi ricordano lo scarso spirito di imprenditorialità della popolazione
valtellinese.
In effetti, i primi rari impianti industriali di qualche entità erano sorti per effetto di
iniziative esterne: è il caso di Chiavenna dove sorsero, ad opera di famosi imprenditori elvetici, il
cotonificio “Amman” e l’ovattificio “Steinauer”. Anche il cotonificio di Sondrio “Spelty e Keller”,
fondato nel 1895, era di proprietà di industriali della vicina Confederazione Elvetica, mentre a
Morbegno le telerie “Bernasconi” erano gestite da imprenditori di Cernobbio.
Il processo di industrializzazione della provincia, almeno ad un certo livello, inizia
nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Infatti, quella che Scelsi chiama “grande industria
manifatturiera”
25
era costituita, secondo una statistica del 1862, da 26 aziende che occupavano
complessivamente 1024 dipendenti (198 uomini, 623 donne e 203 fanciulli) alle quali andavano
aggiunte le altre attività artigianali, come la filatura della seta con 29 filande e la macinazione
21
Ibidem.
22
Rullani E., L’economia della provincia di Sondrio dal 1871 al 1971, a cura della Banca Popolare di Sondrio, Sondrio,
1973.
23
Visconti Venosta F., Notizie statistiche intorno alla Valtellina. Memoria, tipografia Bernardoni, Milano, 1844.
24
Scelsi G., Statistica generale della provincia di Sondrio, tipografia Bernardoni, Milano, 1844.
25
Ibidem.
11
dei cereali (soprattutto granoturco, segale, frumento e grano saraceno) con 470 molini
26
. Il
settore industriale era perciò costituito da imprese di modeste dimensioni, se si escludono
quelle del comparto tessile: basti pensare che il più grande opificio valtellinese, il cotonificio di
Sondrio, alla sua inaugurazione nel 1895 contava ben 500 operai e che veniva addirittura
chiamato, con una certa esagerazione, la “Fiat della Valtellina”
27
.
Insieme all’industria manifatturiera prosegue quella basata sullo sfruttamento delle
risorse naturali della provincia, come il patrimonio forestale e quello estrattivo del granito di
San Fedelino a Novate e del verde serpentino in Valmalenco. Oltre a queste, che sono le più
importanti, bisogna ricordare anche le altre numerose produzioni minerarie che spaziano dal
granito all’amianto, dal calcare di calce all’ardesia, alla pietra ollare ed altre ancora.
Sempre in questo periodo, sorgono anche più moderne unità produttive, che vanno ad
arricchire il preesistente settore dell’industria alimentare: la ditta “Rocca” e la “Ghislanzoni”
fondate entrambe a Morbegno, rispettivamente nel 1870 e nel 1882.
Questo, seppur modesto, rinnovamento della struttura industriale compensa
parzialmente una certa decadenza nei settori tradizionali: molitura dei cereali, concia,
distillazione, lavorazione artigianale della seta, tessitura casalinga. Decadenza causata dal più
rapido processo di industrializzazione in altre zone del Paese che mette in difficoltà i nuclei
produttivi che utilizzano materiale locale.
Tra il 1888 ed il 1889 fa la sua comparsa l’energia elettrica che consente quindi
l’ammodernamento dei macchinari delle industrie tessili che, per questo motivo, si vedono
costrette ad adottare l’orario continuato, con un turno diurno ed uno notturno.
In rapporto al periodo storico considerato, un operaio impiegato negli opifici locali
guadagnava relativamente bene, ma al prezzo di orari lavorativi decisamente pesanti e
stressanti: nel cotonificio di Sondrio, si lavorava 13 ore giornaliere. Il salario, sempre nella
medesima azienda, era di 14 centesimi all’ora per gli uomini e di 11 centesimi all’ora per le
donne, quindi più del doppio di quanto si guadagnava in agricoltura dove la paga giornaliera era
di 60 e 50 centesimi rispettivamente per gli uomini e per le donne
28
.
26
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
27
Ibidem.
28
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
12
1.3.3. Il settore terziario
La situazione del settore terziario degli ultimi decenni dell’Ottocento è insoddisfacente.
Le infrastrutture e le vie di comunicazione sono carenti e legate all’assetto pre-unitario
predisposto dagli austriaci.
Nel campo dei servizi gli sviluppi maggior riguardano il credito. Il primo istituto di
credito locale di una certa importanza sorge nel 1871, la Banca Popolare di Sondrio (prima
Banca Mutua Popolare). La fondazione della prima banca contribuisce in modo determinante ad
attenuare il fenomeno del credito ad usura che veniva esercitato a tassi elevatissimi (fino al
60%) da bottegai, cambiavalute e speziali. Oltre che per finanziamenti alla produzione, perlopiù
agricola, ricorrevano al credito anche gli emigranti per finanziare le spese di viaggio.
Per quanto riguarda il turismo, i primi movimenti risalgono al periodo pre-unitario e
sono da ricollegare alla tradizione termale sviluppatasi dallo sfruttamento delle acque di alta
montagna. Nello stesso periodo, le montagne cominciano ad essere meta dei primi alpinisti e
nasce la necessità di offrire loro, ma anche ai semplici escursionisti, adeguate strutture recettive
come i rifugi e gli alberghi.
Poco da dire riguardo al commercio: solo 1219 gli addetti (1.15% della popolazione),
tenendo inoltre presente che Scelsi, cui si deve questa rilevazione, affermava di “avere in tal
numero compresi anche i più umili venditori de’ generi di prima necessità; pochissimi i
negozianti che meritano questo nome”
29
.
1.4. La società valtellinese alla fine del secolo
Il lento progredire economico della provincia di Sondrio non incide granché sulla
società, che rimane essenzialmente chiusa. Questo è dovuto principalmente al fatto che il
progresso, quando c’è stato, ha quasi sempre interessato una fascia ristretta della popolazione.
Si pensi alle grandi realizzazioni viarie dell’Ottocento ed ai traffici verso l’estero
attraverso la provincia: a parte lo sviluppo di qualche attività connessa a tali traffici lungo l’asse
delle valli principali, Valtellina e Valchiavenna, per la maggior parte delle altre zone l’isolamento
è rimasto a lungo pressoché totale.
29
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit., p. 35.
13
Va anche detto che la Valtellina, per oggettive condizioni naturali sfavorevoli, si è spesso
trovata in situazioni di clamoroso ritardo rispetto agli eventi. L’Austria realizza, tra il 1818 ed il
1825 arterie stradali di notevole importanza (la Statale dello Stelvio, quella dello Spluga e quella
del Passo dell’Aprica) che avrebbero facilitato gli scambi commerciali, anche con l’estero,
attraverso la valle. I benefici però dureranno per un periodo relativamente breve in quanto, con
l’apertura del traforo ferroviario del Frejus nel 1871 e del Gottardo qualche anno dopo, la
provincia di Sondrio viene improvvisamente tagliata fuori dalle vie di transito verso il centro ed
il nord Europa.
Le cose non cambiano sostanzialmente neppure con l’avvento della strada ferrata: la
Valtellina si era trovata addirittura all’avanguardia per certe soluzioni tecniche: è del 1885 la
prima tratta Colico-Sondrio, di un anno più tardi la Colico-Chiavenna, mentre nel 1902, con la
Sondrio-Tirano, si ebbe l’elettrificazione delle ferrovie (la prima in Europa). Il problema era che,
con il modernismo del mezzo ferroviario, si trovavano a convivere temporaneamente mezzi
alquanto arcaici di trasporto, come i “navét” per l’attraversamento dei fiumi e le vetture a cavalli.
Le innovazioni tecniche non intaccano quindi, come si è detto, il tessuto sociale e, in
modo determinante, nemmeno quello economico.
Per quanto riguarda l’aspetto sociale, vale la pena di rilevare l’assenza di coscienza
proletaria che nasce usualmente con il formarsi della classe operaia. Questo è dovuto al fatto
che, in una società costituita dal 90% di contadini, erano questi ultimi che venivano chiamati a
lavorare nelle nascenti attività secondarie e le cui radici rimanevano saldamente ancorate alla
lavorazione della terra, in funzione di quella forma di attività promiscua che ha sempre
caratterizzato l’economia valtellinese ed è proseguita anche in tempi recenti con la forma più
moderna del part-time.
Ritornando agli aspetti economici, permane la scarsa possibilità di sostentamento di
tutta la popolazione con le inadeguate risorse locali. Di qui il fenomeno massiccio
dell’emigrazione, sia continentale, perlopiù verso la vicina Confederazione Elvetica, sia extra-
oceanica, la cui prima imponente ondata si ha proprio negli ultimi anni dell’Ottocento verso gli
Stati Uniti e l’Australia. Chi non ricorre all’espatrio e risiede nelle zone di confine spesso integra
il reddito con l’attività illegale del contrabbando: fenomeno comprensibile alla luce del basso
tenore di vita dell’epoca.
14
1.5. Quadro economico provinciale dall’inizio del Novecento al secondo
dopoguerra
Alla vigilia della prima guerra mondiale, migliaia di emigranti valtellinesi che, all’inizio
del 1914, erano partiti alla volta della Svizzera e del Nord Europa alla ricerca di un impiego nel
settore turistico e nell’edilizia, sono costretti a tornare in patria a causa dell’improvviso venir
meno del lavoro. Questo fenomeno non fa altro che aumentare il numero dei disoccupati in
provincia che, per motivi congiunturali, era già molto elevato.
La vicenda nazionale di questo periodo è contrassegnata da numerosi scontri tra
dimostranti, contrari all’intervento dell’Italia nella guerra, e forze dell’ordine che, in diverse
città, hanno portato all’uccisione di un gran numero di operai. In risposta alla turbolenta
situazione, la Camera Confederale del Lavoro proclama lo sciopero generale e, a Sondrio, per
ben tre giorni consecutivi, il cotonificio cittadino viene circondato dalle forze dell’ordine ad ogni
entrata degli operai.
Nel 1915, l’Italia entra in guerra. In Valtellina, gli effetti si fanno subito sentire: il primo
ad essere colpito è il settore dei trasporti, la Società Messaggerie Postali Valtellinesi viene posta
in liquidazione per carenza di attrezzature, requisite dall’autorità militare.
Successivamente, c’è il rincaro di alcuni prodotti alimentari di prima necessità e, nel
1916, il tasso d’inflazione supera già il 25% per poi salire al 40% l’anno successivo.
La provincia di Sondrio deve, inoltre, fornire cospicui quantitativi di carne, fieno ed
altre derrate agricole all’esercito e, con le requisizioni, aumentano i malumori e lo scontento
popolare che, con l’entrata in vigore del razionamento, accompagnato dal fenomeno del mercato
nero, diventano sempre più aspri. A tutto ciò si aggiunge il problema dei profughi: in provincia
ne arrivano 2000, nel 1916, e altri 600, l’anno seguente, dopo la disfatta di Caporetto
30
.
La situazione economica generale subisce qualche miglioramento quando, a seguito di
nuovi accordi commerciali, diviene possibile incrementare le esportazioni di alcuni prodotti
locali verso la vicina Svizzera. Non si ha nessun miglioramento, invece, per quanto riguarda
l’approvvigionamento per la popolazione, per la quale la situazione rimane assai precaria,
mentre un notevole alleggerimento si avrà per la disoccupazione.
La prima guerra mondiale, tuttavia, come sostiene Saraceno, “non ebbe sotto l’aspetto
30
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
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economico, solo effetti deprimenti; l’aumento dei prezzi si risolse in un miglioramento delle
ragioni di scambio dei prodotti agricoli offerti dalla valle contro i prodotti industriali di cui essa
era compratrice; si ha qualche sviluppo industriale e qualche beneficio dalla spesa militare tipica
di un’area di retrovia”; l’inflazione “favorisce gradatamente la piccola proprietà contadina,
oppressa da vecchi debiti”
31
.
Dopo il 1918, con la fine della guerra e superata la crisi postbellica, si sviluppano e
riprendono diverse attività, come quelle volte alla costruzione di impianti idroelettrici che
giungono ad impiegare cospicue quote di addetti: fino il 40% dell’occupazione industriale
valtellinese. A tale forza lavoro, tuttavia, spesso concorrevano lavoratori immigrati, soprattutto
dal Veneto e dalla Calabria.
Quando la situazione economica aveva cominciato a migliorare, nel 1929, era
sopravvenuta la grande crisi economica mondiale: in Italia, la svalutazione era stata del 40%
circa, i fallimenti numerosissimi, il commercio estero si era ridotto di quasi due terzi, dal 1929 al
1933, e la disoccupazione era salita fino a toccare la cifra di un milione e 200 mila unità
32
.
In provincia di Sondrio, per le solite ragioni di isolamento e di arretratezza economica,
la crisi tarda a farsi sentire, con l’eccezione della disoccupazione che, nei maggiori centri, non
agricoli, porta a conseguenze non indifferenti. Oltretutto, nel periodo fascista, viene del tutto a
mancare la tradizionale valvola dell’emigrazione: nel 1935, quella extracontinentale è ridotta a
100 unità e quella continentale a poco più di 1000
33
. Il governo fascista, infatti, scoraggiava
decisamente l’emigrazione all’estero e, nel contesto della valorizzazione del mito della ruralità,
poneva un grosso vincolo anche alla migrazione interna: i lavoratori potevano abbandonare i
luoghi di residenza solo dietro l’autorizzazione del prefetto.
Nel 1940, l’Italia scende in campo al fianco della Germania nella seconda guerra
mondiale. Questo avvenimento porta con sé tutti i problemi, tipici di ogni guerra: il
tesseramento dei generi di prima necessità, il rialzo dei prezzi ed il parallelo aumento
dell’inflazione. La maggior parte dei giovani sono al fronte per cui, almeno dal punto di vista
occupazionale, non mancano posti di lavoro, soprattutto nella pubblica amministrazione.
Inoltre, numerose aziende con sede fuori provincia, al momento dell’ingresso nel conflitto
31
Ibidem, pp. 58/59.
32
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
33
Ibidem.
16
mondiale, avevano preso la decisione di trasferire nella tranquilla Valtellina le loro attività, per
cui per gli abitanti della zona si aprivano nuove prospettive lavorative.
La provincia di Sondrio, però, resta immune da scontri e bombardamenti solo fino all’8
settembre 1943 quando, con l’occupazione tedesca, comincia una sanguinosissima guerra civile
le cui conseguenze sono disastrose. I rifornimenti di sale e zucchero diventano problematici, così
come quelli di materie prime necessarie al funzionamento di taluni impianti industriali, la
benzina manca quasi del tutto, il carbone scarseggia ed i prezzi salgono alle stelle.
Nell’immediato dopoguerra, le quotazioni dei prodotti di largo consumo risultano perciò
aumentate, rispetto al 1938, in misura variabile tra le 25 e le 45 volte
34
.
Comunque, alla fine del conflitto, la provincia di Sondrio risulta relativamente
risparmiata rispetto ad altre zone d’Italia.
1.5.1. L’agricoltura
Con l’inizio del nuovo secolo, la provincia di Sondrio si presenta con tutti i caratteri di
conversione produttiva ormai avviati, anche se in stato ancora embrionale. Dal punto di vista
dell’agricoltura, la zootecnia ha compensato la pressoché totale scomparsa della bachicoltura.
Questo settore, infatti, vede aumentare in modo consistente il numero degli animali, soprattutto
bovini, che, nel 1930, raggiungono la punta massima di 47000 capi (nel 1861 erano meno di
34000)
35
.
La popolazione valtellinese rimane ancora legata all’agricoltura, anche se in questi anni
comincia il suo graduale processo di integrazione con la produzione regionale, prima, e
nazionale, poi.
Nel periodo precedente la prima guerra mondiale, la crisi agricola si fa sentire in
provincia: l’aumento dei prezzi ostacola le esportazioni di prodotti serici e zootecnici ed incide
negativamente anche il maggior costo sostenuto per l’acquisto dei cereali, merce che in valle
veniva importata.
34
De Bernardi L., Lineamenti dello sviluppo, cit.
35
Rullani E., cit.