4
a Napoli nel 1997, fa parte di un importante lavoro che ha (come sostiene la stessa autrice)
nel “Dictionary of American Artists of Italian Heritage”
4
, la sua più importante e completa
stesura. Il volume raccoglie infatti la storia anagrafica e cronologica di più di 350 artisti e
artigiani italiani, che nell’arco di tempo di tre secoli emigrarono negli Stati uniti. La vastità
del dizionario e l’autorevolezza delle fonti e dei documenti citati, mettono a tacere
finalmente una delle correnti della storiografia dell’emigrazione, che rappresentava
nell’ambito della “new emigration” una immigrazione italiana formata prevalentemente da
“unskilled”. Il recupero di informazioni e di fonti, circa l’attività professionale svolta dai
nostri connazionali nel campo artistico, ha invece messo in evidenza la complessa
partecipazione, alle vicende culturali americane, degli italiani. Il libro “Fratelli Lontani”,
rappresenta invece la riproposizione di alcune di queste biografie, che in un contesto
cronologico e tematico, tracciano una breve storia dell’influsso che la nostra arte e i nostri
artisti ebbero sull’arte nord americana.
Il nostro lavoro si è invece concentrato senza sicuramente raggiungere la
completezza della ricerca di Regina Soria, sull’emigrazione degli artisti italiani in
Argentina, a partire dalla metà del XVII secolo e arrivando fino alle soglie della prima
guerra mondiale. Riprendendo il metodo indicato dalla dottoressa Soria, e cercando di
ripercorrerne lo stesso sviluppo cronologico, abbiamo cercato di mettere in luce la storia
personale di una nutrita schiera di pittori, architetti, argentieri e scultori, che nel corso di
moltissimi decenni hanno risieduto in Argentina, lasciandoci importanti testimonianze del
loro passaggio. Per ottenere ciò ci siamo avvalsi di una cospicua bibliografia, che ci è
servita per determinare i tempi e le modalità dei flussi emigratori italiani verso l’Argentina.
Ci siamo anche serviti, quando è stato possibile, delle fonti a stampa e specialmente dei
giornali e dei quotidiani più significativi relativamente alle problematiche dell’emigrazione
artistica italiana nelle repubbliche della Plata. Si tratta quindi, di un vastissimo campo di
4
R. Soria, American Artist of Italian Heritage 1776-1945, New York 1993
5
ricerca, caratterizzato da innumerevoli difficoltà, tra le quali la distanza dal teatro degli
eventi. La ricerca sul campo è infatti in questi casi importantissima. Così se in alcune
occasioni le fonti a stampa italiane ci sono state di indiscutibile aiuto, lo sfogliare i vecchi
giornali argentini, ci avrebbe sicuramente permesso una migliore conoscenza della realtà in
cui si trovarono a vivere i nostri primi artisti, così come, una ricerca visiva delle opere
sparse per le molte città della Repubblica, avrebbe sicuramente contribuito ad una migliore
comprensione dell’apporto artistico italiano. Ma il lavoro svolto in questa tesi non è stato
sicuramente vano. Nel lavoro di recupero delle informazioni abbiamo consultato e valutato
numerosissime notizie, provenienti da molte fonti diverse e che, raccolte e sintetizzate in
brevi storie personali, sono servite per dare corpo ad una piattaforma su cui elevare una
nuova e più ricca ricerca biografica. Il materiale usato per questa ricerca è in massima parte
tratto da pubblicazioni argentine anche se in alcuni casi, ho potuto avvalermi di
informazioni tratte da fonti italiane. Purtroppo, i personaggi a cui è dedicata questa ricerca
furono in maggioranza sconosciuti al grande pubblico italiano e trovarono una certa
notorietà soltanto sull’altra sponda dell’oceano. Alla tendenza generale fanno eccezione
soltanto alcuni architetti, che in questi ultimi tempi, hanno ricevuto da parte degli storici
un’attenzione pari al valore delle loro opere
5
.
Abbiamo deciso che per una migliore esposizione degli argomenti di questo lavoro,
fosse necessario dividere la tesi in tre capitoli. Nel primo capitolo, ho ricostruito a brevi
linee la storia dell’emigrazione italiana in Argentina anche per rendere più semplice
l’inserimento cronologico e storico del contesto artistico e biografico dei personaggi trattati.
La ricerca biografica vera e propria inizia quindi con il secondo capitolo, dove nel primo
paragrafo si cercherà di ricostruire le vicende storiche e artistiche di un gruppo di religiosi
appartenenti alla Compagnia di Gesù (Camillo Pietragrassa, Giuseppe Brasanelli, Andrea
5
Per quanto riguarda l’architetto Carlo Zucchi vedi: Archivio di Stato di Reggio Emilia, Carlo Zucchi
ingegnere e architetto, Reggio Emilia 1993, e per l’architetto Francesco Tamburini: I. Arestizàbal, R. De
Gregorio, La obra de Francesco Tamburini en Argentina, Jesi 1997 e L. Mazzoni S. Santini, L’architettura
dell’eclettismo, Napoli 1999
6
Bianchi e Giovanbattista Primoli), che tra la fine del ‘600 e la metà del ‘700 dettero
un’importante contributo allo sviluppo architettonico argentino, realizzando in tutto il paese
numerose chiese e arricchendole successivamente di pregevoli statue ed altari. Si tratta in
questo caso della prima vera “pietra artistica” che verrà posta sul suolo argentino. Con la
fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, la presenza italiana in Argentina si fece sempre più
tangibile e a Buenos Aires si cominciarono a incontrare i primi pittori e incisori italiani
(Angelo Maria Camponeschi, Giuseppe Boqui), che nel corso della loro residenza ci hanno
lasciato innumerevoli opere sia di pittura che di oreficeria coloniale. Con l’arrivo
dell’indipendenza nazionale, altri nomi di italiani si affacciarono alla ribalta (Paolo
Caccianiga, Carlo Zucchi), dando un fondamentale impulso allo sviluppo della scuola
artistica nel nuovo paese. Il momento politico che l’Argentina visse nei primi decenni del
secolo, fu forse il più propizio per molti artisti italiani, che fuggiti dalle guerre
risorgimentali e dalle prigioni della restaurazione, trovarono in Bernardino Rivadavia
un’ancora di salvezza e a Buenos Aires un porto sicuro. Fu per questa via che arrivò in
Argentina uno dei personaggi più importanti di tutta la storia dell’arte di questo paese
(Carlo Enrico Pellegrini), che con le sue opere (soprattutto con i suoi ritratti e i suoi
paesaggi), ci ha lasciato la visione di un mondo che lentamente stava scomparendo.
Assieme a lui sbarcò anche un altro curioso personaggio (Giuseppe Murature), uomo di
mare e indomito combattente, amico di Giuseppe Garibaldi e di tutti i liberali del tempo,
che accomunava le doti di capitano all’uso della tavolozza e del pennello e che ha lasciato
testimonianza, con la fedele riproduzione di molti episodi navali, di un mondo nautico fatto
di molta “artigianalità” e di pochi mezzi, dove all’occorrenza, le navi da trasporto e le
chiatte venivano riconvertite in cannoniere o in “portentosi” brigantini. Oggi l’opera di
questo pittore è di indiscutibile aiuto agli storici militari per ricostruire la storia della
marina Argentina. Ma i presupposti di “un’isola felice” dove poter scappare dalle tristi e
burrascose vicende europee, terminarono ben presto. Gli anni della dittatura del generale
7
Rosas, che ancora oggi non hanno trovato un definitivo posto nel giudizio degli storici,
interruppero per un ventennio l’arrivo degli emigranti. La battaglia di Caseros e la sconfitta
di Rosas (che aprono il terzo capitolo), rappresentarono un altro spartiacque storico per la
nazione argentina. Dopo la sua caduta e in concomitanza con il ’48 italiano, l’esodo
artistico riprese. Arrivarono così, provenienti da varie regioni italiane, altri scampati alle
lotte risorgimentali (Ignazio Manzoni, Baldassarre Verazzi, Paolo Cataldi), che inseguiti
dalle polizie asburgiche e borbone, diedero, attraverso le loro scuole di pittura, i primi
rudimenti artistici alla nuova società porteña. Questi nuovi emigranti furono al centro di
storie amare come: il suicidio di Cataldi e la contrapposizione artistico politica tra Manzoni
e Verazzi, ma che comunque caratterizzarono per alcuni anni il panorama artistico della
nazione, lasciandoci intravedere una forte presenza artistica italiana. E in questa rinascita
dell’arte dopo il periodo dittatoriale, si inserirono anche altri italiani (Aguyari, Romero),
che con il loro lavoro contribuirono in modo determinante all’avvio di un importante
Accademia artistica, che avrebbe in futuro formato tutti i principali artisti argentini di quel
periodo. Ma ancora un passo andava compiuto. L’Argentina sul finire del secolo visse la
sua stagione migliore, con le sue sterminate terre e i suoi ricchi pascoli, apparve a molti
europei la nuova “terra promessa”. Il flusso migratorio, che negli anni ‘60 e ’70
dell’ottocento si era fatto sempre più intenso, esplose sul finire del secolo in una vera e
propria ondata. Le città della repubblica si affollarono di nuovi arrivati, che
rappresentarono per la prima volta nella storia Argentina
6
un problema sociale e culturale
7
.
Ma il progresso portò nella classe dirigente nazionale una nuova mentalità. La borghesia
nazionale e le classi colte, profondamente legate alla cultura europea, disegnarono un
progetto di completa trasformazione della città argentina, ampliandola e stravolgendola per
meglio aderire al modello ideale della città europea. Anche in questa fase del progresso
argentino, gli artisti italiani (Francesco Tamburini, Vittorio Meano, Paolo Francesco Parisi,
6
Eccettuato il periodo rosista in cui l’immigrazione era stata dichiarata illegale, ma che per quanto riguardava
i liguri fu sempre di fatto agevolata.
7
E. Scarzanella, Italiani Malagente, op. cit...
8
Vittorio De Pol, Giuseppe Livi), chiamati, più che arrivati dall’Europa, produssero in ogni
campo artistico un ricco patrimonio di opere fatto di grandiosi palazzi, di monumenti, di
statue, di affreschi e di pitture. Ma quei frenetici e sfavillanti anni, furono anche gli ultimi
del periodo d’oro dell’Argentina. Le crisi economiche sempre più frequenti e le derivanti
tensioni sociali misero un freno politico all’emigrazione. E conseguentemente anche
l’influsso artistico italiano trovò un suo termine temporale. L’Argentina, con il passaggio
del secolo si dimostrò una nazione finalmente formata, con una società che poteva fare a
meno del contributo culturale europeo. Oramai “adulta”, inserita a pieno titolo nel novero
delle nazioni civilizzate, non lusingò più gli artisti europei a raggiungerla, ma inviò i suoi
figli sempre più frequentemente in Europa, per acquisire quella cultura e quelle conoscenze
che permisero il definitivo formarsi di una vera arte nazionale.
Scorrendo i libri di storia dell’arte Argentina si percepisce proprio questo passaggio di
consegne. Se infatti le cronache artistiche dei primi decenni dell’ottocento, sono piene di
nomi stranieri, che rappresentano l’unica forma di arte presente sul suolo nazionale, dopo il
guado di “Caseros”
8
, le notizie circa questi artisti si fanno sempre più rade, mentre con
orgoglio nazionale, salgono alla ribalta i pittori e gli scultori locali. Con il passaggio del
secolo questa tendenza si accentuerà sempre di più fino a che, gli artisti argentini
sostituiranno definitivamente in tutte le cronache l’elemento straniero, anche se non
possiamo dimenticare come indirettamente l’influsso dell’arte italiana continuerà a dare i
suoi frutti ancora per molti anni
9
. L’ultimo pensiero di questa breve introduzione va a
quell’artista che quasi forzatamente è stato inserito in questo lavoro (Guido Boggiani). La
sua vicenda personale e il campo di ricerca a cui dedicò molti anni della sua vita:
l’antropologia, lo escluderebbero da questa breve narrazione, ma la sua prima occupazione:
pittore, maturata in Italia e la moltitudine di riproduzioni artistiche che l’esploratore compì
8
La battaglia in cui il dittatore Rosas fu sconfitto dal generale Urquiza il 3 febbraio 1852
9
Se infatti si scorrono i nomi dei principali artisti argentini della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo
(Collivadino, Victòrica, Somellera, Ballerini, Rawson, Della Valle, Sivori, Schiaffino, Fontana, Pettoruti,
Berni, ecc), risulta evidente come la maggioranza di questi porti nomi italiani, a confermare una profonda
influenza tra la nostra penisola e la nuova nazione.
9
nei suoi anni di soggiorno nelle foreste paraguaiane, lo inseriscono a pieno titolo nel novero
di coloro che contribuirono allo sviluppo artistico e culturale dei nuovi paesi.
10
Capitolo I
Linee generali dell’emigrazione italiana in Argentina
La storia dell’emigrazione italiana in Argentina, corre parallela a tutti e cinque i
secoli di vita di questo paese. Concorsero infatti alla sua scoperta, i navigatori italiani al
servizio della Spagna, (il fiorentino Amerigo Vespucci e il veneziano Sebastiano Caboto),
così come fu un italiano che per primo descrisse i caratteri geografici e quelli etnologici di
questa nuova terra (il vicentino Antonio Pigafetta nella spedizione di Magellano). Il primo
uomo ad importare schiavi sul territorio Argentino fu il Savonene Leone Pancaldo dalla
affascinante vita tracciata da Ignazio Weiss
10
Persino lo stesso nome della città di Buenos Aires sembra provenire da un italiano. Si narra
infatti, che quando nel 1535 la grande spedizione navale comandata da Pedro de Mendoza
(nominato da Carlo V governatore del Rìo de la Plata), sbarcò lungo l’estuario
dell’omonimo fiume fondandovi un villaggio,
11
il primo uomo a mettere piede sul suolo
argentino fu un sardo di nome Lazzaro Griveo (o Gribeo), scudiero del nobiluomo
spagnolo. Questi ricordando al suo signore la buona sorte della spedizione, lo convinse a
dedicare il villaggio alla “Nostra Signora della buon aria”, che in quel tempo si venerava
in tutto il mediterraneo e che aveva il suo santuario proprio nella città di Cagliari da dove
proveniva il Griveo stesso. Il nome poi venne ispanizzato ed accorciato divenendo così
Buenos Aires.
10
I. Weiss, Gauchos, gesuiti, genovesi, Storie del Rìo de la Plata, Roma 1955 pp.22-24
11
J. F. Sergi, Historia de los italianos en la Argentina, Buenos Aires 1940 pp. 36-37
11
È invece di diverso avviso il racconto di Cesarina Lupati, “Argentini e Italiani al Plata”.
Narra la scrittrice che quando Mendoza sbarcò sulle coste argentine, fu un certo Sancho del
Campo a esclamare: “Que buenos aires son los de este suelo!”. Successivamente nella
nuova fondazione della città eseguita da Juan de Garay, la buona aria viene associata alla
vergine Maria dando luogo a Santa Maria de Buenos Aires
12
.
Il primo villaggio ebbe una vita breve e una fine drammatica, infatti poco dopo la sua
fondazione fu abbandonato e distrutto dagli indios. Nel 1580 un’altra spedizione rifondò il
forte. E anche a questa spedizione parteciparono degli italiani, tanto che nel resoconto della
prima distribuzione di terre fatta dal comandante del forte, si possono leggere molti nomi di
chiara provenienza italiana
13
. Nei due secoli successivi ai primi insediamenti costieri, la
presenza italiana è testimoniata dai resoconti che provengono dalle nuove terre e che ci
offrono narrazioni particolareggianti sulla vita e le opere dei missionari, dei marinai, dei
commercianti e di dottori provenienti dalla penisola, che per lunghi anni risiederono in
Argentina. Si tratta comunque di un esiguo numero di presenze, diluite nell’arco dei due
secoli. Va ricordato come la legislazione spagnola dell’epoca, impedisse agli stranieri la
residenza ed addirittura il commercio con le proprie colonie. Era quindi molto difficile per
degli stranieri risiedere in Argentina. Vi riuscirono solo quelli che, passando attraverso la
corte di Madrid, acquisirono la cittadinanza spagnola perdendo la propria. Ma ad alcuni
operai qualificati o ad appartenenti ad ordini religiosi, le autorità coloniali permisero la
residenza anche senza perdere il diritto alla propria nazionalità. Tra le varie categorie che
usufruirono di tale privilegio, i più numerosi furono senz’altro gli artigiani italiani che
appartenenti ad una nazione ancora tutta da inventare non rappresentavano sicuramente un
pericolo per i domini spagnoli
14
.
Questo periodo, che termina approssimativamente con il passaggio tra il XVIII e il XIX
secolo, non rappresenta un argomento di discussione per un indagine sui movimenti
12
C. Lupati, Argentini e italiani al Plata osservati da una donna italiana, Milano 1910 pp. 35-38
13
G. Parisi, Storia degli italiani nell’Argentina, Roma 1907 pp. 18-19
14
E. Scarzanella, Italiani d’Argentina..., op. cit... p. 25
12
migratori. Le presenze provenienti dalla penisola furono così scarse, che tutto può essere
risolto nella narrazione biografica di alcuni di questi singolari e affascinanti personaggi.
L’emigrazione in questi primi secoli non incise in nessun modo sul movimento migratorio
successivo come invece avvenne per l’emigrazione dei primi anni del secolo XIX.
Ed eccoci così giunti all’inizio del XIX secolo. Fu da questi primi anni del nuovo secolo,
che il movimento emigratorio italiano mosse i suoi primi passi, all’inizio in modo incerto,
successivamente sempre con maggior sicurezza, fino a divenire quella corsa inarrestabile
che caratterizzerà i trenta anni che vanno dalla fine del secolo, allo scoppio della prima
guerra mondiale.
Per una migliore comprensione e per una migliore esposizione di tutto il fenomeno, è
adesso importante determinare con un buon grado di approssimazione, il numero degli
emigranti italiani che negli ultimi due secoli di storia sbarcarono in Argentina.
Non è pertinente a questa tesi rilevarne l’esatto numero, anche perché nelle varie
fonti statistiche i dati riportati discordano sensibilmente tra loro. Riporteremo quindi
soltanto i dati di massima, cercando di individuare a grandi linee come il movimento si sia
strutturato e diviso durante i 150 anni della sua esistenza. Anche applicando questo metodo
di indagine, la determinazione di un unico numero di massima, rappresentante la somma
globale degli italiani emigrati in Argentina, è difficoltosa. Infatti, se dopo la comparazione
di molte serie statistiche italiane ho individuato in 3.500.000 il numero di persone che si
recarono in Argentina in tutto il periodo esaminato
15
, analizzando e anche in questo caso
comparando, le fonti statistiche argentine si perviene a una cifra di circa un milione e
15
Per il periodo 1876-1920 ho utilizzato l’annuario statistico dell’emigrazione volume edito dal
commissariato generale dell’emigrazione Roma 1926 tabella di p. 88, per il periodo 1946-1975 le tabelle
elaborate dai dati ISTAT di Ugo Ascoli nel volume movimenti migratori in Italia. Bologna 1979 (le tabelle di
pp.43,49,59, mentre per il periodo 1925-1945 mi sono affidato a: Emigrazione italiana negli ultimi 140 anni al
sito internet http://www.cronologia.it/emidove.htm.
13
mezzo superiore
16
. Il perché di questa notevole differenza e la determinazione della stima,
più vicina alla realtà, non sono di facile individuazione.
Per il periodo compreso tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo, le differenze tra le
due stime (quelle Argentina e quella Italiana), sono giustificabili dalla difficoltà della
giovane scienza statistica a contabilizzare il flusso in uscita dalle varie regioni italiane. Il
programma statistico messo in funzione dal regno d’Italia, incominciò a produrre risultati
solo dal 1876 e prendendo in considerazione non chi effettivamente espatriasse, ma soltanto
chi richiedeva il nulla osta per l’espatrio alle autorità comunali. Questo nulla osta serviva,
affinché gli organi governativi potessero rilasciare il passaporto agli emigranti (questo
sistema più o meno corretto rimase in vigore fino al 1902)
17
. È ovvio, che non tutti i
possessori del nulla osta sarebbero poi emigrati. Altri fattori di discrepanza tra le due
statistiche sono anche quelli dell’emigrazione clandestina, che avveniva soprattutto dai
porti francesi (e quindi non risultante nel calcolo italiano), e dell’immigrazione da paesi
terzi come l’emigrazione che avvenne durante la fine del secolo tra il Brasile e l’Argentina
stessa. Ma uno dei fattori più importanti di differenziazione delle stime statistiche, è dato
dal fatto che il governo argentino, dichiarava emigrante colui che sbarcava nei propri porti
avendo viaggiato in seconda o terza classe, mentre quello italiano nel periodo successivo ai
nulla osta, considerava emigrante solo colui che viaggiava in terza classe o classe
equiparata. Ovviamente alla statistica italiana, sfuggivano tutti coloro che con un piccolo
capitale e determinati comunque ad emigrare, preferivano compiere il viaggio in nave in
modo certamente più salubre. La maggior facilità nella contabilizzazione degli emigranti
rendono, a mio modesto parere, più vicine al vero le stime Argentine.
Per i periodi successivi alla grande emigrazione, il discorso non si semplifica di molto,
anzi, diviene ancora più complicato. Quando cioè ci troviamo in presenza di una scienza
16
Per la stima dei dati argentini ho consultato M.C. Nascimbene, op. cit.., pp. 103-105, AA.VV,
Euroamericani, op. cit... pp. 430-431
17
Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statistico dell’emigrazione Italiana, “fonti e metodi
delle statistiche dell’emigrazione”, Roma 1926 pp.XVII-XXI
14
statistica oramai matura, i dati italiani per il periodo 1946-1975 ci forniscono la cifra di
500.000 italiani emigrati
18
, mentre dal versante Argentino la cifra supera il milione
(1.170.000). La sproporzione tra i due dati è obbiettivamente eccessiva, anche usando ogni
tipo di correttivo statistico. Quindi nella determinazione del numero degli emigranti, anche
visti i metodi di contabilità, ho preferito privilegiare il dato Argentino (che è riportato anche
in altri lavori), ritenendo più realistica la cifra di 4.450.000 persone, quale numero
complessivo di emigranti italiani che nel periodo tra i due secoli sbarcarono anche, per
breve periodo, in Argentina.
Determinato il numero indicativo delle presenze complessive italiane, non resta che
individuare le correnti migratorie durante tutto il periodo preso in esame. Seguendo
l’analisi di Nascimbene
19
e di Devoto
20
, si individuano così nel movimento emigratorio tre
periodi distinti, in cui si ebbero caratteri ben delineati non riscontrabili in nessun altro
periodo. Abbiamo già detto di come fino alla svolta del secolo XVIII l’immigrazione
italiana ed europea può essere considerata ai fini statistici nulla o ininfluente.
Dalla suddivisione di Giulio Nascimbene
21
emergono per la delimitazione del primo
periodo emigratorio due date di massima 1820-1870. Questa fase, fu caratterizzata dalla
quasi esclusiva presenza di una sola comunità regionale e che può essere indicativamente
chiamata come la fase “Ligure” dell’immigrazione.
Dopo il 1870 e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, la fase ligure si trasformò
progressivamente in fase nord–occidentale, per la presenza massiccia di emigranti
provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia. Naturalmente concorsero al flusso migratorio
anche tutte le altre regioni a cominciare dal Veneto e dalle grandi regioni del Sud, che
lentamente con il passare degli anni, sostituirono nelle liste degli imbarchi i contadini del
triangolo industriale.
18
U. Ascoli, op. cit., tabelle di pp.43,49,59,
19
M.C. Nascimbene, op. cit., questa suddivisione si delinea lungo tutti i primi due capitoli.
20
F. J. Devoto, Estudios sobre la emigraciòn italiana a la Argentina en la mitad del siglo XIX, Napoli 1991
capitolo I
21
AA.VV, Euroamericani, op. cit., p.209
15
E con questo lento ma progressivo processo di sostituzione possiamo definire la terza fase
come la fase del “mezzogiorno” dove le regioni del sud espressero tutta la loro capacità
espulsiva. Sarà il periodo conclusivo dell’epopea migratoria; dopo la fine della seconda
guerra mondiale e con l’inizio del boom economico italiano gli emigranti meridionali
preferiranno trasferirsi nelle grandi città del nord oppure in Europa, disertando così le rotte
oceaniche. Non dobbiamo comunque dimenticare la crisi economica Argentina degli anni
50 che sconsiglierà l’emigrante dalla scelta delle americhe.
La terza fase ha al suo interno un importante avvenimento, la seconda guerra mondiale che
quasi ci impone la suddivisione del terzo periodo in due fasi distinte. Tra prima e dopo il
conflitto, la società italiana si modificherà radicalmente; se infatti negli anni venti e trenta il
fascismo imporrà la sua visione imperialista anche sul fenomeno emigratorio, nel
dopoguerra si fisseranno i nuovi principi democratici che regoleranno anche questa difficile
materia
22
. Per questa differenza di caratteristiche ho preferito dividere il terzo periodo in
due, con il conflitto mondiale come linea divisoria.
Iniziamo dunque a tracciare una breve storia della comunità italiana nei paesi della
“Plata”, partendo dal naturale spartiacque della storia Argentina: il processo rivoluzionario
del 1810, che porterà nei dieci anni successivi, alla definitiva indipendenza della
Repubblica della Plata.
Una delle prime notizie statistiche circa la presenza italiana a Buenos Aires fu il censimento
promosso dall’allora Vicere Sobremonte nel 1805, dove emerse che la popolazione italiana
residente a Buenos Aires era di 92 persone, pari al 20% di tutti gli stranieri residenti
(469)
23
.
Come è già stato sottolineato, probabilmente questi non erano i soli italiani residenti in
città, ve ne erano sicuramente altri, ma avendo questi preso la cittadinanza spagnola non
potevano essere indicati nella cifra degli stranieri. A valore di questa tesi, nell’elenco dei
22
Non sempre riuscendovi, vedi: U. Ascoli, op. cit., pp. 32-36
23
N. Cuneo, Storia dell’emigrazione italiana in Argentina, Milano 1940 p.15
16
nove partecipanti alla prima giunta rivoluzionaria insediata nel maggio del 1810, si
riscontra come tre dei suoi membri avessero nomi di chiara origine italiana: Emanuele
Belgrano, Giovanni Castelli ed Emanuele Alberti, tutti figli di italiani ( Belgrano era figlio
di un commerciante di Oneglia che si era prima trasferito in Spagna e poi in Argentina) i
quali, rinunciando alla cittadinanza erano divenuti a tutti gli effetti spagnoli.
Nei censimenti successivi del 1807, 1810, e del 1816, la quota degli italiani rimase
invariata alla precedente anche se il numero degli stranieri quasi raddoppiò (nel 1816 gli
stranieri residenti a Buenos Aires erano 717)
24
.
Ed è in questi primi anni del secolo che prende avvio la fase dell’immigrazione denominata
“fase ligure”. I tempi della gloriosa repubblica di Genova e del potere commerciale che
questa esercitava su tutti i mari erano oramai passati, ma l’attitudine al commercio e alla
navigazione perduravano nel carattere dei suoi abitanti. Le coste del sud America erano
costantemente visitate dai brigantini liguri, che commerciavano e importavano prodotti da
queste lontane regioni. Fu così che dalla Liguria arrivarono i primi italiani che formarono
una piccola comunità sulle coste dell’Argentina.
Nel tracciare un profilo distributivo della prima comunità italiana in Argentina, non va
dimenticato di come lo spazio geografico fosse di molto inferiore a quello odierno. La
maggior parte dell’Argentina era ancora da “scoprire” e conquistare, quasi tutta la
Patagonia e la maggior parte della provincia del Chaco erano ancora in mano alle
popolazioni Indie. Le città e i villaggi si sviluppavano quasi esclusivamente lungo le vie
fluviali che avevano come naturale sbocco il Rìo de la Plata e quindi la città di Buenos
Aires. Tutta la vita economica si svolgeva lungo questi grandi fiumi. E questo era
ovviamente l’ambiente migliore per poter far proliferare una comunità composta per la
maggior parte da marinai e piccoli armatori.
24
AA.VV, Euroamericani, op. cit., p.506
17
Con la fine della repubblica genovese e l’annessione di questa regione al regno di Sardegna
(1815), molti liguri decisero di non sottostare alla nuova dinastia e presero la via del
mare
25
, trovando spesso ospitalità proprio nella nuova Repubblica. Anche molti marinai
della nuova marina sarda quando decidevano di disertare si andavano a rifugiare lungo le
sponde del Rìo de la Plata. Fu così che nacque il primo nucleo del quartiere della Boca.
Nato nelle vicinanze della città di Buenos Aires e alla foce del ruscello Riachuelo (Boca
infatti sta per foce), il quartiere che nel primo periodo era formato da un informe ammasso
di baracche su palafitte, ebbe nel corso dei primi decenni dell’ottocento un repentino
sviluppo. Sul suo lunghissimo molo erano ormeggiate ogni tipo di barca e di vascello. Nei
piccoli arsenali lungo la spiaggia, venivano praticate ogni tipo di riparazioni e venivano
assemblate ogni tipo di imbarcazioni. Il villaggio era collegato alla città da una fangosa
strada che durante i periodi invernali rendeva impraticabile il collegamento e quindi isolava
il villaggio dal resto della città. Fu proprio in questo informe agglomerato di baracche che
ripararono molti liguri. Il lavoro non mancava, il commercio stava espandendosi e chiunque
senza troppe indagini della polizia poteva risiedervi. Qui i marinai venivano reclutati nelle
“Pulperìas” dell’isolotto di Maciel per conto dei padroni, i proprietari di piccoli cantieri
26
.
Camminando lungo il pontile o tra le baracche prospicienti la riva, si poteva ascoltare la
lingua “ufficiale” del villaggio, il genovese. Ma non solo di marinai o di disertori era
composta la prima comunità italiana in Argentina; nei quartieri di Buenos Aires già dopo i
primi anni della repubblica, risiedevano infatti molti rifugiati politici che il governo del
presidente Rivadavia aveva attirato in Argentina.
Dopo la raggiunta indipendenza, e per l’effettiva intraprendenza di Bernardino Rivadavia,
(1780-1845) ministro degli esteri e successivamente primo presidente della repubblica,
molti nomi della scienza e della cultura europei legati ai moti del 1820-21, furono invitati a
raggiungere la nuova repubblica.
25
N. Cuneo, op. cit., pp. 92-93
26
E. Scarzanella, Italiani d’Argentina..., op. cit., p. 27