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imputabili al conto economico (perché economicamente non giustificati e di
valenza esclusivamente fiscale), con la iscrizione nell’apposito prospetto si ottiene
la stessa deducibilità prima subordinata alla iscrizione al conto economico. Si è
evitato così che la novità civilistica potesse tradursi in una modificazione del
regime fiscale.
Nella presente trattazione si tenterà di accennare all’origine delle interferenze
fiscali ed alle sue manifestazioni nel tempo; si cercherà, quindi, di descrivere le
varie soluzioni proposte dal Legislatore e di illustrare come la Riforma societaria e
quella tributaria abbiano tentato di porre definitivamente fine all’inquinamento
fiscale del bilancio.
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CAPITOLO PRIMO
IL REDDITO D'IMPRESA: PRINCIPI GENERALI
1.1 Definizione di reddito d'impresa
La nozione di reddito d'impresa trae origine dalla qualificazione civilistica. In
particolare, il codice civile, all'articolo 2082, definisce imprenditore colui il quale
esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi.
In realtà, la nozione fiscale di esercizio dell'attività d'impresa è più ampia, in
quanto, oltre a comprendere quella civilistica, include anche l'esercizio di attività
di natura commerciale non organizzate in forma di impresa, mentre agli effetti
civilistici l'organizzazione, seppure minima, è indispensabile affinché si possa
parlare di impresa
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. Pertanto, ai sensi dell'articolo 55 del Tuir, i redditi d'impresa
sono quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali, considerando tale
lo svolgimento per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle seguenti
attività:
ξ industriale diretta alla produzione di beni o di servizi
ξ intermediaria nella circolazione dei beni
ξ di trasporto per terra, per acqua o per aria
ξ bancaria o assicurativa
ξ altre attività ausiliarie delle precedenti.
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Cfr.: Reddito d’impresa, Fisco oggi, Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, 2005
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Sono inoltre considerati redditi d'impresa:
ξ quelli derivanti dalle attività di allevamento di animali se il numero dei
capi allevati supera il limite di quelli allevabili con mangimi ottenibili per
meno di un quarto dal terreno;
ξ quelli derivanti dalle attività dirette alla manipolazione, trasformazione e
alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul
terreno, che non rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la
tecnica che lo governa o che abbiano per oggetto prodotti ottenuti per meno
della metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso;
ξ la coltivazione di vegetali effettuata mediante strutture fisse o mobili (ad
esempio, mediante serre), se la superficie adibita alla produzione eccede il
doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste;
ξ quelli derivanti dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi,
stagni e altre acque interne;
ξ i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio di attività agricole,
di cui all'articolo 32 del Tuir, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle
società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili
organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa.
1.2 Individuazione del reddito d’impresa. Il nesso di pregiudizialità -
dipendenza
Il principio generale per l’individuazione del reddito d’impresa rinvia
esplicitamente allo schema di Conto Economico previsto dal Codice Civile. Si
ritiene infatti che le clausole generali di redazione del bilancio previste dalla
normativa civilistica all’articolo 2423 del Codice Civile che presiedono la
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valutazione delle voci inserite nel documento in parola costituiscano prescrizioni
validamente accettabili anche dall’ordinamento tributario.
Questo principio, che la dottrina ha da tempo definito come nesso di
pregiudizialità – dipendenza, consiste, quindi, non tanto nella perfetta
corrispondenza dei due concetti di reddito d’esercizio e di reddito imponibile
d’impresa, quanto nell’utilizzo strumentale del bilancio d’esercizio ai fini della
determinazione dell’imponibile e, in particolare, nella necessità che questo
contenga tutti gli elementi di reddito a cui il contribuente vuole dare rilevanza
fiscale: la contabilizzazione (e quindi la conseguente imputazione al Conto
Economico) degli elementi di costo diventa, dunque, un vero e proprio onere, in
senso giuridico, il cui sostenimento prelude al riconoscimento dei suddetti
elementi ai fini fiscali.
L’articolo 83, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), dispone infatti
che il reddito d’impresa ai fini fiscali si determini apportando al risultato del Conto
Economico dell’esercizio le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti
all’applicazione delle disposizioni fiscali contenute nel T.U.I.R.
Tali variazioni devono essere considerate come l’insieme delle deroghe di natura
fiscale ai criteri civilistici di determinazione dell’utile d’esercizio; le deroghe in
discorso sono giustificate nell’ottica dell’interesse fiscale di rendere per quanto
possibile oggettiva la quantificazione di un’entità astratta e, quindi, per propria
natura, variamente configurabile, quale il reddito d’esercizio.
La Relazione ministeriale allo schema di Testo unico precisa che, in assenza di
specifica disciplina per ciascuna voce del Conto Economico, le modifiche ai
componenti positivi e negativi di reddito devono essere apportate solo nelle ipotesi
esplicitamente previste dal Legislatore fiscale, rilevando negli altri casi, anche ai
fini fiscali, i valori attribuiti in base all’applicazione dei principi civilistici.
Pertanto le disposizioni fiscali non sono finalizzate a sostituire i principi valutativi
contabili e civilistici per la redazione del Conto Economico, “bensì a disciplinarne
la «lettura» ai fini della determinazione del reddito imponibile, e cioè a stabilire se,
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a quali condizioni e in quali limiti minimi o massimi, i componenti dell’utile di
esercizio presi in considerazione giuocano il ruolo di componenti del reddito
d’impresa imponibile”.
Tanto premesso, il punto di partenza per la determinazione del reddito d'impresa
da assoggettare a tassazione è rappresentato dal conto economico, che, insieme
allo stato patrimoniale e alla nota integrativa, costituisce il bilancio di esercizio di
una impresa. Si ricorda che, dal punto di vista puramente civilistico, la redazione
del bilancio è prescritta obbligatoriamente soltanto per le società di capitali.
Dal punto di vista fiscale, tale obbligo, invece, appare più esteso, in quanto, per
poter determinare il reddito, tutte le imprese soggette alla tenuta delle scritture
contabili in regime ordinario, comprese le imprese individuali e le società di
persone, devono redigere il bilancio. Tale obbligo non sussiste per le imprese
ammesse a regimi contabili semplificati, che determinano il reddito utilizzando
regole più semplici.
1.3 Rapporto fra risultato civilistico e reddito imponibile
Le norme civilistiche impongono la redazione di un bilancio chiaro che rappresenti
in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e
il risultato economico dell’esercizio. La propensione del Legislatore civilistico alla
determinazione di un risultato d’esercizio reale (riferendosi con tale espressione al
concetto di vero legale), al quale il redattore del bilancio deve pervenire nel
rispetto dei criteri generali e particolari di valutazione ex artt. 2423 bis e 2426
C.C., è in linea con l’obiettivo posto dal Legislatore fiscale per la determinazione
dello stesso risultato; tuttavia, i dettami dei due Legislatori hanno finalità diverse. I
criteri ed i principi di ciascun ambito giuridico rispondono ad esigenze proprie e,
in particolare, i risultati che tali differenti sistemi esprimono sono del tutto
peculiari: il risultato civilistico, infatti, informa circa l’andamento economico,
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finanziario e patrimoniale di un’impresa, mentre il risultato tributario rappresenta
la base imponibile in relazione alla quale un soggetto deve adempiere la propria
obbligazione tributaria nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.
Per questo motivo, i dati civilistici e quelli fiscali dovrebbero percorrere “binari”
distinti e, dunque, essere completamente indipendenti.
La redazione del bilancio, effettuata applicando criteri di matrice civilistica,
consente la diffusione di informazioni riguardanti la situazione aziendale agli
stakeholders e la determinazione del risultato economico onde distribuire utile ai
soci; la finalità delle norme civilistiche si ravvisa nella tutela dei terzi in ordine
alla conservazione del patrimonio sociale, ispirandosi in tal senso al generale
principio della prudenza, per i quale si tende all’imputazione dei componenti
negativi di reddito, sebbene presunti, ed all’esclusione di quelli positivi qualora
essi si rivelino esclusivamente sperati.
L’ordinamento tributario tende, al contrario, alla realizzazione di un interesse
pubblico, cioè l’interesse fiscale, la cui essenza va ravvisata nell’emanazione di
regole di agevole applicabilità, che tendano ad istituire meccanismi semplificati
nella riscossione delle imposte, evitando l’adozione di scelte che importino
sottrazione di materia imponibile all’Erario; la ricchezza in tal modo prelevata sarà
quindi utilizzata nel finanziamento della spesa pubblica. Il legislatore tributario,
pertanto, persegue l’interesse fiscale nell’ambito dell’individuazione – di oggettiva
complessità – del reddito imponibile accordando una discrezionalità piuttosto
limitata al redattore del bilancio chiamato ad operare le valutazioni.
A tal fine le norme contenute nel T.U.I.R. circoscrivono inizialmente il loro
ambito di applicazione, individuando i beni fiscalmente appartenenti al patrimonio
aziendale; stabiliscono poi l’indeducibilità totale o parziale di determinati costi e,
specularmente, la piena o limitata non imponibilità di specifici proventi; fissano
quindi la competenza degli elementi reddituali ed i criteri di ripartizione di alcuni
costi e ricavi in una pluralità di periodi d’imposta.
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La diversità tra i due risultati è ascrivibile alla indetraibilità totale o parziale di
determinati costi risultanti dal Conto Economico, ad una maggiore o minore
valutazione fiscale di alcuni componenti positivi e all’intassabilità di specifici
proventi.
Il disallineamento si percepisce con riferimento a quelle disposizioni che
consentono di rettificare alcune voci dell’attivo in misura differente rispetto a
quella consentita dai criteri di valutazione previsti dall’articolo 2426 C.C., ovvero
impongono di costituire nel Conto Economico accantonamenti a speciali riserve in
sospensione d’imposta.
1.4 Principi generali per la determinazione del reddito di impresa
Il nuovo Tuir, così come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, in
vigore dal 1° gennaio 2004, ha comportato una revisione del precedente art.75,
ora trasfuso nell'art. 109, che si riferisce alle norme generali sui componenti del
reddito d'impresa.
Come noto, i criteri generali per la deducibilità dei costi di esercizio o dei
componenti negativi di reddito sono individuati dal principio di competenza, di
oggettiva certezza e determinabilità e di inerenza.
Principio della competenza
Il principio generale che regola la determinazione del reddito d'impresa è quello di
competenza economica, sancito dal Codice Civile all’articolo 2423 bis: al primo
comma, punto 3), esso stabilisce che “si deve tener conto dei proventi e degli oneri
di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del
pagamento” ed al successivo punto 4) impone di “tener conto dei rischi e delle
perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di
questo” (ed ovviamente prima della redazione del bilancio). Civilisticamente rileva
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quindi il momento dell’accadimento dell’evento, indipendentemente dalle relative
conseguenze di carattere finanziario.
I Principi Contabili n°11 e 13 del CNDC e del CNR precisano con un maggiore
livello di dettaglio le regole per l’attribuzione della competenza dei costi e dei
ricavi. Un ricavo è di competenza qualora sia stata completata la produzione del
bene oppure sia reso e fatturabile il servizio e ne sia stato sostanzialmente traslato
il titolo di proprietà. La competenza di un costo è subordinata alla relativa
correlazione con un ricavo d’esercizio: tale correlazione comporta la necessità di
stabilire la competenza dei ricavi anticipatamente rispetto a quella dei costi ed ha
luogo nelle seguenti ipotesi:
1. i costi ed i ricavi sono legati da una relazione causa – effetto;
2. l’utilità del costo è pluriennale e ripartita in base ad un piano sistematico;
3. il costo è imputato direttamente al Conto Economico per motivi di carattere
temporale o per il venir meno dell’utilità del costo stesso.
Il Principio Contabile n°11 associa il verificarsi di tali fattispecie con le seguenti
ipotesi:
1. i costi sostenuti in un esercizio esauriscono la loro utilità già nell’esercizio
stesso o non sia identificabile o valutabile l’utilità futura;
2. viene meno o non sia più identificabile o valutabile l’utilità futura di costi che
erano stati sospesi in esercizi precedenti;
3. l’associazione di causa ad effetto o la ripartizione dell’utilità su base razionale o
sistematica non siano di sostanziale utilità.
Dal punto di vista fiscale, in applicazione del principio di competenza, l'articolo
109 del Tuir, dopo aver confermato l'applicazione dello stesso, stabilisce che i
ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia
ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare,
concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni.