1. Introduzione
Chi, nel visitare la zona storica della città di Cagliari chiamata “Castello” o nel
seguirne un itinerario artistico, non si è mai imbattuto nelle superbe torri di epoca pisana
che dominano il territorio circostante il colle su cui sorgono? La possanza monumentale
che le contraddistingue, dovuta alle rilevanti dimensioni e all’eccellente fattura
architettonica, messa in risalto dall’ottima posizione strategica in altura, che le rende
perciò osservabili anche da grandi distanze, è divenuta un vero e proprio simbolo della
stessa città. Del resto, la prima immagine rappresentativa della città di Cagliari fu
proprio un castello a tre torri, con la torre centrale più alta, merlata alla guelfa, tutt’ora
osservabile negli stemmi scolpiti a rilievo presenti nelle facciate delle due rimanenti
torri pisane, a conferma della loro importanza simbolica. L’orgoglio pisano, che si
concretizzava nell’edificazione delle poderose torri con finalità difensive ma assurte
subito ad immagine suggestiva di potenza e bellezza, si autocelebrava utilizzando i
baluardi difensivi come simbolo stesso della città. Questa prospettiva simbolica
permane tutt’oggi perché quest’antica insegna pisana è l’attuale soggetto dello stemma
della città di Cagliari, capoluogo della Sardegna.
Affascinante aspetto quello della simbologia; soprattutto se è inerente ad un
periodo storico come quello medioevale, che esercita sempre una forte attrattiva. In
quest'epoca in cui fermentano i germi della nuova rinascita culturale che sarà
l’Umanesimo, la particolare forma mentis dei contemporanei, caratterizzata dalle
conoscenze in tutti i campi ancora fortemente strutturate sul pensiero aristotelico e della
filosofia classica, la fortissima influenza della religione cristiana su tutti gli aspetti della
vita del tempo, il contatto con la civiltà e la tradizione bizantina e mediorientale
facilitata dal ripristino dei traffici marittimi sulle coste del Levante mediterraneo, le
suggestioni chimeriche che idealizzavano il lontano Oriente avvolgendolo di un alone
fantastico e misterioso di cui, solo in seguito, grazie all’allargamento dei traffici
commerciali verso Est si incominciò gradualmente ad avere una conoscenza più
oggettiva ed articolata, tutto ciò concorreva a fomentare complesse e fitte correlazioni
simboliche, tipiche del periodo storico analizzato, in svariati ambiti, come quello
letterario, filosofico, esegetico, artistico, architettonico.
Sono questi ultimi aspetti, quelli della simbologia in ambito artistico-
architettonico, alla base di questo lavoro, e in particolare relazione ai monumenti-
simbolo della città di Cagliari. Questo lavoro si incentra principalmente sui vari aspetti
simbolici correlati ad una singola torre, la Torre dell’Elefante, e più specificatamente, al
suo simbolo scultoreo. Si tratta del grazioso “elefantino” di marmo bianco, posto su una
mensola litica, che decora il lato sud-ovest del baluardo, simbolo connotativo della torre
omonima.
Questo lavoro ha proprio la finalità di cercare di individuare le cause che hanno
contribuito a far nascere quel “bisogno”, insito in un contesto tipicamente medioevale,
di connotare simbolicamente opere edificate dall’uomo, solitamente di grandi
dimensioni, e in particolare le costruzioni di carattere difensivo, approfondendo le
modalità di sviluppo di questo particolare “trend”, senza dubbio compreso
3
nell’elaborazione delle categorie mentali medioevali, potenziate dalle interrelazioni
culturali, religiose, artistiche che si instaurarono tra i diversi popoli del Mediterraneo
per tutto il Medioevo.
Iniziando questo percorso si cercherà, anche se in modo sintetico, di
approfondire le influenze artistiche, filosofiche, religiose che l’Oriente, fin dall’epoca
antica, e il vicino mondo islamico, a partire dal secolo VII-VIII, hanno esercitato sulle
produzioni culturali europee e italiane. È ovvio che in quest’ambito specifico sarà
impossibile affrontare tutti gli aspetti dell’“influsso orientale” che ha sempre suscitato
grande fascino nell’elaborazione culturale occidentale. Perciò gli approfondimenti
saranno funzionali ad un discorso che cercherà di mettere in luce gli aspetti descritti
riguardanti la simbologia accostata agli edifici di grande mole e in particolare alle opere
difensive.
Nello specifico, si approfondiranno gli apporti culturali, artistici e stilistici che
Pisa ha mutuato dall’Oriente arrivando all’elaborazione di un particolare linguaggio
artistico ricco di riferimenti simbolici, poi diffuso in tutti i territori a lei soggetti.
Il soffermarsi sulle influenze di matrice prettamente orientale ha origine da un
semplice fatto oggettivo. Innanzitutto…l’elefante.
L’habitat naturale di questo grosso pachiderma non è sicuramente la penisola italiana o
l'Europa. Esso è originario di territori africani e indiani. Ed è questo fatto che deve far
riflettere, per quanto attiene a questo lavoro, sulla scelta di denominare una via (o
“ruga”), una porta d’accesso di Castel di Castro di Cagliari e una torre della sua cortina
difensiva col nome di un animale di cui si aveva notizia solo da fonti che lo
descrivevano in modo impreciso o in modo fantastico, o al massimo, nel secolo XIII
alla corte di Federico II, quando si era potuto osservare un esemplare in carne ed ossa
proveniente dall’Oriente: si tratta dell’elefante regalato all’imperatore dal sultano
d’Egitto, che aveva colpito moltissimo l’immaginazione di coloro che lo avevano potuto
ammirare. Effettivamente solo nei territori africani e orientali, tra cui la lontana ed
affascinante India, quest’animale era comune ed utilizzato per svariati scopi: da mezzo
di trasporto, a “fornitore” di avorio, a mezzo bellico di carattere offensivo.
È proprio la mancanza di un riscontro diretto e la conseguente elaborazione
mentale immaginaria di un qualcosa che, per la stragrande maggioranza della
popolazione europea ed in particolare italiana e, nel nostro caso, pisana, non fu mai
vista o che era più o meno nota solo attraverso imprecise mediazioni orali, scritte o,
raramente, visive, che determina quel processo di mitizzazione tipico dell’epoca antica e
medioevale. Questo processo mentale si verifica con tutti gli animali di cui si conosceva
poco o niente; esaltando certe caratteristiche di una specie o dando origine ad una
confusione tra animale e animale, a volte si arrivava alla “creazione” di veri e propri
animali fantastici o mostri, come si può riscontrare nei vari bestiari medievali. Sempre
in ambito di fauna fantastica, notevole è inoltre in periodo medievale l’acquisizione
dell’elaborazione mitica, ellenica e classica, solitamente snaturata nella sua essenza
attraverso l’interpretatio christiana, che mutuava il valore mitico originario adattandolo
ad un contesto in sintonia con la società corrente basata sul cristianesimo.
Dal periodo ellenico si aveva conoscenza dell’elefante, e lo stesso Alessandro
Magno fu fortemente impressionato alla vista di questi grossi animali utilizzati come
vere e proprie macchine da guerra dalle popolazioni indigene nella sua campagna
d’India. Sulla groppa dell’elefante veniva sistemata una sorta di torretta di legno nel cui
interno e nella cui sommità si disponevano gli arcieri.
L’elefante si ritrova anche nell’antico gioco degli scacchi, importato in Europa
dagli arabi. Infatti in principio il pezzo della torre era rappresentato da un elefante
sormontato da una torre. Questo particolare è molto interessante perché è la stessa
4
macchina bellica offensiva che viene utilizzata dalle popolazioni indiane. E può risultare
del tutto normale il “passaggio” da una reale applicazione di un sistema militare di
carattere offensivo ad una “rappresentazione” di tipo ludico, ma con connotati
fortemente strategici e tattici come quelli insiti nel gioco degli scacchi.
Questo lavoro si soffermerà in ultima analisi sulla particolare “trasmigrazione
simbolica” che è insita nella torre dell’Elefante di Castel di Castro e curerà gli aspetti
che hanno portato ad utilizzare un simbolo di forza e possanza come l’elefante a
connotare per semplice induzione anche la torre omonima. Ma avrà anche il compito di
osservare che questa “trasmigrazione” non avviene solo a livello delle singole torri, ma
sembra “allargarsi” all’intera struttura urbanistica di Castel di Castro.
Nella prima parte di questo lavoro, in cui si passa da una sorta di “introduzione”
ad un discorso più specifico inerente l’oggetto di questo lavoro, che verrà sviluppato
organicamente in più fasi, si cercherà inizialmente di mettere in luce l’importanza del
contatto di Pisa con il mondo musulmano, con l’Oriente bizantino e siriano e con il
prestigio imperiale. Gli aspetti peculiari di queste realtà influenzarono fortemente le
scelte politiche ed economiche, ma soprattutto quelle culturali ed artistiche, della città
toscana, ed è da questa commistione di influenze che si vuole partire per sviluppare un
discorso in cui si darà risalto alla formidabile elaborazione culturale pisana che
coinvolse anche i territori soggetti al Comune toscano.
Attraverso un percorso che tende sempre più allo specifico, si cercherà
successivamente di mettere a fuoco le modalità che hanno permesso il “contatto” tra la
Repubblica marinara pisana e la Sardegna a partire dal secolo XI, origine di quella
diffusione di novità culturali, politiche, artistiche che hanno consentito ad una terra
come la Sardegna di uscire da un isolamento plurisecolare che, anche se non in senso
assoluto, permaneva da circa quattrocento anni. Ma se questo isolamento ebbe il merito
di far sì che da un apparato politico e culturale di matrice tipicamente bizantina
dipendente dalla madrepatria orientale radicato sin dal VI secolo si formasse una realtà
statuale autoctona con caratteristiche organizzative originali che in seguito geminò in
quattro veri e propri stati, i giudicati, tra loro indipendenti, il “contatto” con realtà
politiche oltremarine come Pisa determinò un’apertura dell’Isola a novità in campo
culturale, artistico, di organizzazione territoriale e sociale, che l’inserì in un circuito
“latino” che incominciava ad espandersi in tutto il Mediterraneo. Questa apertura fu
però gradualmente la causa dell’invadenza degli “ospiti” oltremarini che arrivò a
destabilizzare l’autonomia dell’assetto politico ed organizzativo giudicale e, infine, a
provocare la fine di fatto dei giudicati stessi attraverso l’occupazione coatta dei territori
sardi. La storia di Castel di Castro di Calari si inserisce in questo contesto storico e
l’importanza strategica dello scalo marittimo sardo in ambito mediterraneo determina il
forte interesse della Madrepatria per l’efficienza del suo funzionamento istituzionale ed
economico, considerando l’insediamento come emanazione politica del Comune
toscano e perciò come proprietà da valorizzare in senso artistico-architettonico e da
difendere attraverso la possente cinta muraria e le superbe torri del XIV secolo.
Nei capitoli successivi alla prima parte si cercherà di dimostrare come gli “echi”
dell’elaborazione culturale del lontano mondo orientale e musulmano e l’influenza
dell’aulicità federiciana nelle manifestazioni artistiche e intellettuali, che vennero fatti
propri anche da quella pisana, siano potuti arrivare, tramite Pisa, in Sardegna.
L’interesse verterà sulle modalità del supposto sincretismo culturale che si è venuto a
creare e che ha generato un linguaggio simbolico utilizzato per identificare la torre
dell’Elefante, le altre torri difensive di Castel di Castro, la loro particolare posizione
nello spazio, la loro interrelazione e quella con gli edifici sacri circostanti; inoltre questa
5
interrelazione sembra estendersi all’intero assetto urbanistico di matrice pisana,
identificandola simbolicamente nello spazio.
Mentre la prima parte ha la funzione di approfondire gli aspetti storici, politici
ed artistici riguardanti Pisa, la Sardegna ed in particolare Castel di Castro e le
caratteristiche architettoniche della torre dell’Elefante, la seconda parte verterà sulla
ricerca dell’origine del linguaggio simbolico inerente l’oggetto di questo lavoro. Se può
apparire relativamente semplice l’inquadramento storico-artistico sopraddetto, per via
della vasta letteratura e degli studi specifici riguardanti tali aspetti sulla Sardegna
medioevale, molto più impegnativo risulta l’approfondimento della seconda parte, in cui
la difficile, in qualche caso addirittura criptata, comprensione del linguaggio dei simboli
medioevali, nel caso specifico circoscritti e pertinenti la torre dell’Elefante, è resa ancor
più intricata dalle trasformazioni oggettive di natura culturale che in un dato luogo si
sono avvicendate nel tempo e dalle contaminazioni delle civiltà “esterne” che, attraverso
gli interscambi, le acquisizioni e le permutazioni significative, rendono la prospettiva
cognitiva di un determinato soggetto ancor più ricca e di complessa comprensione.
Il significato di un simbolo che un determinato popolo o gruppo sociale ha scelto
per identificare un determinato concetto può variare, trasformarsi, adattarsi nel tempo
alle situazioni storiche, ambientali, culturali.
Il valore simbolico è variabile e mutevole, come l’importanza ad esso relativa.
Può essere, nello specifico, il caso della simbologia concernente la torre in oggetto e la
sua scultura decorativa. In un periodo culturalmente complesso come quello
medioevale, le modalità costruttive, le caratteristiche e le dimensioni della sua struttura
architettonica, il suo esatto orientamento, la sua idealizzazione in rapporto al suo
elemento decorativo non potevano essere casuali, avevano uno specifico significato, una
grande importanza ed un forte impatto nell’immaginario della popolazione pisana (e dei
suoi nemici, per via del carattere bellico della torre); ma a distanza di oltre settecento
anni dalla sua edificazione questo significato ha perso terreno perché è variato il
contesto storico e culturale in cui fu pensata e costruita e la sua valenza significativa
non è più, ai nostri occhi, sostanziale come allora.
L’identificazione e la comprensione del significato simbolico (o significati…)
che la torre dell’Elefante di Cagliari ha avuto in un contesto culturale variegato come
quello medioevale appare perciò di particolare importanza al fine di approfondirne le
modalità e gli intendimenti costruttivi fortemente collegati agli stessi aspetti simbolici
che la connotano. Significati che, come si è detto, per ragioni diverse, si sono obliati col
tempo e il loro recupero appare sicuramente un tentativo audace, perché irto di non
poche difficoltà interpretative. Ma è un tentativo doveroso perché potrebbe
rappresentare un piccolo tassello da aggiungere alla comprensione del passato che ci
riguarda, che riguarda la storia della nostra Isola, della città di Cagliari e delle sue
splendide torri medioevali; in particolare della torre dell’Elefante e della sua importanza
non solo come baluardo difensivo in sé e per sé, ma come elemento rappresentativo e
simbolico dell’immaginario collettivo del periodo; emblema di cui, ai giorni nostri, solo
in modo superficiale si riesce a percepire l’affascinante complessità interpretativa.
6
2. Pisa e la Sardegna nel Medioevo
2.1 Pisa, l’Impero, il Mediterraneo e le “vie dell’Oriente”
Iniziando questo percorso che si propone di far luce sull’origine e l’evoluzione
formale di un determinato linguaggio artistico e architettonico carico di riferimenti
simbolici di un particolare popolo come quello pisano che, in un dato tempo ha lasciato
le sue “orme” anche nella nostra Isola, ovviamente delimitandolo agli aspetti che più
interessano l’oggetto di questo studio, sarà utile a riguardo approfondire gli sviluppi non
solo artistici, ma anche sociali e politici riguardanti il periodo più florido della
Repubblica marinara che va dal XI alla fine del XIII secolo, per ottenere una visione più
completa ed esaustiva della materia da trattare.
Questo linguaggio artistico, come tutti quelli delle varie epoche e dei vari popoli,
non nasce dal nulla e non è solamente un prodotto autoctono. Esso, oltre a vantare una
tradizione gloriosa come quella classica, è anche il risultato indiretto dell’incontro di
svariati contatti politici, sociali, culturali ed artistici delle varie popolazioni che nel
florido periodo medioevale in questione hanno arricchito gli stilemi e la sensibilità
artistica del popolo pisano.
Tralasciando momentaneamente il discorso sugli aspetti peculiari che
caratterizzano il trend artistico pisano, in questo capitolo si metterà in evidenza ciò che
portò Pisa ad avere un peso non indifferente sulle vicende storiche che investirono tutto
il Mediterraneo. Sarà proprio questa posizione preminente di carattere economico e
commerciale in ambito mediterraneo che produrrà, in un secondo momento, anche un
arricchimento del linguaggio artistico, dovuto all’inevitabile contatto con le tradizioni
delle popolazioni differenti, e che porterà Pisa, per un determinato periodo della storia
dell’arte, a divenire punto di riferimento delle arti visive e architettoniche in Italia.
Pisa, come quasi tutte le città del nord e del centro della penisola italiana, subì,
dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, le invasioni barbariche con tutte le
conseguenze politiche e amministrative che ne conseguirono. Se i Longobardi
lasciarono tracce non indifferenti del loro passaggio, furono sicuramente i Franchi a
creare, con la trasformazione dei ducati longobardi in marchesati, una nuova struttura
che diede vita alla Marca di Tuscia o della Toscana con la dinastia dei Canossa al
potere, mentre i dromones pisani percorrevano il Mediterraneo occidentale insieme alle
flotte franche. A Pisa le attività marittime avevano portato gli abitanti a distaccarsi
sempre più dai grandi feudatari; erano stati gli armatori, i mercanti e i maiores nobiles a
creare un’associazione privata a tutela degli interessi propri, la quale costituirà il primo
nucleo dell’autonomia cittadina. La prima organizzazione giuridica dei cives fu il
Commune colloquium civitatis o Parlamentum. Ed è alla fine dell’XI secolo che il
Comune pisano si era reso sempre più autonomo, come risulta da un documento senza
precisa datazione ma collocabile tra il 1080 ed il 1085, redatto in lingua sarda e diretto
dal Giudice di Torres, Mariano de Lacon, al vescovo Gerardo, al “vicecomite” Ugo e ai
consoli cittadini. In esso si tratta di esenzioni daziarie, di amministrazione della
giustizia e di protezione dei traffici pisani in Sardegna. Con la menzione del Consolato
7
nel documento citato, la data 1080-1085 si può considerare come quella ufficiale di
costituzione del libero Comune pisano. Antecedentemente a questa data non si hanno
notizie del Consolato, ma quasi sicuramente, esistendo il “consorzio” dei cives, la città
godeva di una larga autonomia che è provata da alcuni fatti precedenti come quando nel
1070 i Pisani si erano ritirati, dimostrando così la loro indipendenza, dalle trattative in
corso, che si svolgevano alla presenza dei marchesi di Toscana presso Viterbo, per
concordare gli aiuti da portare al papa Gregorio VII contro i Normanni. A ciò si
aggiungono le più importanti imprese marittime contro i Saraceni, le quali provano,
senza alcun dubbio, che i maggiorenti della città agivano, anche se da privati cittadini,
alquanto indipendentemente dal potere comitale
1
.
Nei decenni in cui lottava con i musulmani nel Mediterraneo occidentale, Pisa
nello stesso tempo tentava di scalzare gradualmente i diritti di sovranità imperiali e
comitali per raggiungere l’autonomia amministrativa prima e la completa indipendenza
dopo. Già la Chiesa si era dimostrata riconoscente per le imprese antisaracene; infatti,
Gregorio VII aveva concesso nel 1075 il suo beneplacito alle esistenti “Consuetudini
del mare”, prime norme giuridiche alla navigazione. Importante segno distensivo e di
amicizia tra Pisa e l’Impero fu il Diploma concesso dall’imperatore Enrico IV nel luglio
del 1081, in occasione della visita della città, e implicito riconoscimento della sua
autonomia attraverso la proprietà, le consuetudini, la libertà dei traffici e l’esenzione
dalle tasse del mercato. L’imperatore concesse inoltre l’elezione dei dodici uomini per
la gestione del potere da parte dell’organizzazione giuridica dei cives e autorizzò il lodo
dei magistrati incaricati alla nomina del marchese di Toscana o del vicario imperiale.
Era un riconoscimento teso a creare un partito pisano filoimperiale ma che era destinato
a segnare l’inizio di una vita comunale più libera e tendente al raggiungimento
dell’indipendenza politica. Certamente l’Impero vantava ancora dei diritti di sovranità
ma, di fatto, la esercitava piuttosto blandamente, rendendola in quel tempo piuttosto
inesistente
2
.
In questo clima parzialmente liberale si arrivò ad una notevole evoluzione
giuridica, basata sulle antiche leggi longobarde e romane, che portò all’elaborazione
intorno al 1160 del Costitutum usus e del Costitutum legis, per giungere in pochi anni
alla redazione del Codice Civile pisano.
Con l’ascesa di Federico I di Svevia detto il Barbarossa, Pisa, in virtù della
fedeltà mostrata verso l’imperatore nelle lotte verificatesi nei territori italiani tra i
Comuni e l’Impero, ottenne grandi vantaggi. La politica del Barbarossa era tesa
all’affermazione della renovatio imperii, ossia la volontà di restaurare l’autorità
imperiale di fronte alle palesi usurpazioni che il pontefice e i Comuni di tutta la penisola
avevano perpetrato nel tempo, ed è ovvio che da queste contrastanti posizioni nacquero
complesse lotte politiche. Inoltre il progetto federiciano di conquista dell’Italia
meridionale normanna apriva nuove prospettive di affermazione commerciale per i
Pisani, la cui flotta era indispensabile al successo dell’impresa. Il 6 aprile 1162 il
sovrano rilasciava ai Pisani un Diploma che sanzionava il riconoscimento della piena
giurisdizione civile e criminale. Pisa era ormai una potenza soggetta all’Impero ma
libera entro il suo Stato che venne assicurato militarmente, almeno nei possessi del
litorale e dell’entroterra toscani, dove i grandi feudatari dovettero riconoscere l’autorità
della Repubblica
3
.
Agli inizi del XIII secolo si determinò a Pisa il trapasso dal governo consolare a
quello podestarile. Alla nuova magistratura del podestà fu affidato il compito di
1
Benvenuti 1989: 38-39.
2
ivi: 44-46.
3
ivi: 83-84.
8
dirimere le dispute sorte tra i membri dell’aristocrazia consolare cittadina, soprattutto
degli Upezzinghi, i Visconti e i Gherardesca delle varie consorterie sempre presenti nel
consolato e sedenti in senato; tra questi ultimi, perché più vicini all’Impero, venne
nominato il primo Podestà con formula Potestas et Consul. Anche le forze sociali si
erano meglio organizzate, disciplinando le corporazioni industriali, commerciali e
artigiane; le diverse arti e mestieri si raggrupparono nella Corporazione dei mercanti che
ebbero i propri consoli (Consules mercatorum Pisanorum), comprendenti i merciai, gli
speziali e i pellicciai. Erano sorti anche i Consules artis lanae con rilevante posizione
nell’ordinamento corporativo. Ma con lo sviluppo dei commerci marittimi gli operatori
del settore avevano costituito l’ordo maris seguito dalla Curia maris, le quali poi
saranno meglio regolati dal Breve curiae maris del 1215-1220 e più ancora dai Brevia
del 1305 e 1345
4
.
Lo stretto legame politico esistente tra Pisa e l’Impero si mantenne saldo nel
tempo. L’imperatore Federico II concesse con il Diploma del 20 novembre 1220 i
vecchi privilegi già elargiti dagli Svevi, assicurando inoltre la piena giurisdizione sul
contado e il possesso della costa tirrenica da Civitavecchia a Portovenere. La presenza
nella penisola di Federico II, che intendeva seguire la politica della renovatio imperii
dei suoi predecessori, riaccese ben presto la rivalità tra i Comuni e l’Impero. In Toscana
il particolarismo comunale accentuò i dissidi tra Pisa ghibellina e Firenze guelfa,
portandole a scontri armati nei rispettivi contadi, dove intervennero pure le altre città
fedeli alla politica anti-imperiale della Chiesa. La morte del sovrano nel 1250 contribuì
a rendere critiche le condizioni politiche interne del Comune pisano, sempre turbato
dalle lotte per il potere tra le famiglie nobili. Questi torbidi causarono un rivolgimento
istituzionale che si svolse tra il 1250 e il 1260 e portò all’istituzione del Consiglio degli
Anziani e alla nomina del Capitano del popolo. I conflitti interni tra le varie famiglie
nobili della città però non si placarono. I nemici esterni (Firenze, Lucca, Genova e le
altre città guelfe) approfittarono della situazione precaria del Comune toscano e ben
presto la politica antipisana ebbe l’adesione anche del giudice di Gallura Giovanni
Visconti e del conte Ugolino della Gherardesca di Donoratico. Ma il conflitto maggiore
di quegli anni fu combattuto contro Genova; un conflitto iniziato più di un secolo prima
e destinato a protrarsi sino alla battaglia decisiva della Meloria del 1284 che vide Pisa
duramente sconfitta e che segnò la progressiva decadenza della Repubblica toscana
5
.
Questa è in sintesi lo sviluppo politico, giuridico e commerciale delle istituzioni
pisane sino al periodo storico inerente a questo lavoro. Ma questo trend di sviluppo
riguardava anche agli altri territori italiani e mediterranei.
Nel periodo compreso tra l’XI e il XII secolo, in cui si giungeva alla piena
maturità organizzativa delle entità statuali come l’Impero ed il Papato e incominciava a
nascere la consapevolezza politica dei gruppi sociali delle città, soprattutto italiane, si
verificò una sorta di accelerazione delle varie attività che coinvolgevano tutti gli aspetti
della vita delle popolazioni europee e mediterranee. Le attività commerciali e mercantili
riacquistavano vigore dopo il lungo periodo di torpore dei secoli precedenti in cui le
varie invasioni barbariche e la più recente espansione musulmana sulle rotte marittime
avevano limitato gli scambi economici tra i vari territori europei e mediterranei.
Il nascente Comune pisano perseguì questa scelta di allargare gli orizzonti
commerciali puntando sulla fiducia nelle proprie forze e nella sua indole orgogliosa,
dando luogo ad un movimento di espansione economica che coinvolgeva tutta la
popolazione e che concorreva all’aumento del prestigio e del potere del Comune stesso.
Queste intenzioni sono probabilmente alla base della volontà pisana di trarre beneficio
4
ivi: 88.
5
ivi: 90-97.
9
dalle immense opportunità che potevano derivare dall’espansione del controllo delle
rotte mediterranee.
Fin dagli inizi del secolo VII, su testimonianza di Gregorio Magno, esisteva in
Pisa una flotta già nota per la sua efficienza, confermando una certa autonomia e libertà
di movimento dai Longobardi che occupavano il territorio toscano
6
. Ma è dal X secolo
che Pisa si fa iniziatrice di quel mirabile sforzo che occupò le varie nazioni europee a
riappropriarsi dei territori cristiani occupati dagli arabi a partire dal secolo VII e delle
rotte marittime che più facilmente collegavano i territori costieri del Mediterraneo e che
erano rese pericolose dalla minaccia saracena.
La spedizione in Calabria (970), la presa di Reggio (1005), la sconfitta di
Mughaid in Sardegna (1016), la spedizione di Bona (1034) e quella di Palermo (1063),
la conquista di al-Mahdia (1087) e delle Baleari (1113-15) sono le principali tappe di un
rapido riacquisto del controllo cristiano dei territori caduti nelle mani arabe e segno
dello sviluppo della potenza pisana sul mare
7
.
Di notevole importanza, ai fini di un discorso artistico, fu soprattutto l’impresa
di Palermo del 1063 perché il ricco bottino derivante dai saccheggi arrecati alle navi
saracene stanziate nel porto palermitano permise l’inizio della costruzione della
cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta. Allo scopo di tutelare i loro interessi nel sud
della penisola, i Pisani avevano già preso contatto con i Normanni che, prima guidati da
Roberto detto il Guiscardo e poi da Ruggero d’Altavilla, avevano già occupato gran
parte delle regioni meridionali. L’intento normanno di occupare anche la Sicilia
musulmana ottenne l’appoggio di Pisa. L’attacco del 1063 non produsse l’occupazione
della città, a causa dell’accanita difesa saracena, ma fruttò a Pisa l’acquisto di tante
ricchezze di provenienza araba
8
.
Le spedizioni erano il risultato della ferrea volontà di Pisa di trarre beneficio dal
controllo del Mediterraneo, “luogo” di incontro di culture differenti e principale
“mezzo” di diffusione e sviluppo del commercio che doveva soddisfare le richieste di
un mercato sempre più esteso ed esigente.
Era però inevitabile che questa politica di espansione commerciale alla fine
venisse a scontrarsi con gli interessi simili delle altre Repubbliche Marinare, Venezia,
Genova e Amalfi, in special modo quelle concorrenti che si affacciavano nel Mar
Tirreno.
Venezia e Amalfi, che avevano fatto parte dell’impero romano d’Oriente e che si
erano rese indipendenti molto presto in modo progressivo, non avevano comunque
tagliato il cordone ombelicale con la ex madrepatria. Già dal primo Medioevo si erano
inserite attivamente nei circuiti commerciali di Costantinopoli e in quelli arabi,
divenendo l’una una sorta di passaggio obbligatorio delle merci orientali nell’area
padana; l’altra anche un luogo terminale cristiano del mondo islamico a cui apparteneva
la vicina Sicilia, conquistata nel IX secolo.
Amalfi, entrata nell’orbita normanna nel 1131, ancora nei primi decenni del XII
secolo frequentava con i suoi mercanti e le sue navi i porti di Costantinopoli e
dell’Egitto. Il suo declino commerciale iniziò nel 1133, in concomitanza col contrasto
tra il papa Innocenzo II, appoggiato politicamente da Pisa, e il re normanno Ruggero,
che aveva dato sostegno all’antipapa. Pisa riuscì ad assoggettare Amalfi, Ischia,
Sorrento e Salerno attraverso le spedizioni navali del 1135 e 1137
9
.
6
Rossi-Sabatini 1935: 1.
7
ivi: 4.
8
Benvenuti 1989: 43-44.
9
Tangheroni 2003: 139-140.
10