2
Infatti si deve alla storiografia giuridica moderna, la
tendenza a riportare in primo piano la storicità del processo di
formazione del diritto romano, quindi anche della
giurisprudenza.
La ricostruzione del metodo e dell’evoluzione del pensiero
giurisprudenziale passa, inesorabilmente, attraverso
l’acquisizione della consapevolezza che il diritto rappresentato
dalla grande sintesi giustinianea è molto diverso dal diritto
vigente nei periodi precedenti.
Come è noto, l’ordinamento giuridico romano, fu
caratterizzato da una pluralità di fonti di produzione, che,
interagendo tra loro, assicurarono la dinamicità del sistema nel
suo complesso e al tempo stesso la sua flessibilità nelle
soluzioni dei singoli casi che emergevano dalla prassi
2
.
Tale fluidità, e allo stesso tempo coerenza, furono il risultato
dell’ampia rilevanza riconosciuta alla interpretatio della
giurisprudenza, che in un certo senso, pur coesistendo con la
altre fonti, le coordinò e le ridusse a unità o come parte della
dottrina che afferma che si potrebbe parlare di un vero e
proprio sistema
3
.
2
Bretone M., Tecniche e ideologie dei giuristi romani (Napoli 1975) 11 ss.
3
Schiavone A., Linee di storia del pensiero giuridico romano (Torino 1994) 41 ss., dello
stesso autore Giuristi e nobili nella Roma repubblicana. Il secolo della rivoluzione
scientifica nel pensiero giuridico antico (Bari 1987) 38 ss., nonchè Pensiero giuridico e
razionalità aristocratica, in Storia di Roma 2.1 (1990) 439 ss.
3
L’espressione “diritto giurisprudenziale”, dunque, può servire
a porre in luce il prevalere del momento “interpretativo” su
quello “normativo”, ma non è indicativa del metodo con cui gli
interpreti del diritto lo “costruirono”, né lo si potrebbe definire
solo come diritto casistico
4
, intendendosi un ordinamento
giuridico riconosciuto dall’insieme di soluzioni concrete date ai
singoli casi pratici
5
.
Ma non fu solo, quindi, l’apporto della interpretazione
giurisprudenziale a contribuire all'innovazione dell'arcaico
sistema del diritto romano.
Importanti novità furono inserite, sotto forma di editti
mediante la iurisdictio del pretore, urbanus e peregrinus.
Tale fenomeno, sconosciuto alla nostra attuale esperienza, si
tradurebbe in una forma di produzione del diritto che si esplica
attraverso la soluzione dei casi concreti.
A tal proposito il Kunkel
6
, suggerisce le ipotesi che molte
delle brillanti creazioni del ius honorarium in realtà furono, in
massima parte, opera dei giuristi in qualità di respondenti o
quali componenti del consilium principis e che essi quindi
guidarono l’opera creatrice dei magistrati.
4
Schiavone A., Linee di storia del pensiero giuridico romano, op. cit.; anche cfr Vacca
L., Contributo allo studio del metodo op. cit.; e ID., La giurisprudenza nel sistema delle
fonti del diritto romano ( Torino 1989); della stessa opinione anche Vincenti U., Il valore
del precedente nella tradizione giuridica europea (Padova 1998); Bretone M., Tecniche
e ideologie, op. cit. 36 ss. Infine non difforme Talamanca M., Istituzioni di diritto
romano (Napoli 1998) 21 ss.
5
Schiavone A., Linee di storia del pensiero, op.cit. 40 ss.
6
Kunkel W., Linee di storia, op. cit. 132 ss.
4
In altri termini, con l’espressione diritto casistico, si
indicherebbe, secondo l’opinione corrente
7
, il fatto che i principi
giuridici vengono espressi dai giuristi sempre con riferimento
alla prassi concreta, e che questa sensibilità al raggiungimento
di una soluzione “giusta” dei casi, arricchisce progressivamente
tutto il patrimonio che proviene dalla stratificazione della
interpretatio.
L’insieme di queste soluzioni è proiettato nelle opere dei
prudentes, che conservano questa connotazione casistica. Non
solo, anche la struttura dell’interpretatio scritta esprimerebbe,
dunque, il collegamento inscindibile tra caso e soluzione, così
che l’insieme degli scritti dei prudentes apparirebbe come una
monumentale opera di raccolta casistica.
La nascita della giurisprudenza romana
8
potrebbe
identificarsi con tale opera e con l’inizio dell’attività dei
pontifices, il collegio sacerdotale cui era affidato il compito, tra
gli altri, di amministrare il rapporto della comunità con gli dei, il
ius sacrum, ma anche quello di esercitare un controllo delle
formule valide per i rapporti interindividuali, avendo così il
7
Compiutamente Vacca L., Contributo allo studio del metodo op.cit., 67ss., della stessa
autrice La giurisprudenza nel sistema delle fonti op.cit., 6 ss., sul punto anche Vincenti
U., Il valore del precedente nella tradizione giuridica europea (Padova 1998) 30 ss.
8
Il termine giurisprudenza, oggi, identifica quell’insieme di decisioni tecnico-pratiche che
costituiscono il fondamento delle decisioni giurisdizionali, contrapponendola, in questo
significato, alla dottrina, cioè alle opinioni espresse dai giuristi fuori dall’attività
decisionale dei tribunali.
I iurisprudentes romani, invece, sono i giuristi, e la giurisprudenza, nel senso romano del
termine, è l’insieme delle opinioni che vengono formulate nella loro attività, così descritta,
si identificherebbe con la dottrina, nel senso moderno.
5
monopolio della ars magica, che doveva essere mantenuta
segreta mediante i libri pontificales.
9
Anche Cicerone, nel primo libro del De oratore, insiste per un
legame tra la scientia iuris e l’eloquentia da un lato e l’esercizio
degli honores dall’altro, segno del coinvolgimento sociale,
politico e civico del giurista, fino all’abbandono della concezione
ciceroniana, a partire da Labeone, e l’affermarsi di un valore
autonomo della scienza del diritto intesa come l’insieme degli
studia iuris.
Nel periodo augusteo, l’attività giurisprudenziale, soprattutto
quella respondente, non fu più libera; essa fu “controllata”
10
dal principe attraverso la concessione del ius publice
respondendi ex autoritate principis a quei giuristi formalmente
autorevoli ma sostanzialmente “di fiducia” .
9
Kunkel W., Linee di storia giuridica op.cit., 130 ss.
10
Bretone M., Tecniche e ideologie, op. cit. 24 ss.
6
1.a) Diritto scritto e diritto non scritto : ius civile,
iurisdictio, interpretatio.
Nella esperienza giuridica romana spesso hanno interagito
tra loro, sistemi e fonti giuridiche diverse.
Come l’ordinamento mutò dalla forma monarchica alla
repubblicana fino alla imperiale, così anche le fonti si
alternarono, da quelle originarie rappresentate dai mores, alla
emanazione della prima legge scritta: la lex XII Tabularum .
Dapprima, in realtà, il diritto (non scritto) trovava la propria
fonte negli accordi (foedera) stretti al momento delle prime
aggregazioni sociali, dai mores maiorum e dalle cosiddette
leges regiae
11
, il tutto elaborato dall’attività creatrice della
giurisprudenza pontificale prima, e laica dopo.
La lex XII Tabularum, però, integrata nel tempo dai pareri
dei giuristi, fu adattata soprattutto dalla interpretatio
prudentium, scarso fu invece l’apporto delle leges
12
fino alle
costituzioni del Princeps.
Ecco come il valore cogente di una regola giuridica a volte
sia stato riconducibile ad una norma scritta e altre volte a
norme “casistiche” che però tutte insieme ebbero la capacità di
convivere, contribuendo al processo evolutivo dell’ordinamento
romano.
11
Giuffrè V., Istituzioni di diritto romano (Napoli 2001) 4 ss.
12
Giuffrè V., La traccia di Quinto Mucio saggio su “ius civile/ius honorarium” (Napoli
1993) 14 ss.
7
La formazione del diritto si è articolata, nella storia giuridica,
su tre pilastri fondamentali: il ius civile, che associato
originariamente ai mores, può essere identificato con
l’ordinamento positivo del popolo romano.
La iurisdictio, che finì con lo strutturarsi nella determinazione
e applicazione processuale del diritto, prima ad opera del rex,
poi del praetor.
L’interpretatio formulata dai Collegi sacerdotali (attraverso i
responsa, i quali potevano avere natura cautelare e anche
giudiziale) e dotata della auctoritas, fu espressione di un ceto
aristocratico esperto di tecniche giuridico-magiche.
La prima testimonianza, nella esperienza giuridica romana, di
una legge scritta per esigenze di certezza del diritto, può
intravedersi nella nota legge delle XII tavole.
In questa legge i romani hanno sempre visto il punto di
riferimento, il fondamento stesso di tutta la loro vita giuridica
“fons omnis publici privatique iuris” (Liv. 3. 34. 6), essa fu
quindi la prima fonte scritta a essere stata compilata ad opera
di un collegio decemvirale creato ad hoc
13
, al quale era stato
trasferito ogni potere politico.
Come lasciano intendere i frammenti giuridici ricostruiti da
successive testimonianze, le XII tavole erano un esteso disegno
del diritto allora vigente, regolativo di rapporti in ambito
privato.
13
Decemviri legibus scribundis
8
Tale circostanza conferma che il ius civile era, dunque, al
centro delle relazioni giuridiche che allora si limitavano ancora
alla disciplina del fascio di rapporti inerenti le famiglie patrizie
ed i patres che, quali rappresentanti all'esterno del gruppo
familiare, avevano piena capacità giuridica.
La lex XII Tabularum escludeva dalle materie regolate
l’organizzazione politica della comunità e l’ordinamento
giudiziario, integrava invece parte del diritto processuale.
Il sistema processuale, accanto a procedure rigidamente
formali, quali ad esempio la legis actio sacramento, prevedeva
anche un tipo di procedura più snello rappresentato da quella
per iudicis arbitrive postulationem.
I Tripartita (commentaria) di Sestio Elio Peto Catone, console
nel 198 e censore nel 194 a.C., vengono analizzati da Bretone
14
per identificare nella loro struttura composita non solo la legge
delle XII tavole, ma anche l'interpretatio e quei moduli
processuali denominati appunto legis actiones (D. 1. 2. 2. 38).
Alle XII tavole risalirebbe, presumibilmente, e non
difformemente dalla redazione liviana
15
, il raggiungimento di
una capacità normativa del populus nel suo momento comiziale.
Quindi possiamo identificare il testo delle XII tavole come la
prima opera “sistematica” della giurisprudenza romana
16
in cui
si intrecciano almeno due temi dominanti: i poteri e le funzioni
della civitas e l’autonomia del singolo.
14
Bretone M., Tecniche e ideologie, op. cit. 5 ss.
15
XII Tab., 12. 5 :”ut quodcumque postremum populus iussisset, id ius ratumque esset”
(Liv. 7. 17. 12)
16
Bretone M., Tecniche, op. cit. 16 ss.
9
Attraverso l’interpretatio delle leggi più antiche da parte della
giurisprudenza repubblicana, nei primi decenni del II sec. a.C.,
veniva delineandosi quel “valore politico” descritto da Bretone,
e giustificato dal fatto che la legge sarebbe nata proprio dalla
esigenza, implicita nella stessa esperienza della polis, di
esprimersi in termini di ordinamento.
L'interpretatio delle leges costituiva il presupposto primo per
l’applicazione del diritto e consisteva in un processo tecnico per
cui, partendo dalla espressione letterale della legge si perveniva
a ricostruire l’effettiva portata della norma giuridica.
L'interpretatio prudentium, cioè quella operata da soggetti
particolarmente esperti di diritto (iurisperiti), la quale nelle
forme ancora pontificali aveva portata più vasta
17
, ebbe il ruolo
di adattare lo sviluppo del ius alle esigenze socio-economiche
della vita concreta.
Secondo la famosa definizione di Cicerone (de orat. 1. 212)
triplice era la forma assunta dall’attività dei giuristi, cioè il
respondere, consistente nel fornire responsi su determinate
questioni, agere cioè il comporre schemi processuali su richiesta
dei magistrati, cavere identificabile nell’elaborazione di schemi
negoziali idonei al raggiungimento di un determinato scopo
socio-economico.
17
Perché strettamente legata alle funzioni sacrale e magica svolte dal collegio pontificale.
10
La prospettiva ricostruttiva di Bretone ci fornirebbe
dell’interpretatio almeno due significati, o piuttosto due
modalità in cui la stessa si presenta.
L'attività dei iurisperiti rappresenterebbe, da un lato,
un'attività, dall'altro ne costituirebbe invece il risultato.
In tal senso sembra potersi riconoscere in essa un aspetto
dinamico ed uno statico.
Allo stesso modo si può affermare che i congegni verbali e
gli schemi cautelari sono interpretatio, o ius civile in senso
stretto
18
, quando devono all’interpretatio, nel senso dinamico,
la loro esistenza .
C’è anche un’altra forma di produzione giuridica, che si va
affiancando alla scientia iuris, intorno al 367 a.C. con le leges
Liciniae Sextiae che oltre al compromesso tra patrizi e plebei
per le cariche consolari, istituì la pretura, magistratura che
acquistò enorme importanza nel campo della iurisdictio, quindi
della risoluzione delle controversie tra privati.
Quinto Mucio Scevola, pontefice e console, è ritenuto, per la
stesura dei famosi libri iuris civilis, il costruttore del diritto civile,
nel senso che la sua opera rappresenterebbe uno snodo nella
storia della giurisprudenza, dunque egli con la sua opera
sarebbe l’iniziatore di una tradizione giuridica che è arrivata fino
a noi
19
.
18
Bretone M., Tecniche op. cit. 98 ss.
19
Giuffrè V., Istituzioni di diritto romano (Napoli 2001) anche La traccia di Q. Mucio
Scevola. Saggio su ius civile-ius honorarium (Napoli 1993) 24 ss.
11
Quinto Mucio è riuscito a dare sistemazione a molte delle
regolamentazioni che si erano stratificate nel tempo servendosi
di aggregazioni che postulavano la identificazione di generi e
specie dei vari fenomeni rilevanti per il diritto e anche di
rappresentazioni astratte.
Lo stesso Cicerone, come osserva Ferdinando Bona avrebbe
conosciuto i 18 libri iuris civilis di Q. Mucio Scevola e ne avrebbe
rilevato l’importanza pratica nel mondo della giurisprudenza
coeva.
Il grande oratore infatti abbinava alla cultura del perfectus
orator quella necessaria cognitio iuris civilis.
Come rileva lo stesso Schiavone
20
il grande merito di Q.
Mucio Scevola è stato, dunque, quello di fondare il ius civile ma
anche quello di riprendere e perfezionare l’opera del padre
Publio Mucio Scevola, i decem libelli.
Nella stesura dei 18 libri iuris civilis dovette confluire tutta
l’esperienza di Quinto Mucio come autore di responsa,
un’attività cui egli si dedicò con impegno e da cui proveniva la
sua fama personale.
La diffusione di questo scritto durante il principato, fino alla
sua conoscenza e affermazione nella giurisprudenza severiana,
è ampia e consolidata da interventi e approfondimenti operati
da altrettanto grandi giuristi del calibro di Servio Sulpicio Rufo,
Lelio Felice (II sec. a.C.), Gaio e Pomponio.
21
20
Schiavone A., Linee di storia del pensiero, op. cit. 47 ss.
21
si pensi all’ampia opera a lui dedicata: Ad Quintum Mucium lectionum libri XXXIX, e
così altri.
12
Nell'analisi di Schiavone due diverse considerazioni
emergerebbero dal testo di Pomponio.
La prima si sostanzia nell'idea che Quinto Mucio Scevola
abbia costruito nel suo insieme il ius civile attraverso l’uso della
categoria di genus, la seconda evidenzia che questo tentativo
non avrebbe avuto alcun precedente nella storia della
giurisprudenza romana.
L'innovazione indotta dalla base diairetica della sua
riflessione giuridica, è il prodotto degli strumenti di una
specifica cultura riconducibile, non solo al quadro d’insieme che
comprendeva le singole dottrine giuridiche, ma anche alle
abituali esperienze intellettuali (senza esclusione dell’influenza,
se pur limitata, della cultura e della filosofia greca sulla
aristocrazia romana) vissute dall'élite patrizia tra II e I secolo
a.C.
Come è noto il metodo diairetico viene teorizzato in modo
compiuto in un passo celebre del Sofista di Platone, e si
connette a tutto un movimento della dialettica platonica intesa
come ricerca su situazioni dialogiche
22
.
Successivamente però, nel passaggio da Platone ad
Aristotele, questo campo di riferimento subisce un mutamento
profondo.
22
Platone, Soph., 253 d-e, inoltre Shiavone A., Linee di storia , op. cit. 51 ss.
13
Infatti quella dialettica che Platone definiva il più alto livello
della conoscenza, diviene per gli stoici parte marginale,
subalterna rispetto alla logica dimostrativa, disarcionando quindi
il metodo diairetico dal suo ambito originario e determinandone
in conseguenza uno spazio vitale limitato e residuale rispetto
alla stessa filosofia stoica.
Ancora la giurisprudenza del II secolo a.C. infatti mostra lo
sforzo di un percorso faticoso verso il raggiungimento di
formulazioni generali, ovvero sulla strada di una
concettualizzazione dell’esperienza giuridica romana.
E’ solo con l’opera e la figura di Q. Mucio Scevola, che il
quadro cambia aspetto, dal momento che la conquista di una
dimensione compiutamente astratta nasce dall’utilizzazione dei
modelli diairetici, la cui funzione è quella di offrire all’operatore
giuridico i primi strumenti adeguati a fare emergere del tutto la
nuova forma del ius civile, senza la tradizione speculativa greca.
La scoperta e l'innovazione dunque risiederebbero
nell’astrazione e non nell'impiego della diairesis platonica
23
.
Il vero fulcro della svolta muciana si collocherebbe, in
particolare, nell'associazione sconosciuta tanto alla metodica
romana quanto a quella del mondo antico, di un sapere per
concetti finalizzato all’uso di una funzione pratica, quella
dell’esercizio di un potere pubblico.
23
Shiavone A., Linee di storia , op. cit. 51 ss.