Capitolo I
La misurazione dell’efficienza in banca
1.1 Il concetto di efficienza
Per misurare l’efficienza di una banca o delle sue filiali, bisogna avere bene presente
cosa vuol dire efficienza e quali sono i concetti differenti di efficienza.
L’efficienza in economia indica la capacità di saper gestire al meglio le risorse
disponibili. Un’azienda può essere considerata efficiente nel momento in cui utilizza in
maniera economica le risorse a propria disposizione. La misura dell’efficienza riguarda
tutte le fasi del processo produttivo e si pone come obiettivo l’analisi delle alternative
che producono il massimo rapporto tra risultati ottenuti e mezzi impiegati.
OUTPUT
Indicatore: INPUT
Massimizzare l’efficienza di un sistema organizzativo significa tendere al maggior
livello di output a parità di input o, viceversa, al minor livello di input a parità di output.
Si distinguono diverse misure di efficienza:
- Efficienza tecnica o produttiva
L’efficienza tecnica o produttiva fa riferimento a un concetto di efficienza interna e
misura il modo in cui i fattori sono utilizzati nel processo produttivo, indicando la
capacità dell’azienda di produrre più unità di output dato un certo ammontare di
input e una certa tecnologia o viceversa.
1
In altre parole, con efficienza produttiva si intende la politica gestionale che
1
consente di massimizzare gli output sfruttando al meglio gli input.
Farrel (1957) definisce l’efficienza tecnica come ― la capacità dell’impresa di
minimizzare le quantità di input impiegate per la produzione di una data quantità di
output o di massimizzare la quantità di output dato un certo ammontare di fattori
2
produttivi.‖
- Efficienza allocativa o gestionale
Questo concetto di efficienza misura la capacità dell’impresa di combinare input e
output al minimo costo, dati i prezzi di mercato. Esso riguarda l’efficienza esterna e
indica la capacità dell’azienda di ottenere più unità di output, poiché i risparmi
ottenuti sui mercati (sia nei processi di acquisto di input che di vendita di output)
hanno permesso di ottenere, a parità di mezzi monetari, più risorse.
L’efficienza allocativa, quindi, è la politica gestionale che consente di massimizzare
3
gli output allocando al meglio gli input.
Farrell intende per efficienza economica o allocativa ― la capacità dell’impresa di
4
scegliere combinazioni di input ottimali rispetto ai loro prezzi‖.
Al crescere del livello di efficienza, aumenta la probabilità di un’azienda di essere
efficace in modo ripetibile e duraturo.
L’efficacia indica il raggiungimento di un obiettivo, senza riguardare il metodo usato o
la ripetibilità dell’evento. Un’azienda si dice efficace quando ha raggiunto con successo
gli obiettivi prefissati. I giudizi di efficacia implicano una valutazione qualitativa ex
post del grado di raggiungimento degli obiettivi desiderati. Tali obiettivi possono
riguardare il grado di soddisfazione della clientela, i guadagni conseguiti dall’azienda e
simili.
1
Panati, Golinelli, Teoria economica industriale e commerciale, NIS, 1995
2
I. Santini, ― Le scale di equivalenza per la valutazione comparativa delle performance aziendali‖, in Studi
e note di economia 2/2002
3
Panati, Golinelli, Teoria economica industriale e commerciale, NIS, 1995, p.98
4
I. Santini, ― Le scale di equivalenza per la valutazione comparativa delle performance aziendali‖, in Studi
e note di economia 2/2002
2
Le misure di efficacia distinguono:
- Efficacia interna o gestionale (output/obiettivi)
Essa misura e indica la capacità di raggiungere determinati obiettivi prefissati.
L’efficacia gestionale è definita come rapporto tra risultati conseguiti e risultati
attesi: OUTPUT EFFETTIVI
OUTPUT ATTESI
- Efficacia esterna o sociale (obiettivi/risultati)
Questo concetto di efficacia riguarda la capacità dell’azienda di soddisfare i bisogni
dei diversi stakeholer.
Massimizzare l’efficacia di un sistema organizzativo significa tendere al maggior grado
possibile di ottenimento dei risultati prefissati.
Secondo le logiche dell’economia aziendale, l’attività di un’impresa deve essere rivolta
alla ricerca del raggiungimento degli obiettivi prefissati, con l’utilizzo razionale delle
risorse disponibili.
Il concetto di economicità sintetizza la capacità dell’azienda, nel lungo periodo, di
utilizzare in modo efficiente le proprie risorse, raggiungendo in modo efficace i propri
obiettivi.
3
1.2 Come si misura l’efficienza
Un soggetto economico raggiunge dunque la sua efficienza quando il rapporto tra
output prodotto e input impiegato si colloca a un livello massimo, almeno entro un dato
intervallo temporale.
Questa definizione porta a focalizzare l’attenzione su una serie di problematiche:
• Diventa necessario rendere compatibili la definizione teorica di efficienza all’esigenza
dettata dai soggetti economici da prendere in esame, riguardo alle loro specificità.
• E’ utile chiedersi se limitare la propria attenzione agli ambiti tecnologici o se è
opportuno, stabilite alcune condizioni concettuali preliminari, comprendere nell’analisi
altri aspetti legati alla gestione.
• Sorge l’esigenza di definire con chiarezza input e output del soggetto che si vuole
esaminare.
• Infine, bisogna definire l’approccio (macro o micro) mediante il quale condurre
l’analisi.
L’ottica ― macro‖ esegue un confronto interaziendale, nel quale si confrontano gli
aggregati di conto economico di più aziende, mentre l’approccio ― micro‖ si riferisce a
una valutazione aziendale, con la quale un’impresa, che si sottopone al controllo, si
monitorizza, gestisce le sue unità produttive, definendo benchmark, verificando e
riequilibrando scostamenti.
Negli anni recenti si è sviluppata una sempre maggiore presenza di dati interni alle
aziende e di architetture contabili che studiano i processi e che scompondono l’attività
produttiva in una moltitudine di matrici da monitorare frequentemente. Ciò ha
contribuito a uno spostamento da un’ottica macro a un’ottica micro e ha agito come
stimolo per i ricercatori a utilizzare strumenti statistici, econometrici o di ricerca
operativa per realizzare cruscotti per la direzione aziendale.
Inoltre, altri fattori catalizzatori hanno spinto il processo di trasformazione dall’ottica
macro a una visione micro. Tra questi si trova il clima di maggiore concorrenza
consolidatosi dopo la deregulation, che ha focalizzato l’attenzione sui costi e sulle
4
problematiche legate alla gestione interna. Il proliferare degli sportelli e le reti
informatiche hanno poi trasformato in esigenza imprescindibile quella che, prima, era
solo una cultura di pochi.
L’approccio micro parte dal concetto che il risultato finale della performance di un
soggetto economico è la somma di una moltitudine di azioni che consumano risorse
(input) per ottenere dei risultati (output). È superato l’approccio tecnologico, che
affronta soltanto il problema della combinazione ottima dei fattori produttivi e/o della
dimensione ottimale della banca, in favore di una visione trasversale dell’azienda, che
vede allineate variabili economicamente rilevanti che diventano indipendenti (input) o
dipendenti (output). Attraverso lo strumento statistico si legano queste variabili in un
unico quadro organico, nel quale si tenta di coniugare un approccio economico con
quello che risulta dai metodi di valutazione aziendale e di ottenere una versione
dinamica complessiva dell’azienda presa in esame. I modelli utilizzati riproducono le
logiche di comportamento dell’impresa e consentono, oltre all’analisi a consuntivo,
5
simulazioni di scenari futuri.
5
A. Viviani, D.S. Gazzei, ― L’analisi dell’efficienza nel mondo bancario. Dall’approccio macro
all’approccio micro‖, in Studi e note di economia 2/2001
5
1.3 La necessità di misurare la performance bancaria
Dall’inizio degli anni Novanta a oggi il contesto nel quale si ritrovano a competere le
banche ha subito notevoli modifiche. Il settore bancario era frammentato e segmentato
in conformità a categorie giuridiche, specializzazioni funzionali e assetti proprietari, con
oltre due terzi dell’attivo di sistema in mano pubblica. Le banche italiane erano di
dimensione contenuta rispetto al contesto internazionale, la redditività media era molto
bassa e l’efficienza era carente.
Da allora il settore ha attraversato un processo di trasformazione e modernizzazione
senza precedenti, fatto di privatizzazioni, consolidamenti, riorganizzazioni e
razionalizzazioni.
Nel settore dell’intermediazione l’esperienza del cambiamento è stata particolarmente
dirompente e generatore di discontinuità. Infatti, nella financial services industry, assai
più che nelle altre, si è verificato un passaggio rapido e brusco da una situazione di
stabilità artificiale a una situazione di cambiamento e incertezza. L’ordinamento,
prioritariamente concentrato sulla stabilità, ha subito una fase di deregolamentazione e
di conseguente regolamentazione.
Il cambiamento del settore dei servizi finanziari è stato prevalentemente avviato dalla
combinazione interattiva di quattro fattori esogeni principali: la deregolamentazione
dell’attività finanziaria, la globalizzazione delle relazioni finanziarie, l’innovazione
della tecnologia dell’informazione, la comunicazione e il progresso delle modellistiche
finanziarie per la gestione delle decisioni e la quantificazione dei valori o dei prezzi.
Il settore bancario ha così attraversato una fase di trasformazione molto intensa e
radicale, della quale l’integrazione dei mercati, l’innovazione tecnologica e finanziaria,
6
l’evoluzione normativa e degli assetti proprietari sono stati i fattori trainanti. In questo
modo si sono creati nuovi fabbisogni di controllo, che si legano a fattori di natura
ambientale, strategica e organizzativa. Nella tabella 1 si riporta una visione ampia delle
7
principali tendenze.
6
P. Mottura, Banche. Strategie, organizzazione e concentrazioni, Egea, Milano 2007
7
M. Di Antonio, Creazione di valore e controllo strategico nella banca, Bancaria Editrice, Roma, 2002
6
Figura 1 – Il cambiamento del contesto e i nuovi fabbisogni di controllo
Fattori di contesto Nuovi fabbisogni di controllo
Aumento della competitività dei mercati
Deregulation Controllo strategico
Differenziazione delle risposte strategiche
Riduzione degli spread
Controllo dell’efficienza operativa e delle
Maturità del business
attività di servizio
dell’intermediazione creditizia
Strategie di diversificazione/ alleanze Controllo di gruppo
Sviluppo dei mercati dei capitali Controllo dei rischi finanziari
Volatilità dei tassi di interesse e di cambio Controllo dell’assorbimento e della
Aumento delle attività delle banche sui redditività del capitale
mercati
Privatizzazioni
Controllo dell’assorbimento e della
Aumento dei rischi
redditività del capitale
Introduzione dei ratios patrimoniali
Impatti dell’Information &
Communication Technology
Controllo dell’e-business
Sviluppo di nuovi modelli di business: e-
banking
Controllo dei nuovi canali
Innovazione e diversificazione dei canali Controllo integrato dei comportamenti di
utilizzo da parte dei clienti
Necessità di aumentare l’efficienza
Nuove pratiche manageriali nella gestione
Controllo dei processi
dei processi (benchmarking, outsourcing,
Business Process Reengineering)
Fonte: ―Cr eazione di valore e controllo strategico nella banca‖, Di Antonio Marco
7
Gli impatti diretti che l’evoluzione ha avuto sul settore possono essere rappresentati in
quattro profili principali di vulnerabilità degli intermediari finanziari:
1) il cambiamento normativo - regolamentare ha favorito un notevole
abbassamento delle barriere all’entrata e ha generato condizioni di maggiore
8
contendibilità dell’attività di intermediazione finanziaria;
2) il fenomeno della disintermediazione ha ridimensionato il peso degli
intermediari finanziari. La banca tradizionale è stata progressivamente
disintermediata dal lato del passivo, da quello dell’attivo in alcuni segmenti dei
9
circuiti di pagamento, e nei circuiti dell’informazione;
3) gli stessi valori dell’attivo della banca presentano oggi un profilo di vulnerabilità
più elevato rispetto al passato per i seguenti motivi:
- i mercati finanziari sono complessivamente più volatili e la
composizione degli attivi e dei passivi patrimoniali è più esposta a questa
volatilità, subendone più marcate variazioni di valore,
- i rischi di credito incorporati nel portafoglio prestiti sono aumentati, da
un lato perché i contesti competitivi delle imprese finanziate sono
divenuti più rischiosi, dall’altro perché la maggiore accessibilità dei
mercati mobiliari ha consentito alle imprese meno rischiose di sostituire
emissioni dirette di strumenti mobiliari ai finanziamenti bancari, con
effetto di aumento del tenore medio di rischiosità dei portafogli prestiti
così modificati;
4) il progresso, l’innovazione, ma anche il semplice cambiamento delle tecnologie
evidenzia un nuovo profilo di vulnerabilità degli intermediari finanziari. La
nozione di tecnologia sostitutiva, in pratica, propone nuovamente il concetto di
disintermediazione, concretamente visibile nella potenziale sostituzione dei
canali tecnologici/virtuali a quelli distributivi tradizionali.
Inoltre, l’attività di intermediazione creditizia presenta con evidenza i sintomi
caratterizzanti i settori maturi: tasso di sviluppo reale prossimo a zero, sovraffollamento
dei produttori, aumento della concorrenza di prezzo, eccedenza di capacità produttiva,
tecnologia stabile e matura e riduzione dei margini di redditività.
8
De Bandt e Davis (2000)
9
Kranen e Schmidt (2004)
8
In questi anni si può osservare una trasformazione dell’intermediazione finanziaria, sia
in Italia sia negli altri paesi. I margini di interesse sono fortemente in calo, le fonti
10
alternative di margini aumentano, i costi operativi si riducono, mentre aumenta la
produttività e di conseguenza l’efficienza.
La globalizzazione, l’apertura dei mercati e la crescente concorrenza hanno fatto sì che
essere competitivi per le banche si è mostrato sempre più difficile. L’efficienza è
diventata indispensabile per continuare a creare valore in un ambiente competitivo come
quello finanziario.
L’evoluzione del settore degli intermediari finanziari ha così prodotto risultati positivi.
Nonostante la concentrazione, che ha preso atto dal 1990, la concorrenza tra le banche è
aumentata. Le banche hanno migliorato i propri livelli di efficienza operativa, anche
sotto l’aspetto della produttività. Il progressivo consolidamento della struttura
dell’offerta e il connesso aumento delle dimensioni medie aziendali hanno contribuito al
miglioramento non solo dell’efficienza, ma anche alla redditività e alle capacità di
investimento, in particolare tecnologico, specificamente necessarie per ― restare in
11
gioco‖.
Ora i livelli di produttività e di efficienza in Italia non si discostano da quelli dei
principali competitori europei.
In un ambiente più difficile è richiesta alle aziende di credito una più avanzata capacità
di tradurre in azione le proprie strategie, programmare l’attività e dare responsabilità al
management attraverso l’assegnazione di obiettivi. I sistemi di programmazione e
controllo assumono un ruolo sempre più importante all’interno della gestione bancaria.
Sta diventando fondamentale tenere sotto controllo l’andamento della gestione e
intervenire prontamente laddove il suo avanzamento si discosti dalla direzione
12
desiderata.
10
Come i ricavi da servizi
11
P. Mottura, Banche. Strategie, organizzazione e concentrazioni, Egea, Milano 2007
12
M. Di Antonio, Creazione di valore e controllo strategico nella banca, Bancaria Editrice, Milano, 2002
9
Recentemente le banche stanno facendo sforzi notevoli per acquisire basi informative
sufficienti a valutare le potenzialità dei mercati di insediamento e il posizionamento di
13
mercato delle singole unità operative.
Le piccole banche investono un volume sempre più cospicuo di risorse
nell’introduzione di unità organizzative specializzate al controllo della gestione, mentre
le grandi banche provvedono al potenziamento delle rispettive strutture. La
strumentazione di base si consolida e si diffonde alla generalità delle banche. Essa inizia
a essere affiancata da tecniche rivolte ai nuovi problemi e alle nuove aree critiche della
gestione, come la riorganizzazione del processo, le strutture diversificate e di gruppo, la
creazione di valore per l’azionista, la gestione della relazione di cliente e la gestione dei
14
rischi.
Il controllo di gestione sta diventando un’area importante dell’attività bancaria. Il
recupero e lo sviluppo della redditività tornano a essere rilevante e decisivo per il
successo dell’istituzione bancaria negli odierni mercati. Di conseguenza, un sistema
quantitativo di misurazione e valutazione delle performances, economico-finanziarie e
di competitività, delle unità decisionali e strategiche in cui si articola la gestione
15
aziendale diventa cruciale.
Il governo della perfomance è oggi più complesso; i suoi fattori rilevanti sono numerosi
e differenti. Emergono nuovi fronti chiave della performance: il controllo dei rischi
finanziari, l’innovazione di prodotto, la qualità dei prodotti e dei servizi al cliente, la
motivazione e la capacità del personale, la qualità delle risorse e delle competenze
informatiche, le decisioni strategiche e di investimento. Coerentemente, un sistema di
indicatori per la gestione deve diventare più completo ed equilibrato, fornire
informazioni rilevanti e parametri di responsabilizzazione lungo tutte le dimensioni
della performance rilevanti. Bisogna considerare fattori qualitativi, oltre che quantitativi
e reddituali. L’importanza dell’efficacia nelle attività svolte, nella gestione delle
relazioni con il mercato e nell’uso dei fattori produttivi si affianca alla tradizionale
13
L. Munari, ― Capire la performance bancaria di una filiale bancaria‖, in Economia & Management, n.17,
novembre 1990
14
M. Di Antonio, Creazione di valore e controllo strategico nella banca, Bancaria Editrice, Milano, 2002
15
D. Venanzi, La misurazione delle performance di un centro di profitto: il caso della filiale di banca,
CEDAM, Padova, 1989
10
attenzione all’efficienza, espressa in termini di minimizzazione dei costi e di
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massimizzazione della produttività.
Il sistema di controllo e di gestione delle risorse e la connessa responsabilità
economico-finanziaria impongono l’articolazione del sistema di controllo in almeno due
livelli differenti:
- il livello CORPORATE come strumento di valutazione del portafoglio delle
attività dell’impresa e della sua congruità con gli obiettivi generali di efficienza
e di efficacia;
- il livello di CENTRI DI PROFITTO come sistema informativo a supporto della
gestione ― day to day‖ delle risorse aziendali e quindi di analisi e valutazione del
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mix dei singoli rapporti prodotto/mercato gestiti.
Lo studioso Amigoni ha dato un interessante contributo al riguardo. A seguire le sue
logiche si arriva alle seguenti conclusioni:
- l’accresciuta turbolenza dell’ambiente fa sì che il ― problema competitivo‖ non
avvenga più solamente in occasioni eccezionali, ma al contrario diventi ― quotidiano‖,
cioè ricorrente e continuo;
- di conseguenza, le scelte e le decisioni dell’azienda che hanno un impatto sulla
posizione competitiva della stessa non sono più solo quelle ― straordinarie‖, situate al
vertice dell’organizzazione, ma sono numerose, frequenti e situate anche ai livelli
inferiori della gerarchia;
- la gestione del vantaggio competitivo, nelle sue logiche e nei suoi strumenti, e in
particolare in quelli di controllo, deve perciò essere decentrata al management
operativo.
Per controllo strategico non conviene, dunque, intendere un processo particolare e
distinto, dotato di propri ruoli e strumenti. Esso consiste, piuttosto, in un riorientamento
del tradizionale processo di controllo di gestione, così da renderlo atto a supportare la
costruzione del vantaggio competitivo. In tale accezione, la tecnologia che supporta il
16
M. Di Antonio, Creazione di valore e controllo strategico, Bancaria Editrice, Milano, 2002
17
D. Venanzi, La misurazione delle performance di un centro di profitto: il caso della filiale di banca,
CEDAM, Padova, 1989
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processo di controllo strategico non è lo staff di pianificazione, ma quello di controllo di
gestione; l’utente del processo non è solo il top management, ma anche il middle
management.
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