6
INTRODUZIONE
Il commercio, come attività di scambio e incontro tra i popoli, è sempre stato il segno che ha
contraddistinto la potenza e la sicurezza di uno Stato, il cui metro di sviluppo è spesso
coinciso con la capacità, infatti, di mantenere numerosi rapporti di scambio di beni,
coprendo distanze sempre maggiori.
L’accesso del commercio alle vie navali ha rappresentato il superamento di ulteriori confini,
rendendo più fluido e diretto il collegamento tra i popoli: «Al commercio si è unita la
Navigazione. Quello è il vincolo, che unisce tutti i popoli, e tutt’i climi [...] Ella, che in
verità è la parte più essenziale del Commercio, per la tanta diversità degli oggetti, che ci
presenta, per le tante leggi, che la regolano, e per le maggior parte dei vantaggi, che
procura al Commercio istesso pare che ne fosse materia distinta, e separata
1
[...]».
L’abbattimento dei confini, negli anni, si è tradotto in una sempre maggiore liberalizzazione
degli scambi commerciali, favorendo la crescita economica dei Paesi.
Nel perseguire questi obiettivi l’incontro con un altro tema molto delicato è stato, però,
inevitabile, poichè strettamente collegato proprio alla liberalizzazione del commercio.
La spinta all’apertura dei confini, infatti, stimolando l’evoluzione della concezione della
tutela dell’ambiente, considerato non più come bene pubblico di ogni singolo Stato ma come
patrimonio comune, ha reso evidente la necessità di fornire un sistema di protezione il più
condiviso possibile.
Dalla questione sono derivati inevitabilmente anche molti contrasti, incrementando il divario
tra Nord e Sud del mondo sulle modalità di uso e conservazione del bene ambiente.
La presenza di diverse situazioni di sviluppo ha condizionato il rapporto tra gli Stati e, per i
paesi non industrializzati, ha comportato un necessario sfruttamento maggiore delle risorse
ambientali al fine di sorreggere il confronto economico con i paesi tecnologicamente più
evoluti. La creazione, quindi, di una rete commerciale molto fitta, coinvolgendo Paesi
diversi con situazioni economico-sociali differenti, ha stimolato il prodursi di una vasta
quantità di materiale normativo che interviene a regolare questo tipo di tensione economica,
obbligando la Comunità Internazionale a offrire anche un sistema sanzionatorio volto a
inibire comportamenti dannosi e favorire una sorta di equilibrio mondiale.
1
M. De Jorio, Storia del commercio e della navigazione. Dal principio del mondo sino a’giorni nostri,
Stamperia Simoniana, 1778, 2.
7
L’obiettivo di questa tesi, quindi, è quello di analizzare l’evoluzione del commercio
marittimo nelle sue relazioni con un ecosistema che, negli anni, ne ha subito fortemente la
presenza condizionante, a danno della propria integrità.
È stato scelto, in tal senso, di affrontare questo tema allo scopo di comprendere le ragioni
per le quali una risorsa così importante come il mare, sia stata spesso oggetto di un uso
talmente intesivo da trasformarsi irrimediabilmente in consumo.
La decisione di considerare, ai fini della presente trattazione, gli avvenimenti ed i passaggi
fondamentali così come succedutisi dall’inizio del ventesimo secolo, si basa sulla
consapevolezza che un grande evento come quello che ha coinvolto il Titanic, da molti
considerato come un fatto storicamente memorabile, abbia in realtà aperto scenari molto
diversi. Tale vicenda con le sue dirette conseguenze, rappresentano, infatti, il punto focale
dello sviluppo dei tre concetti sui quali ruota questa tesi: sicurezza marittima, responsabilità
e tutela dell’ambiente marino.
Nel corso del tempo questi tre concetti hanno avuto, soprattutto negli ultimi trent’anni,
sempre maggiore visibilità in letteratura
2
, il che evidenzia la portata di questo fenomeno e
l’esistenza di più falle normative che non hanno permesso il raggiungimento di risposte e
soluzioni pratiche ai problemi nascenti dalla navigazione.
Il metodo utilizzato per questo lavoro ha compreso il reperimento ed il confronto di più testi
normativi nell’intento di dare compattezza ad una materia molto frammentata che, non
trovando le basi di una codificazione uniforme, ha condizionato inevitabilmente il
perseguimento dei già citati obiettivi: l’efficienza commerciale e la tutela marina.
2
Riguardo ai tremi temi indicati, la letteratura in materia è molto ampia, per questo, saranno citati alcuni testi
utilizzati per la ricerca.
In tema di tutela ambientale, G. Badiali, La tutela internazionale dell’ambiente, ESI, Napoli, 1995; G. Cordini,
P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale. Profili internazionali, europei e comparati, ESI, Napoli, 1998; P.W.
Birnie, A.E. Boyle, International Law & the Environment, Oxford University Press, 2002; S. Annibale, La
tutela ambientale in campo internazionale, Cedam, 1996; J. Brunnée, D. Bodansky, E. Hey (eds.), The Oxford
Handbook of International Environmental Law, Oxford University Press, 2007; M. Castellaneta, l’individuo e
la protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, in Rivista di Diritto Internazionale, vol. 4, 2000, pagg. 37
– 52; P. Fois , Ambiente nel diritto internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Vol. IV, 1987,
pagg. 209-220; P. d’Agostino, R. Salomone, La tutela dell’ambiente. Profili penali e sanzionatori, Cedam,
2011.
In tema di responsabilità: D. Riccio, La responsabilità per disastro ambiental, in Trattato breve di diritto
marrittimo, cur. A. Antonini, Giuffrè Editore, 2010, 381 e ss; F. Berlingieri, Progetto di convenzione
internazionale per la disciplina della responsabilità per danni da polluzione da idrocarburi, in Dir. Mar., 1968,
520; T. Scovazzi, La responsabilità per la violazione di norme relative alla protezione dell’ambiente, in La
protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, Giappichelli, 2009, 193.
In tema di sicurezza, M. Grigoli, Il problema della sicurezza nella sfera nautica. La sicurezza dei beni
prodromici dell’esercizio nautico, Giuffrè, 1989; Aa. Vv., La sicurezza nella navigazione. Profili di diritto
interno, comunitario ed internazionale, cur. G. Mancuso, N. Romana, Collana delle pubblicazioni del
Dipartimento di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Univ. Degli studi di Palermo, 2006; M.
Brignardello, I luoghi di rifugio per le navi in pericolo. Un difficile compromesso tra sicurezza della
navigazione, tutela ambientale ed interessi degli Stati costieri, in Dir. Mar., Vol. 107, 2005, 401-433.
8
A conferma di quanto detto, il proliferare di trattati e convenzioni, nel tentativo di arginare
problemi di varia natura, – come la presenza di un disequilibrio delle economie nazionali
che ha influenzato la determinazione del progetto normativo stabile e completo per tutti,
oppure la persistenza di contrasti sul piano della limitazione della potestà statale in favore di
una sovrastruttura internazionale – non ha reso possibile l’azione coerente dell’evoluzione
giuridica, pregiudicando, in alcuni casi, l’adozione di metodi efficaci.
La tragedia del Titanic ha stimolato la necessità di individuare i punti principali
dell’evoluzione del commercio marittimo per tracciare, poi, un nuovo percorso giuridico
volto a stabilizzare i rapporti commerciali tra le nazioni e migliorare la sicurezza in mare, a
vantaggio dell’ambiente così come dell’uomo, valutando di volta in volta quale fosse la
migliore soluzione da attuare.
Il primo capitolo analizza la vicenda che ha colpito il mondo occidentale agli inizi del ‘900
così da comprendere quale sia stato il punto di partenza per la successiva evoluzione
normativa in materia. L’esposizione mediatica che ha interessato il disastro del Titanic rese
possibile una valutazione sull’inattualità di molti sistemi di comunicazione e di controllo e,
in seguito, sull’inadeguatezza delle tecniche e dei mezzi di costruzione di una nave destinata
a coprire grandi distanze in mare.
Sul piano della sicurezza in mare la risposta, quasi immediata, arrivò con la prima
Convenzione Solas, – cui seguirono poi altre convenzioni in materia – che stabilì delle
misure standard applicabili da tutti gli Stati coinvolti, nel processo di ammodernamento dei
sistemi di sicurezza. Il percorso di sviluppo intrapreso da una Comunità Internazionale in
lenta crescita, si scontrò però con altri problemi che investivano il rapporto fra gli Stati in
merito al principio della libera navigazione, che fino a quel momento, aveva rappresentato il
concetto di base del commercio marittimo.
La Conferenza di Ginevra del 1958, con le sue quattro Convenzioni, fu la prima risposta
concreta all’esigenza di creare un sistema di relazione tra gli Stati fondato sulla non
ingerenza nelle questioni interne di ogni Paese; ciò ha reso più evidente l’esistenza di una
questione importante: la necessità di una redistribuzione degli spazi di controllo e
d’intervento dei singoli Stati allo scopo di sfruttare di più gli spazi marini e trasformare il
concetto di libera navigazione in liberalizzazione del commercio.
La nascita dell’International Maritime Organization, che trova le sue origini alla fine del
1800, fu l’altra risposta al moto di idee che si stava sviluppando all’interno di uno scenario
di grandi cambiamenti politici internazionali, tra i quali emergono anche le vicende legate
9
alla seconda guerra mondiale, con la conseguente difficoltà di ricostruzione per molte
Nazioni coinvolte nel conflitto.
Nell’esaminare le convenzioni più importanti scaturite dalla Conferenza di Ginevra, l’altro
elemento sul quale si basa questa tesi riguarda la definizione della prevenzione
dell’inquinamento marino, che spostò l’attenzione sul problema dell’impatto che il
commercio marittimo può avere sull’ambiente. In effetti, la relazione tra questi due aspetti
doveva essere approfondita in virtù di una nuova concezione del rapporto tra le attività
umane e l’ambiente, che cambiò la visione d’insieme dello sviluppo mondiale non più
considerabile, dalla metà degli anni ’70, estraneo al concetto di sostenibilità.
D’altra parte, gli eventi disastrosi che hanno interessato molti ecosistemi, ivi compreso
quello marino, hanno evidenziato la presenza delle molteplici carenze di natura pratica
all’interno del sistema commerciale, il cui punto focale ha sempre riguardato l’interesse
dell’attività umana nel suo concreto sviluppo, strettamente collegato alle ragioni del profitto
economico. Il bisogno, poi, di stabilire un nuovo regime di responsabilità e risarcimento
danni ampliò l’attenzione nei confronti di un argomento delicato, ponendo l’accento sulla
necessità di riformare un quasi inesistente, regime di controllo degli obblighi imposti dalle
convenzioni nate in materia di sicurezza della navigazione.
La Civil Liability for Oil Pollution Damage del 1969
3
, ad esempio, nacque sulla base del
principio della responsabilità oggettiva con l’intento di fornire adeguate misure
sanzionatorie nei confronti di chi avesse tenuto un comportamento dannoso. Ma anche in
questo caso, come per altre convenzioni, la macchina normativa non è mai stata in grado di
disciplinare alla perfezione tutte le questioni inerenti un determinato problema e così,
spesso, ci si è trovati di fronte a documenti lacunosi da sottoporre costantemente a revisione
e, quindi, mai in grado di fornire adeguata tutela. L’analisi di alcuni eventi disastrosi che
hanno colpito l’ecosistema marittimo è stata d’aiuto per esaminare anche il comportamento
degli Stati coinvolti e le mancanze di chi aveva il compito di rispettare la normativa vigente
in materia di sicurezza. È emerso, infatti, che il problema principale fu quello di valutare, ai
soli fini della risarcibilità, una quantificazione economica dell’atto nocivo compiuto a danno
di un maggiore interesse nella riparazione del danno ambientale. In alcuni casi, poi, il
soggetto responsabile del danno causato non ha tenuto un comportamento “moralmente”
apprezzabile nella dinamica di azioni di ripristino dell’ambiente danneggiato, facendo
3
Si veda, F. Berlingieri, Il sistema di risarcimento dei danni da idrocarburi, in Dir. Mar., 1992, 3; M.
Comenale Pinto, La responsabilità per spandimento in mare di idrocarburi nel sistema della C.L.C. 1969,
Edizioni universitarie della Sardegna, 1990 – VII.
10
emergere, ancora una volta, scarso interesse nei confronti dell’ecosistema colpito e
dell’importanza di mantenere integro quest’ultimo.
Nella disamina di molti aspetti del diritto internazionale marittimo, è stato necessario
analizzare diverse questioni per tentare di dare un quadro il più esauriente possibile e fornire
un piccolo contributo a favore di una materia con non poche problematiche. Il rapporto
disequilibrato tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, la mancanza di strutture
di controllo del rispetto della normativa internazionale in campo marittimo, la
frammentarietà della stessa normativa, il progredire dello sviluppo industriale senza
controllo e l’eccessiva presenza della necessità di profitto come fine ultimo, sono tutti fattori
che hanno reso lo sviluppo del commercio internazionale marittimo molto difficile.
11
CAPITOLO I
STORIA ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
MARITTIMO
1. DAL DISASTRO DEL TITANIC ALLA NASCITA DELL’IMO
L’analisi di questa tesi dedicata al rapporto tra la commercializzazione via mare e il suo
sfruttamento critico attraverso mezzi di tutela volti a mantenere questa risorsa, si ritien di
doverla far partire da un episodio che ha caratterizzato gli inizi del ‘900 e che ancora oggi
è oggetto di discussioni e analisi. Partendo quindi dalla tragica vicenda del Titanic,
cercheremo di capire come questo evento, che per i “non addetti ai lavori” può solo
sembrare una grave catastrofe e nulla più, abbia in realtà coinvolto la comunità
internazionale e palesato le lacune giurdiche esistenti, non capaci di garantire un trasporto
marittimo efficace.
Questo “colosso” del mare, progettato agli inizi del novecento
1
, lungo 269 metri e largo
ventotto, con un peso di 46.328 tonnellate e l'altezza del ponte sulla linea di
galleggiamento di diciotto metri, era il secondo di un trio di transatlantici voluti dalla
White Star Line, per contrastare economicamente la compagnia rivale di allora, Cunard
Line, e offrire insieme alla sue due navi gemelle Olympic e Britannic, un collegamento
settimanale con l'America, in modo tale da garantirsi quindi il dominio delle rotte
oceaniche
2
.
1
E. L. Rasor, The Titanic. Historiography and Annotated Bibliography, Greenwood Publishing Group, 2001.
2
La compagnia fu fondata a Liverpool nel 1845 da John Pilikngton e Henry Threlfall Wilson ma fallì nel
1868 e fu recuperata e sollevata da John Henry Ismay che la incorporò con la Oceanic Steamship Company
12
Il 22 aprile del 1908, con un articolo del New York Times
3
, si diffuse la notizia
sull’avviamento dei lavori, nel mese di giugno a Belfast, per la costruzione di due nuovi
colossi della White Star Line: l’Olympic e il Titanic.
La questione fondamentale che indusse la White Star Line a creare due “opere” di quella
portata, risiedeva nella necessità e volontà di ottenere il predominio sulle maggiori rotte
marittime e questo non solo attraverso la costruzione di imponenti imbarcazioni, ma anche
creando un marchio, sfruttando l’elemento scenografico e visivo in modo che le proprie
navi fossero sempre identificabili e ricollegabili ad una grande società
4
. Tutto ciò in
considerazione del fatto che, dal 1872 al 1911 l’anno di costruzione del Titanic, i cantieri
della società furono costentemente in attività.
Il primo passo importante compiuto da Ismay fu di annettere la White Star Line
all’International Mercantile Marine Company
5
(I.M.M.), un enorme conglomerato delle
più grandi società di trasporto marittimo dell'epoca, di cui diventò poi amministratore
delegato potendo così cominciare una forte lotta per il monopolio commerciale marittimo
con la rivale Cunard Line
6
, che nel 1907 mise in mare due colossi da 230 metri per 31.500
tonnellate, la Lusitania e la Mauritania, che nonostante la loro stazza riuscirono a
determinare un nuova record di velocità perchè la Mauritania, riuscì addirittura a alzare il
record di velocità a due nodi.
Appare probabile, alla luce dei fatti, che questa smania di competitività e di successo del
presidente della White Star Line, Joseph Bruce Ismay, non permise di valutare
[Cfr. B. Love, Destiny’s Voyage. Ss Atlantic the Titanic of 1873, AuthorHouse, 2006]; Si veda anche, K.
Fearn-Banks, Crisis Communications. A Casebook Approach, Routledge, IV Ed., 2010, 10 e ss.
3
Dall’articolo del New York Times di quel giorno: «Liverpool, April 22.- To new white Star Line steamers,
wich will be larger than any vessels every before built, will be laid down at Belfast next June. The exact
measurements of the steamers have not given out, but the boats will be over 840 feet in length and more than
78 feet in the breadth and will have a gross toonage over 45.000 to 50.000. The ships are to be fitted with
combination turbine and reciprocating engines guaranteed to maintain a minimun speed of 21 knots. The
name of the vessels are to be Olympic and Titanic». L’Articolo può essere visionato sul sito del New
York Times nella sezione Site Map, http://www.nytimes.com/
4
Tutte le navi della White Star Line, i cui nomi avevano tutti il suffisso –IC, erano dotate di fumaioli avana
con cima nera, scafo nero con una riga rosse nella parte superiore e una bandiera con una coda di rondinre
rosse blasonata con una brillante stella bianca a cinque punte.
5
Progetto ideato dal magnate di Wall Street, J.P. Morgan, l’International Mercantile Marine Co. Dal 1902 al
1943 fu la più grande compagnia mercantile degli Stati Uniti, nonostante la maggior parte delle sue
imbarcazione battesse bandiera di altro Stato, soprattuto quello britannico. Fu il risultato dell’unione di due
compagnie americane, International Navigation Company e Atlantic Navigation Company e due britanniche,
la Leyland e la White Star Line. L’unica che però non riuscire ad accorpare all’I.M.M. fu proprio la Cunard
Line, rivale della White Star Line e conseguentemente di questa nuova grossa compagnia marittima
mercantile [R. De la Pedraja, A hystorical dictionary of U.S. merchant marine and shipping industry. Since
the introduction of the steam, Greenwood publishing group, U.S.A., 1994, 264-265]
6
La prestigiosa compagnia crocieristica britannica, fondata nel 1838 da Samuel Cunard. Compagnia che
probabilmente sia nata poi ufficialmente dopo il primo viaggio che Samuel Cunard fece a bordo del
Britannia, partito da Liverpool nel 1840.
13
obiettivamente i rischi e le debolezze della tecnologia dell’epoca, forse non ancora in grado
di fornire un alto livello di sicurezza nella navigazione. A dimostrazione del fatto che, non
solo il Titanic, ma anche altre navi della compagnia ebbero un futuro nefasto.
Infatti, anche se il giudizio a posteriori può non avere molta valenza critica, poichè è nella
capacità di analizzare la circostanze al momento opportuno, la vera qualità, se riflettiamo
su alcuni piccoli segnali, ci rendiamo conto che forse tutto ciò si sarebbe potuto evitare.
Una condizione importante che andava presa con estrema cautela, in modo da fornire
adeguati mezzi di sicurezza a bordo nave, riguarda le scialuppe di salvataggio,
fondamentali in situazioni di emergenza con, a bordo un elevato numero di persone.
Questa valutazione, al contrario, non si effettuò con la necessaria lucidità, o per meglio
dire, ci fu, ma a vantaggio dell’aspetto esteriore più che dell’incolumità di tutti i
passeggeri. Infatti, la decisione sul numero delle scialuppe di salvataggio da caricare sul
Titanic – decisione che costò la vita a un gran numero di passeggeri durante quella notte
perché in misura nettamente minore rispetto alla folla di persone che occupava
l'inaffondabile nave – fu teatro di disputa tra due grandi esponenti della White Star Line,
Lord Pirrie
7
e Alexander Montgomery Carlisle, perchè quest'ultimo, contrariamente alla
proposta di Lord Pirrie di dotare la nave di sessantaquattro scialuppe, decise di fornire la
nave solo di sedici scialuppe, il minimo richiesto dalle leggi di allora per le navi di 10.000
tonnellate
8
e oltre, in modo da rendere l’aspetto del ponte passeggiata, più dignitoso.
Effettivamente il consiglio fu immediatamente accolto dalla White Star Line, nello
specifico da Ismay, perché l'idea rispecchiava perfettamente la politica della società che
cercava di abbattere i costi tentando però di fornire più lusso ed eleganza possibile al
Titanic.
I lavori partirono ufficialmente nel gennaio del 1909 e per trentasei lunghi mesi si lavorò
duramente e senza interruzioni.
La dipartita di Carlisle, l'unico forse che cercava di mettere un freno a questo delirio di
onnipotenza e quindi poco sensibile alla politica della società, fu un ulteriore elemento
negativo che si andava a sommare agli altri, perché la sua assenza permise di agire con
maggiore incoscienza durante la costruzione della nave.
Il peso già eccessivo della nave fu ulteriormente aggravato perché, in seguito al viaggio di
prova a bordo della gemella Olympic, furono approntate delle modifiche volute dallo
stesso Ismay, sia al ponte passeggiata, che fu dotato di una vetrata per coprire gli ospiti
7
Concepì con Ismay, la nascita del Titanic
8
S’ignorava all'epoca che il Titanic potesse arrivare a 46.000 tonnellate.
14
dagli spruzzi, sia aggiungendo altre suite che aumentarono il peso della nave di 1.400
tonnellate.
La troppa attenzione però verso particolari estetici, come ad esempio il quarto fumaiolo
che, non essendo effettivamente operativo, serviva sostanzialmente a permettere
l'areazione dei locali all'interno ma soprattutto era stato costruito per trasmettere
un’immagine di potenza e velocità, o altri accorgimenti di tipo stilistico volti sempre a dare
quell'immagine di magnificenza, distolsero l'attenzione dal concetto di sicurezza,
rendendola solo visibilmente una nave sicura.
Bisogna a questo punto volgere l'attenzione sul come fu concepito il Titanic dal punto di
vista strutturale, per tentare di sviluppare un'analisi atta a configurare le possibili cause che
determinarono il verificarsi di un evento talmente clamoroso da essere ancora oggi oggetto
di studio e di analisi per i fatti accaduti la notte del 14 aprile 1912.
Sicuramente quello che accadde quella notte servì in seguito a rivedere tutto il progetto del
Titanic per cercare di rimediare, dal punto di vista strutturale, alle grosse disattenzioni
avutesi nella sua costruzione alla luce anche dell'esistenza di un progetto più ampio della
White Star Line che prevedeva la costruzione della terza nave gemella, il Gigantic, cui fu
cambiato il nome in Britannic immediatamente dopo la catastrofe che colpì la società
stessa.
Prima di passare ad un’analisi della struttura del Titanic – in particolar modo della struttura
dello scafo, considerato indistruttibile – si ritiene necessario fornire una, seppur minima,
spiegazione di come funzioni lo scafo di un’imbarcazione e quali siano le prerogative
necessarie affinchè svolga al meglio il proprio lavoro
9
.
Esistono due tipi di scafi, a struttura longitudinale e trasversale. Si può ben capire come
questi due tipi di strutture siano entrambi necessari per garantire la stabilità di
un’imbarcazione – resistendo il primo a sollecitazioni esterne che agiscono, secondo piani
paralleli, al piano di simmetria longitudinale della nave, mentre i secondi agiscono, sempre
secondo piani paralleli, al piano di simmetria perpendicolare della nave – potendo però
prevalere l'una piuttosto che l'altra, determinando quindi due tipologie diverse di navi: a
struttura longitudinale oppure a struttura trasversale.
Lo scafo di un'imbarcazione è poi considerato in base alla struttura della carena, la cui
forma diversifica il tipo di scafo che può essere dislocante, a carena tonda o planante;
9
Tutta la parte dedicata alla struttura di una nave è documentata nel contributo, a cura del C.V. (GN) G.
Rosati, Nozioni di Architettura Navale, consultabile dal sito della Marina Militare all’indirizzo web
http://www.marina.difesa.it/.
15
quest'ultimo utilizzato per imbarcazioni che raggiungono una certa velocità, per le quali
quindi è necessario un minore attrito con l'acqua.
Per la mole e il peso specifico, ad esempio, il tipo di scafo utilizzato per il Titanic fu quello
dislocante, perchè adatto alle navi di una certa portata, che viaggiano per un tempo
abbastanza lungo e a basse velocità. La stabilità, invece, è conferita dalla spinta statica
della carena che sostiene tutto il peso e dal fatto che, dovendo una parte dello scafo
rimanere immerso in ogni momento, viene limitato l'attrito della resistenza e dell'influenza
dell'aria e del vento, conferendo anche una resistenza al moto della nave stessa e
garantendo quindi una maggiore manovrabilità e tenuta in mare. Sono poi fondamentali
alcune caratteristiche che, se possono sembrare scontate, comportano però l'esistenza o
meno di una certa qualità nella struttura della nave.
La galleggiabilità che consente alla nave di rimanere a galla, grazie al principio di
Archimede
10
, l'impermeabilità che rende lo scafo completamente stagno e la robustezza,
oltre ad altre caratteristiche nautiche che riguardano la stabilità, velocità, manovrabilità e il
comportamento al rollio, indicato come la capacità della nave di compiere regolari
oscillazioni per ritornare alla situazione di equilibrio e rendere il moto ondoso a bordo il
meno fastidioso possibile.
Poiché la funzione principale di uno scafo è di favorire il passaggio dal flottaggio
idrostatico – cioè la condizione di galleggiamento della nave in acqua – al sostentamento
idrodinamico della nave in movimento e di resistere alle notevoli pressioni in condizioni
ben specifiche in cui la nave si trova (ad es. durante l'ammaraggio), la sua costruzione è
caratterizzata dall'utilizzo di fasciame
11
di notevole spessore, collegato a una fitta struttura
interna, considerando che per tutta la parte dell'opera viva, cioè quella immersa nell'acqua,
sia necessaria la costruzione di più paratie, che dividendo lo scafo in più parti, sia
verticalmente sia longitudinalmente, favorisce il galleggiamento della nave. Questi
tramezzi che sono evidentemente necessari e importanti per una nave, possono essere
utilizzati in un numero variabile in base alle esigenze di stabilità e sicurezza richieste per
ciascun’imbarcazione, ma sicuramente esistono quattro di questi tramezzi che si possono
trovare in ciascuna nave e che hanno compiti ben specifici.
10
Un corpo immerso in un fluido ne riceve, in caso di equilibrio, un insieme di pressioni equivalenti a una
forza diretta verticalmente verso l’alto, di valore pari al peso del fluido spostato e agente lungo una retta che
passa dal baricentro del fluido spostato [G. Tonzig, Fondamenti di meccanica classica, Maggioli Editore,
2011, 187].
11
Bordato o rivestimento esterno di tavoloni inchiodati longitudinalmente sull’ossatura e che formano la
superficie esterna della nave [L. Fincati, Dizionario di marina italiano francese e francese italiano, Lugi Beuf
Libraio-Editore, 1870, 100]