laddove influenzino l’importanza e il ruolo che il sistema stesso dà all’imposta
personale progressiva sui redditi.
Il presente lavoro è strutturato nel modo seguente. Nel capitolo I è effettuata
un’analisi comparativa di alcuni aggregati fiscali, dai quali emergono le
caratteristiche di fondo dei sistemi di Svezia e Italia; nel capitolo II, dopo una
breve trattazione delle principali conclusioni della tassazione ottimale e dei
vari tipi di imposta sul reddito, sono analizzate le caratteristiche formali
dell’imposizione personale di Svezia e Italia; nel capitolo III vengono trattati
istituti alternativi all’imposta personale progressiva – come i trasferimenti –
per raggiungere l’obiettivo della redistribuzione e sono introdotti gli indicatori
maggiormente utilizzati nella misurazione della disuguaglianza, della
redistribuzione e della progressività. Inoltre, nel capitolo III sono analizzate le
distribuzioni del reddito in Svezia e Italia utilizzando gli indicatori presentati
nel medesimo capitolo. Nel capitolo IV sono poi riportati i risultati della
simulazione che riguarda l’applicazione dell’imposta progressiva derivante
dalla legislazione fiscale svedese in Italia. Nell’ultima parte sono poi tratte
alcune considerazioni conclusive.
7
CAPITOLO I
DIFFERENZE E PUNTI IN COMUNE: UNA PRIMA
COMPARAZIONE
In questo capitolo saranno analizzati e comparati i dati aggregati riguardanti le
entrate fiscali di Svezia e Italia1, con alcune focalizzazioni su aspetti micro. La
comparazione di macro dati è importante non solo per mettere meglio a fuoco
le caratteristiche di ogni sistema, ma anche perché permette di intuire il
background politico, economico e sociale che ha portato alla creazione di una
determinata struttura fiscale. In questo capitolo verrà dunque svolta un’analisi
delle diverse caratteristiche dei sistemi, dimodoché nel prossimo capitolo sia
possibile addentrarsi nei dettagli previsti dai Testi sulla legislazione fiscale.
1.1 Imposte dirette, indirette e contributi sociali
Cominciando con una comparazione base – le entrate fiscali in percentuale del
Pil – possiamo avere una prima idea della struttura dei diversi sistemi fiscali.
Tabella 1.1. Entrate fiscali in percentuale del PIL, 2005, aggregato Pubblica Amministrazione.
Svezia Italia
TOTALE IMPOSTE 51,2 40,6
IMPOSTE INDIRETTE 17,2 14,6
Iva 9,3 6,0
Accise e imposte sul consumo 3,1 2,3
Altre imposte sui prodotti
(incl. dazi doganali)
0,7 1,8
Altre imposte sulla produzione 4,1 3,5
IMPOSTE DIRETTE 20,1 13,4
Reddito personale 15,6 10,4
Reddito d’impresa 3,8 2,3
Altro 0,7 0,7
CONTRIBUTI SOCIALI 13,9 12,6
Dipendenti 10,8 8,9
Datori di lavoro 2,8 2,3
1
Due ulteriori paesi Nordici (Finlandia e Norvegia) saranno trattati nel Box 2 alla fine del capitolo II.
8
Lavoratori autonomi e pensionati 0,3 1,4
Fonte: Eurostat (2007)2
Dall’analisi della Tabella 1.1 possiamo trarre diversi elementi interessanti.
Primo su tutti, il rapporto tra entrate e prodotto interno lordo è più alto in
Svezia che in Italia, ed è più alto anche rispetto alla media UE3 che è di circa il
39%. Questo aspetto, in primissima analisi, è giustificato non da un apparato
amministrativo pubblico di dimensioni maggiori rispetto a quello italiano,
bensì da trasferimenti e benefits vari che raggiungono una dimensione che non
è conosciuta nella penisola italiana4. Un altro aspetto da notare è che l’Italia ha
un rapporto indirette/dirette maggiore di uno. Lasciando per il momento da
parte le considerazioni di tipo teorico, che saranno discusse nel capitolo III,
questo aspetto può essere espressione sia di scelte politiche riferite alle
modalità generali di reperimento di gettito da parte dello stato, sia
all’incapacità di ottenere di più da un’imposta complessa come può essere
quella personale sul reddito. A sostegno di questa ipotesi potremmo ricordare,
ad esempio, che l’imponente sviluppo dell’IVA in territorio europeo è dovuto
soprattutto, insieme alla sua capacità di generare reddito, alla sua relativa
facilità d’imposizione (nonché, secondo alcune teorie5, al potenziale potere di
perseguimento di politiche equitative che vi sarebbe insito). Il rapporto in
tabella dev’essere, comunque, preso con le dovute cautele: pur essendo, infatti,
i dati raccolti secondo il sistema unico ESA95, essi sono tutt’altro che
perfettamente omogenei nella struttura, visto che sussistono delle differenze
nella contabilità nazionale che rimangono anche dopo la classificazione
armonizzata di Eurostat. Ad esempio, potremmo notare che in Italia
un’imposta come l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) è
considerata indiretta, pur avendo elementi non completamente coincidenti con
le caratteristiche di una indiretta, e che il peso totale dell’IVA è inferiore a
2Eurostat (2007). I dati sono raccolti ed elaborati col sistema ESA95.
3
UE a 25 membri.
4
Come avremo modo di vedere più avanti nel lavoro, in particolare nel cap. III, la redistribuzione
totale di reddito effettuata da un paese come la Svezia è effettivamente notevole.
5
Si veda il cap. II, paragrafo 2.1.
9
quello della Svezia. Resta comunque vero che è in atto una generale tendenza
a spostare il carico fiscale sulle indirette, fino ad arrivare a ribaltare il
rapporto6.
La voce “accise e imposte sul consumo” presenta evidenti complementarietà
con quella “altre imposte sui prodotti”, in quanto più bassa è la prima e più
alta – in generale – tende ad essere la seconda: le due voci sono effettivamente
complementari, trattandosi di imposizione sulla stessa categoria, e le imposte
comprese in tali tipologie possono avere, in alcuni casi, particolari
caratteristiche che ne favoriscono l’inserimento in una categoria piuttosto che
in un’altra.
Nella riga “altre imposte sulla produzione”, Svezia e Italia sono appaiate su
percentuali relativamente alte. Questa evidenza è legata al fatto che i due paesi
sono molto simili in certi aspetti della tassazione. In Italia, la parte del leone
della voce analizzata è attribuibile all’Irap, l’imposta regionale sulle attività
produttive, un vero punto controverso sia nel paese sia a livello comunitario7.
Questa imposta è iscritta tra le indirette nel sistema di contabilità nazionale e
vale il 2,5% del PIL. In aggiunta, la seconda entrata più importante della voce
è l’Ici, che vale lo 0,7% del PIL8. Riguardo la Svezia, c’è una lunga lista di
altre imposte sulla produzione: imposta sulla proprietà, sull’inquinamento,
sulle licenze, sulle immobilizzazioni, etc.
Passiamo ora ad analizzare il quadro dell’imposizione diretta. Guardando il
totale, salta subito all’occhio la bassa percentuale dell’Italia: in parte essa è
giustificata dai fattori di cui già è stato detto, cioè il peso relativamente alto
delle indirette su un totale che comunque si assesta su livelli inferiori a quelli
della Svezia, mentre un’altra parte della spiegazione può essere ricercata in
altri ambiti (come quello dell’economia sommersa). Avvicinando la lente alle
6
In questa tendenza si inserisce, però, per i paesi facenti parte dell’Unione Europea, il problema della
fissazione a livello comunitario delle regole per l’imposizione IVA: essendo obiettivo dell’Unione
l’armonizzazione di questa imposta, il margine di manovra è di fatto limitato ed è un elemento di cui
tenere conto nella programmazione delle politiche economiche.
7
Si veda il Box 1 alla fine del presente capitolo.
8
Una parte dell’ICI (quella sui terreni edificabili) è inserita tra le imposte dirette.
10
imposte dirette sul reddito, una differenza, in particolare, appare meritoria di
attenzione, ed è lo scarto percentuale che intercorre tra l’imposizione sulle
società (un punto e mezzo), tenendo conto che in Italia l’imposta si applica
con un’aliquota unica del 33%, mentre in Svezia essa è del 28%. Si potrebbe
pensare che, probabilmente, le regole contabili e fiscali per la definizione di
imponibile, deduzioni e detrazioni concesse sono diverse. In realtà questo è
errato: le regole contabili sono più o meno le stesse e, anzi, sotto certi aspetti
quelle scandinave sono più permissive (ad esempio nel riporto delle perdite
negli esercizi successivi a quello in cui si sono verificate), e sotto altri aspetti
più restrittive (come sugli ammortamenti). Questa differenza risulta dunque, al
nostro livello di analisi, difficile da spiegare, a meno che non si prendano in
considerazione aspetti che esulano totalmente dal presente lavoro, quali
l’evasione9 o la scarsa profittabilità delle imprese italiane.
Per quel che riguarda poi i contributi sociali, le risultanze sono abbastanza in
linea col carico fiscale totale. Possiamo a questo punto analizzare l’evoluzione
di lungo periodo della struttura delle imposte dei due paesi, per vedere come si
è arrivati alla struttura odierna.
Figura 1.1. Trend di lungo periodo della struttura delle imposte in % del Pil, Italia (a), Svezia
(b), 1995-2005.
(a) – Italia.
9
Sull’argomento si veda, ad esempio, Etro (1997).
11
10
11
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00
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02
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05
Anni
%
d
e
l
PI
L Dirette
Indirette
Contr. Soc.
(b) – Svezia
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24
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00
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01
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02
20
03
20
04
20
05
Anni
%
d
e
l
P
IL Dirette
Indirette
Contr. Soc.
Fonte: Eurostat (2007).
Come si vede facilmente dalla Figura 1.1, l’Italia, oltre ad essere il paese che
più spesso ha apportato modifiche alla struttura della tassazione (lo si deduce
dal fatto che le linee delle imposte si incrociano spesso), è anche quello dove
da diversi anni le imposte indirette dominano la scena. Il punto di svolta è il
1998, anno in cui fu introdotta l’Irap, che andò a sostituire sette imposte
diverse (prevalentemente dirette e contributi), ma che fu classificata, come già
è stato detto, come indiretta. Da quel momento in poi, la tendenza non si è
12
quasi più invertita, se si esclude il 2003, in cui l’imposizione diretta ha
temporaneamente superato l’indiretta, a causa degli interventi sull’Irap:
erosione della base imponibile e ampiamento delle concessioni di esenzioni
dal pagamento. Successivamente, complice un discreto abbassamento del peso
delle dirette a causa della riforma fiscale tendente all’ideale della flat tax, le
indirette sono tornate avanti, e la situazione perdura tuttora.
Un’altra storia deve essere invece raccontata per la Svezia (b), dove la
tassazione diretta rimane fermamente sopra le altre.
Nella prima metà degli anni Novanta, la Svezia sperimentò una crisi del debito
pubblico, che seguì quasi in tempo reale una forte recessione, e che portò il
governo ad alzare l’aliquota dell’imposta erariale sul reddito e a praticare una
serie di tagli alla spesa pubblica. Nel 1999 il problema si era risolto e le
aliquote delle imposte dirette furono abbassate (imposta sul reddito erariale e
locale, imposta sulla ricchezza e quella sulla proprietà di immobili). Il veloce
incremento della quota delle indirette verificatosi nel periodo 1997-1999 è
spiegato, posto che le aliquote non sono cambiate e l’inflazione è diminuita10,
da un aumento del consumo privato11. La stabilità della quota delle indirette
negli anni seguenti è dovuta all’azione in direzioni opposte dell’incremento
del tasso di risparmio e dell’aumento del reddito disponibile. Le aliquote legali
dei contributi sociali sono poi diminuite leggermente nel corso degli ultimi
10
L’inflazione è passata dall’1,7% del 1997 allo 0,9% del 1999. Deflatore implicito del PIL, dati Ocse
11Aumento riscontrato nei livelli di risparmio più bassi del periodo 1993-2004 (si passa dal 6,7% del
1996 al 4,1% nel 1997, per arrivare a 2,1% nel 1999, mentre la media del periodo è del 7,16%).
Dopodiché, il tasso netto di risparmio del paese, che era 3,2% nel 2000, diventa 8,6% l’anno seguente.
Dati Ocse.
Nella contabilità nazionale il risparmio è stimato sottraendo la spesa per il consumo delle famiglie
(intendendo il concetto esteso di famiglia, che in inglese è reso da “household”) dal loro reddito
disponibile. Il tasso di risparmio può poi essere calcolato lordo o netto. Il tasso netto si ottiene dopo la
deduzione del deprezzamento delle immobilizzazioni utilizzate nelle imprese gestite dalle famiglie e
delle cosiddette “prime case”. E’ bene ricordare che, poiché il risparmio si ottiene per sottrazione tra
due enormi aggregati che possono essere oggetto di errori di stima, anche il tasso di risparmio può
risentire di questi errori e questo spiega la revisione che, a volte, viene fatta nel corso degli anni. E’
poi di fondamentale importanza il fatto che sul tasso di risparmio influisce in maniera determinante il
sistema pensionistico di un paese, cioè se la pensione è fornita dal pubblico oppure è costruita sui
risparmi privati perché il reddito disponibile è al netto delle imposte e dei contributi, e quindi, nel caso
di pensioni private, il risparmio risulterà più alto.
13
anni considerati, portando la loro percentuale sul Pil a diminuire in maniera
meno che proporzionale delle aliquote (visto il forte tasso di crescita del Pil).
1.2 Composizione delle entrate fiscali in base alla funzione economica
Utilizzando ancora i dati Eurostat, nella Figura 1.2 possiamo analizzare la
scomposizione delle entrate fiscali in base alla funzione economica: imposte
sul lavoro (attivi e pensionati); imposte sul consumo; imposte sui capitali
(reddito da capitale e d’impresa, stock di ricchezza).
Figura 1.2. Composizione delle entrate fiscali in % del PIL in base alla funzione economica,
2005.
0 10 20 30 40 50 60
Svezia
Italia
% sul PIL
Consumo
Lavoro - attivi
Lavoro - pensionati
Reddito da capitale e d'impresa
Ricchezza
Fonte: Eurostat (2007).
La figura 1.2 conferma le osservazioni precedenti, fornendo ulteriori
particolari sulla struttura fiscale dei due paesi. In primo luogo, si può notare
che in entrambi le pensioni di vecchiaia sono soggette a imposizione sul
reddito (categoria “lavoro – pensionati”), mentre in altre realtà nazionali esse
possono essere tassate in un momento diverso da quello della liquidazione12.
Da un punto di vista assoluto, la percentuale maggiore di pressione impositiva
su “lavoro – pensionati” la ritroviamo in Svezia. In secondo luogo, rileva,
12
Nel caso in cui le pensioni non siano tassate al momento della liquidazione ma durante la fase di
accantonamento, esse sono inserite da Eurostat nell’aggregato “lavoro - attivi”.
14
anche riguardo le osservazioni sulla tabella 1.1, la bassa percentuale dell’Italia
(circa il 10%) nell’imposizione sul consumo: viene dunque ridimensionato,
attraverso il riposizionamento delle imposte sulla base della funzione
economica, il dato sulle imposte indirette, facendo sì che l’imposizione sul
consumo appaia ora proporzionata alle dimensioni dell’altro sistema compreso
nella comparazione. Non ci sono poi ulteriori differenze evidenti, a parte una
imposizione sulla ricchezza (stock di capitale) maggiore in Italia.
Analizzando il contributo alla crescita della pressione fiscale nell’ultimo
decennio (1995-2005) si notano subito importanti differenze tra i paesi in
questione (Figura 1.3).
Figura 1.3. Contributo relativo delle imposte su lavoro, consumo e capitale (in % del PIL) alla
variazione del rapporto entrate fiscali/PIL, 1995-2005 (la somma delle tre componenti di ogni
colonna rappresenta il 100% della variazione)13.
13
Le imposte sono classificate per funzione economica, e lo stock di capitale è inserito nella categoria
“redditi da capitale e d’impresa”.
15