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INTRODUZIONE
Il tirocinio che ho svolto in Hospice nei primi mesi del terzo anno è stato quello che mi
ha permesso di elaborare numerose riflessioni e di pormi maggiori domande rispetto alle
esperienze formative degli anni precedenti; forse era dovuto al fatto che avevo maggiori
esperienze di tirocinio alle spalle o forse perché non ho avuto Educatori Professionali di
riferimento che fossero costantemente presenti per poter risolvere nell’immediato ogni
dubbio che sorgeva, permettendomi così di dedicare più tempo alla rielaborazione
personale e alle riflessioni su quanto vedevo e vivevo.
Il lavoro educativo è finalizzato al reinserimento sociale e al mantenimento delle abilità
dell’utente. L’utente è quella persona in stato di bisogno che usufruisce, per esempio,
dei servizi delle strutture residenziali o semi residenziali e dei centri diurni per trarre un
beneficio globale oltre che il soddisfacimento dei propri bisogni. Nei servizi di Cure
Palliative l’utente è il paziente, il malato terminale; il suo bisogno è il sollievo dai dolori
che insorgono a causa dell’evolversi di una malattia dalla quale non è possibile guarire.
Al suo fianco è sempre presente il caregiver, una figura che ho osservato molto e che ho
scelto di rendere destinatario del mio elaborato di tesi; questo perché, in particolare in
ambito ospedaliero, l’educatore non lavora solo con la persona ricoverata ma anche con
chi se ne prende cura (familiari o personale ospedaliero) o, addirittura, sull’ambiente.
Ho focalizzato la mia attenzione sul caregiver poiché è una persona che ha bisogno di
mantenere attive le proprie capacità e abilità e, soprattutto, di reinserirsi nella società o
di mantenere un ruolo attivo al suo interno, cosa che diviene sempre molto difficile se il
suo compito diventa quello di assistere tutti i giorni un proprio familiare in stato di
bisogno, come succede nelle Cure Palliative domiciliari. Società è lavoro, famiglia,
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legami formali o informali e amicali, è religione e sport, ma è anche benessere
individuale ed è l’insieme delle caratteristiche che determinano la costruzione
dell’identità di una persona. Tuttavia, come analizzeremo nel dettaglio, tutti questi
elementi vengono danneggiati nel momento in cui una persona si assume la
responsabilità di curare e di assistere il proprio caro, e diventa dunque il suo caregiver.
Infatti, la malattia terminale produce effetti non solo sulla persona che colpisce, ma si
riflette su tutta la famiglia che, insieme al proprio caro, affronta tutte le fasi del suo
decorso. A differenza di quest’ultimo però, la famiglia vive anche una fase successiva
al lutto, in cui la persona malata smette di vivere; questa fase è quella che segue il
decesso, dove in nucleo familiare, in particolare il caregiver, deve riorganizzare le sue
giornate e realizzare l’effettivo allontanamento del proprio caro.
Il tema focale del mio elaborato riguarda proprio la morte, un tema di cui, con l’evolversi
dei secoli, si parla sempre meno all’interno della società.
Nel primo capitolo mi focalizzerò proprio sull’analisi dell’evoluzione della concezione
della morte e dei modi in cui essa viene vissuta dal malato e dalle persone che gli stanno
vicino. Analizzerò il legame che sussiste tra morte, dolore e sofferenza, cioè dei termini
e concetti che si accomunano per la difficoltà di parlarne pubblicamente. Da quando la
medicina ha ricominciato a mettere al centro delle cure il malato e non più la malattia,
introducendo così gli aspetti emozionali, culturali e affettivi delle persone, ha consentito
a questi ultimi la possibilità di riconoscersi dentro al dolore. Scienza e informazione si
sono così incontrate in un luogo dove la seconda conferma pubblicamente ciò che la
prima indaga; in questo modo i mass-media riescono a dare voce al tema del dolore,
della sofferenza e della morte, che fino ad allora era eliminato dal vocabolario comune,
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o comunque relegato a tutti quegli argomenti relativi alla cronaca nera
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. La tematica
richiamerà paragoni rispetto alla realtà sociale attuale, dove scorre parallelamente il
tentativo di allontanare il più possibile l’idea dell’invecchiamento - anch’esso fenomeno
naturale e proprio di ogni essere vivente – esempio testimone della fuga dall’argomento
tabù di cui appena parlato. Il tema della morte si sposterà poi sul versante educativo,
ovvero sulla necessità di tornare a pensare e a parlare di morte, tappa necessaria della
vita di tutti; si parlerà del ruolo fondamentale del riconoscere l’esistenza di una fine del
ciclo della propria vita, che essendo inevitabile, dovrebbe essere affrontata da tutti. Si
parla di fare i conti con i propri valori, con le proprie idee e con il proprio essere nel
mondo e, dunque, di accettare l’allontanamento definitivo dai propri averi affettivi,
morali e materiali.
Il secondo capitolo sarà relativo alla presentazione dei servizi di Cure Palliative, quali
Hospice e servizi domiciliari. Approfondirò l’argomento sotto più punti di vista, come
quello organizzativo e normativo; importante è l’inquadramento storico per poter
descrivere la nascita e la diffusione degli Hospice, potendo così contestualizzare i servizi
principali del nostro territorio. Un approfondimento verrà fatto soprattutto sulle Cure
Palliative: la conoscenza globale delle finalità e delle metodologie di intervento permette
di comprendere il ruolo, la realtà e le possibili strategie di progettazione educativa che
la figura dell’Educatore Professionale potrebbe mettere in atto, comprendendo l’utilità
che può avere all’interno di un sistema così delicato. Infine, esaminerò l’importanza di
un’approfondita ricerca educativa in ambito palliativista, specificando i punti di forza e
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Libro italiano di cure palliative – seconda edizione – [a cura di D. Amadori, O. Colli, F. De Conno, M.
Maltoni, F. Zucco], p. 498
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i possibili terreni di lavoro che ho potuto individuare nel mio percorso di tirocinio e nel
materiale di ricerca utilizzato per la stesura di questo elaborato di tesi.
I due capitoli successivi analizzeranno il tema del dolore (emotivo e fisico) in rapporto
alle figure del malato terminale e del caregiver, due dei possibili soggetti di interesse
dell’Educatore Professionale nelle cure palliative. Si parla delle sofferenze che
comportano e che derivano dalla cura quotidiana del proprio caro, assistendolo nei
processi di cura, di igiene e di supporto affettivo, nonché della paura e dell’angoscia che
caratterizzano il percorso di cura. È un luogo di compartecipazione, ovvero
partecipazione insieme, dove l’Educatore Professionale entra in gioco per il supporto e
l’accompagnamento delle persone in sofferenza, dove egli impiega le abilità personali e
le conoscenze teoriche per permettere al malato terminale e al caregiver di vivere la
sofferenza in maniera sana e consapevole, secondo le caratteristiche, le scelte e le
opinioni della persona alla quale si rivolge.
Verrà descritto il malato terminale secondo le componenti che lo caratterizzano, dunque
la malattia, il dolore e la sofferenza non solo fisica ma anche emotiva, passando dunque
dai processi psicologici che si susseguono nella mente del malato alle possibilità di cura,
nonostante l’impossibile guarigione. In aggiunta, nel caregiver si sposteranno le mie
attenzioni, in particolare nell’importante ruolo che egli riveste nel percorso di cura e di
sostegno del proprio caro, nelle grandi responsabilità che detiene, nella paura di poter
sbagliare qualcosa e nelle conseguenze che ricadono sulla sua salute psico-fisica.
Oggetto del mio progetto di tesi è proprio l’accompagnamento alla morte nel caregiver:
questo intervento di accompagnamento è finalizzato a tutelarne lo stato di salute e a
permettere che egli acquisisca consapevolezza del proprio vissuto di malattia così da
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poter gestire il carico di emozioni e di preoccupazioni.
Il capitolo sulla progettazione descriverà proprio il mio intervento di accompagnamento
del caregiver nei servizi di Cure Palliative domiciliari, dove tutt’ora l’intervento
dell’équipe alla quale ci si affida è relativo alle visite e alle chiamate di monitoraggio e
di emergenza con il miglior supporto emotivo che gli operatori riescono a fornire.
L’intervento educativo progettato non ha potuto conoscere uno svolgimento concreto
poiché, a causa dell’emergenza da Coronavirus, non ho potuto accedere al domicilio
delle persone. Lo scopo dell’accompagnamento alla morte del caregiver è finalizzato al
mantenimento dell’autostima, al sentirsi parte integrante dell’équipe di cura e a favorire
l’espressione di emozioni, paure e angosce. Il tutto è condotto tramite dei colloqui
educativi che partono dall’espressione delle emozioni per cercare di raggiungere gli altri
obiettivi prefissati.
L’interesse per questo tema è nato inaspettatamente e in maniera bizzarra. In origine
avrei dovuto svolgere il percorso di tirocinio nel reparto opposto, della vita, di
ginecologia e ostetricia, dove le persone si recano per dare alla luce nuovi individui;
tuttavia a causa di ragioni superiori ho dovuto cambiare all’ultimo momento la struttura
di tirocinio così ho accettato la proposta della mia professoressa di svolgere il percorso
formativo presso l’Hospice dell’ASST Varese, dove le persone si recano per alleviare le
proprie sofferenze, quelle che precedono la fine della vita. All’inizio pensavo che
sarebbe stato un percorso troppo difficile da sostenere emotivamente, anche a causa di
ciò che mi dicevano le persone che avevo intorno; tuttavia, con il passare del tempo è
cresciuto sempre più il mio interesse per le Cure Palliative e, in particolare, per il
caregiver, quella figura che rappresenta la colonna portante della persona in procinto di
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morire. Il caregiver è colui che somministra le terapie farmacologiche, che esegue
l’igiene personale, che cucina per il proprio caro e che, all’apice della sofferenza,
somministra la morfina con la paura di sentirsi colpevole del decesso del proprio
familiare. Nei servizi di Cure Palliative è molto evidente il bisogno di cure anche nel
coniuge, nel figlio o nell’amico che si prende cura del malato terminale; cure che non
devono essere necessariamente di natura farmacologica ma, al contrario, di natura
educativa e relazionale. Il mio percorso di tesi è focalizzato proprio su questo:
l’accompagnamento alla morte nel caregiver.
“Condividere la sofferenza è il primo passo terapeutico
3
”.
3
Don Carlo Gnocchi, 1954.
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Cap.1 LA MORTE NELLA SOCIETÀ
1.1 Premessa
La morte è la fine della vita; è il momento in cui una persona smette di esistere
fisicamente nel mondo, ma non nella mente e nei ricordi delle persone a lui care. Morte
è cessazione del funzionamento degli organi vitali, è l’ultima tappa del ciclo vitale di
ogni essere vivente. Se si fa caso alle definizioni appena date o a quelle che si trovano
sul web, la definizione del termine non può prescindere dal suo opposto, quello della
vita.
La cosa che hanno in comune la vita e la morte è che non sono mai oggetto di pensiero
delle persone: non si fa caso al fatto di essere in vita perché lo si dà per scontato, si
ringrazia di esserlo solo quando si rischia di morire o quando capitano disgrazie ad altre
persone, così si pensa a quanto si è fortunati ad essere in un corpo vivo. Allo stesso
modo, nessuno pensa alla morte, d'altronde rovinerebbe i momenti presenti, di gioia e di
allegria, così si preferisce rinviare il pensiero sconvolgente al momento in cui la si dovrà
affrontare sulla propria pelle.
Inoltre, quando una persona vive non vuole pensare alla morte, ma quando una persona
è sul punto di morire, essa, o chi gli sta intorno, pensa alla vita e a quanto vorrebbe che
il proprio caro non soffrisse. «La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste
per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è
nulla, né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non ci sono più»
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; ecco un
modo per non pensare alla morte, per distruggere la sua esistenza e dunque il pensiero.
Insomma, interpretando i fenomeni di vita e morte in ogni senso e in ogni modo, quello
4
Lettere sulla felicità, Epicuro, 125
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sulla morte è sempre inteso come qualcosa che deve essere evitato, ignorato, un po’
come un tabù.
Tuttavia, quello del fine vita è un processo verso il quale chiunque, chi prima chi dopo,
andrà incontro, nonostante tutti vogliano scappare da esso. Ma da cos’è dovuto questo
pensiero negativo al quale non bisogna pensare? Vediamo come il modo di vivere il
tema della morte si è trasformato nel corso dei secoli.
1.1.1 Evoluzione del modo di pensare e vivere la morte
Le persone si sono sempre dovute raffrontare con la realtà della morte e con le emozioni
che ne derivano, ovvero la paura, l’angoscia e la sofferenza.
Sin dall’antichità, nell’epoca precedente alla nascita di Cristo, i popoli tramandavano le
credenze, i miti e i riti di culto legati alla morte e alle funzioni funerarie. Questi erano
spesso legati alla fede religiosa del proprio popolo: non ci sono mai state correnti di
pensiero univoche per tutti i popoli della terra, per esempio molte società credevano alla
vita dopo la morte, al contrario di altre che, invece, davano più importanza a ciò che
l’individuo era stato nella vita terrena. C’erano anche popoli che vivevano in funzione
della morte e popoli che invece non volevano morire; tra questi ultimi ne sono esempio
i Sumeri, i quali pensavano che la morte e il suo pensiero portassero a una vita cupa e
triste, tanto che il Re Sumero, prima di morire, sceglieva un sostituto per cento giorni
così che la morte prendesse quest’ultimo con sé. Tra i primi, invece, vissuti tempo dopo,
ne sono esempio gli Egizi, i quali ritenevano che la morte fosse connessa alla vita e che
fosse come una porta di accesso a una vita ultraterrena serena e priva di fatiche fisiche.
È in questo periodo che nell’antica Grecia si sviluppa il pensiero di Platone, autore di
“Immortalità dell’anima”. Egli infatti fu il primo sostenitore della dualità tra anima e