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Introduzione
La scelta del tema proposto nell’elaborato nasce da un’esperienza famigliare, un lutto
sofferto, dal successivo contatto con l’Associazione “Presenza Amica” e dal desiderio
di verificare la possibilità di attivare un cambiamento all’interno degli Hospice,
strutture residenziali di Cure Palliative.
La finalità del lavoro di tesi è volta ad indagare il possibile inserimento dell’Educatore
Professionale socio-sanitario (laureato l/snt-2) all’interno dell’équipe di cure
palliative, quale valore aggiunto per la presa in carico del paziente e quale funzione di
mediatore tra le diverse figure protagoniste in questo contesto.
Il primo capitolo illustra l’attuale offerta di presa in carico dei Servizi approfondendo
la loro diffusione sul territorio nazionale, lombardo e milanese, la legislazione vigente
per la loro regolamentazione, gli attuali requisiti d’accreditamento e l’organizzazione
interna, in relazione all’équipe e al volontariato.
Il secondo capitolo descrive un breve excursus sul rapporto che la società ha con
l’esperienza della morte: viene illustrato il contributo fornito nel secolo scorso da
Geoffrey Gorer, il quale coniò il termine pornografia del morire, secondo cui questa
esperienza rappresenti un tabù di cui è meglio non parlarne. Studi più recenti hanno
proposto la Terror Management Theory, che attribuisce un significato interessante al
continuo affannarsi degli uomini nel ricercare sempre la felicità, in modo da non
pensare alla morte. Freud con la definizione “si vis vitam, para mortem”, incitava a
considerare la morte come esperienza che dona maggiore significato alla vita stessa.
In questo scenario, dunque, caratterizzato da molteplici contraddizioni, viene
introdotta la pedagogia del morire volta a donare maggiore consapevolezza circa
l’esperienza del morire, affrontare al meglio il lutto e fornire l’accompagnamento
necessario, considerando i due protagonisti, professionista e assistito, sullo stesso
piano di fronte alla fragilità e finitezza umana.
Infine, il capitolo si propone di illustrare in modo dettagliato l’esperienza del fine vita
per la persona con malattia inguaribile in fase avanzata ed evolutiva e per i
famigliari/caregivers, analizzando le principali argomentazioni promosse anche dagli
Hospice secondo cui una vita, anche se alla fine, sia degna di essere vissuta in modo
rispettoso e legittimo; con un’attenzione particolare al ruolo dei caregivers in questo
processo complesso, si analizzano le principali teorie dell’elaborazione del lutto.
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Analizzando i requisiti di accreditamento e la Delibera n° X/5918 della Giunta della
Regione Lombardia, in cui si stabiliscono le figure professionali minime e “altre figure
professionali ritenute essenziali” per il funzionamento e il raggiungimento degli
obiettivi assistenziali e sanitari rivolti alla presa in carico dell’utenza dell’Hospice, si
evidenzia un possibile margine d’azione, in cui la figura dell’Educatore Professionale
potrebbe agire le proprie competenze e realizzare interventi educativi per rendere
ancora più efficace una multidisciplinarietà volta al benessere globale dell’utenza.
Nel terzo capitolo quindi si prendono in esame il profilo professionale, il codice
deontologico e il core curriculum dell’Educatore Professionale ai fini del possibile
intervento educativo realizzabile all’interno dell’Hospice.
Inoltre, viene analizzata l’offerta educativa nella presa in carico del paziente realizzata
dalla Dott.ssa Patrizia Tortora, Educatrice Professionale presente nell’organico
dell’Hospice di Abbiategrasso, attualmente unico Hospice in cui è presente questa
figura, nonché l’esperienza educativa della Dott.ssa Alessandra Ciavattini all’interno
dell’Hospice Beati Coniugi Martin.
A seguito di questa analisi, è declinato il profilo dell’Educatore Professionale in Cure
Palliative, evidenziando il suo valore aggiunto per l’équipe multiprofessionale, le
persone con malattia inguaribile e i suoi caregivers, promuovendo quindi la diffusione
della death education. È posta particolare attenzione alla dimensione atipica del tempo,
la quale, in questo ambito, prevede una progettazione nel breve periodo che sia efficace
e che porti all’empowerment dell’utenza e al processo di cambiamento da una
situazione percepita come difficile o di disagio ad una maggiore consapevolezza in
termini di risorse interne e di possibile attivazione di risorse esterne.
Il quarto ed ultimo capitolo presenta la ricerca sperimentale condotta nel periodo estivo
2021.
A seguito della realizzazione di un modello di intervento, in cui nell’ambito della
proposta educativa vengono declinate attività per e con l’utenza realizzabili
dall’Educatore Professionale, è stato somministrato un questionario anonimo online ai
membri dell’équipe di quattordici Hospice presenti sul territorio milanese.
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Le domande poste riguardavano la conoscenza della figura dell’Educatore
Professionale, la valutazione di ciascuna attività del modello d’intervento e la
percezione del valore aggiunto che questa figura educativa potrebbe avere all’interno
delle équipe di Cure Palliative.
I risultati del questionario sono stati molto positivi: la maggioranza dei professionisti
ha riconosciuto che l’Educatore Professionale, mediante la realizzazione delle attività
proposte e grazie alle sue competenze relazionali e comunicative, potrebbe
rappresentare un valore aggiunto nella presa in carico del paziente nel contesto
dell’Hospice.
Restano tuttavia alcuni vincoli nell’accogliere la proposta di inserire la figura
dell’Educatore Professionale all’interno dell’équipe multidisciplinare: i requisiti di
accreditamento, la scarsità di risorse economiche e la poca conoscenza della figura
dell’Educatore Professionale socio-sanitario non facilitano questo cambiamento.
Evidenziati quindi questi punti chiave, in una prospettiva futura, auspico a breve
termine che venga valorizzato il contributo che il lavoro educativo può apportare nella
presa in carico del paziente in prospettiva bio-psico-sociale, al fine di poter offrire, alla
persona con malattia inguaribile e i suoi caregivers, un’esperienza di fine vita
qualitativamente migliore.
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CAPITOLO 1 – L’HOSPICE NEL CONTESTO
ITALIANO
“Sarò una finestra nella tua casa”
Cicely Saunders, David Tasma
“Il segreto della cura al paziente è nel prendersi cura del paziente”
Francis Weld Peabody
1.1 Origine ed evoluzione degli Hospice
L’origine delle strutture denominate Hospice risale a molti secoli fa: la primissima è
datata al V secolo d. C.. Una matrona romana di nome Fabiola, vedova illustre della
gens Fabia, inaugurò un ospedale chiamato “hospitium” (da cui deriva la parola
Hospice), rivolto all’accoglienza di malati, pellegrini religiosi e persone in fin di vita.
Questa struttura, ovviamente, non forniva assistenza e cure come le intendiamo oggi,
ma l’etimologia stessa della parola hospitium vuole indicare ospitalità, accoglienza
oppure alloggio, casa, dimora e riparo per i bisognosi.
Nei secoli successivi si svilupparono molti hospitium con un’impronta prettamente
cristiana, case destinate al soccorso degli orfani, dei pellegrini e dei poveri.
Nel periodo medievale si hanno testimonianze delle medesime strutture per accogliere
poveri, malati e persone in fin di vita, gestite principalmente da persone devote.
L’hospitium, termine traducibile con il termine ospizio, più famoso di quegli anni fu
l’Hôtel Dieu di Beaune, costruito nel 1452 per soccorrere i poveri e i malati dilaniati
dalla Guerra dei Cent’anni.
L’utilizzo del termine Hospice si deve a Madame Jeanne Garnier, la quale nel 1842
diede vita al gruppo delle “Dame du Calvaire” (Dame del Calvario) e, nell’anno
successivo, fondò il primo Hospice a Lione. Questo gruppo si prodigava nell’aiuto ad
altre donne, affette da malattie inguaribili, accompagnandole negli ultimi momenti di
vita. Grazie a queste riuscite esperienze, molte altre ne seguirono anche nella capitale
francese.
Successivamente, verso la fine del XIX secolo, queste strutture divennero famose
anche al di fuori della Francia, tanto che in Inghilterra vi fu la costruzione del “Our
Lady’s Hospice”(1879) e del “St. Luke’s Hospital, home for dying poor” (1893).
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La notorietà di queste strutture così innovative fu di gran rilievo a tal punto che il
giornale “Times” sollecitò una raccolta fondi per costruire l’Hostel of Good,
primissimo Hospice dedicato esclusivamente al ricovero dei malati terminali.
1
Grazie a queste storiche esperienze, il concetto di Hospice prende la sua forma,
delineando la propria missione: l’accoglienza del contesto di riferimento della persona
con malattia terminale, la temporaneità del ricovero, la cura intesa come
accompagnamento, l’assistenza alla persona che sta vivendo l’ultima parte della sua
vita e il sostegno a lei e ai suoi famigliari/caregivers.
Nella seconda metà del ‘900 iniziò un vero e proprio movimento riformatore, il
cosiddetto “movimento Hospice”. Esso nacque grazie all’intervento di Cicely
Saunders: infermiera, assistente sociale, medico e filosofa, dopo aver operato presso
molteplici ospedali ed essere entrata in contatto con molte persone nella fase finale
della loro vita - solidarizzando con la loro causa - nel 1967 fondò il St. Christopher’s
Hospice a Londra.
Di cruciale importanza fu la conoscenza di David Tasma, un paziente dell’ospedale St.
Luke, del quale C. Saunders scrive:
“L’influenza che ebbe David su di me fu enorme. Quando morì mi lasciò 500£ per il
mio progetto, dicendo che lui sarebbe stato una finestra nella mia casa, facendo
riferimento all’Hospice. Mi ci vollero diciannove anni per costruire quella casa
attorno alla finestra, ma i principi cardine del nostro intento nacquero dalle
conversazioni che ebbi con lui prima della sua morte”
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.
Il St. Christopher’s Hospice fu la primissima struttura che forniva una presa in carico
del paziente a livello globale: veniva offerta un’assistenza sanitaria ma anche
psicologica, sociale e spirituale sia agli ospiti che ai loro familiari. La peculiarità
dell’Hospice era quella di integrare l’assistenza e la cura della persona non solo
all’interno della struttura, ma anche al suo domicilio.
1
Casale G., Calvieri A., Le Cure Palliative in Italia: inquadramento storico, in Medic, 2014
2
Saunders C., The evolution of palliative care, in Pharos Alpha Omega Alpha Honor Med Soc, London,
2003