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INTRODUZIONE 
 
Il carcere, secondo una visione popolare, è sempre stato considerato un luogo di reclusione 
distante dalla società, all'interno del quale sono presenti individui che meritano di pagare per gli 
errori che hanno commesso.  
Fortunatamente al giorno d'oggi il carcere non è solo questo.  
In particolar modo dopo l'introduzione della legge 354 del 26 Luglio 1975 che ha per la prima 
volta posto in evidenza la funzione riabilitante della pena. Per fare ciò e per rendere l'attività 
rieducativa uno strumento utile al reinserimento in società dell'internato, è stata introdotta la figura 
dell'educatore penitenziario. Questo ruolo che ha subìto notevoli evoluzioni nel corso degli anni è 
il principale oggetto del  mio studio; esso vuole rappresentare un contributo nella ricerca e 
nell'approfondimento di tutte quelle che sono le problematiche che circondano la realtà 
dell'educatore. 
Sebbene ci sia ancora molto disinteresse verso questa realtà e conseguente scarsa conoscenza 
riguardo tutto ciò che la circonda, l'evoluzione e l'attenzione negli ultimi trent'anni verso 
determinate tematiche inerenti il carcere sono aumentate. 
I media però hanno posto l'attenzione verso il tema penitenziario solo raramente e  mai per 
approfondire il tema del trattamento penitenziario e i soggetti che lavorano in funzione di esso. 
Mi sono così posto il problema del perché un ruolo basilare come quello dell'educatore fosse 
lasciato ai margini da parte dell'opinione pubblica e nessuno abbia interesse a farlo emergere e 
conoscere. 
Così grazie alla lettura di ricerche, all'approfondimento di tematiche poco trattate e al confronto 
con persone che svolgono questo lavoro da molti anni, mi sono reso conto di quante siano le 
problematiche ancora nascoste che avvolgono il mondo penitenziario. 
Ho avuto modo di osservare quanto sia lungo e tortuoso il percorso che conduce un individuo a 
diventare educatore, sia dal punto di vista formativo che di assunzione al ruolo stesso. L'intento è 
stato perciò quello di introdurre la figura dell'educatore cercando di metter in luce l'evoluzione 
storica di questo ruolo e le sue funzioni principali.  
Nel primo capitolo ho voluto approfondire quanto e come siano mutate le  funzioni richieste a tale 
figura, volendo cogliere gli aspetti che maggiormente differenziavano il primo educatore assunto 
nel lontano 1975 rispetto ai giovani funzionari d'oggi.
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Successivamente ho approfondito il percorso formativo che conduce un soggetto a far parte di una 
così complessa realtà, la struttura dei concorsi ministeriali e le tipologie del corso di formazione di 
pre-ingresso. 
Ciò mi ha permesso di porre in evidenza le cause di disagio e i difetti di un sistema ancora in 
ritardo sotto molti aspetti. 
Nell'ultimo capitolo, attraverso l'utilizzo dell'intervista libera a due educatrici dell'istituto penale 
Due Palazzi di Padova, ho potuto approfondire molti dei temi lasciati in sospeso e cogliere, 
direttamente da chi opera sul campo, le difficoltà  di tutti i giorni. 
Dall'analisi dell'intervista si è cercato di comprendere con quali strumenti e risorse un educatore 
possa svolgere quotidianamente il suo lavoro al meglio, quali problematiche sono all'ordine del 
giorno, che genere di ambiente vivono all'interno i soggetti e che tipo di relazione instaurano con 
gli altri colleghi.
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CAPITOLO 1 
EVOLUZIONE STORICA 
DELLA FIGURA DELL'EDUCATORE PENITENZIARIO 
 
“Gli educatori partecipano all'attività di gruppo per l'osservazione scientifica 
della personalità dei detenuti e degli internati e attendono al trattamento 
rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto 
il personale addetto alle attività concernenti la rieducazione. 
Essi svolgono, quando sia consentito, attività educative anche nei confronti degli 
imputati. Collaborano, inoltre, nella tenuta della biblioteca e nella distribuzione 
dei libri, delle riviste e dei giornali.”
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È con il sopracitato articolo 82 della legge di riforma dell'Ordinamento 
Penitenziario del 26 luglio 1975 n 354 che viene per la prima volta introdotta in 
maniera ufficiale la figura dell'educatore penitenziario. 
Il percorso di inserimento che tale figura ha attraversato, prima di giungere 
all'interno di un ordinamento ufficiale, è stato lungo e complesso, a tal punto che 
ancor oggi questa funzione si trova in una condizione di instabilità, determinata da  
politiche mal attuate e da scarsi, se non assenti,  investimenti in tema di 
assunzioni.  
Per comprendere appieno gli elementi che caratterizzano questa figura 
professionale è necessario fare un passo indietro, cercando di focalizzare quali 
siano gli aspetti che lo hanno caratterizzato prima e dopo l'attuazione della riforma 
penitenziaria del 1975. 
 
 
1.1 L'educatore penitenziario prima della riforma 
 
La figura dell'educatore ha storicamente origini molto antiche, al punto da poterla 
far risalire ai tempi della Grecia antica quando il concetto di educazione si 
                                                         
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fondeva con quello di insegnamento e formazione, diventando così strumento 
indispensabile per guidare lo sviluppo dell'individuo fin dall'infanzia. 
Col passare dei secoli il concetto di educazione ha assunto una valenza sempre 
meno filosofica e più scientifica, inerente ai modelli disciplinari pedagogici.  
Nella pedagogia il focus è lo studio della relazione che l'uomo ha con sé e con gli altri, 
indirizzando l'azione del pedagogista sempre più nel campo della socializzazione primaria e della 
formazione scolastica dell'individuo. 
In questo contesto culturale che compare per la prima volta il ruolo dell'educatore 
in ambito penitenziario minorile: 
“Analogamente in varie situazioni si facevano largo e si configuravano come 
educatori anche taluni operatori dell'ENAOLI (Ente nazionale di assistenza agli 
orfani dei lavoratori italiani), della Provincia, di vari enti e di istituzioni 
religiose”.
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L'educazione rivolta agli adulti invece ha tardato a far parte dei progetti di 
riabilitazione penitenziaria; a livello scientifico ha acquisito valenza soprattutto 
nell'ultimo secolo, quando operatori dei servizi assistenziali si sono preoccupate di 
aiutare gli individui all'interno del sistema carcerario, facendo spesso da tramite 
con il mondo esterno. 
La vera svolta sotto questo profilo è stata la valorizzazione del concetto di 
recupero, o meglio di rieducazione, ossia “un'opera psicopedagogica di correzione 
di individui che presentino insufficienze mentali o tare derivanti dall'essersi 
formati in ambienti inadatti dal punto di vista sociale o morale”.
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È però necessario definire questa prospettiva pedagogica all'interno di un contesto 
come quello carcerario, dove fino a qualche secolo fa il detenuto era ancora 
considerato una figura malvagia da punire e, nella maggior parte dei casi, da 
torturare affinché fosse da esempio per il resto della popolazione. Proprio per 
questo motivo spesso la pena verso il colpevole era un pretesto per 
spettacolarizzare l'atto di punizione
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2 Sturniolo I., Atipicità dell'educatore penitenziario. Formazione e professionalità di una 
figura particolarissima, Rassegna di studi penitenziari, Roma, fasc I 1986, pp 2 
3 Devoto-Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Milano, 2002 
4 Melossi D., Pavarini M., Carcere e fabbrica, Il Mulino, Bologna, 1982
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L'apertura ad un nuovo concetto di pena risale al periodo illuminista, con il 
passaggio da una concezione della pena di carattere afflittivo e vendicativo ad una 
di carattere retributivo, concepita e sostenuta dalla scuola classica. 
Quest'ultimo concetto di pena, oltre a promuovere la garanzia di un egual 
trattamento di fronte alla legge, riteneva si dovesse passare ad un principio 
retributivo, alla cui base la pena sarebbe dovuta risultare “giusta”e meritata in 
proporzione al crimine commesso, sostenendo di conseguenza l'abrogazione della 
pena di morte e della tortura. 
Successivamente si aggiunse una seconda visione, proposta dalla scuola positiva 
che iniziò a concepire la pena secondo elementi rieducativi, necessari per riportare 
il condannato, ancora considerato come una sorta di malato mentale, agli equilibri 
prestabiliti dalla società.
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Il comportamento del criminale non era più interpretato come risultato di un 
calcolo razionale ma era individuato nella reazione a fattori ambientali e sociali 
esterni; la prigione venne così ad essere considerata luogo di trattamento mediante 
l'inserimento della flessibilità delle pene e l'introduzione di misure di sicurezza. 
Le due scuole, partendo da ugual presupposti ma diversificandosi nelle modalità 
di concepire la pena, furono i principali protagonisti dello scontro ideologico che 
coinvolse la criminologia nell'ultimo secolo. 
A ciò dobbiamo il procedere sempre più scientifico della criminologia, in grado di 
integrare, nonostante le loro incongruenze, origini ed evoluzioni nella nascita 
dell'individuo criminale. 
È in questo ampio terreno di scontro che iniziano ad essere visibili i primi segnali 
dell'attuazione di una politica penitenziaria diversa, in grado non più solo di 
retribuire nel giusto modo, ma di evitare pure le sofferenze e di porre i diritti 
dell'individuo al primo posto. Proprio con la scuola positiva iniziano ad 
evidenziarsi i primi cambiamenti ideologici del concetto di pena, non più 
considerata mera e sola retribuzione, bensì strumento difensivo del reo che non 
deve essere più esclusivamente punito ma rieducato, in vista di un suo futuro 
rientro in società. 
                                                         
5 Vianello F., Il carcere. Sociologia del penitenziario, Carocci editore, Roma, 2012