INTRODUZIONE
“Abbiamo una costituzione che non copia le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più
d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino
non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia (…).”
1
Così
parlò Pericle ad Atene 2500 anni fa commemorando i caduti del primo anno della guerra
del Peloponneso.
2
Quel discorso, infatti, si era rivelato l’occasione ideale per lodare la
guerra ma anche per offrire un’orgogliosa rappresentazione della città in cui erano morti
i suoi concittadini. Atene, cioè, che raggiunse il suo massimo splendore proprio sotto la
guida di Pericle, era ormai diventata, grazie alla sua forza incontrastata sia sul piano
militare che culturale, non solo la città “maestra” dei greci ma anche un vero e proprio
modello per tutta la civiltà occidentale. Tuttavia, quale elemento la rendeva realmente
superiore rispetto ad altri regimi politici e quindi imitabile dalle “leggi dei vicini”? La
democrazia. E la “democrazia ateniese” è la prima forma di governo democratico ad
essere stata riconosciuta dalla storia. Il “governo dei molti”, il governo della maggioranza,
infatti, era il frutto di una costituzione giusta fondata sul valore della libertà. Un valore
inestimabile quest’ultimo, che dinanzi alle ingiustizie del mondo, avrebbe dovuto essere
esportato ovunque per garantire gli interessi degli ateniesi. Atene, cioè, pur essendo una
città potente, affrontava ingenti spese per il popolo e per le sue guerre e le risorse
disponibili al suo interno non erano sufficienti. Ecco perché democrazia e imperialismo,
due termini nettamente in contrasto tra loro, avrebbero in realtà dovuto collaborare per
aumentare i tributi e la riscossione della Lega delio-attica.
3
Insomma, solo una costante
espansione, unita alla diffusione del patrimonio valoriale dell’età classica, avrebbe
consentito ad Atene di risplendere come il sole e illuminare il mondo. Ma il mito della
“democrazia ateniese” del V secolo non è di certo l’unico caso nel suo genere. Esiste,
infatti, un altro mito, un’altra nazione che fin dalle origini si è servita della sua innata
eccezionalità e superiorità: gli Stati Uniti d’America. E sono tanti i nomi del passato che
tornano a galla quando si tratta di parlare dei fondamenti dell’eccezionalismo americano:
John Winthrop, Thomas Paine, George Washington, Thomas Jefferson, John
O’Sullivan…In realtà, però, l’evoluzione del mito ha accompagnato l’America durante
tutto il suo percorso storico, dall’Ottocento fino alla fine della Guerra fredda,
influenzandone profondamente gli ideali e le strategie politiche. Esportare i valori della
Dichiarazione d’Indipendenza e quindi i valori dell’American way of life, esportare la
sicurezza e la pax americana nel mondo. Sono questi gli obiettivi che da sempre la
nazione si prefigge di raggiungere per preservare ovunque i propri interessi. Ma come
mai ho deciso di studiare e approfondire proprio questo argomento? Con il
sopraggiungere del XXI secolo e del mondo unipolare, infatti, un nuovo evento,
rappresentato dagli attentati terroristici dell’11 settembre, ha ridato slancio a tale dibattito.
La “città sulla collina” è davvero risorta? La “nazione indispensabile” sarà davvero in
grado di combattere le attuali minacce? Il XXI secolo potrà riconfermarsi come
l’ennesimo “secolo americano”? La superpotenza americana, sotto l’amministrazione
Bush, insomma, sembrava pronta ad assumersi la responsabilità di una nuova missione
per liberare il mondo dal “Male” e diffondere la democrazia attraverso un approccio
1
Pericle, “Discorso agli Ateniesi” (431 a.C), in Tucidide, Storie, II, 37-41.
https://profaccattoli.files.wordpress.com/2009/12/il-discorso-di-pericle-agli-ateniesi-tucidide-ii-37-41.pdf
2
Pericle (Colargo, 425 a.C circa – Atene 429 a.C) è stato un politico, oratore e militare ateniese attivo
durante il periodo d’oro della città, tra le Guerre persiane e la Guerra del Peloponneso (431 a.C – 404 a.C).
3
Dopo la vittoria nelle Guerre persiane, Atene accrebbe il suo prestigio internazionale e pensò bene di
creare una confederazione marittima con le città ioniche per timore di nuovi attacchi da parte dei persiani
(Lega delio-attica, 477 a.C).
unilaterale. L’espansione della propria egemonia imperiale riemergeva cioè come l’unico
strumento grazie al quale poter riaffermare la libertà. Tuttavia, da chi è stata influenzata
l’elaborazione della Dottrina Bush necessaria al dispiegamento della “War on Terror”?
Sono stati i neoconservatori ad averla ispirata grazie alle loro idee e all’elaborazione, nel
corso degli anni Novanta, di una strategia politico-militare vincente. Ma come nacque il
neoconservatorismo? Come si è sviluppata la sua ascesa al potere e come si è consolidata
la sua strategia prima dell’11 settembre? L’obiettivo di questo lavoro sarà proprio quello
di ricercare e analizzare tutti gli elementi che hanno concorso alla creazione della
“persuasione neoconservatrice” e di comprendere in che misura essa abbia contribuito
alla ripresa del mito dell’eccezionalismo americano. La tesi si compone di quattro
capitoli. Il primo analizza le origini puritane del mito: dalla nascita degli Stati Uniti
d’America, denominati da John Winthrop la “città sulla collina”, fino alla nascita del
sistema partitico americano, la cui divisione in due schieramenti alternativi metteva in
crisi l’unità nazionale post Costituzione. Il secondo capitolo affronta l’evoluzione storica
dell’eccezionalismo americano tra Ottocento e Novecento: gli Stati Uniti, infatti, spinti
dal desiderio di espandersi verso Ovest per via di un Destino manifesto che li differenzia
dalle altre nazioni, ma soprattutto dall’Europa, si affacciano al XX secolo come una
grande potenza globale. E le principali linee politiche e strategiche nate tra il primo e
secondo dopo guerra e l’inizio della Guerra fredda (wilsonismo, New Deal rooseveltiano,
politica del contenimento) contribuiranno a preparare il terreno fertile che, a partire dagli
anni Sessanta, con il ritorno al potere dei democratici, porterà alla nascita del
neoconservatorismo. Il terzo, invece, si occuperà di analizzare nel dettaglio l’ascesa dei
neoconservatori, delle loro idee e strategie durante le presidenze di Reagan, Bush padre
e Clinton, passando da una forte opposizione al comunismo alla nascita del PNAC, basato
sull’aumento della spesa per la difesa militare, sul rifiuto del multilateralismo e sulla
promozione di una “benevola egemonia” mondiale che possa garantire nel tempo
l’eccezionalità dell’America. Il quarto capitolo infine, si concentra sull’evento chiave del
XXI secolo: gli attentati terroristici dell’11 settembre. Un momento fondamentale, tragico
e inaspettato quest’ultimo, che consentirà ai neoconservatori di vedere realizzata la loro
strategia per un “nuovo secolo americano” attraverso l’implementazione della Dottrina
Bush. Ma questa nuova dottrina, a lungo andare, si sarebbe rivelata vincente in Medio
Oriente? L’esperimento di un mondo unipolare era forse fallito? Quale sarebbe stato il
futuro dei neocons e della “nazione indispensabile”? Sono queste le domande a cui si
tenterà di rispondere alla fine del capitolo. A tal proposito, le mie ricerche per la stesura
della tesi si sono basate principalmente su fonti bibliografiche e sitografiche e, tramite il
loro utilizzo, cercherò quindi di dimostrare come il mito dell’eccezionalismo americano,
a prescindere dalle diverse fasi storiche, dalle minacce, dalla struttura del mondo e dalle
strategie adottate, si sia conservato e si conserverà in eterno, preservando quella
superiorità morale, giuridica e militare che da sempre distingue gli Stati Uniti d’America
dalle altre nazioni del globo.
CAPITOLO 1
I FONDAMENTI DELL’ECCEZIONALISMO
AMERICANO E LA NASCITA DEGLI STATI UNITI
D’AMERICA
1.1 La “Città sulla collina”
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A
null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può
restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio,
ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce
davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli
4
Con queste parole, nella Bibbia, l’apostolo Matteo documenta ciò che Gesù pronunciò
davanti ai suoi discepoli. Il “Discorso della montagna”, cioè, mostra con solennità la
puntuale esortazione che il Signore fa a ogni individuo, destinato a essere il sale e la luce
della terra, a essere quella città sulla collina che illumini gli uomini con la sua
testimonianza e l’annuncio della Parola di Dio. E, la potenza di tale sermone, non solo
guida, da sempre, il cammino religioso dei fedeli verso Gesù Cristo, ma avrebbe anche
ispirato le origini di una nazione, destinata per natura a “grandi cose”: l’America.
Tuttavia, l’eccezionalità americana, come sostiene il professor Ian Tyrell, non dipende
solamente dalla “diversità” degli Stati Uniti rispetto agli altri paesi. Non significa soltanto
che gli Stati Uniti sono “unici”. I paesi, infatti, come le persone, sono tutti diversi e unici,
pur condividendo alcune caratteristiche di base. L'eccezionalismo, però, richiede
qualcosa di più: una convinzione che gli Stati Uniti seguano un percorso di storia diverso
dalle leggi o dalle norme che governano gli altri paesi. Questa è l'essenza
dell'“eccezionalismo americano”: gli Stati Uniti, cioè, non sono solo un paese più grande
e più potente, ma un'eccezione. Sono portatori di libertà e moralmente superiori a
qualcosa chiamato “Europa”. Ciò che importa, pertanto, non sono le differenze all'interno
di quest’ultima, o il fatto che "il mondo" è più grande di quello degli Stati Uniti e
dell'Europa, ma la dicotomia “Europa” contro “America”, percepita come il crogiolo in
cui si formò il pensiero eccezionale americano.
5
La situazione in cui si trovano gli Americani è dunque del tutto eccezionale, e c’è da supporre che nessun
popolo democratico vi si troverà mai. La loro origine, tutta puritana, le loro abitudini esclusivamente
commerciali, il paese stesso che abitano e che sembra distogliere la loro mente dallo studio delle scienze,
delle lettere e delle arti; la vicinanza dell’Europa che consente loro di non studiarle, senza tuttavia ricadere
nella barbarie; mille ragioni particolari, di cui qui non ho potuto accennare che le principali, hanno finito
coll’inclinare in maniera molto singolare lo spirito americano verso la cura delle cose puramente
materiali. Le passioni, i bisogni, l’educazione, le circostanze, tutto sembra infatti concorrere a spingere
l’abitante degli Stati Uniti verso la terra. Soltanto la religione gli fa ogni tanto alzare uno sguardo
passeggero e distratto verso il cielo. Smettiamo quindi di vedere tutti i paesi democratici attraverso le
4
Matteo 5, 13-16 http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+5,13-
16&versioni%5B%5D=C.E.I.
5
Ian Tyrell, What, exactly, is “American exceptionalism”?, from Aeon, in “The Week”, 21 Ottobre 2016.
https://theweek.com/articles/654508/what-exactly-american-exceptionalism
sembianze del popolo americano, e cerchiamo di considerarli finalmente secondo le caratteristiche loro
proprie
6
Così Alexis de Tocqueville, nel 1831, definì per la prima volta “l’eccezionalismo
americano”. Ma da dove traeva giustificazione la credenza e la certezza che gli Stati Uniti
fossero destinati a un avvenire glorioso? Dal momento che, “l’uomo è già tutto intero
nelle fasce della sua culla, qualcosa di simile avviene anche per le nazioni”. Il destino
dei popoli, in altre parole, sarebbe sempre influenzato dalla loro origine e dagli eventi che
hanno accompagnato la loro stessa nascita. E se fosse possibile individuare gli elementi
fondanti di ciascuna nazione ed analizzare i primi atti della loro storia, si potrebbe
certamente risalire alla “fonte dei pregiudizi, delle abitudini, delle passioni dominanti, di
tutto ciò, insomma, che costituisce il cosiddetto carattere nazionale.”
7
Ecco perché,
chiunque decidesse di intraprendere lo studio della storia degli Stati Uniti e soprattutto
quello della sua politica estera osserverà, come sostiene Giuseppe Mammarella, che il
“richiamo alle origini e ai valori fondanti che hanno fatto grande l’America è una
costante della storiografia americana di tutte le epoche”. Gli Stati Uniti, in altre parole,
rappresentano un paese abbastanza giovane, caratterizzato, come nessun altro, da una
particolare continuità storica che permette, grazie al profondo legame con il passato, “una
più chiara lettura del presente e qualche cauta anticipazione dell’immediato futuro”.
8
A
tal proposito, secondo il mito, il destino eccezionale degli Stati Uniti avrebbe avuto inizio
già a partire dal periodo coloniale, cioè prima che una porzione dell’America
Settentrionale proclamasse l’indipendenza dalla Gran Bretagna e si costituisse in nazione
sovrana. In particolare, con la colonizzazione delle Americhe gli europei diedero vita,
fuori dai propri confini, a società nuove e allo stesso tempo dominate da complesse
relazioni dialettiche con quelle d’origine, accettate, in fondo, come “madri” ma
considerate anche, per certi versi, “matrigne”.
9
E, su queste basi, le colonie d’oltremare
costruirono le proprie identità composite e in continuo mutamento, dotate di un carattere
sperimentale e aperto che contraddistingueva spesso gli abitanti del Nuovo mondo da
quelli del Vecchio. Si tratterebbe, quindi, secondo Giovanni Borgognone, dello “spirito
di Frontiera, inteso come stimolo all’individualismo, all’inventiva e alla formazione in
tal modo di un distintivo carattere americano.”
10
L’Inghilterra protestante, giunse sulla
scena americana solo un secolo dopo rispetto ai portoghesi e soprattutto agli spagnoli, i
quali, nel frattempo, avevano affermato la loro autorità sulle popolazioni dell’America
meridionale e centrale. Eppure, il governo inglese decise di muoversi nella stessa
direzione per progettare degli insediamenti in aree occupate dagli europei, che
garantissero l’accesso al commercio indiano e basi di attacco contro gli spagnoli. La Gran
Bretagna, cioè, si sentiva investita di una “missione provvidenziale”, concepita nei
termini di una conquista dei popoli selvaggi al cristianesimo e alla civiltà.
11
Pertanto, la
premessa imprescindibile riguardante le origini della nazione riguardava proprio i viaggi
di esplorazione transatlantica intrapresi dai navigatori ed esploratori europei, come
Humphrey Gilbert e il suo fratellastro Walter Raleigh, che, a partire dalla fine del
Cinquecento, rivendicarono il dominio su vaste aree dell’America Settentrionale per
6
A. De Tocqueville, N. Matteucci (a cura di), La democrazia in America, Milano, UTET, 2017, Edizione
del Kindle.
7
Ivi, Edizione del Kindle.
8
G. Mammarella, L’eccezione americana. La politica estera statunitense dall’indipendenza alla guerra in
Iraq, Roma, Carocci Editore, 2005, p. 13.
9
G. Borgognone, Storia degli Stati Uniti. La democrazia americana dalla fondazione all'era globale,
Milano, Feltrinelli Editore, 2016, Edizione del Kindle.
10
Ivi, Edizione del Kindle.
11
J. H. Elliott, Imperi dell’Atlantico. America britannica e America spagnola, 1492-1830, Torino, Einaudi,
2010, p. 18.
favorire, anzitutto, gli interessi della Corona britannica, sponsor delle traversate verso il
Nuovo Mondo. E Stefano Luconi, scrive nella sua opera che 600.000 europei in quegli
anni si trasferirono in loco con l’obiettivo di
concretizzare disegni di arricchimento con speculazioni economico-finanziarie o per ricercare luoghi
remoti che avrebbero dato vita a progetti di società alternative sull’altra sponda dell’Atlantico oppure, più
semplicemente, per potenziare le proprie condizioni di vita, sottraendosi a un’esistenza precaria nel
Vecchio Mondo a causa della miseria, dell’intolleranza religiosa e della repressione politica.
12
Il governo inglese, quindi, favorevole all’allontanamento dei germi torbidi e degli
elementi di nuove rivoluzioni, vedeva di buon occhio questa grande emigrazione. Anzi,
come sostiene Tocqueville, la favoriva in tutti i modi disinteressandosi al destino di coloro
che si recavano sul suolo americano a cercare un asilo contro l’asprezza delle sue leggi.
13
In tal modo, gran parte della costa dell’America del Nord divenne un possedimento
inglese verso la fine del XVII secolo e, il mezzo più utilizzato dal governo britannico per
popolare questi nuovi territori consisteva nel dare a un certo numero di emigranti il diritto
di costituirsi in una società politica, sotto il protettorato della madrepatria, e di governarsi
da soli in tutto ciò che non era contrario alle sue leggi. A tal proposito, il primo
insediamento permanente inglese sorse nel 1607 a poche miglia dalla costa meridionale
della baia di Chesapeake, nell’attuale Virginia e fu chiamato Jamestown, in onore del re
Giacomo I d’Inghilterra, luogo nel quale, secondo il pastore puritano William Crashaw,
si sarebbe delineata una sorta di missione nazionale, grazie alla quale gli inglesi avrebbero
dato ai selvaggi ciò di cui questi avevano più bisogno, ovvero “civiltà per i loro corpi” e
“cristianità per le loro anime.”
14
Il Nuovo continente, in altre parole, si presentava per
diverse ragioni come una “land of opportunity”, un mondo dalle risorse e opportunità
illimitate, caratterizzato da una commistione di missione religiosa e di ricerca del profitto:
la nuova terra, infatti, non era solo un luogo fisico, ma anche un mito, il “mito
dell’abbondanza, della libertà, della purezza morale e religiosa, della opportunità di una
rinascita e di un successo personale che il Vecchio mondo negava.”
15
Tuttavia, la
speculazione economica che si celava dietro la nascita di quel primo nucleo, ridimensionò
certamente la valenza di quel viaggio predestinato a diventare l’episodio simbolo
all’origine della nazione. Al suo posto, però, si affermò, nella memoria collettiva, il
celebre viaggio dei padri pellegrini, i quali a bordo della nave Mayflower, riuscirono a
raggiungere le coste del Massachusetts nel 1620 e a fondare la colonia di Plymouth. E
questa volta, seppur con tredici anni di ritardo, tale episodio avrebbe incarnato
perfettamente la nascita embrionale degli Stati Uniti. Nel 1630, inoltre, un altro gruppo
di dissidenti calvinisti inglesi, i puritani, desiderosi di proseguire l’opera di riforma della
Chiesa anglicana lontano dalla Gran Bretagna, raggiunse il Massachusetts e fondò le città
di Boston e Salem. Il puritanesimo, infatti, non era soltanto una dottrina religiosa, ma si
confondeva anche in molti punti con le più estreme teorie democratiche e repubblicane
che gli avevano procurato avversari pericolosissimi. Perseguitati dal governo della
madrepatria e feriti nel rigore dei loro princìpi dall’andamento quotidiano della società in
cui vivevano, i puritani cercarono cioè, come scrive Tocqueville “una terra così barbara
e così abbandonata dal mondo, in cui essi potessero vivere a modo loro e pregare Dio in
libertà.”
16
Essi, in altre parole, andavano alla ricerca della “Nuova Canaan”, una nuova
terra promessa, un luogo spiritualmente incontaminato dove creare una comunità biblica
12
S. Luconi, La “nazione indispensabile”. Storia degli Stati Uniti dalle origini a oggi, Milano, Mondadori
Education, 2016, Edizione del Kindle.
13
A. De Tocqueville, op. cit., Edizione del Kindle.
14
J. H. Elliott, op. cit., p. 19.
15
O. Bergamini, Storia degli Stati Uniti, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 9.
16
A. De Tocqueville, op. cit., Edizione del Kindle.
ideale che avrebbe dovuto servire da fonte di ispirazione e purificazione per la
cristianità.
17
A tal proposito, il leader e primo governatore della colonia della Baia del
Massachusetts, John Winthrop
18
, rifacendosi alle parole che Gesù utilizzò per parlare ai
suoi discepoli nel “Discorso della montagna”, disse al suo piccolo gregge, poco prima
dello sbarco, che essi erano il popolo eletto e che Dio li chiamava a farsi esempio e luce
per il mondo intero:
Perciò dobbiamo considerare di essere come una Città su una Collina: gli occhi di tutti sono su di noi;
cosicché, se in questo compito che ci siamo assunti deluderemo il nostro Dio, e dunque lo indurremo a
ritirare il suo appoggio nei nostri confronti, (…) faremo arrossire le facce di molti valevoli servi di Dio e
faremo sì che le loro preghiere si trasformino in anatemi contro di noi.
19
E il desiderio di rinnovamento traspariva perfettamente anche dallo stesso nome di New
England (Nuova Inghilterra), che i puritani attribuirono alla regione che accolse il loro
insediamento, percepito come una sorta di “deserto americano” in cui poter adempiere,
investiti da Dio, alla loro missione universale. Tuttavia, secondo l’analisi di Manlio
Graziano, senza delle condizioni geografiche estremamente favorevoli, il mito di un
destino voluto e benedetto da Dio non avrebbe mai potuto vedere la luce.
20
A fortiori, lo
studioso americano Nicholas Spykman, conferma il ruolo centrale della geografia,
considerata come il punto di partenza essenziale di ogni analisi politica: “La geografia
non discute. Semplicemente è.”
21
La geografia, infatti, determinerebbe, ancor di più nel
caso dell’America, quei caratteri originari dello sviluppo. E, anche se, in realtà, come
scrive Fernand Braudel, quelle nuove terre dovettero apparire, inizialmente, ai Padri
pellegrini poco piacevoli e indomabili, coi progressi della colonizzazione, quegli stessi
paesaggi, finirono per sembrare, al contrario, la prova della benevolenza divina proprio
per i loro litorali bassi, le acque profonde e le insenature riparate, ubicazione ideale per
porti naturalmente protetti.
22
In particolar modo, i due oceani, tenendo l’Asia e l’Europa
a distanza di sicurezza, divennero la principale garanzia di inviolabilità del territorio
americano, insieme, poi, anche alle catene montuose, gli Appalachi a ovest e le Rocciose
a est, le quali fungevano da fortificazioni naturali in difesa dei 3 milioni di km quadrati
della grande pianura centrale. Infine, il sentimento di inviolabilità era rafforzato dalle
barriere fisiche del deserto a sud, alla frontiera col Messico, e dai laghi e dalle foreste a
nord, alla frontiera col Canada. Ed è proprio sulla base di tale percezione dello spazio
geografico, che molti americani e anche lo stesso Alexander Hamilton, hanno finito per
attribuire al nuovo paese un “vantaggio simile a quello di una condizione insulare.”
23
Tuttavia, sempre secondo Graziano, tutta la storia degli insediamenti europei al nord del
continente americano è il frutto di una sovrapposizione tra fattori geografici naturali e
fattori legati allo sviluppo sociale ed economico. In altre parole, se è vero che, i
fondamenti dell’eccezionalismo americano non avrebbero potuto vedere la luce senza le
peculiarità geografiche del continente, è anche vero che, solo l’intervento umano a un
17
Ivi, Edizione del Kindle.
18
John Winthrop era un nobile inglese puritano che in patria era stato privato dal re Carlo I del suo posto a
corte e che per questo, nel 1630, salpò verso il Nuovo mondo.
19
John Winthrop, “City upon a Hill”, 1630.
https://www.mtholyoke.edu/acad/intrel/winthrop.htm
20
M. Graziano, L’isola al centro del mondo: una geopolitica degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 2018,
Edizione del Kindle.
21
N. J. Spykman, Geography and Foreign Policy, II, in “The American Political Science Review”, vol. 32,
n. 2, aprile 1938, pp. 213-236.
22
F. Braudel, Grammaire des civilisations, Parigi, Flammarion, 1987, pp. 603-604.
23
A. Hamilton, The Consequences of Hostilities between the States, The Federalist Papers, n. 8, 20
novembre 1787, in A. Hamilton, J. Madison e J. Jay, The Federalist: On the New Constitution, Hallowell,
ME, Glazier, Masters & Smith, 1837, p. 62.
certo stadio della sua evoluzione sociale può rendere attuali i suoi benefici potenziali o
addirittura trasformare le sue asperità naturali in vantaggi reali.
24
L’America è il solo paese in cui si sia potuto assistere allo svolgimento naturale e pacifico di una società
e dove sia stato possibile precisare l’influenza esercitata dal “punto di partenza” sull’avvenire di uno
Stato. (…). Ho già detto precedentemente che vedo nella origine degli Americani, in ciò che ho chiamato
il loro “punto di partenza”, la prima e più efficace di tutte le cause alle quali si possa attribuire l’attuale
prosperità degli Stati Uniti.
25
E così, proprio grazie a quel “punto di partenza” di cui parla Tocqueville, è possibile
ricostruire ogni premessa all’origine della nascita dei futuri Stati Uniti d’America, così
come è possibile comprendere da dove derivi la loro attuale prosperità. Ma quali
caratteristiche contraddistinguono la civiltà anglo-americana da tutte le altre? A suo
giudizio, tali peculiarità deriverebbero dall’accordo tra due elementi perfettamente
distinti, che altrove sono stati spesso in contrasto, ma che in America si sono potuti
fondere l’uno nell’altro legandosi splendidamente: lo spirito di religione e lo spirito di
libertà.
26
Noi non ci sbagliamo su ciò che dobbiamo intendere per nostra indipendenza. C’è, infatti, una sorta di
libertà corrotta, il cui uso è comune agli animali come all’uomo, e che consiste nel fare tutto ciò che piace.
Questa libertà è la nemica di ogni autorità; tollera con impazienza tutte le regole; con essa diveniamo
inferiori a noi stessi; è nemica della verità e della pace, e Dio ha creduto di doverla combattere! Ma c’è
una libertà civile e morale che trova la sua forza nell’unione, e che il potere stesso ha il compito di
proteggere: è la libertà di fare senza timore tutto quanto è giusto e buono. Questa santa libertà noi
dobbiamo difendere in ogni circostanza e, se necessario, rischiare per essa anche la nostra vita.
27
Così, si esprimeva J. Winthrop a proposito di quella libertà, che avrebbe dovuto
accompagnare gli americani. La libertà di cui parlava, in altre parole, era una libertà
morale, che aveva il significato, in modo non dissimile da quello a essa assegnato da molti
conservatori moderni, di “capacità di agire in conformità di un modello etico”. Motivo
per il quale, le sue parole, fecero attecchire sul suolo americano, accanto all’esaltazione
dell’intraprendenza economica, quella forte matrice culturale religiosa.
28
I padri
fondatori, infatti, sia ardenti settari che innovatori esaltati, hanno donato agli Americani
l’amore per l’uguaglianza e la libertà ma sempre illuminati da Dio nel loro cammino. E,
a loro volta, gli uomini hanno da sempre nutrito un profondo amore per la loro patria, un
amore istintivo e disinteressato che li lega ai propri antenati e alla memoria del passato,
ma sempre esaltato dallo zelo religioso che li spinge a proiettarsi più in alto. La religione,
pertanto, come sostiene Tocqueville:
vede nella libertà civile un nobile esercizio delle facoltà umane e nel mondo politico un campo affidato dal
Creatore agli sforzi dell’intelligenza. Libera e potente nella sua sfera, soddisfatta del posto riservatole, la
religione sa che il suo regno è tanto più stabile quanto più può contare sulle sue sole forze, quanto più
domina, senza aiuto alcuno, sui cuori. La libertà vede nella religione la compagna delle sue lotte e dei suoi
trionfi, la culla della sua infanzia, la fonte divina dei suoi diritti.
29
24
M. Graziano, op. cit., Edizione del Kindle.
25
A. De Tocqueville, op. cit., Edizione del Kindle.
26
Ivi, Edizione del Kindle.
27
John Winthrop in A. De Tocqueville, La democrazia in America, Edizione del Kindle.
28
Eric Foner, Storia della libertà americana, Roma, Donzelli, 2000, pp. 9-16
29
A. De Tocqueville, op. cit., Edizione del Kindle.