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1.2. Tecnologia e società umane.
La tecnologia ha cambiato la storia dell’Umanità aumentando i livelli di produttività. Fino alla
metà del secolo scorso, la mancanza di efficienza agricola costringeva a lavorare nei campi la
stragrande maggioranza della popolazione, perché, disponendo solo della zappa, occorrevano
molte braccia per dare da mangiare a tutti: e, comunque, anche così il cibo era scarsissimo.
Inoltre era necessario che anche i ragazzi dessero il loro contributo. Conseguentemente, erano
elevatissimi i livelli di analfabetismo, poiché solo chi aveva un certo benessere economico
poteva permettersi il “lusso” di pensare all’istruzione dei propri figli.
Lo sviluppo tecnologico cominciò ad avviarsi nella seconda metà dell’Ottocento per il
combinarsi di varie spinte: da un lato gli inventori, che fornivano gli strumenti; dall’altro i
proprietari, che, mossi dallo spirito di profitto e di intrapresa, volevano aumentare il reddito
delle loro proprietà. E, infine, i lavoratori, i quali rifiutando lo sfruttamento, rivendicavano per
sé quote migliori della rendita terriera.
L’aumento della produttività agricola liberò dalla necessità di lavorare nei campi un gran
numero di persone, le quali andarono a fare altri lavori, la maggior parte nel settore
industriale: oggi negli Stati Uniti basta meno del 3% della popolazione attiva per produrre
cibo per tutti e per esportarne milioni di tonnellate. Infatti, mentre un contadino con la zappa
produceva cibo per due o tre persone, un contadino tecnologico ne produce cibo oltre
sessanta.
La rivoluzione tecnologica, attualmente in atto, sta provocando un processo simile all’interno
dell’industria, ove, aumentando il livello di automazione dei processi produttivi, si riduce il
bisogno di manodopera, in quanto è possibile produrre la stessa quantità di oggetti (o magari
più oggetti) utilizzando meno operai.
Nello stesso tempo si sta registrando una grossa espansione del settore dei servizi.
Il terziario, nella società avanzata, è una centrale di idee, di innovazioni, di progettazione,
volano per lo sviluppo dell’economia. Un oggetto non ha più dentro di sé soltanto ferro, rame,
plastica, ma, soprattutto, invenzione, design, analisi di mercato, organizzazione, ricerca.
In questa ottica si rivoluzionano gli aspetti tradizionalmente più spinosi del dibattito
economico; ad esempio il costo della manodopera ha perso la sua importanza nei settori di
punta: il suo costo nella produzione di un personal computer è oggi solo del 5 – 6%. Quello
che conta (e che costa) è la parte “immateriale” di un prodotto. Quella “materiale”, invece,
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(lavoro manuale o materie prime) è in costante calo, nei settori avanzati, ove è diventata
risorsa primaria la conoscenza.
Si va facendo, sempre più concreta, la prospettiva di un’economia delle idee, ove risorsa
primaria sarà la capacità di inventare e i cui sviluppi sono inimmaginabili al momento,
perché, per la prima volta diverrebbe materia prima dell’attività produttiva un elemento non
caratterizzato dall’elemento della scarsità: l’idea, appunto. Le idee sono infinite e,
teoricamente, sarebbe possibile pensare ad una crescita economica eterna.
Per capire la portata dei mutamenti indotti dalla tecnologia si consideri un oggetto banale: una
cravatta di seta. L’elettronica ha messo a disposizione dei disegnatori il cosiddetto Cad
(computer aided design), un calcolatore programmato per aiutare a disegnare e progettare. In
questo modo è diventato possibile creare sullo schermo un modello, variando, poi, a piacere
tutte le possibili combinazioni di forma e di colore, con un enorme risparmio di tempo e di
spesa. Non solo: i modelli prescelti possono poi passare direttamente in produzione grazie al
cosiddetto Cam (computer aided manufacturing), un calcolatore che trasferisce direttamente
alle macchine le istruzioni per fabbricarli.
Il baco da seta vive e prospera sulle foglie del gelso, una pianta alquanto rara; da qualche
tempo, però, attraverso la creazione di condizioni opportune si è cominciato a coltivarlo in
serra. Ciò consentirà, naturalmente, di aumentare la produttività e di diminuire i costi. Inoltre,
è allo studio una tecnologia ancora più sconvolgente, la quale prevede la possibilità di
manipolare (attraverso l’ingegneria genetica) i geni che regolano la produzione del filo serico
nel baco, e produrne così quantità molto maggiori.
La realizzazione di questi progetti rivoluzionerà la produzione della seta, con conseguenze
ben immaginabili sui costi (e quindi sui mercati). E’indispensabile per i paesi leader in questo
tipo di attività, assumere posizioni di avanguardia in questi tipi di ricerca, perché solo così
essi potranno mantenere le loro posizioni.
L’esempio della cravatta è molto utile per capire come le nuove tecnologie possono,
rapidamente, modificare certe situazioni. Perché ormai in tutti i settori industriali sono in
corso (o si stanno preparando) rivoluzioni analoghe.
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1.3. Le sorprese della tecnologia
1.3.1. Nuovi materiali
L’uomo ha incominciato a inventare dei materiali che non esistono in natura, e che offrono
prestazioni completamente nuove.
I materiali ceramici usati dallo Shuttle per resistere alle altissime temperature del rientro
nell’atmosfera, potranno in un prossimo futuro essere utilizzati per costruire motori di
automobile (e anche di aerei) che, grazie a queste proprietà isolanti, avranno dei rendimenti
altissimi.
Il rendimento di un motore è condizionato, infatti, dalla differenza di temperatura tra
l’ambiente esterno e quello interno: con motori costruiti internamente di ceramica, che
potranno sopportare temperature di oltre mille gradi, si avranno risultati prima impensabili.
Non solo, ma il motore sarà più leggero e non avrà più bisogno di sistemi di raffreddamento
(e le automobili, pesando di meno, grazie anche alle nuove materie plastiche che sostituiranno
in futuro i metalli della carrozzeria, consumeranno ancora meno).
C’è poi in preparazione tutta una serie di materiali superleggeri e resistentissimi. Per esempio
dei polimeri
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15 volte più rigidi dell’acciaio.
Delle stoffe termiche, leggerissime, capaci di sostituire la lana o i piumini. Degli abiti
riflettenti, che permettono di rimanere più freschi di estate. Delle fibre speciali capaci di
resistere a temperature altissime. O di fermare le pallottole.
Dei nuovi materiali porosi per chirurgia che imitano le ossa. Delle membrane artificiali capaci
di veicolare i farmaci direttamente sull’organo malato, riducendo così gli effetti collaterali
dannosi all’organismo del paziente.
Dei materiali lubrificanti, che rimangono liquidi a temperature da –50 a + 300 gradi, e che
possono essere impiegati anche per la protezione dei marmi e delle statue, poiché formano
uno strato poroso, ma impermeabile all’acqua (proteggendo così la pietra dagli acidi delle
piogge).
Inoltre, applicazioni pressoché illimitate della biologia nel campo della chimica fine: e,
perfino, la possibilità di usare dei bio-polimeri in modo che il cuoio si autofabbrichi da solo.
1
Sostanza formata da due o più molecole dello stesso composto, così che il suo peso molecolare risulta un
multiplo di quello del composto originario, cioè del monomero.
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Per non parlare delle future applicazioni del laser, in gran parte ancora da individuare per la
verità
Questi sono solo alcuni esempi, sufficienti, a dare un’idea abbastanza precisa sui cambiamenti
che si produrranno in tutti i campi. Non per niente negli Stati Uniti e in Giappone si stanno
spendendo cifre molto consistenti (dell’ordine di migliaia di miliardi) per la ricerca di nuovi
materiali. Perché chi produrrà per primo certe cose potrà dominare i mercati, portando via i
clienti agli altri.
1.3.2. Biotecnologie e ingegneria genetica
I biologi cominciano, oggi, ad avere a disposizione i due strumenti “chirurgici” essenziali per
realizzare dei giochi di montaggio a livello dei geni (cioè trasferendo geni da un essere
vivente ad un altro e modificando le caratteristiche dell’individuo): i “bisturi” e “i punti di
sutura”.
Per raggiungere questi geni, infatti, bisogna non solo entrare nel nucleo della cellula, ma
penetrare nei cosiddetti plasmidi, che sono come degli anelli che contengono il Dna (cioè le
catene molecolari dei geni).
Per aprire e, poi, richiudere questi plasmidi si utilizzano degli enzimi, cioè delle molecole
capaci di agire su altre molecole.
Il “bisturi” è perciò costituito dal cosiddetto “enzima di restrizione”, il quale consente di
tagliare i plasmidi. I punti di sutura sono, invece, forniti da un altro enzima, la ligasi, che
permette di richiudere l’anello dopo che i geni sono stati alterati.
Le biotecnologie stanno preparando la terza rivoluzione agricola (dopo quella dell’invenzione
delle colture, diecimila anni fa, e quella che introdusse i fertilizzanti e i pesticidi).
Il problema di dar da mangiare a una popolazione crescente sta incentivando la ricerca verso
settori prima impensabili.
C’è, in prospettiva, l’utilizzazione, su larga scala, delle alghe marine (proteine vegetali), che,
aromatizzate con sapori diversi, potranno diventare un cibo sano e nutriente. Non solo, poiché
è, allo studio, l’eventualità di utilizzare proteine animali nuove: quelle batteriche.
La carne ha, infatti, solo il 16% di proteine, i batteri l’80%. Poiché i batteri si moltiplicano
rapidamente e sono facilmente selezionabili, potrebbero offrire una fonte di cibo molto
nutriente. C’è naturalmente un problema psicologico da superare, ma dal punto di vista del
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gusto non vi sarebbero problemi, grazie a tecniche aromatizzanti. In ogni caso potrebbero
essere usati per l’alimentazione animale.
Con le biotecnologie, attraverso selezioni ed incroci, si cerca, inoltre, di ridurre il problema
delle immense perdite agricole, che si verificano lungo tutta la catena, che va dalla semina
fino al momento in cui il cibo viene ingerito dall’utente (perdite nei raccolti, nel trasporto,
nella conservazione, nella distribuzione, nel trattamento, nella preparazione eccetera): ad
esempio ottenendo pomidoro con la buccia più robusta, che resistono meglio ai trasporti, o
fragole e patate che resistono a temperature sottozero.
Le nuove tecnologie stanno trasformando l’agricoltura. In futuro é prevedibile che molti
paesi, attualmente importatori di prodotti agricoli, diverranno produttori o, addirittura
esportatori (in particolari di amidi). Bisognerà, quindi, modificare le colture in funzione del
cambiamento del mercato.
Paesi come l’India, l’Indonesia o la Cina sono già diventati oggi esportatori di prodotti
alimentari pur senza usare sofisticate biotecnologie. Nei paesi più sviluppati l’aumento delle
rese creerà delle grosse difficoltà di surplus agricolo. Difficoltà che già oggi esistono negli
Stati Uniti e anche in Europa.
Si sta andando verso un mondo, che, nel suo insieme, produrrà sempre più cibo, anche se
rimarrà la questione, a volte drammatica, della sua ridistribuzione.
Con processi innovativi, del resto, si potrebbero riciclare i surplus agricoli in modo diverso,
traendone materiali non da mangiare, ma da utilizzare per l’industria. Per esempio, per
produrre benzina o additivi per carburanti, o per estrarre gomme speciali. Ciò dipenderà,
anche dall’andamento dei prezzi delle materie prime e del petrolio (e quindi dalla
convenienza, oppure no, di fare certe cose).
Se in agricoltura i risultati delle biotecnologie si fanno per ora attendere (per una oggettiva
difficoltà tecnica, ma, forse, anche per ragioni economiche, perché moltiplicare i raccolti
significherebbe sconvolgere i mercati agricoli, e l’andamento dei prezzi), nel campo dei
farmaci, invece, l’ingegneria genetica sta procedendo a pieno ritmo.
Si tratta di un business colossale, e i rialzi in borsa delle quotazioni delle società di ingegneria
genetica (che sono spuntate in questi ultimi anni come funghi) mostrano bene lo sviluppo che
sta avendo il settore.
Nel campo dei medicinali, le tecniche sono già molto avanzate, e consentono ora la
produzione su larga scala (e a prezzi bassi) di sostanze prima rarissime.
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Le strade in cui le biotecnologie possono intervenire a livello medico sono moltissime: sono
ormai prossimi, per esempio, i primi interventi semplici di ingegneria genetica sull’uomo, per
combattere certe malattie ereditarie.
Ma sono allo studio anche nuovi tipi di farmaci: o meglio di “non farmaci”. Cioè tecniche per
far produrre dal corpo stesso certe sostanze, in modo naturale. Per esempio contro il dolore,
stimolando la produzione di endorfine (sostanze simili alla morfina prodotte direttamente dal
cervello).
Le biotecnologie stanno inoltre aprendo un nuovo grande settore: quello delle diagnosi
precoci grazie alla capacità di diagnosticare con molto anticipo certe malattie. Attraverso certi
nuovi controlli medici permessi dalle biotecnologie, sarà possibile cogliere i primi sintomi di
alcune malattie che attualmente si manifestano solo più tardi, quando il male si è già
consolidato nell’organismo.
Le biotecnologie potranno dare un valido contributo nella lotta contro l’inquinamento,
rendendo biodegradabili i contenitori di plastica, che ammorbano l’ambiente. Purtroppo
esistono impedimenti di natura economica, perché materiali plastici degradabili, in teoria, si
possono fabbricare, ma costano ancora troppo.
Un’alternativa sarebbe quella di degradare la plastica con un “trucco” fotochimico, cioè
inserendovi delle sostanze che reagiscono alla luce. In questo modo un sacchetto di plastica, o
un contenitore, dopo un certo tempo di esposizione alla luce comincerebbe a disgregarsi
automaticamente.
Il problema è quello del “timer”, per così dire. Perché potrebbe succedere che questi
contenitori si disgreghino quando non dovrebbero, per esempio, quando si trovano ancora nei
magazzini, o in casa, lasciando fuoriuscire i contenuti.
Quanto all’idea, di creare batteri che “mangiano” la plastica sarà necessario inventare sistemi
che consentano ad essi di distinguere tra le plastiche da mangiare e quelle, invece, da non
toccare; altrimenti non interverrebbero solo sui sacchetti e i contenitori vuoti, ma anche su
quelli pieni, oppure su pezzi di automobile, borse, mobili di cucina, orologi eccetera).
Inoltre, si potranno impiegare i batteri nell’industria: costano pochissimo, sono efficientissimi
e sono miliardi. Possono, per esempio, produrre metano, fermentando gli scarti organici o
idrogeno, sintetizzando l’enzima idrogenasi.
Oggi lavorano gia in certe miniere abbandonate, rendendo nuovamente redditizia l’estrazione
di certi metalli (come il rame o l’uranio) grazie al fatto che intaccano e disgregano il minerale
in cui sono inglobati.
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La biotecnologia è, insomma, uno dei campi più promettenti per i prossimi anni, e qualcuno
ritiene che sarà probabilmente la prossima rivoluzione, dopo quella del computer.
1.3.3. La microelettronica
Il campo della microelettronica ha conosciuto immensi sviluppi negli ultimi anni: qui la
parola “futuro” non sembra aver più alcun senso.
Nei primi anni Novanta, i colossi multinazionali dei media e delle telecomunicazioni
progettavano un “cyberspazio”, che avrebbe portato (naturalmente a pagamento) nelle case
della gente informazioni, divertimento e grandi opportunità di fare acquisti. Tutte prese fra
studi, riunioni e prime applicazioni di futuro, queste aziende facevano calcoli sugli
investimenti da sostenere. E non si curavano dell’unica rete esistente, frutto di una tecnologia
dismessa dal Pentagono e, di fatto, regalata alle università: Internet. Essa nacque negli anni
della guerra “fredda” per opera del governo degli Stati Uniti, preoccupato di garantire una
linea di comunicazione rapida dei propri centri operativi militari nel caso di un nuovo
conflitto mondiale. Utilissima per lo scambio di informazioni, ma troppo complessa per la
gente comune, questa tecnologia, il Tcp/Ip (Ip sta per Internet protocol), era banale:
consisteva nel dividere i bit (l’unità fondamentale dell’informazione) da trasmettere, in tanti
“pacchetti” inviati separatamente, ognuno marchiato nelle prime righe con l’indirizzo del
destinatario. L’ulteriore peculiarità stava nel fatto che i pacchetti, per poter concludere il
tragitto, potevano prendere la strada che trovavano più sgombra.
Con Internet si è passati dalla tecnologia analogica a quella digitale. La differenza fra è
semplice: quella analogica è una rappresentazione continua della realtà, mentre quella digitale
é a scatti. Si pensi, ad esempio, ad un orologio da polso: mentre quello digitale registra un
secondo alla volta, la lancetta analogica, durante quell’attimo che passa, copre lungo il
quadrante tutti i punti che separano un secondo (o un minuto) dall’altro.
L’unità di base del mondo digitale è il bit, parola che deriva dalla contrazione di bynary digit
(numero binario).
La matematica binaria è basata su due sole cifre (lo zero e l’uno). Le informazioni girano
dentro al computer sotto forma di tanti zeri e tanti uni perché questo si è rivelato il sistema più
efficiente. I bit non viaggiano da soli: navigano sempre in gruppi di otto, formando il byte,
che è l’altra unità fondamentale di misura dei sistemi digitali (ecco perché quando si parla di
computer i numeri sono sempre multipli di otto).
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Il bit, materia prima del mondo digitale, è oggetto di un “processo industriale”, che avviene
lungo un reticolo di alcuni milioni di transistor collegati da un’infinità di strade, che stanno
sull’unghia di un dito dentro un quadratino nero fatto di sabbia, acqua più qualche sostanza
chimica e minerale. È il circuito integrato, più famoso come microprocessore o microchip.
Qui i bit si trasformano in informazioni, servizi, comunicazioni, intrattenimento, gioco,
strumento.
I microchip sono diventati il fulcro della vita moderna, perché in venticinque anni la loro
capacità di calcolo è aumentata di diecimila volte, mentre il loro prezzo si è ridotto in media
del 25% all’anno. Un altro importante sviluppo si è avuto quando gli ingegneri informatici
hanno imparato a comprimere i byte che compongono la digitalizzazione audio o video,
togliendo i bit superflui, perché ridondanti o ripetitivi, per velocizzare la trasmissione.
L’ultimo ingrediente dell'economia digitale é il mezzo attraverso il quale avviene la
trasmissione dei dati. Da quando Internet è diventata un fenomeno di massa per l’avvento
degli Isp (Internet service provider, ovvero i fornitori dell’accesso casalingo via doppino di
rame), la Rete è riuscita a crescere nelle applicazioni multimediali grazie alla vigorosa spinta
tecnologica impressa sui modem analogici, passati in pochi anni da 14,4 Kbps (ovvero 14000
bit al secondo) fino a quota 56 Kbps.
Il grande dilemma è la larghezza di banda, che è il numero di bit che possono transitare ogni
secondo da un qualsiasi canale: dal doppino di rame, dalle trasmissioni via etere, dal satellite
o dalla fibra ottica.
Le prime due sono canali a banda stretta, nel senso che il contemporaneo transito di zeri e uni
è troppo modesto, anche se destinato, comunque, a crescere. Il satellite consente la ricezione
in banda larga (ma per la trasmissione ha ancora bisogno di una qualche linea telefonica).
Mentre la fibra ottica ha la banda più larga: essa trasmette luce, la quale viaggia a 300000
chilometri al secondo.
Le vere potenzialità di Internet stanno nella banda larga: ovvero nella trasmissione di quantità
massicce di dati, come nel caso di filmati in tempo reale.
A parte il fenomeno Internet, la microelettronica avanzerà anche nelle fabbrica, con cose
nuove. Il cervello dei robot (già oggi molto sviluppato) diventerà sempre più sofisticato,
grazie ai progressi dell’informatica. I bracci dei robot potranno compiere lavori sempre più
complessi man mano che aumenteranno le capacità dei computer che li guidano (e anche la
capacità umana di guidare i computer).
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Uno dei prossimi grandi sviluppi sarà la crescita delle capacità visive, la quale permetterà ai
robot di riconoscere gli oggetti, di scegliere, di adattarsi a situazioni diverse.
Con i futuri calcolatori, detti della quinta generazione, queste capacità dovrebbero compiere
un nuovo balzo avanti, permettendo di interpretare le immagini e persino di leggere testi.
Ancora, presto, saranno disponibili robot con sensori biologici ad essi collegati, i quali
permetteranno applicazioni ancora impensabili, per esempio di guida automatica (il
collegamento tra radar e sistemi elettronici di guida automatica potrebbe risolvere
definitivamente il problema dei viaggi notturni e in condizioni di visibilità zero).
A quel punto i robot, flessibili, intelligenti, potranno trovare applicazioni anche fuori delle
fabbriche, in una quantità di altri servizi, con lo sviluppo di quella che si chiama la
meccatronica, cioè macchine dotate di sistemi integrati di meccanica e micro-elettronica.
Basti pensare agli usi militari, spaziali, agricoli o all’utilizzo nei pozzi, nelle gallerie, negli
abissi marini, negli incendi; o negli ospedali per l’assistenza agli handicappati.
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1.4. I paradigmi dell’economia tecnologica
La tecnologia sta trasformando radicalmente i sistemi industriali, promuovendo un
cambiamento di fondo nei paradigmi stessi dell’economia mondiale.
Nel passato lo sviluppo delle società industriali era favorito dal possesso di materie prime, di
fonti energetiche e di manodopera a basso costo. Le nuove tecnologie stanno modificando,
sempre più velocemente, questa impostazione.
Le fonti energetiche, in particolare, il petrolio, manterranno il loro valore strategico, ancora
per parecchio tempo; Tuttavia, durante i periodi di caduta dei suoi prezzi si sono sviluppate le
tecnologie del risparmio e la ricerca di fonti alternative, le quali hanno mostrato come sia
possibile ribaltare le situazioni e mettere in crisi i produttori di greggio.
La tecnologia sta rovesciando, anche, il concetto di manodopera a basso costo, perché
l’automazione sostituisce sempre più il lavoro manuale e produrre certi oggetti in una fabbrica
moderna (con alti salari per i pochi addetti) costa meno che in un paese, il quale disponga di
molta manodopera a basso costo, ma con poca automazione. In questo modo nei paesi
industrializzati si sono tornati a produrre certi oggetti (elettrodomestici, prodotti tessili) che
prima era più conveniente produrre in alcuni paesi asiatici.
Mutamenti analoghi si sono verificati nel campo delle materie prime: la possibilità di
creazione di surplus mondiali di cibo senza precedenti nel settore agricolo, resa possibile dalle
biotecnologie, elimina l’importanza strategica che fino ad ora aveva il disporre di grandi
quantità di grano, e avrà un importante impatto sul livello degli stessi prezzi agricoli (anche se
vi saranno sostegni politici nei paesi ricchi per evitare contraccolpi ai produttori).
Nel campo delle ricchezze minerarie, molti materiali sostitutivi (anzi, spesso migliorativi)
hanno reso meno essenziali certi metalli. La possibilità di costruire polimeri 15 volte più
resistenti dell’acciaio, o fibre ottiche per le comunicazioni molto più efficienti del rame (e a
più basso costo), non può non avere un impatto sui prezzi di molte materie prime. Queste
nuove situazioni aggravano, chiaramente, la situazione di molti paesi del Terzo Mondo dove i
contraccolpi, nei campi o nelle miniere, arrivano spesso senza ammortizzatori.
L’azione delle nuove tecnologie riguarda, anche le singole aziende, poiché esse stanno
cambiando tutto nell’impresa: il modo di produrre le cose, gli oggetti da produrre, il modo di
vendere, l’organizzazione del lavoro, la ricerca eccetera.
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“Una azienda non è più tale se non diventa una Internet company entro il 2002” si sentenzia
negli ambienti economici americani. Per essere una Internet company non basta avere una
presenza di facciata sulla Rete. È necessario che tutta l’azienda giri intorno ad Internet, ossia
usi la rete per il marketing, per le relazioni con i clienti e gli investitori, per far volare le
comunicazioni interne, per migliorare i processi industriali o i servizi, per dare una spinta
all’innovazione e, se il suo business lo consente, per vendere.
Il tutto su scala globale. Internet, infatti, permette alle aziende di crearsi delle reti di
comunicazione istantanea all’interno o all’esterno, risolvendo, così, il problema della posta,
grazie a circuiti che trasmettono in continuazione lettere, documenti, fotocopie.
Il sistema si può estendere alle cosiddette tele-conferenze che permettono ai partecipanti di
riunirsi e discutere senza spostarsi dalla propria città. Il successivo sviluppo dell’idea sarà il
cosiddetto telelavoro. Cioè grazie ai bassi costi delle telecomunicazioni potrà essere
conveniente far compiere certi lavori di ufficio a casa, risparmiando trasporti, locali,
riscaldamento eccetera. L’abitazione sarà come un “ufficio separato”, che permetterà
comunque lo scambio istantaneo di comunicazioni, fotocopie, documenti.
Si sta creando un nuovo sistema nervoso, che permette di sentire e di vedere a distanza, di
passare informazioni e documenti. In questo modo non è più necessaria la concentrazione
dello spazio. L’azienda può diluirsi, pur rimanendo tutta collegata.
La tecnologia, cioè, cambia non solo le macchine, ma anche il modo di gestire. Attraverso le
telecomunicazioni, l’informatica, la progettazione, l’automazione negli uffici eccetera.
Il problema rimane naturalmente sempre quello della capacità culturale e organizzativa di
usare queste cose. E di usare quelle giuste.
Perché è vero che le nuove tecnologie costeranno sempre meno e, quindi, diventeranno
sempre più accessibili, ma se manca la capacità di usarle bene (cioè in modo appropriato e
coordinato) è come avere delle bellissime carte in mano e non saperle giocare.
Lo stesso tipo di problematica coinvolge anche i sistemi-paese: se la scelta è quella di
partecipare alla gara della competizione internazionale con le nuove regole, occorre, allora,
risolvere al più presto i problemi sociali che una trasformazione del genere comporta. Questa
è una corsa che coinvolge tutti e diventa, quindi, necessaria la partecipazione e la
collaborazione di ognuno: singoli, imprese, forze politiche e sindacali, Stato. In modo che
tecnologia, economia e politica trovino un equilibrio in movimento in un mondo che avanza a
velocità crescente. Affrontando in questa prospettiva problemi come l’occupazione, o la
scuola.
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1.5. L’importanza di due verbi.
In economia si coniugano sempre di più due verbi: dematerializzare e interconnetere.
Dematerializzare significa fare le cose con meno materiale, meno macchine, meno braccia e
più intelligenza.
Nelle aziende si tende a dematerializzare il più possibile, a diminuire, cioè, (ove le tecnologie
lo consentano) l’uso di energia, di materiali, di locali, di personale.
Ad esempio, si pensi al magazzinaggio: esso costituisce un costo notevole per l’azienda,
perché una merce in magazzino è un capitale immobilizzato, richiede spazi, manutenzione,
personale, comporta rischi di deterioramento.
Le nuove tecnologie consentono di dematerializzare, in larga misura, il magazzino:
utilizzando dei terminali elettronici presso i punti di vendita, per raccogliere gli ordinativi dei
clienti (espressi da ognuno secondo i propri desideri e le proprie necessità) la produzione
risponde direttamente alle richieste del mercato. Si evita, così, di produrre oggetti di vari
colori, caratteristiche e accessori, e di riempire i punti di vendita o i depositi in attesa che
qualcuno richieda quel particolare tipo di oggetto o si adatti a comperare uno che non lo
soddisfi pienamente.
La classica sequenza del passato era produrre, trasportare, immagazzinare, poi, cercare di
vendere. Oggi la sequenza si sta ribaltando: prima vendere, poi produrre grazie a macchine
flessibili, seguendo le richieste del mercato.
I vantaggi sono notevoli anche dal punto di vista del risparmio energetico: riduzione degli
sprechi, meno merci trasportate, meno bisogno complessivo di materie prime e di energia.
Questo nuovo modo di produrre richiede delle organizzazioni periferiche che funzionino da
“sensori”, in modo che l’unità centrale possa prendere le decisioni più razionali. Questi punti
periferici possono essere di vario tipo: per esempio certe piccole aziende si sono associate per
creare dei centri comuni. Altri si affidano a organizzazioni non proprie, ma di terzi (è una
tendenza che si sta sviluppando in certe grandi aziende).
A questo punto viene in considerazione l’altro verbo di moda in questi tempi in economia:
“interconnettere”, cioè collegare tra loro cose diverse, in modo che funzionino come un
sistema. Le tecnologie da sole non bastano a migliorare la produttività: occorre che esse
facciano parte di un progetto integrato, dietro il quale esista competenza, capacità di gestione,
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aggiornamento permanente, scelte strategiche giuste; non basta, cioè, fare le cose bene, ma è
necessario fare le cose giuste.
Lo stesso discorso è valido anche per un paese, preso nel suo insieme. Le aziende, e gli
individui devono fare i conti con le strutture in cui operano: non solo poste, telefoni, trasporti,
burocrazia, ma anche ricerca, energia, scuola eccetera. Quando in un paese questi elementi
non funzionano, o funzionano male, la marcia di assieme rallenta.
Quindi è importante che un paese curi adeguatamente le sue strutture perché se esse non sono
efficienti vanno contro l’interesse generale, in quanto diminuiscono la possibilità di successo
(e quindi di occupazione e di benessere). Specialmente in un’epoca in cui le trasformazioni
tecnologiche sono esplosive e richiedono, un contesto sempre più adatto alla crescente
competizione internazionale.