5
saranno sottoposti ad una pressione continua di creazione/distruzione di
impianti, imprese o distretti industriali
1
. La perdita di competitività di un paese
può, in tempi straordinariamente brevi, trasformarsi anche in un declino
dell’industria e del benessere sociale.
Per una serie di ragioni diverse, stanno cambiando i paradigmi
dell’innovazione. Da fenomeno prevalentemente od esclusivamente
tecnologico, coincidente, o quasi, con l’allocazione di risorse in attività di
R&S, l’innovazione sta diventando un fenomeno multidimensionale.
L’esperienza storica insegna che il settore delle imprese è il motore
dell’innovazione. La trasformazione della conoscenza e la sua incorporazione
in nuovi prodotti, processi e servizi è un campo di attività specifico delle
imprese, non delle università e dei laboratori pubblici di ricerca. Tuttavia,
sempre più si riconosce che la capacità innovativa non può svilupparsi in
isolamento, dal momento che è, inevitabilmente, influenzata dall’ambiente in
cui è immersa. Di fatto, la produzione della conoscenza assume un carattere
sempre più collettivo ed interattivo, si assiste ad una intensificazione delle
relazioni di cooperazione tra istituzioni ed imprese. L’innovazione non investe
più solo il sistema tecnologico, ma anche il capitale cognitivo e l’intera
organizzazione delle strutture imprenditoriali, con rilevanti implicazioni sul
ruolo, sulla qualità e sulle competenze del capitale umano.
Nell’organizzazione basata sulla tecnologia ciò che rende produttiva la forza
lavoro è il sistema, sia questo la “one best way” di Frederick W. Taylor, la
catena di montaggio di Henry Ford od il “total quality management”. Il sistema
tecnologico incorpora la conoscenza e garantisce la produttività, consentendo
1
Varaldo, R., (2003) “L’Innovazione nell’era della conoscenza e della globalizzazione”,
Fondazione Lucchini pp.5
6
ai singoli lavoratori di ottenere risultati apprezzabili, anche senza particolari
conoscenze o capacità.
Al contrario, in un sistema produttivo post-fordista esiste una relazione
biunivoca tra attività del singolo lavoratore e funzionamento del sistema.
Dunque, nell’organizzazione tradizionale il lavoratore è al servizio del sistema;
in quella basata sulla conoscenza il sistema deve essere al servizio del
lavoratore
2
”. Sotto tali profili, le imprese italiane denunciano un preoccupante
ritardo, i loro modelli organizzativi sono ancora troppo strutturati per ottenere
tassi di produttività elevati da una forza lavoro con un livello di istruzione
piuttosto basso
3
. Le imprese italiane sono in ritardo nell’evoluzione verso
business models dove, alla capacità di produrre e assimilare conoscenza viene
attribuita una posizione chiave e dove gli operatori della conoscenza
(knowledge-workers), svolgono un ruolo strategico nello sviluppo e nella
valorizzazione del capitale cognitivo dell’impresa. Il rinnovamento
dell’industria manifatturiera passa, essenzialmente, attraverso la sostituzione
del lavoro manuale con lavoro ad alta intensità di conoscenza. Nell’attuale
economia, ai fini della capacità innovativa, risulta rilevante non solo ciò che si
produce, in fatto di prodotti e servizi, ma anche come concretamente si
produce. In tal senso, non ci sono industrie a bassa innovazione, ma soltanto
imprese a bassa capacità innovativa
4
. Si tratta di imprese che, oltre a non saper
produrre nuova conoscenza, non sono fornite di un’adeguata “capacità di
apprendimento”, risultando disallineate rispetto ai paradigmi propri di una
knowledge-based economy.
2
Drucker, P.F., (2002), “Il management della Società prossima ventura”, p. 101 Etas
3
Gallino, L., (2003),”La scomparsa dell’Italia industriale”, Giulio Einaudi Editore pp. 7
4
Varaldo, R., (2003) “L’Innovazione nell’era della conoscenza e della globalizzazione”,
Fondazione Lucchini pp.7
7
L’innovazione tecnologica, legata a consistenti investimenti in R&S, è un
campo in cui le grandi imprese riescono, di norma, a godere di vantaggi
decisivi rispetto alle imprese minori. Il nuovo contesto innovativo, invece, non
postula una relazione biunivoca tra capacità innovativa e dimensione aziendale.
Viene sottolineata l’importanza, sia dell’ambiente organizzativo ed umano
dell’impresa che del contesto locale in cui essa opera, come determinanti dei
processi innovativi. La dimensione aziendale rimane un fattore rilevante, ma
solo se si affianca ad una qualità strategica dell’impresa e ad un ambiente
adatto per creare conoscenza ed innovazione. Nel nuovo scenario le piccole e
medie imprese, tranne che nei settori ad alta intensità di economie di scala e di
scopo, non partono perdenti per ragioni strutturali, e cioè per il fatto di essere
piccole, lo diventano se non riescono ad esprimere elevate capacità innovative
al pari delle grandi imprese.
Le piccole e medie imprese, nonché le start-up, spesso godono di vantaggi
comparati rispetto alle grandi, nel caso di innovazioni che comportano un
maggior grado di cambiamento e limitati costi di sviluppo. Questi vantaggi
sono piuttosto evidenti, di fronte a discontinuità tecnologiche che richiedono
cambiamenti radicali dell’architettura dei prodotti esistenti o della loro catena
distributiva. Le piccole imprese godono dell’attributo della snellezza,
caratteristica assente nelle grandi imprese spesso “condannate” dal percorso di
crescita prescelto (path dependency).
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per il loro
carattere di tecnologie aspecifiche (general purpose technologies), facilitano il
livello di diffusione dell’informazione e stimolano comportamenti innovativi in
tutti i settori ed in tutti gli ambiti di un’organizzazione. Tentando una
generalizzazione, pur nell’estrema varietà dei casi, è lecito sostenere che
8
nell’economia contemporanea la capacità innovativa delle imprese dipende non
tanto da fattori settoriali e dimensionali, quanto piuttosto dalla qualità della
strategia, dalla dotazione di capitale intellettuale e dalla capacità di acquisire le
nuove competenze che via via si rendono necessarie per innovare prodotti,
processi e servizi. Nell’economia della conoscenza, l’industria manifatturiera
non è destinata a vedere ridurre il proprio ruolo centrale nella propulsione e
nell’attivazione della crescita dell’economia e dell’occupazione, il dato
caratteristico è che nella nuova economia non c’è meno industria, piuttosto vi è
un’industria diversa. Ciò che cambia è l’assetto strutturale, l’organizzazione e
la qualità della manodopera delle imprese, mentre prendono campo processi di
esternalizzazione di funzioni ritenute meno essenziali e della fornitura di
servizi. Questo contribuisce, in modo determinante, alla nascita ed allo
sviluppo di nuovi settori e servizi, che contribuiscono in maniera crescente alla
formazione del PIL.
Il cambiamento in atto è riconosciuto da una varietà di ambienti accademici,
economici e politici. L'OECD a più riprese ha evidenziato il trend in atto verso
una knowledge-based economy, il Consiglio Europeo di Lisbona, nel Marzo
2000, ha adottato un nuovo obiettivo strategico per trasformare l'Unione, entro
il 2010, nella più “ competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza
al mondo, capace di creare uno sviluppo economico sostenibile con più, e
migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”.
Alla luce di ciò, lo sviluppo economico dipende maggiormente e più
direttamente dall'investimento in conoscenza, che incrementa la capacità
produttiva e la produttività, piuttosto che dai tradizionali fattori di produzione.
In una funzione di produzione in cui la conoscenza diventa il fattore primario,
le risorse umane e gli skill professionali giocano un ruolo essenziale. Il capitale
9
umano è l'elemento chiave non soltanto per la creazione di nuova conoscenza,
ma altresì per la sua disseminazione e assimilazione in ampi settori della vita
industriale, commerciale e sociale. Per questo, la profittabilità delle imprese
dipende sempre più dall'interazione virtuosa tra il capitale umano e il capitale
organizzativo, mentre è sempre meno determinata dalla disponibilità e dal
controllo di risorse materiali. Il ritmo di produzione della conoscenza, è
fortemente aumentato di pari passo con la crescita degli investimenti pubblici e
privati in ricerca e sviluppo, per cui si è enormemente potenziata la relazione
bidirezionale tra innovazione e conoscenza.
L’adattamento di un Paese a questa nuova economia, è funzione della sua
capacità di dedicare congrue e crescenti risorse agli investimenti per la
produzione, circolazione, ed integrazione di conoscenza in prodotti innovativi.
Questo avviene tramite la creazione ed il sostegno dell’infrastruttura costituita
dalle istituzioni, tramite lo svolgimento di attività di ricerca di base (università
e istituti pubblici di ricerca), attività di R&S (imprese e laboratori industriali),
formazione di personale altamente qualificato, adozione e gestione di
regolamentazioni (ad esempio leggi di protezione della proprietà intellettuale)
o l’offerta di capitali di rischio (Venture-Capital), fornendo in questo modo gli
input necessari per indurre il processo innovativo. Si tratta di campi in cui i
Paesi avanzati e quelli meno avanzati, ma in forte crescita, stanno investendo
molte risorse anche attraverso interventi da parte di soggetti pubblici nazionali,
regionali e locali. L’intervento pubblico si rivela essenziale ed irrinunciabile,
dato che la rete infrastrutturale della R&S ha una valenza generale per
l’avanzamento scientifico e tecnologico di un Paese, con ricadute e effetti
spillover sull’intero sistema produttivo. In effetti, l’entità e la qualità del
capitale infrastrutturale della ricerca, e della spesa ad essa dedicata,
10
costituiscono sempre di più l’asset strategico per la capacità innovativa di un
paese.
Il presente lavoro segue una matrice secondo la quale, partendo dall’analisi
dell’evoluzione industriale, attraverso una visione paradigmatica, verranno
discussi gli elementi che hanno determinato il distacco dalle linee guida che
hanno caratterizzato quasi tutto il Novecento. Si sottolineerà come il nuovo
fattore determinante, la conoscenza, abbia comportato un ripensamento delle
logiche di business, sia a livello di singola impresa che a livello di sistema
Paese. La collaborazione, in questo contesto, è divenuta la forma di
organizzazione economica principale, in quanto solo attraverso di essa è
possibile raggiungere circoli virtuosi necessari all’ottenimento
dell’innovazione. La competizione non è più esclusivamente incentrata sul
contenimento dei costi, bensì sull’ottenimento di nuovi prodotti. Per
raggiungere questi scopi la collaborazione deve coinvolgere tutti i soggetti,
economici e non, presenti in un territorio. Ruolo centrale in questo processo è
svolto dalla tecnologia, la quale rappresenta una causa di discontinuità che
deve essere considerata un’opportunità piuttosto che una minaccia. Menzione
particolare viene riservata ad uno degli strumenti identificati, quale forma
particolarmente idonea, a raggiungere gli obiettivi stabiliti da una logica di
innovazione continua, ovvero i Distretti Tecnologici. Verrà analizzato il primo
distretto tecnologico nato in Italia, che rappresenta un punto di partenza per il
rilancio della nostra economia nei settori high-tech, ovvero quei settori che
presentano i maggiori margini di sviluppo e che fino ad oggi hanno visto il
nostro Paese nel ruolo di spettatore.
11
Capitolo 1°
IL SISTEMA INDUSTRIALE:
STORIA ED EVOLUZIONE
§ 1.1 Introduzione
Per comprendere appieno i problemi che si pongono oggi nell’agire strategico
delle imprese, grandi o piccole che siano, produttrici di beni oppure di servizi,
fortemente internazionalizzate o maggiormente “domestiche”, è utile prendere
in considerazione il percorso che il mondo della produzione industriale ha
compiuto dall’inizio della prima rivoluzione industriale fino ai nostri giorni. Le
imprese che oggi osserviamo non presentano caratteri assemblati casualmente,
ma costituiscono l’esito di un processo evolutivo entro il quale, ai caratteri
primitivi, se ne sono aggiunti e sovrapposti nuovi che l’evoluzione
dell’ambiente di riferimento, unitamente all’iniziativa delle stesse imprese, ha
determinato. Il capitalismo industriale, che fa da sfondo all’analisi
dell’evoluzione delle imprese, può essere definito come: “un modo scientifico
di produzione, al quale si accompagna la flessibilità competitiva delle strutture
che lo compongono in una specifica organizzazione istituzionale”
5
. Esso viene
osservato e studiato attraverso le tre fasi che lo hanno contraddistinto
5
Di Bernardo, B., Rullani, E., (1985) “Transizione tecnologica e strategie evolutive: l'impresa
industriale verso l'automazione”, pp101 Cedam,
12
utilizzando un approccio paradigmatico ed assumendo un’ottica evolutiva, in
modo da privilegiare gli aspetti tecnologici ed organizzativi del modo di
produzione.
§ 1.2 I Paradigmi socio-economici
In ogni momento storico, la comunità scientifica tende a riconoscersi all'interno
di un determinato insieme di teorie che costituiscono quello che Kuhn
6
chiama
“paradigma”. Egli sostiene che lo sviluppo storico della scienza avviene
attraverso la contrapposizione fra periodi di scienza “normale”, ed altri di
scienza “straordinaria”.
Quando nuovi eventi vanno a falsificare alcune di queste teorie, mandando
progressivamente in crisi il paradigma dominante, inizia un periodo di scienza
"straordinaria" caratterizzato da intuizioni di carattere extra scientifico e da
schemi di ricerca più liberi.
Altro concetto preso in considerazione da Kuhn, è quello dei pre-paradigmi
che precedono la rivoluzione. Infatti, nei primi stadi di una rivoluzione
scientifica, vi è una fase di soluzioni di prova-errore in cui si propongono nuovi
e diversi paradigmi che vengono man mano scartati quando non si dimostrano
di alcun aiuto o risultato. Il ruolo svolto dai pre-paradigmi è, in sostanza, di
stimolare lo sviluppo di quello che diverrà il nuovo paradigma dominante, e
6
Kuhn, T., (1995) “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, traduzione di A. Cargo Einaudi
13
che determinerà un nuovo periodo di scienza "normale" andando a chiudere il
ciclo.
Kuhn ritiene, che nelle rivoluzioni scientifiche è inevitabile una crisi per
determinare la nascita di un nuovo paradigma. La crisi è, in sintesi, una
“condizione preliminare necessaria” all’emergere di nuove teorie.
Nello sviluppo economico si riscontrano tre grandi tipologie di cambiamento
che frequentemente si presentano sostenendosi mutuamente
7
:
¾ le innovazioni tecnologiche;
¾ le innovazioni istituzionali;
¾ le innovazioni organizzative.
Per Adam Smith
8
, nel processo attraverso cui cresce la ricchezza delle nazioni,
le prime innovazioni sono quelle della struttura sociale e del sistema
istituzionale, mentre le innovazioni tecniche sono ad esse subordinate.
Per Schumpeter
9
, l’innovazione non riguarda solo la tecnologia ed i processi
produttivi ma anche l’organizzazione dell’attività economica e le forme
istituzionali, andando poi a considerare le trasformazioni sociali che
accompagnano i cambiamenti tecnologici. Egli sottolinea il concetto di
rivoluzione, nella sua teoria dei cicli di business, ed osserva che “il capitalismo
è una forma o un metodo di evoluzione economica” con forze trainanti che non
vanno confuse con le cause di cambiamento.
7
Rullani, E., Romano, (1998) “Il postfordismo: idee per il capitalismo prossimo venturo” pp. 24
Etas
8
Smith, A., (1987), “La ricchezza delle nazioni”, cura di Anna e Tullio Bagiotti, pp.63 UTET
9
Schumpeter, J.A., (1971) “Teoria dello sviluppo economico: ricerca sul profitto, il capitale, il
credito, l'interesse e il ciclo economico”, pp. 48 Sansoni.
14
Gli impulsi di base, che muovono il capitalismo derivano da:
¾ nuovi beni di consumo;
¾ nuovi metodi di produzione;
¾ nuovi metodi di trasporto;
¾ nuovi mercati;
¾ nuove forme di organizzazione industriale;
queste sono le 5 forze che danno luogo al cosiddetto processo di “distruzione
creativa”.
L’evoluzione dell’ambiente socio-economico si fonda essenzialmente
sull’innovazione, ossia la capacità di generare nuove conoscenze e tecnologie e
di adattare i processi ed i prodotti che sono frutto del cambiamento.
Solo se l’applicazione dell’innovazione viene estesa anche ai metodi di
gestione, alle modalità di organizzazione delle imprese, alla cultura
imprenditoriale e manageriale, allora l’innovazione può risultare proficua.
Il cambiamento di un paradigma socio-economico determina una
ristrutturazione dell’intero sistema, che va al di là del cambiamento
tecnologico. In particolare esso induce:
¾ un rinnovamento dei prodotti, come conseguenza dei nuovi fattori
chiave della produzione;
¾ investimenti infrastrutturali;
¾ una nuova best practice nell’organizzazione dell’impresa ed i rapporti
tra imprese;
¾ nuovi skills che influenzano quantità e qualità della forza lavoro;
15
¾ cambiamenti nell’organizzazione del processo innovativo e nei sistemi
innovativi nazionali;
¾ nuove localizzazioni internazionali degli investimenti in relazione ai
vantaggi comparati
10
.
Il paradigma emergente diventa maturo quando la qualità dell’organizzazione,
evolvendosi, arriva ad essere pienamente corrispondente alla qualità della
tecnologia riuscendo a sfruttarne integralmente il potenziale.
L’idea di paradigma rimanda ad una nozione sistemica della società industriale,
in quanto il massimo di produttività si raggiunge nel momento della maturità,
quando tutti i codici, le strutture ed i linguaggi, sono divenuti coerenti con le
esigenze della tecnologia.
Interessante è l’analisi della posizione formulata dalla scuola di Freeman
11
,
relativa al concetto di paradigmi tecno-economici. Le oscillazioni di lungo
periodo dei cicli economici sono determinate da diversi elementi:
ª dalla disomogenea distribuzione nel tempo delle innovazioni:
particolari circostanze storiche e tecnologiche tendono a favorire, in
certi periodi, la comparsa di un cluster di innovazioni di base
abbastanza rivoluzionario rispetto alle tecnologie precedenti. Tale
fenomeno innesca ulteriori innovazioni derivate che fanno emergere,
gradualmente, i potenziali guadagni di produttività impliciti nei cluster
di base;
10
Rullani, E., Romano, (1998) “Il postfordismo: idee per il capitalismo prossimo venturo” pp. 38
Etas
11
Freeman, C., Perez C., (1986) “Innovazione, diffusione e nuovi modelli tecno-economici”,
L’impresa n° 2, pp.7-14
16
ª da clusters particolarmente concentrati e significativi: i cicli innescati
diventano lunghi e si generalizzano a tutto il sistema; si può parlare di
vere e proprie rivoluzioni tecnologiche attraverso cui si passa da un
paradigma all’altro. In altri termini, i cambiamenti tecnologici
sarebbero distribuiti nel tempo in due modi: cambiamenti di tipo
incrementalistico (innovazioni derivate), che avvengono all’interno di
un paradigma dato e cambiamenti di tipo rivoluzionario che
determinano la transizione da un paradigma ad un altro. In tale ultima
formulazione si può cogliere l’ispirazione alle tesi di Kuhn sopra citate;
ª dalla riduzione di costo di un key factor (fattore chiave) ossia un input,
diffuso in molti o tutti i settori, di valore rilevante. Tale riduzione è
dovuta all’effetto che propaga l’innovazione di base nel sistema,
facendo scattare le innovazioni derivate e sincronizzando i cicli
tecnologici specifici di ogni settore. Nella storia i fattori chiave delle
rivoluzioni tecnologiche sono stati rispettivamente: il telaio tessile, il
carbone-vapore, l’energia elettrica, l’acciaio, il petrolio, fino ad arrivare
ai giorni nostri, in cui ha assunto valore preminente l’informazione e
più in generale la conoscenza. Come conseguenza del mutamento di
prezzo del key factor, si attiva non solo un consumo maggiore ma anche
un insieme di innovazioni derivate che cercano di sperimentare tecniche
nuove, rese possibili dalla diminuzione di prezzo del fattore. Non si
tratta, quindi, di tecniche orientate esclusivamente alla sostituzione del
nuovo fattore con agli altri, ma di innovazione tecnologica, innescata
dal minor costo del key factor, che acquista natura auto-cumulativa
grazie alle innovazioni derivate, creando così nuove conoscenze e
strutture;
17
ª dall’espansione del ciclo nel tempo che va a ristrutturare l’intero
sistema produttivo, cambiando il rapporto tra economia ed istituzioni.
La teoria prevede tre diverse fasi: nella prima il paradigma si presenta con
caratteristiche di apertura, offrendo spazi alle piccole imprese dinamiche ed
alla sperimentazione di molte soluzioni tecnologiche; la seconda seleziona le
linee vincenti determinando “standards” con cui il paradigma tecnologico
diventa maturo; nella terza, infine, declinano gli incrementi di produttività
ricavabili dalle innovazioni derivate, per il fatto che tutti i guadagni potenziali,
impliciti nel cluster iniziale, sono stati estratti; a questo punto il ciclo tende a
rallentare e si stabilizza in attesa di una nuova rivoluzione.
Lo studio attraverso i paradigmi, dell’evoluzione del sistema capitalistico,
ruota attorno al concetto che più di ogni altro ha rilevato l’importanza della
formalizzazione di una serie di “leggi” che stabilissero l’organizzazione della
produzione: il fordismo.
La storia del sistema industriale ha conosciuto tre diversi paradigmi:
¾ Pre-fordismo
¾ Fordismo
¾ Post-fordismo