INTRODUZIONE
Nell’opera “L’industria italiana dall’Ottocento a oggi”, l’autorevole storico
piemontese Valerio Castronovo descrive l’economia del Mezzogiorno, al
momento dell’unità d’Italia, caratterizzata da sintomi atavici di debolezza e di
ristagno, da un sostanziale immobilismo, sia nel settore agricolo, ancora in gran
parte organizzato con logiche feudali, sia nelle limitate attività industriali, frutto
in generale più di investimenti stranieri attirati da speculazioni e dalle
sovvenzioni e misure protezionistiche borboniche, piuttosto che da un reale
dinamismo imprenditoriale locale. Napoli è descritta dal Castronovo come «la
grande capitale di un Paese (il Regno delle Due Sicilie) singolarmente arretrato:
la corte più fastosa, l’aristocrazia più agiata e sfavillante, l’esercito più
numeroso, la marineria più consistente, la burocrazia più diffusa, ma tutt’intorno
il deserto desolante dei latifondi, le campagne più povere e depredate, le strade
meno praticabili, i contadini più sfruttati, la popolazione più analfabeta»
1
.
Tale radicale impostazione, qui riportata sinteticamente, pur richiamando diversi
elementi di verità, può dirsi oggi in linea con una certa tradizionale ”storiografia
ufficiale” che, dall’unità ad oggi, ha caratterizzato la memoria storica del
Mezzogiorno nel nostro Paese.
Dal secondo dopoguerra, tuttavia, e più marcatamente dagli anni ’80 in poi, la
linea interpretativa della storia meridionale, tra la fine del XVIII e la prima metà
del XIX secolo, è andata progressivamente arricchendosi e modificandosi,
accumulando un patrimonio di conoscenze e di nuove consapevolezze sulla
V. Castronovo, L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1980, pp. 19-21
natura e le cause della cosiddetta “questione meridionale”, ovvero sulle origini e
responsabilità di una condizione di arretratezza e di inerzia riportate sovente
come connotati essenziali e duraturi della storia del Mezzogiorno
2
. E se la
“questione meridionale”, così definita, nasce solo nel 1873 (alla Camera, per
bocca del deputato lombardo Antonio Billia, a dodici anni dall’unità d’Italia
3
),
negli ultimi decenni è apparso sempre più chiaro, sul piano ermeneutico, quanto
potesse essere discutibile, per un giudizio compiuto sulla condizione economica
all’epoca dei Borbone, assumere come termine di confronto le coeve
trasformazioni economiche dell’Italia settentrionale e, ancor più, quelle inglesi o
dell’Europa nord-occidentale, caratterizzate in generale da una più precoce
evoluzione capitalistica e borghese delle strutture produttive e dei rapporti
sociali e politici
4
.
Negli ultimi decenni, dunque, l’attenzione degli storici è andata concentrandosi
nel cercare di rispondere, senza pregiudizi, ai seguenti quesiti (suggeriti già
negli anni ’60 dallo storico Pasquale Villani
5
):
• come si spiega storicamente l’arretratezza del Mezzogiorno ?
• come si sviluppò l’economia meridionale e come si atteggiarono i
rapporti tra le classi sociali ?
• l’Italia meridionale era già nel passato (sotto i Borbone) in condizioni di
inferiorità economica rispetto alle altre regioni della penisola, o tali
A. Massafra, Le ragioni di una proposta, in A. Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario - Economia,
società e istituzioni, Edizioni Dedalo, Bari 1988, pag. 6
S.F. Romano, Storia della questione meridionale, Edizioni Pantea, Palermo 1945, pag. 42
A. Massafra, Le ragioni di una proposta, in A. Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario, cit., pag. 15
A. Massafra, Le ragioni di una proposta, in A. Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario, cit., pag. 19
condizioni si determinarono per il modo in cui fu compiuta l’unificazione
e per le sue conseguenze ?
I tanti e più moderni contributi su questi temi hanno portato a ridisegnare la
natura e la reale portata delle trasformazioni indotte nel tessuto produttivo,
sociale e politico-istituzionale del Mezzogiorno d’Italia dalla “sfida” della
rivoluzione industriale e commerciale, ed oggi convivono su questo tema
differenti valutazioni; è però parere unanime che anche in Italia meridionale si
registrarono, nella prima metà dell’Ottocento, mutamenti profondi, a partire
soprattutto dalla spinta riformista del decennio francese (dal 1806 al 1815). E’
altresì indubbio che il processo di modernizzazione percorse vie e conseguì
risultati non omogenei per tutta l’area considerata e che, muovendo da tale
premessa, si è rivelata utile un’analisi territorialmente differenziata che
allargasse il campo di ricerca, in modo ancora più netto che in passato, dalla
capitale (Napoli), dagli organi di governo, dai gruppi sociali e dalle forze
politiche che in essa operavano, alle province ed alle forme specifiche che in
ciascuna di esse assunse la crisi ed il superamento della società di Ancien
Régime
6
. Elemento di interesse è stato, ad esempio, l’emergere, nel
Mezzogiorno ottocentesco, di un ventaglio di figure sociali di tipo urbano che
possiamo definire borghesi (professionisti, pubblici funzionari, quadri intermedi
delle forze armate, intellettuali-tecnici, mercanti appaltatori di opere pubbliche,
etc.), di cui la ricerca storica è andata via via mettendo a fuoco con precisione i
contorni, i ruoli e la consistenza numerica, soprattutto nelle aree maggiormente
A. Massafra, Le ragioni di una proposta, in A. Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario, cit., pag. 22
urbanizzate della Campania, delle Puglie e della Sicilia
7
. Saranno queste le
aree che, maggiormente e per prime, sentiranno la necessità di un contatto tra
gli organi decisionali in ambito economico, sia pubblici che privati, e il territorio;
necessità che si cercò di soddisfare anche attraverso l’istituzione di
associazioni economiche (“Società Economiche”), luoghi di concentrazione
dell’intellighenzia locale per l’analisi delle potenzialità del territorio e per la
promozione del progresso economico, anche attraverso la creazione di una rete
internazionale di informazioni e di aggiornamento in campo tecnico. Quel che
oggi, sotto vari aspetti, potremmo riferire alla funzione delle Camere di
Commercio (istituite con l’unità, dal 1862) e/o dei più recenti “Patti Territoriali”
(dal 1996).
Dalla visione di “generale arretratezza” del Mezzogiorno preunitario non poteva
rimanerne escluso, per quanto ovvio, il sistema creditizio, ovvero quel settore
bancario che, in generale, registrò timidi segnali di novità da inizio Ottocento in
tutta la penisola, ma che nel meridione restò fortemente ancorato ad un’unica
grande istituzione di carattere pubblico sotto il controllo del governo dei
Borbone, il Banco delle Due Sicilie (storicamente conosciuto poi come “Banco
di Napoli”), presente nella capitale (Napoli) ma la cui influenza si estendeva in
tutte le provincie del Regno. Anche nella valutazione del sistema bancario nelle
diverse zone d’Italia preunitarie, occorre tener conto delle differenze strutturali
che sussistevano soprattutto tra quegli stati settentrionali molto più vicini per
ragioni geomorfologiche alle nazioni che stavano sperimentando le prime
rivoluzioni industriali, come Piemonte e Lombardo-Veneto, e stati considerati
A. Massafra, Le ragioni di una proposta, in A. Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario, cit., pag. 22
più periferici come, appunto, il Regno delle Due Sicilie
8
. Maggiori, infatti, furono
nell’Italia settentrionale le novità, in termini di investimento, nel settore privato
(spesso di origine straniera), aspetto che rese più dinamica la circolazione
monetaria e che determinò l'apertura di nuove casse di sconto private, casse di
risparmio e banche di emissione. In tale contesto, la presenza nel Mezzogiorno
di un unico Banco a carattere pubblico è stato sovente considerato come
limitativo ad una serie di iniziative a carattere privato che, pur presenti sul
territorio, non riuscirono a decollare. Secondo, però, una diversa analisi che
parte dalla valutazione di quelle che erano all’epoca le reali esigenze di
sviluppo dell’economia meridionale, l’unico grande Banco, sotto il controllo del
governo, rispondeva specularmente, con i servizi e gli strumenti che offriva, alle
caratteristiche ed all’organizzazione economica del territorio; su questa linea
possiamo evocare l’interpretazione storica di Federigo Melis che, a proposito
dello studio della “banca”, asserisce che occorre collocarsi «dal lato della
domanda del credito», in quanto quello «dell’offerta (…) sorge dopo perché è
ovvio che sarebbe vano, da parte di un offerente, offrire, appunto, la sua
ricchezza sul mercato se nel mercato non fosse manifesta l’esigenza di fare
appello alla ricchezza altrui»
9
. Detto questo, anche nel Regno delle Due Sicilie
del XIX secolo il sistema bancario, pur conservando degli elementi di continuità
con il passato, avvertì la necessità di adeguarsi alle mutate esigenze
dell’economia sul territorio e all’evolversi dei soggetti economici che ivi
operavano, soprattutto dagli anni ’20 in poi. E non fu un caso se negli ultimi anni
P. Avallone, Per una storia del credito commerciale nel Mezzogiorno italiano preunitario: la Cassa di Sconto
del Banco delle Due Sicilie, in «Revista de Istorie a Moldovei (ResearchGate)», aprile 2013, pag. 19
P. Avallone, Per una storia del credito commerciale nel Mezzogiorno italiano preunitario …, cit., pp. 20
preunitari (e forse tardivamente), il Banco, per incidere con maggiore efficacia
nel tessuto socio-economico del Regno, aprì sul territorio altre sue “Casse” a
Palermo, Messina e Bari, centri commerciali fra i più importanti già in
quell’epoca ed equiparabili alla capitale
10
.
In questo lavoro, passando attraverso una ineludibile panoramica dei principali
avvenimenti politico-economici-sociali del periodo dei Borbone nel Mezzogiorno
(1734-1861), l’attenzione convergerà maggiormente sugli aspetti più
squisitamente socio-economici della prima metà del XIX secolo fino all’unità
d’Italia. Saranno quindi sviluppati i principali temi relativi alla spinta riformista
del decennio francese (di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) e quella poi
nuovamente borbonica successiva, e non priva di contraddizioni, legata
soprattutto al nome di Ferdinando II che regnò per quasi 30 anni (1830-1859),
fino all’epilogo di Francesco II e ai suoi tardivi tentativi riformisti degli ultimi anni
pre-unitari (concessioni al liberalismo, infrastrutture e decentramento), che,
immersi in un ostile clima risorgimentale e di interessi geo-politici maturati nella
penisola, prepareranno il terreno alla spedizione garibaldina. Cercherò anche di
ricordare, seppur sinteticamente, i principali distretti industriali che il Regno
seppe esprimere, e le loro caratteristiche imprenditoriali.
La mia analisi si soffermerà poi, con maggiore approfondimento, e sempre in
merito allo stesso periodo storico, sulla nascita e la funzione svolta dalle
“Società Economiche” nel quadro istituzionale, economico e creditizio di
riferimento in cui operarono. Infine mi soffermerò su uno specifico tema
Istituto Banco di Napoli (a cura di), L’Archivio Storico del Banco di Napoli, Edizione dell’Istituto Banco di
Napoli, Napoli 1998, pag. 63
economico prescelto: le condizioni di vita e lo stato economico della provincia di
Terra di Lavoro (oggi geograficamente corrispondente alla provincia di
Caserta), una delle più sviluppate e vivaci del Regno, nell’azione riformista e
modernizzatrice della sua Società Economica che operò negli anni dal 1810 al
1866
11
.
Nelle conclusioni, infine, cercherò di rimarcare i caratteri essenziali
dell’economia del Mezzogiorno preunitario, gli equilibri e le ragioni,
evidentemente non solo economiche, della sua debolezza ….. ma anche le
ragioni del “trauma” unitario socio-economico che ne seguirà, ancora oggi
appassionante tema di confronto e dibattito tra gli storici.
A. Marra, La Società economica di Terra di Lavoro - Le condizioni economiche e sociali nell’Ottocento
borbonico, La conversione unitaria, Franco Angeli, Milano 2013, pp. 13
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CAPITOLO PRIMO
I Borbone nel Mezzogiorno (1734-1861):
excursus politico, economico e sociale
1. Insediamento e XVIII secolo, eredità vicereale e prime riforme
Nel 1734 Carlo di Borbone, figlio di Filippo V re di Spagna e di Elisabetta
Farnese, riuscì ad insediarsi a Napoli estromettendovi gli austriaci di Carlo VI
d’Asburgo che vi avevano governato dal 1707. Con Carlo, Napoli riacquista il
rango di capitale di un regno autonomo nel panorama politico italiano, dopo una
bisecolare soggezione straniera (all’ombra dei viceré, dal 1501: inizialmente
francesi, poi per lungo tempo spagnoli, e infine austriaci)
12
.
Carlo vi arriva al comando della armate spagnole durante la guerra di
successione polacca (1733-1735) che ebbe il suo epilogo nel trattato di Vienna
del 1738 e nella Pace di Parigi del 1739: in tali occasioni, nell’ambito di
assestamenti diplomatici e dinastici del consesso europeo, all’Austria venivano
assegnati il Granducato di Toscana e il Ducato di Parma e Piacenza, al prezzo
(anche) della cessione dei Regni di Napoli e di Sicilia, appunto, a Carlo di
Borbone
13
.
Quella di Carlo di Borbone si presentò subito come una realtà statuale nuova,
dotata di tutti gli attributi tipici delle monarchie indipendenti: la corte, l’esercito e
diplomazia propri, in sostanziale accordo con Madrid ma con autonomia e
autorità indipendenti, diversamente dal passato.
A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Società editrice il Mulino, Bologna 1997, pp. 17-18
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_successione_polacca (Guerra di successione polacca - Wikipedia)