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La profonda attualità di questo tema e la
consapevolezza del fatto che l’ingresso del paese
nell’Organizzazione Mondiale del Commercio,
avvenuto nel 2001, lungi dal rappresentare il punto di
arrivo, ha provocato ulteriori sviluppi nell’integrazione
della Cina nell’economia globale, mi hanno spinto ad
approfondire l’argomento e a farne l’oggetto della mia
tesi.
Le mie ricerche si sono svolte a partire da
novembre del 2005. Le istituzioni principalmente
frequentate sono state le strutture dell’Università di
Roma “La Sapienza”, quali la biblioteca del
Dipartimento di Economia Pubblica “Federico Caffè”,
la biblioteca generale “E. Barone”, la biblioteca del
Dipartimento di Scienze Economiche e la biblioteca
del Dipartimento di Teoria Economica e Metodi
Quantitativi delle Scelte Politiche. Presso l’Università
degli Studi “Roma Tre”, sono stati consultati testi
appartenenti alle biblioteche dell’area giuridico-
economico-politica, in particolare la sezione di
Economia e quella Storico-Politico-Sociale, presso le
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rispettive facoltà di Economia (“Federico Caffè”) e di
Scienze Politiche. Inoltre, le risorse disponibili in
internet hanno costituito un valido supporto alla
ricerca delle fonti e alla consultazione di articoli e
banche dati. I principali siti web consultati compaiono
nella bibliografia al termine di questo lavoro.
Un ringraziamento particolare va al Dott.
Roberto Iannucci per l’aiuto ed i preziosi suggerimenti
e al Chiarissimo Prof. Gian Cesare Romagnoli, per la
disponibilità e l’assistenza che mi ha riservato.
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Introduzione
Par ce mot seul je ruine tous vos raisonnements.
«Mais la Chine obscurcit», dites-vous; et je réponds:
«La Chine obscurcit, mais il y a clarté à trouver; cherchez-la»
Blaise Pascal “Pensieri” (n°593), 1670.
In questi ultimi anni si è parlato di “minaccia
cinese”, infatti, sebbene la nascita di una nuova
potenza industriale possa trainare l’economia mondiale
nel complesso, la natura irruenta dell’evento provoca
profonda inquietudine. Quanto sono fondate tutte
queste preoccupazioni? In quale misura si può
considerare il fenomeno dello sviluppo cinese come
una grande opportunità, e cosa lo rende invece un
pericolo per le posizioni degli altri paesi nell’economia
internazionale? E’ possibile che duri a lungo come
sembra preannunciare? La risposta a questi e molti
altri interrogativi è resa difficile dal fatto che ciò che è
avvenuto sfugge alle dinamiche che hanno
caratterizzato storicamente l'emergere di nuove
potenze, tanto per le caratteristiche peculiari di questa
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nazione, quanto per le condizioni eccezionali che ne
hanno accompagnato l’evoluzione (attraverso una
forte circolazione di merci, uomini, capitali e idee).
L’obiettivo di questa tesi è capire in che maniera
si sia verificato lo sviluppo economico cinese, quali
fasi abbia attraversato, analizzare l’ impatto provocato
sul resto del mondo ed i nuovi equilibri che ne sono
derivati, verificare quali nuovi impegni l’ingresso
cinese abbia comportato per il paese stesso e per gli
altri Stati membri. Trarre infine le conclusioni
riguardo il futuro, nell’ottica di un mondo in cui esiste
sempre più interdipendenza tra le strutture
commerciali dei diversi paesi, nel quale pertanto, gli
equilibri che si sono venuti a creare non possono
essere considerati immutabili.
Per giungere a comprendere il grado di sviluppo e
di competitività raggiunto dalla Repubblica Popolare
Cinese si rivela necessario ripercorrere le tappe
evolutive che l’hanno condotta al ruolo di terza
potenza commerciale mondiale (dopo Stati Uniti e
Germania). Il principale fattore all’origine della
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trasformazione dell’economia cinese negli ultimi tre
decenni può decisamente dirsi di tipo istituzionale: è
stato costituito dall’insieme delle riforme strutturali
messe in atto da Deng Xiaoping a partire dal 1978,
momento in cui la Cina ha deciso di rompere
l’autarchia di stampo maoista ed ha intrapreso il
cammino verso la liberalizzazione economica.
La mia analisi parte dunque dallo studio del
percorso di transizione da un’economia socialista di
tipo sovietico all’ibrido ideologico dell’ “economia
socialista di libero mercato” (concetto inserito nella
carta costituzionale cinese nel marzo 1993, con cui è
stato consacrato il cammino riformista e sostituito
quello di economia pianificata) attraverso la cosiddetta
“politica della porta aperta” con cui il paese si
schiudeva agli investimenti esteri. Successivamente
passa all’esame di quelle che rappresentano due
caratteristiche assolutamente peculiari della nazione
cinese, che la distinguono dagli altri paesi e
soprattutto ne rendono lo sviluppo economico non
paragonabile agli altri Stati asiatici che l’hanno
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preceduta nello sviluppo: il gigantismo del paese ed il
fenomeno dei cinesi d’oltremare. Con il primo termine
si indica infatti la numerosità della popolazione e la
vastità del territorio cinese allo stesso tempo, aspetti
che aiutano a spiegare come la presenza della Cina in
campo internazionale sia così rilevante. La cosiddetta
“diaspora” cinese, invece, mostra come la Repubblica
Popolare possa contare su un ampio network di attori
economici, costituito dalle centinaia di emigrati che,
sparsi in tutto il mondo, continuano a conservare un
forte sentimento nazionale, e pertanto, a rappresentare
un’inestimabile fonte di denaro, know-how,
informazioni e relazioni estremamente utili per la
madrepatria.
Il secondo capitolo inserisce l’evoluzione
economica cinese nel contesto del cosiddetto
“modello asiatico di sviluppo”, connotazione con cui
si differenzia il percorso seguito dai paesi dell’area
asiatica (segnatamente le Newly Industrialized Economies,
ovvero Hong Kong, Corea del Sud, Singapore,
Taiwan), da un qualsivoglia modello liberale. Tale
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movimento, che interessò l’Asia Orientale nel corso
della seconda metà del 1900 e permise a molti paesi di
uscire dal sottosviluppo, venne interpretato per la
prima volta da un economista giapponese (Kaname
Akamatsu) attraverso il Flying Geese Model (Modello
delle “oche volanti”, secondo il quale un paese, man
mano che la sua produzione industriale si sposta da
settori ad alta intensità di lavoro a quelli ad alta
intensità di capitale, decidendo di trasferire i propri
settori tradizionali in altre nazioni con il fine di
sfruttarne il vantaggio comparato relativo ai salari,
permetterebbe il decollo economico di queste ultime,
la cui disposizione nei confronti del paese guida
sarebbe simile ad una “V” rovesciata, formazione
tipica di uno stormo di oche in volo).
Preliminarmente a questo, però, si sottolinea come il
particolare momento storico in cui è collocabile
l’inizio dell’industrializzazione cinese (la
globalizzazione mondiale delle economie e dei mercati
finanziari, permessa dalle innovazioni tecnologiche,
informatiche e delle telecomunicazioni) abbia
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contribuito a rendere ancor più originale la stessa
natura dell’evento.
Il lavoro si concentra poi, sulle relazioni che la
Cina ha intessuto con gli altri Stati del mondo, in
particolare sugli equilibri che si sono venuti a creare
nella regione del Sud-Est asiatico (con lo scopo di
comprendere se essi fossero all’insegna di una
cooperazione regionale o si trattasse piuttosto di mera
competizione), sui rapporti creati con le nazioni
dell’Asia centrale e sulla posizione in cui si colloca nei
confronti dell’ Europa, degli Stati Uniti ed il
Giappone. Infine si sofferma sull’adesione cinese nella
World Trade Organization, gli impegni che ha
comportato per il paese e gli effetti che ha
determinato negli Stati già membri dell’organizzazione,
ma anche sull’importanza dell’evento quale passo
necessario per il prosieguo dello sviluppo economico
cinese. Pertanto sono state elencate le principali
misure adottate dal governo cinese a garanzia degli
obblighi assunti con il trattato di ingresso e quelle
messe in atto dall’organizzazione a tutela delle
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economie degli altri Stati aderenti. Infine, sono state
riportate le valutazioni effettuate da alcuni studiosi,
basate su simulazioni, sull’impatto che deriverà dalla
maggiore integrazione della Cina nel commercio
internazionale.
Il quarto capitolo si sofferma sulle ragioni per cui
la Repubblica Popolare Cinese può essere ormai
considerata a tutti gli effetti un gigante economico. In
primo luogo guarda al paese dal lato di una fonte
inesauribile di consumatori (che deriva dalla stessa
popolosità del paese) e dunque di un immenso
mercato potenziale, del quale neppure i pessimisti e gli
scettici più convinti possono negare l’evidenza. In
secondo luogo giunge ad illustrare i meccanismi della
frammentazione internazionale della catena produttiva
(la deverticalizzazione attraverso la quale i vari stadi
della lavorazione di un prodotto vengono distribuiti
all’interno di diversi paesi, permettendo di sfruttarne i
diversi vantaggi comparati alla ricerca di una efficiente
allocazione delle risorse) ed il commercio di
componenti destinate all’assemblaggio (denominato
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assembly -o processing- trade). In questo modo si rende
possibile capire il ruolo che la Cina si è ritagliata in
questa nuova struttura dei commerci, una posizione
gradita anche a tutti gli altri paesi che, delocalizzando
le proprie fabbriche nel suo territorio, hanno
contribuito a renderla una vera e propria “officina” del
mondo. In ultima analisi, il capitolo riporta le
argomentazioni delle nazioni che ritengono la Cina
una minaccia per le proprie economie ed illustra il
fenomeno della contraffazione, che ha un peso
rilevante ai fini della comprensione degli atteggiamenti
di sospetto e cautela sollevate nei confronti
dell’espansione commerciale cinese.
L’ultimo argomento, affrontato in questo studio,
è quello relativo alle carenze strutturali dell’economia
cinese, i vuoti che la Cina deve colmare al fine di
proseguire nello sviluppo economico e non minacciare
tutta la serie di successi conseguiti finora. Si tratta, in
effetti, delle vere e proprie sfide che mano a mano
rischiano di minacciarne la sostenibilità della crescita.
In particolare si approfondisce il discorso della
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riforma del settore pubblico e del settore privato
cinese, delle trasformazioni che ha subito il primo,
della necessità di continuare in tal senso ma allo stesso
tempo dell’importanza di accompagnare a questo
processo la promozione del secondo, in quanto capace
di una produttività estremamente superiore e rimedio
alla crescente disoccupazione che la ristrutturazione
delle industrie di Stato ha provocato e continua a
creare. Si prosegue poi con la modernizzazione del
settore finanziario, la cui fragilità impedisce l’efficiente
allocazione dei capitali, generando ingenti rischi di
instabilità che, considerando la forte interdipendenza
creata dalla globalizzazione dei mercati, minacciano di
provocare crisi che vanno ben oltre la portata
nazionale dell’economia cinese. Analizzando le sfide
affrontate dal governo cinese negli ultimi anni (in
particolare nel periodo che va dal 2002 al 2005), il
comportamento tenuto, i successi realizzati e i punti
critici che rimanevano irrisolti volta per volta, sono
giunta a trarre delle conclusioni circa la sostenibilità
della crescita cinese nel futuro.