2
della conclusione; al contrario, questa veniva meno allorquando
tale contesto fosse stato modificato.
Stante la tendenziale generalità della clausola in esame, è
facile comprendere la difficoltà che poteva derivare
dall‟applicazione della medesima al caso concreto.
Invero, la clausola rebus sic stantibus era suscettibile di
applicazione alle fattispecie più disparate; infatti, essa veniva
richiamata allorquando si negava l‟efficacia del contratto nel
quale era venuta meno la causa (ad es. il caso di ripetizione della
dote data per un matrimonio, successivamente non avvenuto)
ovvero si applicava alla risoluzione del contratto bilaterale nel
caso in cui una delle parti si fosse resa inadempiente oltre ancora
alle ipotesi nelle quali, da un imprevisto mutamento dello stato
di fatto, derivava un aggravamento della posizione di un solo
contraente.
La difficoltà di individuare gli esatti confini della clausola
rebus sic stantibus ha condotto numerosi studiosi, già a partire
dalla fine del XIV secolo, a delimitarne il campo di applicazione.
Si ricorse così ad elaborazioni teoriche che partivano dalla
distinzione tra negozi unilaterali e bilaterali, fino a giungere a
separare i contratti qui unico momento perficiuntur da quelli qui
habent tractum successivum, limitando l‟applicabilità della
disciplina in esame a questi ultimi1.
Con Andrea Alciato si iniziò distinguere i negozi giuridici
in unilaterali e bilaterali: questi, infatti, ponendosi il problema di
una limitazione dell‟operatività della clausola rebus sic stantibus,
ritenne che si potesse ammettere la revoca o la risoluzione del
1
CENDON, I contratti in generale, vol. XIII, Torino, 2000.
3
contratto solo in presenza di determinati presupposti, riferibili
alla sopravvenienza di un evento di natura tale da doversi
considerare del tutto estraneo alle previsioni delle parti o ad un
mutamento dello stato di fatto che induceva il contraente a non
sentirsi più vincolato alla iniziale determinazione di volontà.
Le prime importanti applicazioni della clausola rebus sic
stantibus furono espressione della giurisprudenza della Rota
romana che ne condizionò l‟applicabilità alla imprevedibilità del
mutamento dello stato di fatto, individuandone il fondamento ora
in un criterio di mera interpretazione della volontà, ora in una
regola di autolimitazione della responsabilità.
La teoria della clausola venne poi perfezionata con la
rilevanza attribuita alla laesio superveniens atta a giustificare la
rescissione del contratto, quando il sopravvenuto mutamento dei
valori di mercato avesse alterato l‟equilibrio, inizialmente
esistente, fra le prestazioni corrispettive delle parti.
Ben diverso e variegato fu lo sviluppo che la clausola rebus
sic stantibus ebbe nelle trattazioni degli autori della Scuola culta.
Può cogliersi infatti che mentre alcuni2 ridussero l‟ambito
di operatività della clausola alle sole disposizioni di ultima
volontà o alle sole ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta
della prestazione, altri3 ritennero che fosse applicabile ai casi di
manifesta rilevanza della situazione di fatto oppure legittimando
il recesso dal negozio non ancora attuato, ogni qualvolta un
imprevisto ed improvviso mutamento avesse reso impossibile il
raggiungimento della causa finalis.
2
OSTI, voce clausola rebus sic stantibus, in Novissimo Digesto Italiano,vol. III, Torino, 1959;
HENRICUS DE COCCEIO, Exercitationum curiosarum libri duo, Lemgoviae, 1722, vol. II.
3
LEYSER, Meditationes od Pandectas, Lipsiae, 1780, vol. I; GROTIO, De iure belli ac pacis,
lib. vol.II, cap. XVI, Losanna, 1752.
4
In dottrina si registrava, così, una tendenza ad affermare la
possibilità per i contraenti di procedere alla modifica del
regolamento pattizio in presenza di eventi modificativi dello
status quo ante.
Nelle prime codificazioni, a partire dal XVIII secolo, si
determinò l‟elevazione della teoria al rango del diritto positivo;
vennero così create normative ad hoc che si rifacevano alle teorie
elaborate dagli autori della Scuola culta (ad esempio Coccejo,
Grozio, ecc.).
Il principio espresso dalla clausola rebus sic stantibus venne
codificato, in età contemporanea, dapprima nell‟Allgemeines
Landrecht bavarese del 1756, poi nell‟Allgemeines Landrecht
prussiano del 1794 e successivamente nel codice civile austriaco
del 1811.
All‟integrale recepimento del principio nelle codificazioni
dei paesi tedeschi, si contrappose, nello stesso periodo, il totale
silenzio delle codificazioni dei paesi latini, tra cui quella italiana
del 1865, dove il principio pacta sunt servanda prevaleva ancora
sull‟esigenza di mitigare le conseguenze degli eventi
sopravvenienti che potevano turbare il regolamento contrattuale
originario, in tal modo limitando la clausola rebus sic stantibus
alle sole ipotesi residuali oltre che eccezionali.
2. L’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto
dell’eccessiva onerosità.
La dottrina italiana del primo Novecento, favorevole alla
clausola rebus sic stantibus, riconobbe la risolubilità dei contratti
5
ad esecuzione continuata o periodica, nelle ipotesi di imprevisto
mutamento dello stato di fatto, allargando l‟orizzonte dei
possibili casi in cui la risoluzione era permessa e ritenendo, così,
applicabile il principio a tutte quelle ipotesi in cui fra il momento
della conclusione e quello dell‟esecuzione del contratto si
verificavano mutamenti imprevedibili dello stato di fatto.
In questo modo la parte che, in conseguenza di tale
mutamento avesse risentito grave pregiudizio dall‟adempimento
delle obbligazioni contratte, poteva liberarsene mediante lo
scioglimento del contratto o quanto meno ottenendo una reductio
ad aequitatem.
Benché il principio espresso dalla clausola fosse ignorato
dal codice civile italiano del 1865, sia la dottrina che la
giurisprudenza s‟impegnarono ad attribuirgli rilevanza giur idica
in collegamento con il principio della sopravvenienza.
L‟indirizzo prendeva spunto dal dato normativo degli artt.
1124 (buona fede nella esecuzione dei contratti ed equità) e 1135
(clausola d‟uso) del codice civile del 1865 e s‟ispirava all‟esigenza
del ripristino dell‟originaria corrispettività delle prestazioni a
fronte di accadimenti eccezionali ed imprevedibili verificatisi
successivamente alla conclusione del contratto.
Successivamente, la dottrina, al fine di individuare un
fondamento positivo della clausola rebus sic stantibus in ambito
contrattuale, indicò tre configurazioni della sopravvenienza,
ancorate l‟una alla volontà, l‟altra all‟oggetto e la terza alla causa
negoziale.
Nella prima direzione il fondamento della clausola rebus sic
stantibus veniva colto nella volontà in senso soggettivo, quale
requisito essenziale per l‟esistenza del contratto.
6
Si argomentava che il contraente esprimeva la sua volontà
contrattuale nella certezza soggettiva della corrispondenza tra la
prefigurazione presente al momento della manifestazione di
volontà e la futura realtà. Se però un fatto sopravveniente veniva
ad alterare detta corrispondenza, il contraente doveva ritenersi
in errore.
È tale errore sulla rappresentazione o sul valore delle
utilità, ossia sull‟entità economica delle prestazioni (art. 1104 c.c.
del 1865), che legittimava il contraente a chiedere lo scioglimento
del contratto.
Nella seconda configurazione le sopravvenienze sono
ancorate all‟oggetto: il fondamento della clausola si rinveniva
nella volontà intesa in senso oggettivo, volta cioè al
mantenimento dell‟assetto contrattuale predisposto dalle parti.
In tale prospettiva, premesso che il consenso (necessario
per dar vita al contratto e alle obbligazioni che ne derivano)
doveva permanere anche durante l‟esecuzione del medesimo,
qualora la situazione iniziale si fosse radicalmente trasformata sì
da non essere più conciliabile con la volontà contrattuale
originaria, il contratto poteva considerarsi risolto per il venir
meno dell‟elemento essenziale del consenso.
Più elaborata si presenta la costruzione della teoria che
ricollega la sopravvenienza alla causa negoziale: essa individua il
fondamento della clausola rebus sic stantibus al permanere della
volontà iniziale, come volontà diretta ad assumere un obbligo e
ad eseguire la prestazione corrispondente.
La clausola era quindi ritenuta operante ogni qualvolta lo
scopo del contratto non poteva essere raggiunto a causa della
7
divergenza fra la prestazione della parte obbligata e l‟entità
economica della controprestazione.
Per l‟applicabilità dello strumento della risoluzione del
contratto furono previsti diversi requisiti: 1) gli eventi verificatisi
non dovevano essere in nessun modo riconducibili a ciò che le
parti si erano rappresentate e prefigurate al momento della
stipula del contratto; 2) la prestazione divenuta eccessivamente
onerosa andava valutata secondo criteri rigorosamente oggettivi,
prescindendo quindi dalle situazioni soggettive della parte, come
ad esempio la sua capacità economica; 3) l‟eccessiva onerosità
doveva avere superato la normale alea del contratto, causando
una rilevante sproporzione tra le prestazioni.
Questa teoria risultava affine a quella della “base
negoziale” elaborata in Germania.4
Per base negoziale veniva intesa l‟aspettativa delle parti
alla sussistenza o all‟avverarsi di certe condizioni poste a
fondamento della volontà di obbligarsi, a condizione che fossero
state inserite nel testo del contratto e costituissero la base
dell‟accordo. Successivamente alla stipula, nell‟eventualità di
sopravvenute nuove circostanze idonee a rendere ingiustificata
tale convinzione, la parte insoddisfatta poteva recedere dal
contratto, fatta salva la facoltà concessa alla controparte di
sfuggire al recesso, ad esempio aumentando la prestazione da lui
dovuta e riequilibrando in tal modo la corrispettività delle
prestazioni e dei reciproci sacrifici.
4
WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, trad. it., e note di Fadda e Bensa, Torino, 1930, vol. I.
La teoria della presupposizione da lui sostenuta si ricollegava a quella della base negoziale di
Oertmann.
8
Questa costruzione venne però molto contestata sia dalla
dottrina italiana che da quella tedesca.
La tendenza era infatti quella di tenere distinti i due
concetti di presupposizione e di sopravvenienza, perchè solo la
sopravvenienza faceva riferimento ad un fatto futuro, imprevisto
ed imprevedibile.
A partire dal 1932 la rilevanza della presupposizione viene
ammessa anche dalla giurisprudenza che, qualificandola come
circostanza o evento che costituiva parte o elemento del
contenuto volitivo, mostrava di aderire alla concezione della
presupposizione quale autolimitazione della volontà,
mantenendola però del tutto distinta dalla problematica della
sopravvenienza5.
Altra teoria che si fece strada fu quella della corrispettività
o equivalenza delle prestazioni, secondo cui la volontà espressa
dalle parti al momento dell‟assunzione dell‟obbligo era soggetta
al presupposto che, in fase d‟esecuzione del contratto, la
corrispettività delle prestazioni rimanesse inalterata, così come
concordata al momento della stipula6.
Il consenso era dunque prestato in vista della calcolata
corrispondenza fra gli obblighi reciproci, per cui, quando il
mutamento della prestazione fosse stato tale da creare uno
squilibrio fra le due prestazioni, sarebbe venuta meno la causa
5
Cass. 19 gennaio 1937, n. 141 “ La teoria della cosiddetta presupposizione si fonda sopra
uno stato di fatto, esistente all’atto del contratto e riconoscibile esternamente, che, in via di
interpretazione del contratto, si pu? ritenere sia stato tenuto presente da entrambi i contraenti
nella formazione del consenso, come cosa certa e necessaria, sebbene nel contratto stesso non
ne sia fatta menzione, ritenendolo superfluo”.
6
PENNISI, La sopravvenienza contrattuale, in Foro it., 1926, vol. I; FADDA, Il limite del
rischio nei contratti di assicurazione contro gli incendi,in Foro it., 1910, I.
9
che aveva spinto a contrattare e che giustificava lo scioglimento
del contratto.
Per altra dottrina7 e per una parte della giurisprudenza il
fondamento della clausola rebus sic stantibus poteva cogliersi
nell‟equità, nel senso che, se le sorti del contratto venivano
influenzate dal sopraggiungere di un fatto nuovo, imprevisto ed
imprevedibile, che alterava l‟equilibrio delle prestazioni, il
contratto doveva ritenersi risolto per il venir meno di quelle
circostanze in relazione alle quali i contraenti si erano obbligati,
anche senza un patto espresso al riguardo, e ciò in forza dell‟art.
1224 c.c. del 1865.
Particolare fu poi la costruzione che individuava il
fondamento della clausola nel combinato disposto degli artt. 1218
e 1228 del c.c. del 1865.
Posto che la norma di cui all‟art. 1218 obbligava il
contraente un‟obbligazione ad adempierla ovvero, in difetto, a
risarcire i danni, se ne deduceva che il risarcimento costituiva
l‟equivalente della prestazione mancata.
Così, se l‟art. 1228 limitava tale risarcimento ai danni
previsti e prevedibili, doveva necessariamente ritenersi che anche
la prestazione, a cui si erano obbligati, doveva contenersi negli
stessi limiti del previsto e del prevedibile al momento del
contratto.
Conseguenza era che, se sopravveniva una circostanza
imprevista ed imprevedibile, sufficiente ad oberare il debitore di
un nuovo onere, sopravvenuto ed inaspettato rispetto al
7
BRUGI, La presupposizione ed i criteri di interpretazione del contratto formulati negli art.
1124 e 1131 c.c., in Riv. dir. comm. 1907, vol. II; DE SIMONE, Ancora sulla sopravvenienza
contrattuale nel diritto positivo, in Riv. dir. priv., 1940.
10
momento della stipula dell‟accordo, quest‟ultimo aveva la facoltà
di non subire la sopravvenienza, giacché non avrebbe assunto
l‟obbligazione nel caso in cui l‟evento inatteso fosse stato da
questi previsto.
Il proliferare delle teorie sulla sopravvenienza e le
numerose critiche ad essa rivolte8, dimostrano che gli autori del
codice civile del 1865 non attribuivano rilevanza diretta alla
clausola rebus sic stantibus.
Nessuna delle teorie trovava infatti valido fondamento
nelle disposizioni del codice civile del 1865 e tutte, in generale,
urtavano contro il principio sancito dall‟art. 1226 dello stesso
codice, secondo cui solamente l‟impossibilità assoluta ed
oggettiva di esecuzione, in conseguenza di un fatto fortuito o di
forza maggiore, poteva esonerare il debitore da responsabilità per
l‟inadempimento dell‟obbligazione da lui assunta mercè
sottoscrizione del contratto; non già una semplice difficoltà,
ancorché grave, di esecuzione, quale può essere considerata
l‟eccessiva onerosità della prestazione.
La coincidenza temporale tra l‟incremento degli studi in
materia di risoluzione per eccessiva onerosità e gli eventi bellici
in cui fu coinvolta l‟Italia, si ripercosse sulla produzione
giurisprudenziale, che iniziava a mostrare un atteggiamento di
favore verso le regole in esame.
8
OSILIA, La sopravvenienza contrattuale, in Riv. Dir. Comm., 1924, vol. I; CHIRONI, La
forza maggiore, l’eccessiva onerosità della prestazione e la clausola rebus sic stantibus, in
Foro it., 1917, I; MONTEL, La revisione dei contratti ad opera del giudice, in Giur.it., 1937,
IV; SCADUTO, I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario, Milano, 1924.