generare flussi di cassa. In particolare, nella metodologia EVA
®
, acronimo di
Economic Value Added, molte imprese hanno trovato la risposta ad un tema
su cui si sta sempre più concentrando l’attenzione dei manager: la creazione
di valore per gli azionisti. Tale misura, però, non può prescindere dagli altri
indicatori di performance, ma deve essere vista come il trait d’union tra
misure di performance reddituali e misure di performance patrimoniali. Nelle
aziende italiane, tuttavia, il passaggio a sistemi di pianificazione e controllo
orientati al valore non rappresenta una prassi diffusa. Gli attuali sistemi di
pianificazione e controllo sono legati al modello contabile e al principio del
mantenimento di equilibri economico-finanziari basati sulla definizione
preventiva e sul controllo a consuntivo degli indici di bilancio; una visione
tecnico–specialistica ormai inadeguata ad affrontare l’evoluzione della
finanza d’impresa e del ruolo che va assumendo nel nuovo contesto
operativo. Il nodo sempre più critico è la mancata convergenza degli obiettivi
degli azionisti e di quelli del management; questo implica l’assenza di una
logica unitaria alla base del governo dei diversi processi aziendali. La
pianificazione orientata al valore può risolvere il problema. Il passaggio alla
teoria della creazione di valore è inoltre un cambiamento di cultura
aziendale: si devono prendere in considerazione anche le questioni legate al
coinvolgimento del management e alla comunicazione finanziaria rivolta ai
mercati dei capitali.
Oggetto del presente lavoro è il modello dell’Economic Value Added
(EVA
®
) ed il suo utilizzo da parte delle imprese come strumento manageriale.
L’orientamento al valore tende a trasformarsi sempre più da scelta a vincolo
imposto dal mutato scenario competitivo e finanziario; la progressiva
integrazione fra logiche strategiche e finanziarie costituisce una sfida che le
imprese sono chiamate a raccogliere sia sotto il profilo operativo che
culturale e comunicativo.
L’EVA rappresenta una possibile risposta a queste nuove esigenze
strategiche, adottata sempre più diffusamente sulla spinta del processo di
globalizzazione, anche nell’ambito di sistemi–paese culturalmente ed
istituzionalmente distanti dalla realtà anglosassone, di cui è più diretta
2
emanazione. Nel titolo del lavoro, così come ripetutamente nel corso dello
stesso, si utilizza l’espressione modello dell’Economic Value Added, a
sottolineare come sarebbe riduttivo considerare l’EVA semplicemente come
un’ennesima misura di performance. La legittimità dell’utilizzo del termine
modello si fonda innanzitutto sul fatto che l’EVA rappresenta una grandezza
di sintesi di una molteplicità di fondamentali teorie che stanno alla base della
moderna finanza aziendale. Il suo crescente utilizzo si inserisce, pertanto,
perfettamente nel citato processo di integrazione fra strategia e finanza; esso
può rappresentare il mezzo attraverso il quale introdurre nelle imprese
logiche interpretative nuove della realtà aziendale ed accrescere così le
capacità comunicative e di fine–tuning verso la comunità finanziaria,
elemento sempre più cruciale nella dinamica di reperimento delle risorse
necessarie alla crescita. In secondo luogo, l’EVA può diventare la grandezza
di riferimento intorno alla quale costruire un sistema di management
integrato e coerente orientato al valore, che ricomprenda la fissazione degli
obiettivi aziendali, la pianificazione, la valutazione delle performance,
l’incentivazione al management, la gestione del portafoglio di attività, le
scelte di capital budgeting, il cambiamento della cultura d’impresa, la
comunicazione finanziaria.
In questo lavoro si vuole evidenziare le caratteristiche del modello EVA,
sia come misura di performance delle imprese, sia come strumento di
valutazione delle stesse. Il lavoro è diviso come segue: dopo aver discusso
del concetto di valore e parlato dal Value Based Management (capitolo 1),
nel capitolo 2 vi è una breve rassegna delle tradizionali misure di
performance generalmente utilizzate dalle imprese. Successivamente, si
introduce il modello EVA parlando, prima, del contesto teorico ed ambientale
di riferimento (capitolo 3) e, poi, delle sue modalità di calcolo; si discute
sulle debolezze implicite del modello e sulla sua correlazione con il valore di
mercato (capitolo 4). Infine, nel capitolo 5, si discute di come il gruppo
Finmeccanica abbia adottato un modello simile all’EVA, chiamato Valore
Aggiunto Economico (VAE), che presenta alcuni elementi di diversità nel
calcolo rispetto al modello della Stern Stewart & Co.
3
La preparazione di quest’ultima parte della tesi è stata resa possibile
attraverso il materiale interno della Finmeccanica S.p.A. che ha impreziosito
e reso più consapevole l’intero lavoro. Un ringraziamento speciale va al Sig.
Matteo Campellone, CFO/Control Risk & Value Based Management di
Finmeccanica S.p.A., che ha prestato la sua disponibilità nel fornirmi tale
materiale e spiegandomi come la società mira a creare valore per gli
azionisti.
4
CAPITOLO 1.
CREARE VALORE: UNA NUOVA METRICA E UNA NUOVA
FILOSOFIA D’IMPRESA.
1.1. PREMESSA
Da diversi anni a questa parte, il tema della creazione di valore è
cresciuto notevolmente di importanza e ha fatto il suo ingresso nel linguaggio
corrente delle imprese. La creazione di nuovo valore costituisce un obiettivo
la cui realizzazione assicura lo sviluppo e la sopravvivenza nel lungo termine
dell’impresa, e ciò nell’interesse di tutta la società civile, non solo dei diretti
partecipanti della singola impresa
1
. Infatti, le imprese che non creano valore
sono destinate a decadere e il loro declino si traduce nel rallentamento e nella
decrescita della produzione di ricchezza e di beni per l’intera collettività
2
.
Tale impostazione privilegia l’ottica degli azionisti, in considerazione del
fatto che «sia sostanzialmente accettabile la nota tesi americana secondo la
quale creare valore per l’azionista significa creare valore per tutti»
3
.
Emblematica e riassuntiva è la visione che Stewart ha della questione:
Basic corporate finance and microeconomic theory tells us that prime
financial directive of any firm ought to be to maximize the wealth of its
shareholders. This objective not only serves the interest of the firm’s
owners; it is also the rule that ensures that scarse resources of all kinds
are allocated, managed, and redeployed as efficiently as possible – which
1 «Ma cosa significa creare valore? Significa realizzare qualche cosa che valga la pena, cioè che meriti gli sforzi,
le energie, le risorse impiegate per ottenerla. Appare subito evidente che un’azienda si trova al centro di una complessa
catena di giudizi di valore: i suoi clienti potenziali giudicheranno se i prodotti che essa offre valgono il prezzo da pagare;
i suoi dipendenti, se l’insieme di ricompense (monetarie e non monetarie) che ricevono valgono l’impegno e i sacrifici
loro richiesti; i suoi finanziatori, se il ritorno atteso dal loro impegno di capitale vale il rischio connesso all’incertezza
dei risultati reddituali» (G. Donna, La creazione di valore nella gestione d’impresa, p. 25).
2 Così L. Guatri, Sviluppo economico e impresa, p. 26.
3 Cfr. L. Guatri, Valore e «intangibles» nella misura della performance aziendale, p. 142, e T.E. Copeland, Why
Value Value, p. 103 ss.
5
in turn maximizes the wealth of society at large
4
.
Altri sostengono che la creazione di nuovo valore non deve esaurirsi nella
prospettiva dei soli azionisti, ma deve tenere in adeguata considerazione
l’ottica degli altri stakeholder (Coda, 1989) e in particolare del personale
(Dematté, 1997; Agliati, 1999), cosicché si giunge a riqualificare la
creazione di nuovo valore nell’accrescimento del benessere dell’impresa
(Cattaneo, 1993b), il quale deve «istituzionalmente accompagnarsi con
l’accrescimento del benessere fruibile da parte di tutti i protagonisti
nell’ambito di uno schema in cui, alla confliggenza tra gli interessi, si
sostituisca progressivamente la cooperazione». Accogliendo quest’ultima
prospettiva e fermo restando che il fine ultimo dell’impresa è il
soddisfacimento, in via indiretta, degli interessi istituzionali pertinenti alle
persone membri del soggetto economico (Masini, 1978), la creazione di
valore può essere vista come fine «strumentale» (o, se si vuole, di ordine
inferiore) rispetto al raggiungimento del fine ultimo (di ordine superiore)
dell’impresa. In altre parole, sembra potersi affermare che la creazione di
valore ad ampio raggio (benessere fruibile da parte di tutti i protagonisti)
porta con sé il soddisfacimento degli interessi istituzionali facenti capo al
soggetto economico
5
.
L’ormai ampia diffusione di questa impostazione pone, anzitutto, il
problema di meglio qualificare il concetto di «valore» a cui ispirarsi per
apprezzare i fenomeni di accrescimento o di declino del medesimo. A questo
riguardo appare come opinione largamente condivisa quella che identifica,
almeno nel contesto dell’Europa continentale, nella nozione di capitale
economico (o valore economico del capitale) il concetto di valore cui
ispirarsi per le misurazioni in questione. Tale nozione di valore, infatti,
appare essere quella che più compiutamente esprime anche la produzione di
4 G.B. Stewart, Eva: Fact and Fantasy, p. 72.
5 «Creating stakeholder value is not so much an obiective as it is an economic contraint on company’s actions. If,
for example, a company takes actions that fail to deliver sufficient shareholder value, it will loose the loyalty of its
shareholders and as a result go out of the business. The same is true of its relationships with the other active
stakeholders» (A. Campbell, M. Alexander, What’s Wrong with Strategy, p. 44).
6
valori non direttamente monetari ma che sono tenuti in conto
nell’apprezzamento globale che l’ambiente esprime sull’impresa.
Se il fine dell’impresa è quello di massimizzare il valore del capitale
d’impresa, occorre individuare degli indicatori che siano in grado di misurare
la creazione / distruzione del valore. Nel corso del lavoro saranno presi in
considerazione diversi indicatori utili a tale scopo e verranno evidenziati i
loro pregi e i loro limiti nel misurare la performance d’impresa a livello di
flusso di valore generato o distrutto in ciascun esercizio.
1.2. LA TEORIA DI CREAZIONE DEL VALORE
Negli ultimi anni si è avuta una convergenza accademica ed aziendale
sempre maggiore intorno al principio che l’obiettivo fondamentale di chi
guida le imprese, nonché condizione e ragione stessa d’esistenza nel lungo
periodo, è la massimizzazione del valore creato per gli azionisti. La
razionalità microeconomica dell’approccio si basa sull’assunto che
massimizzare la ricchezza degli azionisti coincide con il massimizzare la loro
utilità, indipendentemente dalle preferenze intertemporali fra consumo e
risparmio, e porta ad un’efficiente allocazione della risorsa capitale.
L’individuazione di un obiettivo–guida chiaro ed univoco per il management
è particolarmente sentito in quei contesti istituzionali dove la separazione fra
proprietà e controllo è la regola ed è, quindi, cruciale esplicitare il mandato
generale conferito dagli azionisti ai propri manager. A determinare
l’affermarsi di questo approccio sono state, in particolare, la sempre
maggiore pressione dei mercati finanziari per adeguate remunerazioni del
fattore capitale ed una crescente sfiducia nella significatività delle
tradizionali misure contabili, che non incorporano fattori quali il costo del
capitale proprio, un orizzonte di lungo periodo, il valore finanziario del
tempo ed il rischio.
Il valore di mercato dell’impresa è dato dall’attualizzazione dei flussi di
risultati futuri, flussi di cassa operativi nell’impostazione anglosassone o
reddituali nelle impostazioni europee più tradizionali, legate al concetto di
7
«capitale economico». La dinamica di creazione del valore è legata alla
capacità dell’impresa di conseguire un rendimento sul capitale investito,
presente e/o prospettico, che ecceda il costo del capitale, ovvero la
remunerazione minima «pretesa» dal mercato; se ciò avviene, il valore di
mercato sarà superiore al valore corrente (di sostituzione) complessivo dei
suoi cespiti, o a quello contabile, se si fa riferimento ai costi storici e quindi
a quanto effettivamente conferito all’impresa, e si sarà creato valore; in caso
contrario, lo si sarà distrutto. L’approccio valutativo più diffuso e coerente
con questa impostazione è quello del valore attuale netto (VAN)
6
; al fine di
massimizzare il valore creato, l’impresa deve implementare solo progetti che
offrano un valore attuale netto positivo e, in seguito alla scelta di attuare un
progetto o una strategia, il valore creato dall’impresa aumenta o diminuisce
in misura pari al VAN della decisione presa. Questa impostazione riserva alla
Funzione Finanza, interna alle imprese, un ruolo chiave, in quanto qualsiasi
scelta d’investimento o di finanziamento deve essere sottoposta ad un esame
di razionalità e congruenza economica effettuato con regole e categorie
interpretative derivate dalla Teoria della Finanza e dalla disciplina dei
mercati finanziari, rispetto ai quali essa rappresenta la naturale interfaccia.
Anche in Italia l’obiettivo in parola è sempre più citato dal top
management, perlomeno delle imprese di maggiori dimensioni e/o quotate e/o
più innovative, come proprio credo fondamentale ed esigenza
imprescindibile; in alcuni casi questo si è tradotto in profondi cambiamenti
gestionali e culturali, oltre che di risultati, mentre in altri ci si è limitati a
fare propri slogan di successo e perpetrare vecchie pratiche. Particolarmente
complessa risulta la comprensione dell’approccio considerato da parte del
mondo delle piccole e medie imprese più tradizionali, nelle quali, spesso, si
registra un significativo gap di cultura finanziaria unito ad una notevole
diffidenza verso «intrusioni» esterne, quali possono essere avvertite la
disciplina dei mercati finanziari e le loro esigenze informative. Il rischio di
una simile chiusura ed incomprensione è l’esclusione del grande processo
6 Il VAN, valore attuale netto (o NPV, Net Present Value), di un investimento è pari al valore attuale dei flussi di
cassa futuri meno l’ammontare dell’investimento iniziale. Un progetto presenta un VAN positivo quando il suo tasso
interno di rendimento è maggiore del costo medio ponderato del capitale.
8
globale di allocazione del capitale, il che implicherebbe la rinuncia a risorse
potenzialmente cruciali per lo sviluppo.
La sfida del mercato globale esalta la competizione e mette l’impresa
sotto una straordinaria pressione competitiva. Ogni impresa è sotto costante
esame e deve dimostrare di valere, sia nel rispondere ai bisogni dei clienti,
sia nel remunerare gli stakeholder. La creazione di valore è la punta
dell’iceberg della competitività ed è la prova che il mercato cerca per
concedere ad un’impresa il proprio sostegno e il proprio apprezzamento
7
. È
facile dimenticare le ragioni per le quali l’obiettivo primario per il
management deve essere quello della massimizzazione del valore di mercato
dell’impresa. La ricerca del valore conduce all’allocazione di risorse scarse
verso gli usi più produttivi. Più efficacemente tali risorse vengono impiegate
e gestite, maggiore sarà la solidità dello sviluppo economico.
In molte aziende, l’insostituibile ricerca del valore viene vanificata da
inadeguati e obsoleti sistemi di controllo finanziario, cosicché errati obiettivi
finanziari e criteri di valutazione e controllo dei risultati vengono enfatizzati.
Perché la creazione di valore diventi il motivo guida dei comportamenti e
delle scelte aziendali occorre agire su tre fronti interdipendenti:
• le misure di performance;
• i sistemi di gestione: ridisegno o ritaratura dei principali meccanismi
direzionali;
• la cultura: affinché la creazione di valore si possa radicare con
profondità, fino a diventare un vero e proprio valore d’impresa
condiviso, occorre un’estesa attività di formazione e sensibilizzazione
destinata ai dirigenti, quadri e dipendenti, per comunicare con
chiarezza i principi fondamentali e i supporti tecnici del nuovo
approccio.
1.3. IL CONCETTO DI VALORE
Il concetto di valore è forse uno dei meno chiari espressi dagli studi di
9