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INTRODUZIONE - LA RADIO: MEZZO DI DIFFUSIONE E INCLUSIONE
“Esistono pochissimi modi per scrivere una parola, ne esistono tantissimi per pronunciarla”
M. McLuhan
La radio dà forma alla nostra esperienza più che comunicarci cose che sappiamo già. La radio nasce
come un progetto preciso, in altre parole quello di trasmettere e/o ricevere informazioni. Nel tempo
viene modellata dalla cultura, dalla conoscenza per divenire un imbuto da cui attingere e in cui
raccogliere e mescolare le storie di un paese, di una società piccola o grande che sia. Il fascino di
questo sempre “nuovo” mezzo viene definito nel corso del tempo in tanti modi, da “tamburo tribale” a
“voce invisibile”
1
, al fine di poter cogliere le sue tante sfaccettature. Un mezzo che si affida alla
parola pronunciata e a un nuovo tipo di ascolto che si serve d’indizi visivi per lasciar spazio
all’immaginazione. Forse è proprio questo che incuriosisce della radio: la libertà di far giri e giochi
mentali nell’unire immagini e suoni. La nostra percezione cambia e cambia da persona a persona e in
base alle nostre esperienze e proiezioni ci rendiamo autori di un “ascolto selettivo” selezionando le
parti da ascoltare, prestando un’attenzione ora superficiale ora cinica a quel dato suono; forse, perché
l’“acusma”, ovvero la possibilità di ascoltare il suono da qualunque luogo provenga , non ci costringe
a fermarci su una riga o su un’immagine. Eppure, dovremmo parlare anche di un altro tipo di ascolto
selettivo
2
, in quanto capace di creare uno spazio esclusivo ma al tempo stesso inclusivo, in cui sentirsi
accettati e parte di una fruizione culturale condivisa. Apparsa la tv, la radio, seppur un mezzo
“monosensoriale”, sembrava dominare la scena mediatica e poco si credeva nella tv come medium
domestico. Si guardava soprattutto alla straordinaria potenza evocativa che mancava alla tv, alla
strepitosa facoltà di creare legami ed essere comunque presenti a distanza: quello che uno studioso
avrebbe definito l’essere un “medium caldo”. Eppure, con gli anni, la profezia non si rivela corretta.
Alla luce delle nuove tecnologie, l’effetto dell’immagine risulta essere preponderante e la radio
assume la parte della “sorella cieca della televisione” e, in seguito, con l’arrivo del web la parte del
terzo incomodo. Si inizia, tuttavia, a concepire il suo limite come un potenziale, come un quid
essenziale da cui ripartire. Fin’ora la sua aderenza allo statuto del suono e della voce si è dimostrata
vitale. Con lo sviluppo economico e il progresso tecnologico, la televisione ben presto si conferma da
finestra sul mondo a finestra sul mercato pubblicitario (Antonio Ricci), mentre lo spettatore da casa
1
M. McLuhan, “Gli strumenti del comunicare”, 1964; Raymond Williams, “Tecnologia e forma culturale”,
1974
2
E. Menduni, “La radio. Percorsi e territori di un medium mobile interattivo”, Baskerville, Bologna 2002, p.8
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rimane lontano da quella finzione che magicamente a volte può far vedere e farti vedere. La radio nella
sua “piccolezza” di farti sentire e non anche vedere, raggiunge ogni angolo della vita quotidiana e
anche se messa da parte dal mondo del business, non smette di evolversi per convivere all’interno del
grande sistema mediale. Il mezzo radiofonico, infatti, più di ogni altro strumento riesce a convergere le
proprie caratteristiche con quelle di altre piattaforme mediali e a divenire, nel linguaggio odierno,
cross mediale. Nel corso della sua evoluzione storica la radio ha accompagnato momenti importanti
della storia italiana, in particolare, dimostrando quanto la sonorità possa coinvolgere, attirare
l’attenzione senza precluderla: il suo vero punto di forza. La radio, le radio che hanno popolato il
nostro paese si sono imposte come orecchio sul mondo e orecchio sull’uomo stesso: come quando si
osserva da una finestra e il momento diventa occasione per sondare se stessi. La gente sentiva,
ascoltava, sognava e immaginava da ogni parte del mondo e soprattutto iniziava a sentirsi ascoltata.
Una comunicazione senza fili che permetteva di costruire legami e anticipare quello che si sarebbe
preposto, in maniera diversa, con il Web. Nel corso degli anni Novanta il mezzo radiofonico inizia a
mettere in evidenza aspetti diversi e definire i propri percorsi mediali all’interno del sistema
comunicativo, in particolare cambia e si evolve l’universo delle radio private e il ruolo assunto dalla
radio pubblica. Le pagine a seguire cercheranno di mettere in luce le polisemie e le pluralità di
esperienze radiofoniche che hanno preso corpo in quel decennio e non solo, tracciando una sorta di
linea storica per soffermarci poi su un caso particolare (Cap. 2). La breve storia di una radio locale,
una testimonianza di una radio all’avanguardia, nell’affollato cielo dell’etere. In un mondo fatto di
nicchie e di tribù anche una piccola emittente di un paese siciliano può aiutare a spiegare quel
particolare mix di appartenenza e d’individuazione che una radio può rappresentare, quel senso
d’identità che può essere inteso come scelta totale o come scelta di vita perché in sintonia con le
proprie esigenze o con quelle della propria comunità. Una comunità di adesione e di riconoscimento la
quale, anche se temporanea ma capace di lasciare un marchio non registrato a parole, ma tramite suoni
e fragori. Per la prima volta Radio Triocola90 vede la sua storia uscire da quel cinema rimasto vuoto e
abbandonato per riprendere finalmente vita, la storia di una piccola emittente locale fluisce dai ricordi
di persone che ne hanno preso parte, per essere oggi raccontata e trascritta, nei limiti possibili. Limiti
giornalistici di obiettività, di verifica delle fonti, di tempo e limiti umani nel riportare alla memoria
una storia che sembrava ormai quasi una leggenda. Eppure, forse, un altro limite s’impone dinanzi,
poiché “esistono pochissimi modi per scrivere una parola, ne esistono tantissimi per pronunciarla”,
ma è opinabile il fatto che ciò rappresenti un limite o una proprietà di questo tipo di comunicazione.
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Un caso tra mille mi ha permesso di poter fare in piccolo un excursus delle varie caratteristiche del
linguaggio radiofonico, delle funzioni e delle qualità di un mezzo come la radio, sottolineando in
particolare il valore dell’ascolto e del prestare ascolto. Infine, per compiere una più attenta e generale
riflessione sulla radio globale, è stato necessario inserirla all’interno del grande sistema dei New media
per capire che tipo di convivenza si è instaurata con gli altri media e quali ne siano stati gli effetti.
Oggi, all’interno dell’universo mediale la radio si pone come un apparecchio sempre giovane, non
perde punti grazie alla sua capacità di rinnovarsi e di seguire le onde sommerse nella fiumana della
società. Un ragazzo potrà aver dietro il suo tablet, il suo pc, il suo smart phone di ultima generazione,
ma senza o con questi strumenti avrà sempre la radio con sé: una compagna di viaggio in macchina o
per le strade, come musica, come parola, come chiave di lettura della propria vita.
CAPITOLO 1 - LA RIVOLUZIONE RADIOFONICA DAGLI ANNI ’90 A OGGI
1.1 Note storiche: le radio “libere”
“Il suono della parola è più importante perché è più elementare del suo stesso significato” R. Arnheim
La svolta storica è datata 1974, anno in cui la sentenza n.226 consente ai privati l’esercizio delle
trasmissioni via etere “di portata non eccedente l’ambito locale”. E’ l’inizio di una nuova epoca. Un
passo indietro per proiettarci nel boom della radiofonia degli anni ’90, periodo che avrebbe decretato
l’affermazione delle radio private e non solo, in virtù di una sperimentazione e di un dinamismo
conforme alle nuove esigenze del pubblico. I primi assaltatori del sistema pubblico, il cinquantennale
Eiar - Rai, scendono in campo sull’onda della crisi della società provocata dalla contestazione
giovanile e dalla spallata operaia dell’autunno caldo, basando la propria attività sul mercato
discografico della musica giovanile in piena espansione.
3
Perché l’atmosfera cambi definitivamente,
occorrono due agevolazioni: una tecnologia alla portata se non di tutti, di molti, e una spinta che
travolga i controlli e la legalità.
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Agevolazioni, che arrivano puntualmente a metà degli anni '70. La
strada per aprire una radio libera dal lato tecnico viene aperta dalla cosiddetta “banda cittadina”,
ricetrasmettitore radio di bassa potenza (e bassa qualità) che sostituiscono, o per meglio dire, integrano
3
G. Isola, “Radio private, radio libere, radio commerciali: appunti per un’analisi storica”, Il Mulino, Bologna
1997
4
A. Truffi, “Musica & Memoria.it” , Luglio 2002
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il piccolo popolo dei radioamatori. Con la banda cittadina l'accesso alla tecnologia e alla funzionalità
si abbassava drammaticamente. L’avvento della radiofonia privata in Italia sconvolge in profondità
l’assetto dei media, le loro reciproche aree d’influenza e in particolare il rapporto fra radio e
televisione. Mentre la radio pubblica rimane ancorata a un palinsesto generalista (alternando alla
coralità di una comunicazione generalizzata, appuntamenti specifici per i più svariati gruppi di
ascoltatori), è con la radio privata che si stravolge questo tipo di offerta. Le radio italiane sono
centinaia, agli inizi, tutte diverse per peculiarità geografiche, musicali, politiche e ciascuna insegue più
o meno consapevolmente, un proprio gruppo di ascoltatori di riferimento. Il modello generalista
naufraga di fronte all’emergere di tante diverse qualità di radio. Anche quando, dalla metà degli anni
Ottanta, l’affermazione delle radio private nazionali ridurrà alcuni margini di creatività propri
dell’esperienza radiofonica privata e locale, la radio rimarrà – e rimane tuttora – altamente polifonica,
mentre in televisione il modello generalista attira anche emittenti piccolissime che ritengono di “fare il
verso”, talvolta con esiti ridicoli, ai grandi network. Negli Stati Uniti la “radio di flusso” o “di
formato” sostituisce il palinsesto con un andamento rotatorio della programmazione, che si ripete ogni
ora. Il “clock” ha determinate componenti di programmazione collocate in una determinata porzione
dell’ora, la cui miscela è il tratto distintivo di quell’emittente, che contraddistingue non solo la sua
programmazione musicale, ma la sua riconoscibilità presso il pubblico, in definitiva il suo rapporto
con gli ascoltatori. Si tratta naturalmente di un modello commerciale. Certo, esso è stato applicato in
Italia solo dalla metà degli anni Ottanta, senza dimostrare la stessa efficienza e commerciabilità che
aveva incontrato in America, e dunque con molte attenuazioni e variazioni sul tema. In Italia per molti
anni si è avuto, infatti, un flusso senza clock, e talvolta anche senza palinsesto: lunghe chiacchierate
dei conduttori radiofonici, senza confini certi; scelte musicali secondo l’insindacabile giudizio del disc
jockey di turno. La concezione generalista del palinsesto, ormai tratto distintivo della televisione, ne
usciva quindi scardinata.
5
La teoria “del flusso”, adottata dalla radio, è stata elaborata in ambito
televisivo da Raymond Williams nel 1974. “L’offerta televisiva non è – scrive Williams - un
programma composto da unità singole con determinate inserzioni pubblicitarie, ma un flusso
pianificato, in cui la sequenza effettiva non è quella dell’orario dei programmi pubblicato dai giornali,
ma quella stessa trasformata dall’inclusione di un altro tipo di sequenza, in modo tale che l’una e
l’altra, insieme, compongono il flusso effettivo della programmazione, il vero broadcasting”.
6
In
5
E. Menduni, “Radio Fm 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna”, Minerva, Bologna 2006, pp. 297-300
6
R. Williams, Televisione, tecnologia e forma culturale, Editori Riuniti, Roma, 2000
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realtà, l’ascoltatore chiede alla radio non un contenuto, un singolo programma, un appuntamento, da
rispettare nella sua giornata, ma piuttosto di condividere un’emozione, di venire incontro a una sua
richiesta di benessere. Quest’ascoltatore non vuole adeguarsi agli orari, vuole un flusso al quale
collegarsi quando può o quando ne ha voglia. Le radio private “di flusso” degli anni Novanta sono la
risposta a questo tipo di esigenza. Le varie emittenti selezionano un loro target, fascia d’età o etnica
cui rivolgersi, indispensabili per accedere alle pubblicità. Quale sia l’esatta formula del flusso di
ciascuna, con le lievi ma percettibili modifiche tra le varie fasce orarie e tra i vari giorni, rimane,
ancora oggi, nell’ombra. Un po’ per la rarefazione delle piccole radio, un po’ per l’affermazione delle
radio nazionali, la radio di flusso si è successivamente affermata come tratto distintivo della radiofonia
commerciale e indirettamente, della cultura giovanile, e il termine è ormai radicato in ambiente
radiofonico, in modo che sembra non se ne possa fare a meno. Esso rende perfettamente quel
continuum ondulatorio di sensazioni e stati d’animo, di affabulazioni e di pensieri ricorrenti che il
pubblico sente come necessario punto di riferimento per la propria vita di relazione.
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1.2 La radio e il telefono: il fenomeno del 3131
7 Gennaio 1969. Sulle frequenze del secondo canale per la prima volta è possibile chiamare
direttamente da casa e intervenire in diretta alla radio. Così inizia l’avventura del Chiamate Roma
3131, una vera e propria "trasmissione manifesto": due ore in diretta con gli ascoltatori, inviati a
raccontare storie, casi e problemi personali, a chiedere consiglio e aiuto a quei “confessori laici” che
facevano da tramite con esperti del settore o personaggi dello spettacolo. Non era la prima volta del
telefono in radio, ma la prima volta che il telefono diventa strumento costitutivo, e non solo
occasionale di un programma radiofonico. Per mezzo del telefono la radio inverte la direzione del
messaggio, spostandone il centro di irradiazione e collocandolo, in tutto il territorio del paese. Una
“tipografia del vissuto” densa di suggestioni, intrise di casi personali, richieste accorate, confessioni
intime, appelli desolati; ma anche allietata da momenti più distesi e leggeri, persino inclini
all’umorismo e che, non a caso, sembrano anticipare quell’idea della radio fatta dagli ascoltatori, base
poi, della produzione delle emittenti “libere”. Come ha osservato Gianfranco Bettetini la radio inizia
da allora a “mettere in scena una vera e propria performance continua della conversazione, della parola
in libertà, della casualità e dell’apparente equivalenza di ruoli tra chi trasmette e chi riceve”. Senza
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A. Semprini, “ Il flusso radiotelevisivo, France info e Cnn tra informazione e attualità”, Nuova Eri, Roma 1994
11
tuttavia azzerare, come alcuni studiosi ancora credono, quello zoccolo duro dello squilibrio
comunicativo insito in ogni mezzo della comunicazione. L’assoluta novità della trasmissione era la
testimonianza della vitalità del Secondo canale, capace di adeguarsi alla dimensione privata e
confidenziale, ma senza pregiudicarne il ruolo istituzionale. Dopo la riforma del 1975, con le loro
nuove denominazioni di reti autonome, anche Radio Uno e Radio Tre si adeguano velocemente a
quest’obiettivo, moltiplicando le occasioni, i formati e i programmi ideati e realizzati apposta per
comunicare “nei due sensi” con i loro ascoltatori. Un lavoro ideativo che veniva da lontano, da uno
stuolo di giornalisti (come Sergio Zavoli), ma anche di intellettuali e funzionari impegnati, da almeno
un decennio, nell’approfondimento teorico della potenzialità del mezzo. Ciò che va maggiormente
ricordato è il lavoro sui generi, sella composizione del pubblico, sul linguaggio, sul modo di
realizzazione del prodotto, anche in termini culturali. Chiamate Roma 3131 rappresenta anche un
termometro altamente significativo dei cambiamenti che si stavano verificando nel costume italiano.
Se nelle prime trasmissioni le telefonate riguardano più che altro richieste e consigli su questioni
medico-scientifiche, poco a poco gli argomenti cominciano a sconfinare toccando la psicologia, la
morale, la sessualità. La radio viene percepita come una voce amica, dove trovare non solo conforto o
l’immediata soluzione di singoli casi umani, ma, più profondamente, una rassicurante certificazione
sella propria stessa esistenza. Inizialmente la redazione del programma, divenuto famoso, comprende:
Franco Moccagatta, Gianni Boncompagni e Federica Taddei con “L’amico del mattino”. Si poteva
solo ricevere chiamate, non farle, per questioni economiche. Il 380067 era già, in sostanza, il 3131 per
genere e fruitori. Moccagatta nel ‘72 lascia la conduzione. Chiamate Roma 3131 torna a una fascia
oraria diversa, non il mattino ma nel tardo pomeriggio per ricercare l’ascolto non solo di casalinghe o
esclusivamente femminile. L’altra novità vede due giornalisti al microfono: Luca Liguori e Paolo
Cavallina. La trasmissione dal ‘76 al ‘79, nella dopo riforma, si tinge di rosa e cambia nome in “Sala
F” con Lidia Motta, Filomena Luciani e Livia Bacci. Dal ‘79 al ‘82, dopo la sospensione di un anno,
Sala F diventa Radio due 3131. La radio fa da grandissimo mediatore tra gli ascoltatori, riscoprendo il
proprio ruolo sociale in occasione del terremoto dell’Irpinia. 1982-1990, è l’era Guerzoni, in cui
Corrado Guerzoni appunto diventa conduttore unico. 1990- 1995 è il finale di partita. La trasmissione,
in onda dal Lunedì al Venerdì, ogni giorno tratta un tema diverso, la programmazione è affidata a Rita
Manfredi che cura meticolosamente ogni aspetto.
L’eredità del 3131: dall’idea ai fatti. Un programma, infatti, fatto di voci, parole degli ascoltatori che
diventano ben presto una nuova strategia linguistica. Un nuovo format, un programma costruito sul
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parlato interessato alla dimensione pubblica e sociale, come quello delle nuove emittenti private
musicali, rivolte a un target più giovanile, che con un tono disimpegnato e leggero si fanno partecipi
della sfera privata e della quotidianità dell’ascoltatore. Forse emittenti come Radio 24 o Radio Deejay
sono figlie del 3131. Un nuovo genere che sarebbe poi stato ripreso e ridefinito dalla tv, perché
contenente al suo interno tutta una serie di elementi nella sua apertura e varietà di argomenti. Tutti
programmi che prendono vita negli anni ’90 all’interno delle radio private, sulla base dell’intervento
telefonico in diretta degli ascoltatori, da quelli dedicati a temi politici o sociali, a quelli che si mettono
a servizio del cittadino in termini di problemi economici o magari sentimentali. Una nuova formula,
ma anche la promessa di un’idea di comunicazione radiofonica, di un modello che porta al passaggio
da classicità a modernità radiofonica. Un modello in base al quale le distanze tra emittente e
destinatario si confondono in una produzione partecipata al testo, la formalità del linguaggio pubblico
lascia spazio alla spontaneità e all’informalità del dialogo privato e alla rappresentazione mediata del
mondo. Si apre la strada, così, alla messa in onda della voce dell’ascoltatore, la sua presenza viva e
concreta nel testo radiofonico è il punto di partenza di una linea che travalica l’ambito della radio per
invadere, soprattutto in quegli anni, la produzione televisiva. Rimane, però, una questione tutt’oggi
aperta: se nel rapporto tra “parlato “ della radio e il “vissuto” sociale ci sia il fondamento del ruolo
democratico riconosciuto al mezzo radiofonico. Per alcuni questo rappresenta un confine labile tra
democrazia e populismo, temendo che le chiacchiere del popolo possano prendere il sopravvento sulla
voce del potere.
8
La radio commerciale, secolarizzatasi per le esigenze di mercato, sembra avvolte
rinunciare alla formazione di una nuova moralità pubblica, assecondando il potere ma non
rappresentandolo. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.
1.3 La radio pubblica: che tipo di servizio?
La Rai concessionaria del servizio pubblico radiofonico insieme a quello televisivo, dispone di tre
canali radiofonici nazionali, strutturati a onde medie (AM) ripetute in modulazione di frequenze (FM).
La rete in onde medie è molto invecchiata ed ha una copertura molto parziale per quanto riguarda il
terzo canale. La rete in FM negli anni ’90 non è molto efficiente a causa delle interferenze, ma
migliorata rispetto a una decina di anni prima. Alle tre reti nazionali si aggiunge Isoradio, servizio
d’informazione sul traffico e musica, in collaborazione con la società Autostrade, realizzato in
8
R. Vincenti, “La prima volta del telefono. La storia del 3131 dal 1969 al 1995”, Rai Eri, Roma 2009,
Prefazione a cura di Franco Monteleone; pp. 257-259
13
isofrequenza.
9
La Rai inizia a trasmettere i Gr Parlamento (questo però nel 1998) e in convenzione
con la presidenza del Consiglio anche le trasmissioni per l’estero, ereditate dagli anni trenta e usate
largamente durante la guerra fredda. I dati, risalenti al 1998, dimostrano una complicata macchina
radiofonica, che fatica a imprimere un’immagine di marchio a tutti i mille prolungamenti delle sue
emissioni e a individuare una chiave moderna in cui interpretare la sua missione. Infatti, per la Rai si
rivela una difficile operazione capire e adottare in nuovi compiti della radio, mantenendo stretti
rapporti con la televisione della stessa azienda pubblica. Nel 1990 la Rai vara un “piano per la radio”
con alcuni significativi provvedimenti di riorganizzazione dell’offerta.
10
L’insieme delle norme,
inseguito integrate da altre disposizioni legislative, ha indubbiamente contribuito a disciplinare il
settore privato che, nel corso del decennio, ha raggiunto una configurazione più solida e ordinata.
Radio Due e Giornale radio 2 vedono confermato il loro ruolo di rete tipicamente “generalista”,
contenente tutti i generi e tutte le formule della programmazione. A Radio Uno e Gr1 viene invece
indicata la strada della specializzazione nell’informazione. Mentre per Radio Tre e per il Gr 3 si
ribadisce una funzione “culturale” in senso lato. I due canali stereofonici dovevano differenziarsi:
Stereouno diventa Stereorai, partecipando alla specializzazione informativa della prima rete e
assorbendo il marchio Stereonotte. Stereodue assumeva la missione di radio per gli automobilisti (che
avrebbe preso poi il nome di Radioverde RAI). La vicedirezione generale della radio viene potenziata
in modo da poter prefigurare un tipo di azienda radiofonica che gestisce tutto il ciclo produttivo del
mezzo.
11
Qualche timida modifica dell’offerta viene tentata, soprattutto nel potenziamento della
vocazione informativa e parlata di Radio Uno dove, infatti, è lo stesso direttore di rete a dialogare con
gli ascoltatori una volta la settimana. La presenza dei tre canali è comunque offuscata dai concorrenti
privati, poiché la legge Mammì assegnava alla Rai “tre reti televisive e tre reti radiofoniche”, mentre la
precedente convenzione tra lo Stato e la RAI più largamente le consentiva “tre reti radiofoniche a
modulazione di ampiezza e tre a modulazione di frequenza per la diffusione via radio di almeno tre
programmi”
12
. Il rinnovo cade nel 1994. La Rai rimane inerte di fronte ai cambiamenti, senza
difendere il servizio che già svolgeva, mentre a una rete radiofonica, sempre prevista dalla legge
Mammì, venivano affidati i lavori parlamentari (divenuta poi Radio Radicale). Il testo legislativo
9
E. Menduni, “La radio. Dal transitor a internet”, Il Mulino, Bologna 2001, pp.169-170
10
Ivi, pp.176-180
11
B. Fenati, “Fare la radio negli anni 90”, Nuova Eri, Torino 1993, pp. 96-97
12
L. 6Agosto 1990, n.223, art.24 comma 1 Convenzione Stato-RAI, approvata con d.p.r. 1° Agosto 1988 n.367,
(art.7, lettera a); (Durata della convenzione di sei anni)